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Cina

Klaus Schwab, la Cina come modello

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Pochi giorni fa, solo un momento prima che scoppiassero le rivolte antilockdown, il fondatore e presidente del World Economic Forum, Klaus Schwab, si era fatto intervistare un media statale cinese proclamando che la Cina è un «modello» per altre Nazioni. Lo riporta Fox News.

 

Schwab, 84 anni, ha rilasciato tali dichiarazioni a Tian Wei della CGTN (China Global Television Network, canale televisivo all-news sotto il controllo del Dipartimento di Propaganda del Partito Comunista Cinese) a margine del vertice dei CEO dell’APEC della scorsa settimana a Bangkok, in Tailandia.

 

Schwab ha affermato di rispettare gli «straordinari» risultati conseguiti dalla Cina nel modernizzare la sua economia negli ultimi 40 anni.

 

«Penso che sia un modello per molti Paesi», ha detto lo Schwab,  per specificare di credere che ogni paese dovrebbe prendere le proprie decisioni su quale sistema vuole adattare. «Penso che dovremmo stare molto attenti nell’imporre i sistemi. Ma il modello cinese è certamente un modello molto attraente per un buon numero di Paesi». L’anziano guru WEF non ha tuttavia fornito dettagli su quali aspetti del «modello cinese» egli ritenga davvero interessanti.

 

Tuttavia, non è difficile immaginare quali aspetti potrebbero interessargli.

 

Nel 2014, il PCC ha annunciato un sistema di classificazione morale universale in base al quale gli individui, le organizzazioni governative e le aziende sono classificati con una serie di punteggi mutevoli: il famoso credito sociale, un sistema premiale con il quale il cittadino perde, assieme ai punti, anche diritti e accessi a determinati beni o servizi. Con un punteggio basso, non è più possibile prendere aerei, treni, o accedere al credito bancario, etc. Il punteggio può essere decurtato da una serie di infrazioni, come l’essere passato con il rosso o l’aver fatto su internet commenti critici del sistema.

 

«Sono stati fatti confronti con i punteggi ambientali, sociali e di governance, o ESG, utilizzati dalle principali istituzioni finanziarie e organizzazioni globali per creare un tipo di sistema di credito sociale progettato per influenzare il comportamento e trasformare la società» scrive Fox. « Schwab ha scritto nel 2019 che i punteggi ESG sono necessari per il capitalismo degli stakeholder».

 

«Il “capitalismo degli stakeholder”, un modello che ho proposto per la prima volta mezzo secolo fa, posiziona le società private come amministratori fiduciari della società ed è chiaramente la migliore risposta alle sfide sociali e ambientali di oggi», ha scritto lo Schwab. «Dovremmo cogliere questo momento per garantire che il capitalismo degli stakeholder rimanga il nuovo modello dominante».

 

I rapporti tra Schwab e il presidente cinese Xi Jinping sono noti, con quest’ultimo che ha partecipato più volte al World Economic Forum di Davos organizzato dal tedesco.  Particolarmente grottesca fu la presenza a Davos di Xi nel gennaio 2017, dopo lo shock dell’elezione di Trump in USA: la folla di finanzieri ultramiliardari applaudì il «comunista» Xi Jinping come una sorta di messia salvatore. Notevole fu il titolo dato all’articolo dell’inviato del giornale di Confindustria, Il Sole 24 ore: «Xi Jinping a Davos difende la globalizzazione».

 

Come riportato da Renovatio 21, a Bari per l’evento economico collaterale – al G20 il B20 – Schwab ha annunciato una «Ristrutturazione profonda, sistemica e strutturale del nostro mondo».

 

 

Ricordiamo che la ristrutturazione di cui parla Schwab non riguarda solo l’economia e l’industria (la «Quarta Rivoluzione Industriale» annunciata da Schwab nel suo libro omonimo, vero Necronomicon del Grande Reset)  né la sola alimentazione (con la spinta al consumo di insetti) né i soli consumi della società (con la guerra ai combustibili fossili e alle automobili private), né il solo tracciamento delle attività umane (con i carbon tracker), né l’educazione (con i vostri figli messi nel metaverso), né la farmaceutica (con i chip piazzati nei medicinali) e nemmeno solo i fondamenti stessi della cittadinanza così come la conosciamo («non possiederai nulla e sarai felice»).

 

Praticamente un’era del controllo totale sulla popolazione, ottenuto con mezzi cibernetici e biolettronici: esattamente quello che sta avvenendo in Cina.

 

Lo Schwab, a varie riprese, ha mostrato la sua eccitazione per l’idea di una «fusione uomo-macchina», con una sensorizzazione bioinformatica del cervello stesso degli individui.

 

Al momento, tuttavia, dovremmo accontentarci dell’imminente implementazione dei carbon tracker, i tracciatori dell’impronta carbonica. sensori che tracciano le vostre azioni giudicandone la compatibilità ecologica, una questione raccontata in tranquillità all’ultimo World Economic Forum, tornato ad essere realizzato di persona a Davos.

 

 

Come riportato da Renovatio 21, il carbon tracking è già realtà per alcune banche in Australia e in Canada, con un punteggio ecologico assegnato ad ogni consumo registrato in estratto conto.

 

Il lettore può quindi cominciare a capire a cosa serve in realtà la moneta elettronica, l’«inevitabile» euro digitale a cui ci vogliono costringere: le vostre vite saranno controllate alla fonte; non solo spiate, ma anche «gestite» – il vostro potere di acquisto, divenuto un semplice accesso dipendente da un potere premiale, potrà essere spento con un clic, oppure limitato nel tempo, nello spazio e nella forma (non puoi comprare ad una certa ora, non puoi comprare in un determinato luogo, non puoi comprare una determinata cosa) da un’autorità centrale inappellabile.

 

Il lettore capisca anche il dubbio che ci sta venendo: tutti questi consecutivi crash di società di criptovalute, sono solo la preparazione alle monete digitali di Stato (le CBDC)?

 

C’è qualche fact-checker ebete, tra i tanti che sappiamo ci seguono, che è disposto a negare questo pensiero?

 

 

 

 

Immagine di World Economic Forum via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-NC-SA 2.0)

 

 

 

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Cina

Giovani cinesi, cresce rischio obesità (e tumori): verso il 40% entro il 2030

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Un recente studio ha scoperto che quasi la metà dei tumori diagnosticati tra il 2007 e il 2021 è legato al sovrappeso. A causa dei cambiamenti socio-culturali, sono sempre di più i giovani obesi. Il governo di Pechino ha lanciato un piano strategico per evitare un’esorbitante spesa economica.

 

Circa due giovani cinesi su cinque rischiano di essere in sovrappeso o affetti da obesità entro il 2030, con una maggiore probabilità di incorrere in malattie gravi come il cancro.

 

È questo l’allarme lanciato da un gruppo di scienziati cinesi attraverso uno studio pubblicato di recente sulla rivista americana Med. «Se non modifichiamo radicalmente la tendenza dell’obesità, l’incidenza dei tumori ad essa correlati continuerà inevitabilmente a crescere. Ciò costituirà un enorme fardello per l’economia e il sistema sanitario cinese», ha dichiarato al Global Times Yang Jinkui, tra gli autori del report ed endocrinologo presso la Capital Medical University di Pechino.

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Il team di ricercatori ha analizzato più di 651mila nuovi casi di cancro diagnosticati in Cina tra il 2007 e il 2021, scoprendo che circa il 48% rientrava tra i 12 tipi di tumore che secondo l’Organizzazione mondiale della sanità sono legati all’obesità.

 

Dallo studio emerge anche che, nello stesso intervallo di tempo, l’incidenza di tumori in Cina è aumentata del 3,6%, con un tasso di giovani dai 25 ai 29 anni gravemente malati superiore al 15% annuo. In altre parole, i giovani nati tra il 1997 e il 2001 hanno una probabilità di sviluppare tumori legati all’obesità 25 volte superiore rispetto alle persone nate tra il 1962 e il 1966.

 

E se non verranno intraprese misure tempestive per contrastare questo trend – avvisano gli scienziati – la percentuale di tumori associati all’obesità nei giovani cinesi è destinata a raddoppiare nel prossimo decennio. Previsioni che hanno buone probabilità di avverarsi: al momento la Cina è uno tra i Paesi con il più alto numero di giovani in sovrappeso o affetti da obesità, e la percentuale potrebbe raggiungere il 40% entro il 2030.

 

Le cause di questo fenomeno sono legate al rapido sviluppo dell’economia cinese e ai cambiamenti socio-culturali che hanno interessato il Dragone negli ultimi decenni. Con il miglioramento degli standard di vita della popolazione cinese, infatti, le abitudini alimentari delle persone sono cambiate, privilegiando il consumo di cibi di origine animale, di cereali raffinati e di alimenti altamente trasformati.

 

I ritmi quotidiani, inoltre, hanno indotto sempre più famiglie a risparmiare tempo mangiando al ristorante, dove spesso sono serviti piatti ricchi di grassi, zuccheri e calorie.

 

Anche la possibilità di poter ordinare prodotti alimentari a domicilio tramite le app online ha contribuito all’aumento dell’obesità tra gli adolescenti, facilitando la possibilità di reperire in qualsiasi momento cibo spazzatura.

 

Altrettanto influente è la tendenza all’inattività fisica e alla sedentarietà, dovuto all’incremento di tempo trascorso davanti agli apparecchi elettronici e all’eccessivo carico di studio, che a sua volta provoca stress, altro fattore che favorisce l’obesità.

 

Un ulteriore aspetto da non sottovalutare è l’eredità genetica: la probabilità che un bambino diventi obeso è fino a 15 volte maggiore se entrambi i genitori lo sono. Considerato che la percentuale di adulti cinesi in sovrappeso è in continuo aumento (anche se ancora tra le più basse al mondo) la situazione è alquanto preoccupante.

 

Ad avere un notevole impatto sul fenomeno è stata anche la pandemia di Covid-19 e il conseguente lockdown nazionale che ha limitato le possibilità di svolgere attività fisica all’aperto.

 

Diversamente dal passato, tuttavia, il sovrappeso in età infantile o adolescenziale non sembra essere più un problema in prevalenza urbano. Uno studio pubblicato a maggio di quest’anno sulla rivista Chinese Medical Journal rivela che il numero di bambini e ragazzi affetti da obesità nelle zone rurali cinesi è in crescita e potrebbe addirittura superare quello dei loro coetanei nelle città entro il 2027.

 

Le ragioni di questa inversione di tendenza sono ancora una volta da attribuire al generale sviluppo socio-economico del Paese e alla conseguente riduzione del gap tra le zone rurali e urbane, che ha fatto sì che i giovani nelle campagne siano esposti agli stessi rischi di sviluppare l’obesità, ma con minori possibilità di accesso a una dieta diversificata, ad adeguati servizi sanitari e a una corretta educazione alimentare. Anche le misure nazionali di prevenzione sanitaria sembrano avere uno scarso effetto nei villaggi rurali.

 

Se la situazione finora descritta non migliorerà, tra il 2025 e il 209 la Cina dovrà affrontare, secondo le stime, una spesa economica intorno ai 218 mila miliardi di yuan (28,5 trilioni di euro). Per scongiurare questo epilogo, nell’ottobre 2020 il governo cinese ha lanciato un piano strategico per controllare e prevenire l’obesità nelle giovani generazioni, con l’obiettivo di ridurne il tasso di crescita annuale del 70% entro il 2030.

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Tale programma, che coinvolge le famiglie, le scuole e le istituzioni mediche, promuove lo svolgimento di almeno tre ore di attività fisica ad alta intensità a settimana e sottolinea l’importanza di seguire una dieta sana ed equilibrata. Tra gli interventi implementati in questo senso ricordiamo il progetto noto come «Happy 10 minutes», per incentivare l’esercizio fisico, e i cosiddetti «Student Health Education Action» e «Healthy Children Action Plan», per sensibilizzare i giovani su una corretta alimentazione.

 

Alcuni esperti ritengono, tuttavia, che per ottenere risultati più efficaci sarebbe opportuno imporre una tassa del 20% sulle bevande zuccherate e limitare la vendita di cibi processati ai bambini.

 

In occasione della Terza conferenza sull’obesità in Cina (COC2024), tenutasi a Pechino a metà agosto, il professore Zhang Zhongtao ha ribadito che, nonostante i numerosi sforzi già compiuti, restano ancora molti obiettivi da raggiungere, come l’ampliamento dei canali di comunicazione per la prevenzione e il rafforzamento dei meccanismi di cooperazione ambulatoriale interdisciplinare negli ospedali.

 

«Di fronte a queste sfide», ha dichiarato Zhang, «abbiamo urgentemente bisogno di collaborare con una rete di prevenzione e cura dell’obesità guidata da professionisti e che coinvolga l’intera società».

 

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Cina

Anche il Sudan firma con la Cina patti per il nucleare

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Il 4 settembre, il Sudan e la Cina hanno firmato accordi per «sostenere gli obiettivi del Sudan di sviluppare l’energia nucleare pacifica, migliorare i porti marittimi e modernizzare gli aeroporti». Lo riporta il giornale sudanese Sudan Tribune.   Gli accordi sono stati firmati a margine del vertice 2024 del Forum sulla cooperazione Cina-Africa (FOCAC) a Pechino, che si svolge ogni tre anni in una delle capitali delle nazioni. I dettagli sugli orari e sui finanziamenti non sono stati resi pubblici.   «Il Sudan’s Energy and Mining Group, parte del complesso dell’industria della difesa del Paese, ha siglato accordi con China Energy Engineering Group, una società statale specializzata in progetti energetici e infrastrutturali», ha scritto il Sudan Tribune.   Sono stati inoltre firmati accordi tra il gruppo statale «Giad Engineering» e tre importanti società cinesi: Dongfeng Motors, Dongfeng Automobile e Zhenghou Annaide. Questa partnership si concentra sulla produzione di auto elettriche, camion e vari tipi di macchinari».

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Il Gruppo Giad Engineering è specializzato in prodotti nei settori dei trasporti, dell’agricoltura e dell’energia, produce camion, trattori, automobili, oli speciali per automobili, etc., Oltre alla formazione del personale dei quadri e dispone anche di centri di ricerca e sviluppo. Il presidente del Consiglio di sovranità del Sudan, Abdel Fattah Al-Burhan, ha partecipato all’evento, ha incontrato il presidente cinese Xi Jinping e ha supervisionato la firma degli accordi.   Il Sudan ha lottato per molti decenni per un sano sviluppo economico a causa della destabilizzazione causata da interessi nefasti in Inghilterra e da altre fonti, e questi accordi rappresentano una prospettiva ottimistica sul suo potenziale economico e sulla sua stabilità.   L’agenzia di stampa statale cinese Xinhua ha riferito: «Xi ha osservato che la Cina sostiene il Sudan nella salvaguardia della sovranità nazionale, dell’indipendenza e dell’integrità territoriale, e spera che il Sudan ripristinerà la pace e la stabilità in tempi brevi». La Cina continuerà a sostenere la giustizia per il Sudan in occasioni multilaterali e si batterà per un solido ambiente esterno per la soluzione politica della questione sudanese, ha affermato Xi.   «Al-Burhan ha affermato che la Cina ha realizzato molti progetti di costruzione di infrastrutture in Sudan, apportando importanti contributi allo sviluppo economico del Sudan e al miglioramento della vita delle persone. Al-Burhan ha parlato molto bene delle 10 azioni di partenariato proposte dal presidente Xi al vertice e ritiene che le azioni aiuteranno notevolmente il Sudan a liberarsi dalle sofferenze della guerra e a raggiungere la pace e lo sviluppo».   «Il Sudan è disposto a implementare attivamente i risultati del vertice insieme alla Cina e a continuare a rafforzare il partenariato strategico tra i due Paesi», ha affermato.   Come riportato da Renovatio 21, anche la Nigeria pochi giorni fa ha firmato per l’assistenza cinese nello sviluppo dell’industria nucleare.

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Cina

Mar Cinese meridionale: Pechino chiede a Kuala Lumpur di fermare le attività estrattive

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

La compagnia statale della Malaysia opera in aree che sono sotto la sovranità nazionale. In una nota inviata all’ambasciata malese, la Cina ha espresso il proprio disappunto, anche se il premier Anwar Ibrahim in passato aveva accennato alla possibilità di negoziati per risolvere la questione delle rivendicazioni cinesi.

 

La Cina ha chiesto alla Malaysia di interrompere tutte le attività di estrazione di petrolio al largo delle coste dello Stato di Sarawak, dove opera la compagnia Petronas.

 

Una richiesta avanzata tramite una nota di protesta inviata all’ambasciata malese in Cina la settimana scorsa, secondo quanto scritto dal quotidiano Philippine Daily Inquirer, che ha pubblicato il documento. «La parte cinese, ancora una volta, esorta la parte malese a rispettare realmente la sovranità territoriale e gli interessi marittimi della Cina e a interrompere immediatamente l’attività di esplorazione», si legge nella nota.

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La Cina accusa la Malaysia di invadere le aree delimitate nel Mar Cinese meridionale dalla cosiddetta linea dei nove tratti, su cui Pechino rivendica la propria sovranità, anche se si tratta di una zona a soli 100 km da Sarawak e a quasi 2mila chilometri di distanza dalla Cina continentale. E anche se nel 2016 la Corte permanente di arbitrato dell’Aia ha dichiarato nulle e illecite le rivendicazioni cinesi.

 

Il documento esprime anche un certo disappunto per le attività di esplorazione di gas e petrolio vicino alla barriera corallina di Luconia, un’area che i malesi chiamano «Gugusan Beting Raja Jarum», e la Cina conosce come «Nankang Ansha» e «Beikang Ansha». La zona si trova a circa 150 chilometri a nord del Borneo malese, all’interno della zona economica esclusiva di 200 miglia nautiche dalla Malaysia.

 

Negli ultimi anni la Cina ha aumentato il numero di attività militari nel Mar Cinese meridionale nel tentativo di far valere le proprie rivendicazioni territoriali, entrando in collisione con Taiwan e i Paesi del Sud-Est asiatico.

 

Al contrario, il primo ministro malese Anwar Ibrahim, nel tentativo di calmare le tensioni, ha finora usato toni diplomatici concilianti. Solo tre mesi fa il premier aveva definito la Cina un «vero amico».

 

«La gente dice: la Malaysia è un’economia in crescita. Non permettete alla Cina di abusare del suo privilegio e di estorcere denaro al Paese. Io ho risposto di no. Al contrario, vogliamo trarre vantaggio l’uno dall’altro, vogliamo imparare l’uno dall’altro e vogliamo trarre profitto da questo impegno», aveva affermato Anwar Ibrahim durante la visita del primo ministro cinese Li Qiang il 20 giugno.

 

L’anno scorso, Anwar aveva suscitato una certa indignazione per aver suggerito che il governo era pronto a negoziare le rivendicazioni territoriali della Cina nel Mar Cinese meridionale. «Ho sottolineato che la Malesia considera l’area come territorio malese, quindi Petronas continuerà le sue attività di esplorazione», aveva detto il premier, informando il Parlamento. «Ma se la Cina ritiene che questo sia un suo diritto, la Malaysia è aperta ai negoziati».

 

Dichiarazioni che avevano attirato l’immediata condanna dell’opposizione malese, rappresentata dalla coalizione del Perikatan Nasional. L’ex primo ministro Muhyiddin Yassin aveva commentato dicendo che i diritti territoriali della Malaysia non sono disponibili alla negoziazione «anche se sono rivendicati dalla Cina».

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In un secondo momento il governo aveva chiarito che il commento del premier segnalava la volontà che tutte le questioni relative al Mar Cinese Meridionale fossero risolte pacificamente.

 

La Malaysia esercita la sovranità sugli atolli e la barriera corallina di Luconia dal 1963 e nel 1974 il governo ha incorporato la compagnia energetica Petronas, conferendole i diritti di esplorazione.

 

Come sottolineato dall’Energy Information Administration statunitense, nel Mar Cinese meridionale si trovano quasi 3,6 miliardi di barili di petrolio e oltre 40mila miliardi di piedi cubi di gas naturale tra giacimenti certi e probabili.

 

Secondo i dati della Rystad Energy di Oslo, la maggior parte di queste risorse si trova all’interno di acque cinesi (1,4 miliardi di barili di petrolio e 5,7 trilioni di piedi cubi di gas naturale) e della Malaysia (1,3 miliardi di barili di petrolio e 29 trilioni di piedi cubi di gas naturale).

 

Secondo i dati della Malaysian Investment Development Authority, l’industria del petrolio e del gas contribuisce per circa il 20% al PIL malese. Come affermato dall’Istituto Yusof Ishak di Singapore, il settore «è stato sfruttato in modo molto efficace per lo sviluppo economico a lungo termine» grazie alla promozione dell’imprenditorialità nazionale.

 

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Immagine di pubblico dominio CCo via Wikimedia

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