Pensiero
Il biofascismo contro i «fascisti»

Robert Kennedy junior, quando l’anno scorso prese la parola all’oceanica manifestazione di Berlino a fine estate, già lo diceva senza esitazione: «Negli Stati Uniti stanno dicendo che sono venuto qui per parlare a 5.000 nazisti. E domani scriveranno che sì, sono stato qui, e ho parlato 3.000 o 5.000 nazisti».
Era chiaro da tempo, e in tutto l’Occidente, che l’establishment aveva il programmino semplice-semplice di dipingere nella mente del cittadino globale l’equazione rifiuto del vaccino = estremismo di destra. In America, quelli che dissentono nei confronti della discriminazione biologica (lì li chiamano anti-vaxxer) sono ovviamente dichiarati trumpiani. In Germania sono neonazisti. In Italia sono fascisti.
Non poteva essere altrimenti: in America si fa leva sull’eiezione di Trump dal discorso pubblico (bandito dai media e dai social, il suo popolo accusato e messo in galera per i fatti del 6 gennaio), in Europa si capitalizza su settanta e passa anni di demonizzazione del totalitarismo nero, babau del XX e XXI secolo.
Per farci paura, il potere ha tirato fuori l’uomo nero. Del resto, sappiamo che hanno poca fantasia. Perché, ricordatelo, spesso nella più alta stanza dei bottoni ci sono uomini mediocri
Ebbene sì: per farci paura, il potere ha tirato fuori l’uomo nero. Del resto, sappiamo che hanno poca fantasia. Perché, ricordatelo, spesso nella più alta stanza dei bottoni ci sono uomini mediocri – e forse per questo di crudeltà pericolosa.
Ora, tuttavia, siamo davanti ad un paradosso pleateale, anche se ignoto totalmente ai giornali.
Lo Stato che ti obbliga a operazioni corporali, lo Stato che ti ricatta sul lavoro se non prendi una tessera, lo Stato che ti controlla in ogni movimento, lo Stato che proibisce gli assembramenti, lo Stato che tollera la limitazione della libertà di stampa e di parola, lo Stato che nega i diritti umani fondamentali (perfino quelli previsti dalla suo stesso documento legittimante, la Costituzione), accusa i suoi oppositori di essere «fascisti».
No, sul serio. Il bue che dice cornuto all’asino è un dilettante. Lo avevamo visto di recente: terroristi che dicono «terroristi» ai cittadini.
L’uomo nero, il «fascista di ritorno», è il vero problema contro cui scagliarci per il bene dell’attuale assetto sociale – che non è quello democratico, è quello di sottomissione biologica, qualcosa a cui il fascismo non era completamente arrivato.
Perché, ci chiediamo: il fascismo chiedeva una tremenda sottomissione «sociale», del foro esteriore. Non aveva i mezzi, tuttavia, per chiedere quella del foro interiore. Lo Stato pandemico invece vuole la sottomissione del «foro interiore»: devi essere tu a vaccinarti; devi tu prenotarti il buco mRNA, perché non puoi reggere altrimenti la tua vita e quella della tua famiglia; devi tu firmare tutti i documenti che manlevano la responsabilità degli altri, vaccinatori e multinazionali farmaceutiche.
Il fascismo storico solo con le orrende leggi razziali è arrivato alla discriminazione biologica. Ora siamo ad un livello perfino inferiore, sotto il foro interiore, sotto la coscienza, sotto il proprio gruppo etnico: si è all’apartheid biomolecolare
Di più: il fascismo storico solo con le orrende leggi razziali è arrivato alla discriminazione biologica. Ora siamo ad un livello perfino inferiore, sotto il foro interiore, sotto la coscienza, sotto il proprio gruppo etnico: si è all’apartheid biomolecolare.
Andiamo ancora oltre: lo Stato nazifascista e lo Stato pandemico hanno la medesima base strutturale – la cancellazione della legge naturale a favore del diritto positivo. La legge è tale non perché si accorda alla natura umana e al disegno del creato; la legge è tale perché la si pone, cioè impone, per arbitrio del potere. Dura lex sed lex. Punto.
È un fatto che qualcuno può, al contrario di quanto ora strilla il potere costituito, vedere lo Stato pandemico come diretta continuazione dello Stato fascista. Vi sono dei rimandi storici precisi: pensiamo alle leggi di vaccinazione obbligatoria promosse sotto il fascismo (in continuazione con quelle precedenti dell’era unitaria, presenti anche negli altri Paesi europei più o meno retti dalla massoneria ottocentesca).
Ma pensiamo, soprattutto, anche a casi come quello della cosiddetta «Strage di Gruaro»: nel 1933, in piena era fascista, un paesino intero costretto ad un vaccino sperimentale (un siero contro la difterite). 253 bambini tra i 13 mesi e gli otto anni inoculati, con reazione avversa massiva, e 28 di loro che muoiono miseramente. Nessuna inchiesta, e le autorità fasciste che passano sotto silenzio l’intero episodio.
Andiamo ancora oltre: lo Stato nazifascista e lo Stato pandemico hanno la medesima base strutturale – la cancellazione della legge naturale a favore del diritto positivo
Ricorda qualcosa? Vaccini sperimentali, obblighi, tombali silenzi della stampa (ricordate, per caso, tutti quei morti di inizio anno? Giovani e vecchi, militari e civili? Che fine hanno fatto? Qualcuno sa dove si trova Tiffany Dover?)…
Se il fascismo è uno stato basato sul controllo capillare e repressivo, uno Stato che implementa un medesimo controllo arrivando perfino al piano biologico può essere chiamato «biofascista». Tutti i fan scatenati di Foucault, che si sono riempiti la bocca per decenni con la parola «biopolitica», alla parola «biofascista» non sono arrivati.
Ora abbiamo quindi il biofascismo che dice che il pericolo sono i «fascisti».
Ora abbiamo quindi il biofascismo che dice che il pericolo sono i «fascisti»
I quali, secondo varie testimonianze e pure l’uso della logica, in nessun modo possono costituire la totalità della manifestazione. Ci hanno detto: qualche decina, come sempre. Dietro decine di migliaia, se non milioni in tutta Italia, di persone comuni, operai. mamme, studenti, pensionati. Vi basta guadare le immagini della manifestazione di Milano – dove, stranamente, non c’è stata violenza… – per capire che quella del bollino «uomo nero» è davvero una mossa di discredito del dissenso piuttosto disperata, stupida.
Tuttavia, niente, trovare qualcuno disposto ad ammettere questa semplice verità – ma quali fascisti, è una enorme massa trasversale a tutta la società italiana quella che sta protestando! – è impossibile.
Perfino quando manganellano una giornalista, che peraltro garantisce che i manganellati non avevano fatto niente, non si trova un’anima viva (nel sindacato, nella politica, nelle associazioni di vergini&prefiche) a chiedersi cosa stia succedendo. La minaccia autoritaria, per loro, fino a pochi anni fa era Silvio Berlusconi… e niente, rendiamoci conto, non c’è nemmeno da riderci sopra, visto che le bastonate testimoniate dall’inviata de La Stampa parrebbero vere.
E qui è subito dopo, quando sono rimasta da sola tra i no vax. Io avevo un telefonino in mano e gli altri nulla. Era un momento di calma, nessuno lanciava oggetti.
Caricati e manganellati#noGreenPass #piazzadelPopolp pic.twitter.com/AhGVZFFiTZ— flavia amabile (@flaviaamabile) October 10, 2021
«Sono rimasta da sola tra i no vax. Io avevo un telefonino in mano e gli altri nulla. Era un momento di calma, nessuno lanciava oggetti. Caricati e manganellati».
Lo avete visto. Il ragazzo va a parlare al poliziotto, gli dice frasi insulse, innocue, «dai ragazzi, noi siamo il popolo, come voi», una cosa così. Quello neanche lo sta a sentire, guarda la posizione dei colleghi, poi alza il bastone e urla: «carica!». E giubbotte.
A filmare tutto, finendo nella mischia, ripetiamo, è una giornalista. Nel momento in cui la stampa è manganellata, davvero vogliamo parlare di pericolo «fascista»? Ma davvero è stato esaurito il senso dei ridicolo sino a questo punto?
Il senso del ridicolo è sparito assieme al principio di realtà
Il senso del ridicolo è sparito assieme al principio di realtà. Ritengo che sia la conseguenza di avere al governo Draghi, tecnocrate che mai ha vissuto il conflitto, mai ha conosciuto la gente – i politici che lo hanno fatto con tutta la gavetta, da Salvini a qualche vecchio piddino, sono diventati con i loro partiti organi vestigiali del potere, sono decori ininfluenti dello Stato. Se comanda Draghi significa che la politica – quella che è fatta di esseri umani, quindi di parola, di opinione, di ascolto – è sparita, si è imboscata, oppure è finita impiccata come Antigone.
Draghi e il suo potere, ho scritto in passato, non possono avere lo stesso principio di realtà che ha il comune cittadino. Quindi, mi dicevo, è possibile che ad un certo punto si possa spaventare, davanti ad un dissenso sempre più massivo e materiale del quale potrebbe comprendere infine di non avere né controllo né contezza. Quando mai si è vita una sede del sindacato assaltato? Quando mai si sono viste manifestazioni di decine di migliaia di persone ogni sabato (si badi: il sabato, non un giorno qualsiasi in cui si può scioperare)? Quando mai si sono viste le forze dell’ordine che possono sfilare tra i manifestanti, quando non tengono la linea, senza temere di essere attaccare (guardate, sempre, le scene di Milano)? Quando mai si sono viste signore anziane marciare assieme agli studenti e ai portuali?
Mi sbagliavo, forse. Il fatto che ci troviamo in terra incognita, in un angolo della storia dove non ci sono mappe, forse non li intimorisce. Forse non hanno capito, non so. Oppure, come ho pensato altre volte, preparano una repressione ancora più grande.
I biofascisti mentiranno, e reprimeranno, fino a che non ne potremo più, fino a che gli obiettori non saranno sacrificati. Gli altri si beccheranno i lockdown climatici, i lockdown inflattivi, gli OGM CRISPR firmati UE, magari anche una spruzzata di geoingegneria, più qualche misura consistente di controllo delle nascite
Siamo solo all’inizio dell’autunno. Il bollino di «fascista» su chi dissentirà da qualsiasi cosa vogliono fare accadere (licenziamenti di massa, caro bollette, e magari infine l’obbligo vaccinale definitivo) certo fa comodo. Ma alla lunga non credo che sarà sostenibile. Perché la realtà, ad un certo punto, torna sempre a bussare alla porta.
Il progetto del mondo biofascista non prevede la realtà: mentiranno, e reprimeranno, fino a che non ne potremo più, fino a che gli obiettori non saranno sacrificati. Gli altri si beccheranno i lockdown climatici, i lockdown inflattivi, gli OGM CRISPR firmati UE, magari anche una spruzzata di geoingegneria, più qualche misura consistente di controllo delle nascite (il vero, grande obiettivo di tutto questo – il senso ultimo di ogni fascismo biotico).
Purtroppo per i biofascisti, la realtà, invece, esiste. Siamo noi. I nostri corpi, le nostri anime, la nostra volontà. La nostra dignità.
Credevate davvero che fosse così facile toglierci tutto?
Roberto Dal Bosco
Pensiero
Renovatio 21 saluta Giorgio Armani. Dopo di lui, il vuoto che inghiottirà Milano e l’Italia

È morto quello che si può definire il più grande stilista vivente, e al contempo un gigante, imprenditoriale e finanche morale, dell’Italia moderna e della sua immagine. È il caso di dire pure, cercando di dimostrarlo nelle prossime righe, che la sua morte apre gli occhi su un vuoto pericoloso che potrà inghiottirsi la moda, Milano, l’Italia.
Quindi non scriviamo il solito coccodrillo, per quello ci sono gli altri giornali, anche internazionali. Vogliamo salutare Giorgio Armani con alcuni flash personali che testimoniano come la sua semplice grandezza era tale che, anche senza conoscerlo di persona, ha attraversato giocoforza le nostre vite.
Le testimonianze che posso raccogliere sono tante: ho un amico di ottant’anni, praticamente spesi tutti nella moda, che mi racconta che sì, vero, faceva il vetrinista alla Rinascente, lo aveva conosciuto così, fino a che non era arrivato a scoprirlo il biellese Nino Cerruti (1930-2022). Ho in testa altre storie che mi arrivavano da amici di famiglia che lo avevano conosciuto, sempre lavorando nel tessile, agli albori, quando passava per Valdagno. Impossibile verificare: sono tutti morti, e quelle storie sono andate via con loro…
Sostieni Renovatio 21
Un primo flash: ho diciannove anni, e ho messo via i soldi per comprare un completo Armani (di brand minore dell’impero, certo, non «Le Collezioni»), con il quale, non solo nelle occasioni importanti, rifiutare il conformismo coetaneo di t-shirt e scarpe da ginnastica. Ricordo la sensazione di appagamento che dava quel vestito, come cascava bene sulle spalle, sui fianchi, ricordo come mi piaceva indossarlo anche con una maglia a maniche corte sotto, con le braccia accarezzate dal fodero in seta.
L’eleganza era possibile. Era diffusa, distribuita. Un’eleganza che non era ostentosa. Era decisa, precisa. Era reale.
Un secondo flash: decido di prendere un altro vestito Armani per appagare il mio desiderio di arrivare al matrimonio di mia sorella, in centro all’Africa, con un completo bianco, come Klaus Kinski nella giungla amazzonica di Fitzcarraldo. Il piano ebbe un effetto collaterale: l’aereo da Londra tardò enormemente su Johanessburg, facendomi perdere la coincidenza per Livingstone, e inserendo uno stop imprevisto in un hotel della città più violenta del mondo. Quando uscii dalla porta del ritiro bagagli dell’aeroporto sudafricano mi ritrovai di fronte ad una muraglia umana di autoctoni nerissimi (più un albino, epperò geneticamente nero anche lui) che aspettano un turista straniero a caso per spennarlo portandogli la valigia: si videro innanzi l’icona di un colonizzatore in abiti firmati, non ci credettero, e mi inseguirono per tutta l’aviosuperficie per un’oretta buona. (Storia da raccontare un’altra volta)
Vi fu poi la festa notturna delle nozze di mia sorella, dove partecipava una varietà impressionante di personaggi, tra cui uno zoccolo durissimo di allevatori di crocodilus niloticus, una delle attività della zona. Uno in particolare, che si era presentato non esattamente elegantissimo e a cui certo inizialmente non stavo simpatico, cominciò a chiamarmi «Armani», come fosse un insulto. Bizzarro: avevo, sì, un ulteriore abito armaniano, quindi aveva indovinato, al contempo nella sua zoticheria esibita stava di fatto ammettendo che il vertice della monda mondiale era anche per lui, farmer di coccodrilli dello Zambia, Giorgio Armani. (Se non credete che esista, ho una foto di quest’uomo paonazzo a tavola con quella che sarebbe divenuta la moglie di un sindaco di una grande città del Nord Italia, purtroppo mancata mesi fa. Ciao, A.)
Ricordo antico: ho si è no sei anni, i miei genitori mi porta in vacanza a Pantelleria, allora non ancora luogo di jet-set euroamericano ed architetti omosessuali, ma isola selvaggia tra mare blu, segni di attività vulcanica e tombe fenicie che spuntavano in mezzo ai boschi. C’era un posto, chiamato arco dell’elefante, dove una colata lavica copiosa e antichissima si era solidificata gettandosi in mare e creando, appunto, l’immagine di una proboscide. Lì vicino, una nave affondata a pochi metri dalla riva, dalla quale giovani facevano tuffi acrobatici. Per arrivarci si scendeva un pendìo scoseso, tra le terre brulle tipiche dell’isola.
È lì che appariva, d’un tratto, una casetta stupenda. Non era enorme, non era una reggia, eppure sprigionava un tale buon gusto – che mai cadeva nello sforzo – che era leggibile persino a me, bambino piccolo: vedevo che aveva il giardino a prato inglese, cioè aveva l’erba verde a differenza del resto del giallo pantesco, in un’isola dove l’acqua, mi raccontavano, arrivava in nave – e non si poteva bere dal rubinetto. Lui probabilmente, mi diceva mio padre, utilizzava quella del mare, fatta risalire sulla scogliera e ripulita con l’osmosi… un esempio, anche qui, più che di lusso, di gusto e ingegnosità, di organizzazione.
Anni dopo ricordo un’apparizione dell’uomo a pochi metri da me: oramai due decadi fa, erano gli ultimi anni della fabbrica di famiglia, e amici che erano già fornitori del gruppo ci avevano combinato un breve appuntamento con qualcuno delle vendite… avevamo escogitato dei braccialetti eccezionali oro e schiena di coccodrillo (fornito da mia sorella, che allora viveva presso il più grande allevamento di niloticus al mondo, in Zambia).
Dall’incontro con la gentile signora che ci accolse non cavammo nulla, tuttavia ricordo con nitore quando appena fuori dalla sede del gruppo in via Borgonuovo comparve una manipolo di persone (bodyguard? Collaboratori? Troppo veloci per capire) con al centro lui, piccolino, ma con il passo rapidissimo, e questa chioma canuta luminescente da aristocratico ricchissimo… Non trasmetteva, tuttavia, le vibrazioni che davano gli aristocratici e i ricchissimi, anzi: era, in chiarezza, uno che stava facendo delle cose.
A dire il vero, Armani di persona lo aveva già veduto: quando ancora esisteva il cinema in centro a Milano, c’era in corso Vittorio Emanuele, nella galleria dove era anche Palazzo Colla, una sala chiamata Pasquirolo. Lì si poteva intravedere in tranquillità Armani il mercoledì, nel giorno del cinema a prezzo scontato. Più avanti, lo avrei rivisto, sempre senza gorilli e bodyguardie varie, in un cinema sopravvissuto all’olocausto delle sale attorno al Duomo, l’Eliseo: si accompagnava con una donna tra i quaranta e i cinquanta chissà da che Paese, bellissima, elegantissima, che sorrideva come lui.
Al cinema, alla storia del cinema, lui aveva partecipato attivamente, vestendo i personaggi indimenticabili dei maestri cineasti di Nuova York (American Gigolo di Paul Schrader, poi tanto Scorsese, che gli dedicò un documentario introvabile, Made in Milan), eppure eccotelo lì, che andava ritualmente al cinematografo il mercoledì, come tanti, come tutti.
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Tutto questo per dire: non solo era una persona concreta, umana, ma era un milanese. E qui si innesta un discorso meno personale, e più serio, se non terrificante.
Armani, piacentino, era in realtà il milanese quintessenziale, l’uomo che amava Milano, la conosceva, la aiutava, non vi fuggiva, mai.
Lo proposero brevemente come sindaco, ma lui – che di fatto andava d’accordo con tutti – non accettò. Il suo senso civico si espresse, se posso dire, con la sponsorizzazione della squadra basket di Milano, dove lo vedevi tifare in prima fila tutte le domeniche di campionato. Capito: non scappava, nel weekend, ma stava con il popolo urlante a tifare per la squadra della città. Facciamo i conti – in diciassette anni come proprietario dell’Olimpia, Armani ha conquistato quindici trofei: sei campionati, quattro Coppe Italia e quattro Supercoppe italiane. Un vincente. Con la città che vince con lui.
Mi rammento poi di quando riaprirono, dopo tanti lavori, il Piccolo Teatro di Milano. Il suo dominus, il celebratissimo Giorgio Strehler, era morto da poco, era probabilmente attorno al 1997. Tra i VIP convenuti al vernissage, la TV intervistò Armani, che disse che gli pareva che ci fosse solo una persona che mancava… comprendevo quindi che Armani conosceva, frequentava pure Strehler – elementi della scena milanese che hanno attraversato tante ere, gli anni di piombo, i socialisti craxiani, la «Milano da bere» tangentopoli, lavorando e sopravvivendovi, e prosperandovi.
La milanesità vissuta integralmente. La comparazione con il presente è terrificante: qualche tempo fa emerse che, durante un podcast, Fedez – personaggio forse egemone della scena «culturale» milanese attuale – non sapeva chi fosse Strehler, quasi non avesse mai preso la metrò, dove il nome del regista è stampigliato sempre vicino alla fermata Lanza (Piccolo Teatro).
Il vuoto per Milano è anche di altro tipo. La moda dopo Armani, cosa sarà? Beh, lo sappiamo. Negli anni, quando la città ha finito per identificarsi sempre più con la fashion week, gli «stilisti» hanno portato, con le loro perversioni di ogni livello, un mondo di degrado e di disperazione – se non di Necrocultura vera e propria – sotto la Madonnina. Si tratta di un argomento su cui ho dovuto ragionare, specie guardando la quantità di amiche che sono state di fatto sterilizzate dal sistema della moda, degenerato in modo invincibile negli ultimi 25 anni. (Ne scriverò più avanti)
Armani, al contrario dei «colleghi» che ora calcano le scene, non ha mai imposto le sue inclinazioni agli altri, non ne ha fatto spettacolo, notizia, rivendicazioni estetica o politica. Viveva con l0understatement di chi lavora davvero, e non perde tempo come i traffici.
Come quando, sempre negli anni Novanta, le forze dell’ordine di Parigi bloccarono una sua sfilata a Saint-Germanin-des-Pres, cuore della capitale francese che aveva perso concretamente lo scettro di regina del modismo: «Armani go home» gridavano frotte di sciovinisti francesi mentre davanti a loro si consumava lo spettacolo di modelle in ghingheri fermate da gendarmi. Non fece un plissé, si rifiutò di dare la colpa alla polizia, che eseguiva ordini dall’alto della Prefettura di Parigi (dove, immaginiamo, abbia la tessera della massoneria anche quello che pulisce i pavimenti).
Aiuta Renovatio 21
La cifra dell’italianità nell’impresa: ecco, gestire tutto in famiglia, circondato da nipoti, è già un capolavoro, e se aggiungiamo la resistenza alla lusinga dei megagruppi transalpini (Arnault-Pinault) capiamo che siamo oltre, siamo davanti ad un esempio da scolpire nel marmo milanese, quello non occupato dalle bombolette dei graffitari leoncavallari o dalle orine dei maranza, se ne è rimasto.
La morte di Giorgio Armani non solo priva il mondo del suo equilibrio, ma va letto come ennesimo episodio dell’imbarbarimento di Milano: che siano ragazzini criminali marocchini o stilisti gay, il vuoto che stiamo vedendo crearsi, in mancanza di esempi e di virtù, minaccia di inghiottirsi tutta la metropoli, e poi, come sempre, il resto d’Italia, ridotta a bolo dell’anarco-tirannia.
La soluzione, abbiamo cercato di dirlo tante volte su Renovatio 21, non può essere che il ritorno ad Ambrogio, il santo che scacciò gli eretici e unì la città – il santo che probabilmente ancora oggi la protegge dalla sua distruzione definitiva, mentre anche gli ultimi pezzi della Milano per bene, la Milano bella, elegante, benevola se ne vanno senza poter essere sostituiti.
Roberto Dal Bosco
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Immagine di Bruno Cordioli via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
Bizzarria
Ecco la catena alberghiera dell’ultranazionalismo revisionista giapponese


Sostieni Renovatio 21

Fumiko Motoya, di hirune5656 via Wikimedia CC BY 3.0






Aiuta Renovatio 21

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Geopolitica
«L’era dell’egemonia occidentale è finita»: parla un accademico russo

Farhad Ibragimov, docente presso la Facoltà di Economia dell’Università RUDN e docente ospite presso l’Istituto di Scienze Sociali dell’Accademia Presidenziale Russa di Economia Nazionale e Pubblica Amministrazione, ha pubblicato il 1° settembre sulla testata governativa russa in lingua inglese Russia Today un interessante editoriale sulla recente riunione dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO), intitolato «L’Occidente ha avuto il suo secolo. Il futuro appartiene ora a questi leader».
Lo scritto tratta il tema della decadenza del potere planetario occidentale.
«Il vertice della Shanghai Cooperation Organization in Cina si è già affermato come uno degli eventi politici più significativi del 2025» ha scritto l’Ibragimov. «Ha sottolineato il ruolo crescente della SCO come pietra angolare di un mondo multipolare e ha evidenziato il consolidamento del Sud del mondo attorno ai principi di sviluppo sovrano, non interferenza e rifiuto del modello occidentale di globalizzazione. Ciò che ha conferito all’incontro un ulteriore livello di simbolismo è stato il suo collegamento con la prossima parata militare del 3 settembre a Pechino, che celebra l’80° anniversario della vittoria nella guerra sino-giapponese e la fine della Seconda Guerra Mondiale».
Sostieni Renovatio 21
«Parate di questo tipo sono una rarità in Cina – l’ultima si è tenuta nel 2015 – a sottolineare quanto questo momento sia eccezionale per l’identità politica di Pechino e il suo tentativo di proiettare sia la continuità storica che l’ambizione globale. L’ospite principale sia al vertice che alla prossima parata è stato il presidente russo Vladimir Putin» continua il professore. «La sua presenza ha avuto non solo un peso simbolico, ma anche un significato strategico. Mosca continua a fungere da ponte tra i principali attori dell’Asia e del Medio Oriente, un ruolo che conta ancora di più sullo sfondo di un ordine di sicurezza internazionale frammentato».
Il Programma di Sviluppo della SCO, adottato al vertice, è una «roadmap volta a definire il percorso strategico dell’organizzazione per il prossimo decennio e a trasformarla in una piattaforma a tutti gli effetti per il coordinamento di iniziative economiche, umanitarie e infrastrutturali», continua l’articolo. «Altrettanto significativo è stato il sostegno di Mosca alla proposta cinese di istituire una Banca di Sviluppo della SCO. Un’istituzione del genere potrebbe fare di più che finanziare progetti congiunti di investimento e infrastrutture; aiuterebbe anche gli Stati membri a ridurre la loro dipendenza dai meccanismi finanziari occidentali e ad attenuare l’impatto delle sanzioni, pressioni che Russia, Cina, Iran, India e altri paesi affrontano a vari livelli».
L’evento, ha affermato il professor Ibragimov, «ha confermato l’esistenza di un ordine mondiale multipolare, un concetto che Putin promuove da anni. La multipolarità non è più una teoria. Ha assunto una forma istituzionale nella SCO, che si sta espandendo costantemente e sta acquisendo autorevolezza in tutto il Sud del mondo».
L’ampia partecipazione delle nazioni arabe, aggiunge l’accademico, «sottolinea che un nuovo asse geoeconomico che collega l’Eurasia e il Medio Oriente sta diventando realtà e che la SCO sta emergendo come un’alternativa interessante ai modelli di integrazione incentrati sull’Occidente».
La SCO «non è più una struttura regionale, ma un centro di gravità strategico nella politica globale. Unisce paesi con sistemi politici diversi, ma con una determinazione condivisa a difendere la sovranità, promuovere i propri modelli di sviluppo e rivendicare un ordine mondiale più equo».
«L’era dell’egemonia occidentale è finita» conclude lo studioso. «Il multipolarismo non è più una teoria: è la realtà della politica globale, e la SCO è il motore che la spinge avanti».
Aiuta Renovatio 21
L’idea della fine della primazia dell’Occidente sul mondo circola da diverso tempo in ambienti accademici e diplomatici. Essa è stata ripetuta più volte, negli scorsi mesi, dal premier ungherese Vittorio Orban. Il ministro degli esteri russo Sergio Lavrov due anni fa ha parlato del termine del «dominio di 500 anni» da parte dell’Ovest.
Putin in questi anni ha ribadito, in discorsi che puntavano il dito contro le élite occidentali», che «il mondo unipolare è finito».
Come riportato da Renovatio 21, all’incontro SCO di Tianjin della settimana passata lo stesso presidente Xi Jinpingo ha parlato di resistenza «all’egemonismo e alla politica di potenza», cioè di sfida vera e propria al predominio occidentale. Subito dopo, a Pechino, ha mostrato armi di nuovo tipo (come i razzi ipersonici) nella colossale parata in Piazza Tian’anmen, nonché ha esibito gli apparati della triade nucleare (aerei, missili balistici, sommergibili) a disposizione della Repubblica Popolare Cinese.
Discorsi sul declino occidentale da parte di studiosi russi erano scivolati, come nel caso del politologo Sergej Karaganov, in ipotesi di lanci nucleari contro le città europee.
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
-
Spirito2 settimane fa
Vescovo messicano «concelebra» la messa con una «sacerdotessa» lesbica anglicana «sposata» che ha ricevuto l’Eucaristia
-
Armi biologiche1 settimana fa
I vaccini COVID «sono armi biologiche» che «hanno provocato danni profondi»: nuovo studio
-
Spirito1 settimana fa
Leone punisca l’omoeresia: mons. Viganò sull’udienza papale concessa a padre Martin
-
Vaccini1 settimana fa
Vaccino COVID, mentre Reuters faceva «fact-cheking sulla «disinformazione» il suo CEO faceva anche parte del CdA di Pfizer
-
Spirito2 settimane fa
Don Giussani, errori ed misteri di Comunione e Liberazione. Una vecchia intervista con Don Ennio Innocenti
-
Gender2 settimane fa
Transessuale fa strage in chiesa in una scuola cattolica: nichilismo, psicofarmaci o possessione demoniaca?
-
Salute2 settimane fa
I malori della 35ª settimana 2025
-
Geopolitica2 settimane fa
Mosca conferma attacchi missilistici ipersonici contro l’Ucraina