Misteri
Omicidi e massacri: la costante della «figura incongrua»
È difficile per chiunque tenere a mente la quantità di cronaca nera inflittaci nel corso della nostra vita. Omicidi, massacri, fatti di sangue caricati e rilanciati costantemente da giornali e TV sulla psiche del cittadino indifeso, cui in pochissimi casi (la percentuale dei morbosi) interessa davvero l’accaduto, ma che è comunque tenuto a sottomettere la mente a continue storie di morte e violenza.
Se il lettore tenta di fare una piccola anamnesi, scoprirà che la quantità di omicidi a cui è stato ossessivamente esposto è imbarazzante, al punto che c’è da sospettare che ciò non sia parte di un piano di gestione della popolazione tramite traumi e microtraumi psicologici.
Dalle misteriose morti in famiglia, ai delitti passionali, ai serial killer, agli enigmi assassini irrisolti è possibile tuttavia estrarre dei pattern, non solo per la dinamica dell’accaduto (quello dovrebbe essere il lavoro dei cosiddetti profiler, gli esperti delle menti criminali che nonostante film e serie TV sembrano sempre più fallibili ed impotenti) ma soprattutto riguardo al modo in cui queste storie vengono presentate al pubblico – in una parola, la narrazione intorno all’omicidio.
In questo breve scritto non intendiamo in alcun modo mettere in discussione la verità giuridica stabilita nei tribunali, cosa che non sappiamo nemmeno se sia legale fare. Vogliamo invece cercare delle costanti nello sviluppo pubblico, narrativo, dei grandi casi di cronaca nera che hanno segnato il panorama cognitivo del Paese.
Innanzitutto, la cosiddetta «pista satanica». In una quantità di omicidi senza immediata spiegazione, subito partono speculazioni – non si sa dei giornalisti o delle loro fonti delle Forze dell’Ordine, o di tutt’e due – sulla possibilità che una setta diabolica abbia commesso l’atrocità, sottintendendo, senza tuttavia mai esprimere veramente il pensiero e spiegarlo, il sacrificio umano.
Tuttavia, la «pista satanica» viene in genere mollata dopo pochi giorni (esattamente come abbiamo visto nel caso dei feti in barattolo disseminati per le campagne italiane, storia di cui si occupa con persistenza praticamente solo Renovatio 21), per poi non apparire più per il resto del caso, che di solito prosegue con un estenuante gioco del «chi è stato?» tra famigli e conoscenti, con altarini di ogni sorta che vengono portati alla luce per la gioia di pettegole e morbosi vari.
Un secondo pattern che in tanti casi emerge è quello dei complici. Anche qui, se ne parla nei primi articoli sulla vicenda, con l’interesse riguardo al mistero che cresce nel lettore (quanti erano? Perché lo hanno fatto?) dopodiché anche qui il discorso tende a sparire. Oltre un certo punto, le autorità dello Stato, e i giornalisti che da esse dipendono per le imbeccate, non accetteranno mai più di mettere in dubbio la versione per cui hanno preso il colpevole che ha agito da solo, e stop.
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Un esempio lampante di quanto scriviamo è il caso di Son of Sam, l’assassino seriale che sconvolse Nuova York negli anni Settanta. Fu catturato, e condannato – tra encomi solenni a tutti i poliziotti possibili – un ragazzo sovrappeso, un tizio strano dall’aspetto ingenuo, David Berkowitz, che si dichiarò colpevole. Un giornalista indipendente che viveva in uno dei quartieri interessati dagli apparentemente casuali massacri di Son of Sam (così si era definito l’assassino in una lettera ad un giornale prima di essere preso), Terry Maury (1946-2015), cominciò a studiare il caso trovando prove sempre più consistenti che non si trattava del solo Berkowitz, ma di un gruppo di persone – sì, una setta satanica – con probabili agganci con altre sette e perfino con l’esercito degli Stati Uniti (da cui forse veniva il nome Son of Sam: erano gli anni appena dopo il Vietnam, dove quantità di soldati americani tornavano dall’Indocina psicopatici).
Maury, che scrisse il libro Ultimate Evil (il primo dove viene enunciato con una certa chiarezza che i serial killer dispongono di una sorta di network in cui si parlano e si interfacciano con altri soggetti), arrivò a far confessare Berkowitz in carcere il fatto che aveva dei complici e si trattava di un gruppo esoterico uso a sacrificare cani ed esseri umani.
Quel che rileva è la guerra che gli fece il Dipartimento di Polizia di Nuova York, che mai e poi mai avrebbe voluto riaprire il caso, e di fatto non ciò non è avvenuto. Detective e agenti arrivavano perfino a chiamare nelle trasmissioni dove era ospite il Maury per insultarlo in diretta, il tutto mentre perfino alcuni sopravvissuti agli omicidi di Son of Sam cominciavano a dubitare del fatto che Berkowitz fosse davvero il killer. (Questa storia è magistralmente raccontata nella serie documentaria Sons of Sam, su Netflix)
Quindi: oltre un certo punto, nei grandi massacri della nostra vita, spariscono i complici.
La terza costante, più centrale nel discorso che vogliamo qui fare, è quello dell’accusato principale che inizialmente poteva sembrare al pubblico come una «figura incongrua» , con personalità non immediatamente collocabile, nel pensiero del cittadino, nel quadro di violenza del fatto in oggetto.
Usiamo l’espressione figura «incongrua», ma si potrebbero usare altre parole. Sono quei personaggi sul cui candore avresti giurato, magari percependo dei modi sempliciotti; oppure sono quegli individui dapprima estranei alle dinamiche dell’episodio di sangue, oppure che sono strani, strani e basta, e si pensava che nella storia di morte fossero solo di contorno.
Sono quelli di cui all’inizio non ti facevano dubitare, perché non sembravano maliziosi, né sembravano dei geni del male, o dei geni in generale.
Esistono parole, nella lingua comune, per definire le persone così, ma qui non le useremo, per rispetto di tutti: nei bar d’Italia siamo sicuri che qualcuno, quantomeno nel primo momento, invece esprimesse il concetto.
Prendiamo l’omicidio di Garlasco (luglio 2007), la morte di una giovane ragazza in casa sua. Dopo poco l’attenzione di indagini e media (il connubio è indissolubile, facile capire perché) si concentra su l’ex fidanzato della ragazza, 24enne studente di economia. Non discutiamo la sentenza finale del 2015, che condannava a 16 anni il ragazzo pur senza fornire un chiaro movente. Quel che ci interessa sottolineare è quanto la figura dell’accusato non collimasse subito con la percezione popolare: ma come, pensavano i benpensanti, un ragazzo così, uno che sembra per bene, un universitario? Fiumi di inchiostro e infinite trasmissioni TV – con Vespa che portò in studio una copia della famosa bicicletta che doveva provare la colpevolezza – convinsero la popolazione, ma non tutta: anni fa discorsi (al bar, ovviamente) di conoscenti pavesi mi fecero capire che sul territorio circolano teorie assai diverse.
Un anno prima, ci fu il clamore per la cosiddetta «strage di Erba» (dicembre 2006). Morirono una madre con il figlio piccolo, la nonna, una vicina, mentre un altro vicino, marito di quest’ultima, si salvò grazie ad una malformazione congenita della carotide che gli impedì di morire dissanguato. Le indagini inizialmente si concentrarono sul tunisino padre del bambino. La stampa scrisse che avrebbe avuto precedenti per spaccio e sarebbe uscito dal carcere grazie all’indulto 2006, tuttavia si trovava in Tunisia, quindi qualcuno cominciò a ipotizzare di un possibile regolamento di conti contro l’uomo.
Tuttavia, a sorpresa, compaiono in scena i vicini, Rosa e Olindo. A guardarli, non sembrano spietati assassini – paiono a pelle «figure incongrue» rispetto al lavoro diabolico di una strage, sembrano, come dire, «persone semplici». In via separata, davanti ai magistrati dichiararono di essere colpevoli, però ciascuno addossandosi l’intera responsabilità dell’eccidio. Quattro anni fa, il tunisino dichiara di sapere chi è stato, dicendo quindi di ritenere innocenti i coniugi di Erba. Trasmissioni di giornalismo inchiesta in questi mesi hanno tentato di riaprire il caso, che parrebbe essersi rimesso in movimento.
La strage di Erba, notiamo, ebbe un potente effetto politico-mediatico: in reazione alla stampa che dapprima sbatté il tunisino in prima pagina, si creò la cosiddetta Carta di Roma, cioè «Protocollo deontologico concernente richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti» dei giornalisti italiani, che sono tenuti a scrivere degli immigrati in un determinato modo — ne abbiamo discusso in passato, come quando notammo la strana indeterminatezza degli articoli sugli studenti della Bocconi aggrediti al vicino Parco Ravizza. Ma chi assaltava i bocconiani? Perché? Ma erano bocconiani o bocconiane? Sono domande per le quali, leggendo gli articoli, non sappiamo dare risposta.
Dal 2016, i termini della Carta di Roma vengono inglobati nel «Testo unico dei doveri del giornalista», il documento deontologico dell’ordine. L’Associazione Carta di Roma, creata per diffondere il protocollo per gli immigrati, ha ricevuto il sostegno della Open Society di Soros, oltre che dell’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR) e dell’8 per mille della Chiesa Valdese.
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L’assassinio di Meredith Kercher (novembre 2007) ebbe un colpo di scena specifico che nessuno dal pubblico aveva visto arrivare. Mentre il mondo, e gli inquirenti, si concentravano sulla figura della compagna di appartamento Amanda Knox, lei fa il nome di un ragazzo nero, il padrone di un bar di Perugia, città dell’università per stranieri, che si chiama esattamente come l’università per stranieri di Mosca (dettaglio che c’entra poco, ma avevamo voglia di scriverlo). Solo che il congolese Patrick Lumumba non c’entra nulla, ha un alibi confermato. Ecco che però, ex nihilo, emerge un altro ragazzo nero, che viene trovato mentre fugge in Germania (anche lui), e quindi condannato con rito abbreviato per l’omicidio della ragazza inglese.
Questo nuovo personaggio dell’Halloween maledetto di Perugia spiazzò molti: avevamo imparato a conoscere i volti degli accusati, l’opinione pubblica si stava formando delle sue idee (che, in questo caso, spesso sono rimaste intatte, in Italia e in Gran Bretagna, anche dopo le sentenze) quando ecco che compare questo ragazzo, nero come l’innocente tirato in balla in precedenza, conosciuto in zona per la sua turbolenza ma non per violenze efferate.
Il racconto da lì si fa, quantomeno per chi scrive, confuso: più processi, più imputati, interventi da Superpotenze straniere (Hillary Clinton che interviene pro-Amanda), folle che si radunano in piazza per la condanna della ragazza, poi liberata.
Il giovane condannato, chiamato per un certo periodo «il quarto uomo» sui giornali per poi divenire «terzo uomo», veniva da una famiglia ivoriana con padre poligamo, e secondo quanto si legge in rete sarebbe sonnambulo. In precedenza era stato condannato per due furti ed era stato sorpreso pochi giorni prima della morte di Meredith dentro una scuola materna a Milano. Non è una figura esattamente definibile come candida: le cronache riportano che sta avendo problemi ora perché una fidanzata, che non si era accorta di chi si stava innamorando, lo ha denunziato. Tuttavia alcuni si impressionarono all’epoca per come la sua figura negli sviluppi del caso fosse saltata fuori dal nulla, eliminando, o modificando, altre piste.
Il delitto di Avetrana (agosto 2010), dove morì una 15enne, è un’altra pagina mostruosa delle cronache nazionali in cui ad un certo punto una figura inconseguente si è presa, per un lasso di tempo, la scena: lo zio, agricoltore ex emigrato in Germania, dapprima confessa l’omicidio, poi ritratta, mentre montavano le accuse verso la moglie e la figlia.
L’omicidio di Yara Gambirasio (novembre 2010) – risoltosi con una condanna definitiva all’ergastolo, che non vogliamo mettere in dubbio in nessun modo – pure vide sorgere, un po’ d’improvviso, la figura di un muratore, che lì per lì non sembrava al pubblico il classico mostro (ma è quello il segreto, sembra che ci dicano: i mostri sono normalissimi, sono i normali ad essere mostri, magari quindi lo siete anche voi).
Anche qui, non tutta la popolazione si convinse della colpevolezza dell’arrestato, neanche dopo le condanne. Chi scrive ricorda anni fa che circolavano in rete video incredibili dove, con forte accento lombardo, venivano indicate altre piste che scagionavano l’arrestato. Non siamo stati in grado di ritrovarli, forse sono stati rimossi.
Il caso Gambirasio, aggiungiamo, fu importante perché comportò il primo caso di screening genetico massivo stile Gattaca per trovare l’assassino: schedate biologicamente 25.700 persone con test del DNA, è così che si arrivò all’uomo, peraltro rivelando al mondo nel processo alcuni segreti di famiglia – si tratta, lo sappiamo, del presente e del futuro delle indagini criminali, che in America ora si svolgono grazie alla genomica di consumo tipo 23andMe che rende possibile, ma non sappiamo quanto legale, risalire a sospetti per delitti vecchi anche di 50 anni.
Rimane il fatto che il sospetto assassino stupiva alcuni: sembrava, davvero, solo un muratore, un padre di famiglia che con i vicini parlava della Prima Comunione delle figlie… Anche qui, la figura apparentemente incongruente appare facendo sparire sincronicamente ogni altra pista, complici etc.
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Osiamo andare oltre, avventurandoci, con paura, nella storia più mostruosa della cronaca nera italiana, cioè appunto il Mostro di Firenze. Trattiamo il tema con delicatezza, perché sappiamo che, da persone curiose, potremmo venirne risucchiati: ti morde la tarantola e poi non pensi ad altro per il resto della tua vita – è successo a tanti, come al summenzionato Terry Maury o al vignettista del film Zodiac, e le orde di mostrologi in Italia non si contano.
Ebbene, nel caso più eclatante di assassinii seriali della storia nazionale – un caso, ricordiamo, tutt’ora irrisolto, al punto che qui la «pista satanica» ad una certa è pure tornata in circolo su giornali e carte legali – quello che ad un certo punto ci offrirono, con tanto di telecamere della TV in tribunale, furono una collezioni di personaggi che più «incongrui» era impossibile: i mitici «compagni di merende».
È difficile, anche se in fondo neanche qui impossibile, mettere insieme nel proprio pensiero sacrifici e squartamenti di coppie perpetrati nelle notti di novilunio con quei personaggi, le cui deposizioni sono divenute, nel tempo, quasi delle clip comiche, che la gente si riguarda per generare qualche momento di ilarità.
Pensiamo soprattutto al mitico spezzone del Vanni in tribunale. «Non posso parlare? Voglio la libertà per andare alla banca e alla posta» dice al giudice il portalettere in pensione. «Voglio dire un’ultima parola… viva i’dduce, il lavoro e la libertà. Ritorneremo!»
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Il principale indiziato, Pietro Pacciani poco dopo la sentenza che lo assolveva fu trovato morto nella sua casa di Mercatale nel 1998, poco prima che cominciasse il secondo processo di appello. Inizialmente si disse che era stato ucciso, ma l’autopsia comunicò invece che era spirato per cause naturali.
La compagine degli accusati era talmente incongrua che per farla rientrare nella scia di sangue del mostro si doveva fare lo sforzo di credere ad un complotto, una storia con di mezzo una setta, un livello superiore di mandanti, i quali ordinavano alla manovalanza omicidi su commissione. Inutile dire che non si arrivò mai a nulla in questo senso, lasciando al pubblico solo l’assurdità della compagine delle merende.
Non è che c’è solo l’Italia.
Il re degli incongrui, nella storia internazionale dei misteri di sangue, è Lee Harvey Oswald. Strano personaggio: militare USA di stanza in Giappone, poi rifugiato in Unione Sovietica, da cui torna con moglie russa (cosa che era proibita anche ai diplomatici americani più innamorati), poi a Dallas uccide il presidente Kennedy – quello che, come sta ripetendo suo nipote ora pure lui candidato presidenziale, dopo la Baia dei Porci voleva fare la CIA in mille pezzi da offrire al vento. Come realizza l’omicidio dell’uomo più potente e scortato dal mondo libero? Con un fucile di fabbricazione italiana, sparando da un deposito di libri, con colpi che entrano nella nuca di JFK ed escono dalla mano, la famosa teoria della «magic bullet», la pallottola magica.
I teorici del complotto statunitensi – l’espressione «conspiracy theory» fu coniata dalla CIA proprio allora per screditare chi non si beveva la versione ufficiale del regicidio del Kennedy – usano per il caso una parola presa dal gergo americano dell’Ottocento, patsy, che indica un ingenuo che è facile gabbare per affibbiargli tutta la colpa di un misfatto. Il patsy è una forma di manipolazione massiva, sia dell’opinione pubblica che delle istituzioni: sistemato il capro espiatorio, il caso si chiude, le forze dell’ordine cantono vittoria, la dissonanza cognitiva nel corpo sociale si azzera, le cose nella mente del popolo e nelle strutture collettive prendono una piega precisa.
Ora resta al lettore farci un pensiero: avete visto per caso, in episodi sanguinari recenti, la possibile emersione del pattern della «figura incongrua»? Avete visto per caso i giornali, lo Stato, convergere verso una certa pista – una certa narrazione – invece che verso un’altra?
Riuscite a vedere in che modo sono strutturati i traumi che infliggono alla vostra povera mente di cittadino sincero-democratico?
Riuscite a capire cosa ci stanno facendo?
Riuscite a realizzare perché lo stanno facendo?
Roberto Dal Bosco
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Intelligence
Gli USA hanno sospeso lo studio sulla sindrome dell’Avana dopo che i pazienti sarebbero stati costretti a partecipare
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Misteri
Trovato un secondo neonato morto nel giardino della villetta: cosa sta accadendo?
Essendo che, come sa il lettore, Renovatio 21 si è occupata a lungo del tema dei neonati trovati morti in giro per il territorio, magari misteriosamente disposti in barattoli interrati, la notizia ci ha fatto sobbalzare dalla sedia.
Vi avevamo parlato del caso di Traversetolo, provincia di Parma: un neonato trovato morto nel giardino di una villetta, e nessuna idea di come il piccolo fosse finito lì.
Ora, colpo di scena, pare che nello stesso luogo sia stato trovato durante gli scavi ordinati dalle autorità anche un altro bambino morto, seppellito almeno un anno fa. Di lì, siamo piombati in un vortice di ipotesi agghiaccianti: due bimbi morti depositati nello stesso punto potevano far pensare a qualcosa di indicibile.
Ora la faccenda prende contorni più chiari. I giornali ora alludono al fatto che i due bambini (il secondo senza ancora certezze da parte degli inquirenti) avrebbero la stessa madre, una 22enne della zona.
Ribadiamo tuttavia che le domande restano: cosa che pare anche per i giornali mainstream, anche se non sappiamo per quanto ancora.
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La protagonista «insospettabile per l’impegno all’università, il lavoro da babysitter e il volontariato in parrocchia», scrive Il Corriere Adriatico «avrebbe tenuto segrete due gravidanze, uccidendo i figli e seppellendoli in giardino. Tutto senza che nessuno sapesse nulla: né la famiglia, né il fidanzato. Come è stato possibile?»
Si parla quindi di un «doppio infanticidio che pesa sulla ragazza» e di un «parto indotto il 7 agosto» dove «i primi esami hanno stabilito che il piccolo ha respirato, dunque è nato vivo».
«Era partita il giorno dopo il parto, quello in cui la nonna, attirata dal cane che stava scavando in giardino, aveva ritrovato il corpo del bimbo, di almeno 40 settimane, ormai senza vita, avvolto in un telo e nascosto in una buca» scrive il Corriere della Sera. La donna all’inizio lo aveva scambiato per un animale e aveva chiamato il vicino di casa che poi aveva dato l’allarme ai carabinieri.
«Sui resti del secondo corpicino, trovato successivamente ma risalente ad almeno un anno fa, sono in corso accertamenti, verosimilmente a partire dall’esame del DNA» per stabilire se anche il piccolo sia figlio della ragazza e del suo ragazzo, il padre del piccolo trovato il 9 agosto, continua il Corriere Adriatico.
«Si sta cercando di capire come sia stato possibile che gravidanza e dramma siano passati inosservati in una comunità così piccola, e “attenta”, addirittura per due volte secondo l’ipotesi peggiore. E infine il perché, le motivazioni di una ragazza all’apparenza ben inserita, “sana”, che non viveva emarginata o in una situazione di degrado» continua Il Corriere Adriatico.
Nel frattempo, siti e giornali hanno già sparato fin nel titolo nome e cognome della presunta protagonista, pubblicando anche immagini verosimilmente tratte dai social, talvolta con il pudore di pixellarle il volto, talvolta no.
Il giorno 16 settembre la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Parma è uscita con un comunicato, in cui innanzitutto interveniva sul dibattito in corso riguardo al caso, scrivendo del rispetto dovuto a quelle che dovrebbero essere due colonne portanti del nostro sistema giuridico, ossia il segreto di indagine e la presunzione di innocenza. Nel testo è infine comunicato che «vi è stata l’apertura di un fascicolo per possibile violazione del segreto di indagine in relazione alla propalazione della relativa notizia, che rischia di incidere sulle acquisizioni investigative in corso».
Tuttavia il procuratore della Repubblica Alfonso D’Avino mette nel comunicato anche qualche informazione in merito al caso stesso. Si tratta di un elenco di vari punti, a volte sorprendenti.
«In primo luogo, in ordine al neonato rinvenuto morto in data 9.8.2024, può ritenersi accertata, allo stato degli atti, l’estraneità dei genitori della ragazza, madre del neonato».
«In secondo luogo, in ordine allo stesso episodio, può ritenersi ugualmente accertata, sempre allo stato degli atti, l’estraneità del papà del neonato».
«In terzo luogo, nessuno – all’infuori della ragazza — era a conoscenza della gravidanza: né familiari, né padre del bambino, né amiche/amici».
«In quarto luogo, la gravidanza non è stata seguita da alcuna figura professionale (ginecologo, medico di famiglia, etc.)».
«In quinto luogo, il parto è avvenuto nella casa familiare, al di fuori di contesti ospedalieri o sanitari in generale».
«In sesto luogo, il parto è avvenuto in solitudine, senza la collaborazione né la presenza di nessuno, al di fuori della ragazza».
«In settimo luogo, per quanto riguarda la notizia di un secondo rinvenimento, essa va ritenuta veritiera ma, sul punto, vanno svolti tutti gli accertamenti del caso (soprattutto di natura tecnica medico-legale) per delineare gli esatti contorni della vicenda stessa, anche di carattere temporale».
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Vi è quindi da rilevare che, nonostante l’incredulità di alcuni (come la madre del fidanzato), la ragazza avrebbe agito completamente sola, all’insaputa di chiunque nella sua cerchia più stretta, senza la minima assistenza.
Inoltre, la nota dice che l’autorità non aveva ancora stabilito se il secondo cadavere di neonato ritrovato è da ricollegarsi alla ragazza. Tuttavia, poche ore fa i giornali hanno battuto la notizia che la giovane avrebbe confessato il duplice infanticidio.
«La ragazza di 22 anni già indagata per aver assassinato il bambino partorito il 7 agosto, è stata nuovamente interrogata e a quel punto avrebbe ammesso di aver ucciso anche il suo primo figlio, partorito circa un anno fa» scrive Il Resto del Carlino.
Apprendiamo dunque che la «la 22enne resta ancora a piede libero: sembra infatti che, nelle scorse settimane, il Gip abbia respinto la richiesta di misure cautelari nei confronti della ragazza da parte della Procura di Parma, non ravvisando in quella fase, esigenze cautelari».
«Infatti, secondo il GIP – continua il quotidiano – la ragazza non poteva reiterare il reato, non è socialmente pericolosa, né può inquinare le prove. Non si ravvede nemmeno il pericolo di fuga: dopo aver partorito il 7 agosto ed ucciso il bimbo, è partita con la famiglia per gli Stati Uniti in vacanza ed è ritornata regolarmente in Italia nonostante l’inchiesta fosse già stata avviata».
La ragazza sarebbe «quindi attualmente indagata a piede libero per omicidio premeditato e occultamento di cadavere».
Si pongono ora le domande sul contesto di questa storia indicibile.
La questione più sorprendente rimane quella per cui la giovane avrebbe potuto dissimulare fisicamente il pancione. Cosa che a molti pare impossibile. Non risulta, da quello che si è potuto vedere, che si tratti di una persona obesa, cioè un caso dove, sappiamo dalle cronache, è possibile di occultamento di gravidanza.
Vi sarebbero inoltre testimonianze, come quella della madre del padre del bambino, che sostiene di averla vista con la pancia scoperta, classico look estivo delle sue coetanee. «Com’è possibile non essersi resi conto che lei era incinta? Le assicuro che non era possibile, ha girato tutta l’estate con la pancia scoperta» ha detto la donna all’ANSA.
Sulla stampa scrivono che avrebbe digiunato, ma ci si chiede quanto il digiuno possa ridurre la pancia. Soprattutto, un digiuno così significativo, è difficile non farlo notare: i famigliari, gli amici, vedono che la persona non mangia, si preoccupano, cominciano a paventare l’anoressia… Anche questo è un punto da chiarire.
Così come la ragazza possa aver partorito in casa totalmente sola. Caso effettivamente possibile, ma rarissimo.
A queste domande, si spera, verranno trovate delle risposte dalle indagini.
Poi vi sono mille altre domande che sorgono a chiunque ponga la mente per qualche minuto su questa vicenda terrificante.
Perché la ragazza non ha abortito, visto che in Italia il feticidio è libero e gratuito (pagato dal contribuente)? Da maggiorenne, sia questa vola che l’altra, non aveva la possibilità di farlo anche subito, senza dover dire niente a nessuno? Poco fa Repubblica scrive che il consultorio del paesino dichiara che la donna «non ha fatto accesso nelle nostre strutture». In pratica, non aveva nemmeno iniziato a pensarci concretamente – anche se è riportato che avrebbe cercato su Google «come abortire il secondo figlio».
Vedremo adesso se l’opinione pubblica finirà ad affrontare il paradosso: se il bambino lo uccideva prima, con l’aiuto dello Stato, la ragazza non sarebbe stata accusata di omicidio. Se il feto abortito finiva, invece che nel giardino di casa, tra i rifiuti ospedalieri, non ci sarebbe stata l’accusa di occultamento di cadavere. Il bambino è lo stesso, ricordiamo. Tuttavia, poche settimane, per lo Stato moderno, fanno la differenza, tra la vita e la morte, tra il «diritto» e la galera.
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E ancora, interrogativo abissale che qualcuno si pone: visto che se ne è trovato un secondo, di cui sempre non si sospettava nulla, è possibile che bambini siano di più?
Poi, c’è la questione psicologica: come è fatto davvero l’animo di una persona che partorisce suoi figli, lo seppellisce e poi parte per le ferie? È un caso particolare? Oppure, pensano le persone più agé, dobbiamo pensare che si tratta di una moralità nuova delle nuove generazioni?
Qualcosa, da qualche parte, non torna ancora del tutto.
I giornali, che a parte la rivelazione di nome e fotografia («sbatti il mostro in prima pagina», si dice), sono stati per lo più «delicati», ora hanno iniziato con gli articoli dello stupore: «Poche ore dopo il delitto la madre è andata all’aperitivo. Lo sgomento dei vicini: «Era la baby sitter più referenziata» scrive La Stampa. «Studentessa di giurisprudenza, attiva nel volontariato, sportiva e baby-sitter stimata»
È un quadro che conosciamo bene, quello dell’insospettabile, quello del virgolettato della porta accanto stile «salutava sempre». È parte di un processo di mostrificazione che abbiamo visto mille volte. La serie è quella della «doppia vita», e la conosciamo tutti: immediatamente, l’incongruo viene rubricato dal cervello in un cassetto sicuro.
La narrazione, insomma, ora vira completamente verso un’unica colpevole, sola, e il mistero della sua anima.
Ma siamo completamente sicuri che non ci sia dell’altro?
Nella quantità di storie di neonati morti trovati in giro per l’Italia – nei cassonetti, per strada, nei porti, negli stagni, nelle università, oppure misteriosamente imbarattolati e sepolti, o ancora finiti di bidoni da smaltire – manche sempre l’inizio: come è venuto al mondo quel bambino? Chi è la madre? Perché?
Visto il numero immenso, è impossibile per noi pensare che in tutti quei casi ci sia dietro una storia come questa, eppure ci stanno dicendo che invece, sì, è possibile, magari le cose vanno semplicemente così – c’è una ragazza capace di nascondere al mondo la gravidanza per nove mesi, che poi si libera del bambino prima di andare in vacanza.
Riconosciamo che si tratta, rispetto ad altre idee oscure che vengono in mente sull’origine della montagna di bimbi morti, di una spiegazione tranquillizzante.
E forse il punto è proprio questo: la dissonanza cognitiva dei feti morti trovati ovunque sta per finire? Chi lo vuole?
Ancora domande, al momento non abbiamo altro. Le più tremende, comunque, al momento ce le teniamo per noi.
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Misteri
Tribunale francese multa due donne che hanno sostenuto che la moglie di Macron sia un uomo
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Su questa storia la stampa internazionale, compresa quella italiana, ha calato il silenzio, appena rotto dalla notizia della condanne delle due donne oggetto di questo articolo. Sul comportamento bizzarro e pericoloso di Macron negli ultimi mesi Renovatio 21 ha pubblicato alcune ipotesi in linea con elementi del quadro dell’ora presente.Did you know you can’t say “satanic cult” on Youtube? That was the reason they provided for why they took down the interview I did with Xavier Poussard, the brave French journalist who exposed that Brigitte Macron is, in fact, a man. Here is that censored interview: pic.twitter.com/JNypFTXmZ6
— Candace Owens (@RealCandaceO) September 11, 2024
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