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Politica

La crisi di governo e il ritorno del rimosso, tra i ristoratori italiani e il Campidoglio di Washington

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Vorremmo rinunciare a scrivere della crisi di governo. Perché abbiamo visto la conferenza stampa di Renzi ieri sera, e ci è bastato. Si dicessimo che ci ha provocato dei conati di vomito staremmo usando un’iperbole, se diciamo invece che il disgusto era tale da spegnere il televisore vi stiamo dicendo il vero.

 

Vorremmo risparmiarvi la descrizione di ciò che succede, bastano i giornali. Accenniamo appena al fatto che non succederà nulla, cioè mai e poi mai si andrà ad elezioni, dove secondo gli ultimi sondaggi il centrodestra vincerebbe con oltre il 60% dei suffragi (e con la Meloni a due punti da Zingaretti). Non si voterà mai, specie ora. Al massimo può succedere che si farà un altro governo con i voti recuperati da Mastella, Binetti, o magari pure dalle Carfagne, dai Lupi, etc. Rimetteranno lì Conte, o magari Draghi, o Cottarelli (ci manca il suo sorrisone pelato), o la ciellina Cartabia (che però vorrebbe fare il Presidente della Repubblica). Avremo l’ennesimo Presidente del Consiglio non espresso da alcun voto, piazzatoci in testa dall’alto, e guai a chi si chiede da chi. Sbadiglio.

 

Quindi stiamo vedendo solo una egoica, arruffata manovra di palazzo. Una negoziazione, tanto legittima quanto fatta sulla pelle della Nazione, chiaro.

Quindi stiamo vedendo solo una egoica, arruffata manovra di palazzo. Una negoziazione, tanto legittima quanto fatta sulla pelle della Nazione, chiaro.

 

Ci sono quelli che dicono «ma in fondo Renzi ha detto cose giuste». Può darsi – anche l’orologio rotto due volte al giorno… – tuttavia costoro fingono di non ricordare che delle «cose», e per di più «delle cose giuste» ai politici non interessa più nulla. I contenuti vanno e vengono, che valore possono avere? Puoi dire che lasci la politica se perdi e poi essere ancora qua. Puoi dire che vuoi disintegrare il senato e poi farti eleggere senatore dal tuo feudo. Puoi dire che non andrai mai al governo con gli ignoranti ma poi lo fai.  Si sono esempi di poco conto, ma servono a capire che, come diceva il grande massmediologo cattolico Marshall McLuhan, «Il medium è il messaggio».

 

Per il governo penta-piddista, con tutta la sua costellazione di partiti moscerini biodegradabili, possiamo dire che «la poltrona è il messaggio». E sono poltrone ben precise. C’è il Presidente della Repubblica da eleggere, fra non molto. Ci sarà la nuova NATO con Biden alla Casa Bianca. C’è il fatto  che per molti deputati l’alternativa potrebbe essere il nulla da cui provengono: decine e decine di parlamentari 5S prima dell’elezione dichiaravano all’Agenzia delle entrate 0 (z-e-r-o) euro.

Ci sono quelli che dicono «ma in fondo Renzi ha detto cose giuste». I contenuti vanno e vengono, che valore possono avere? Parafrasando McLuhan : «la poltrona è il messaggio»

 

La polemica sulla cadrega, lo sappiamo, è frusta, abusa, noiosa. Secondo sbadiglio. Tuttavia non è il pensiero più grave fra quelli emersi ieri.

 

Preoccupa molto di più lo scollamento totale dalla realtà che la democrazia rappresentativa pare avere accumulato anche qui. I rappresentanti, invece che pensare ai ristori, alle casse integrazioni, alle file interminabili di italiani alla Caritas, stanno pensando ad altro. Come i teologi bizantini, che, mentre i turchi di Maometto II stavano per entrare in Costantinopoli e distruggerne per sempre l’impero, discutevano del sesso degli angeli.

 

Il messaggio dell’Epifania di Washington: la democrazia rappresentativa è entrata nella sua crisi più terminale. I rappresentanti nelle aule del Campidoglio sono stati letteralmente evacuati dai rappresentati, che non considerano più legittimo il loro operato

Perché, di fatto, questo è il messaggio dell’Epifania di Washington: la democrazia rappresentativa è entrata nella sua crisi più terminale. I rappresentanti nelle aule del Campidoglio sono stati letteralmente evacuati dai rappresentati, che non considerano più legittimo il loro operato. Il divorzio della politica parlamentare dalla realtà doveva sembrare particolarmente odioso quel giorno nella capitale americana: centinaia di migliaia (forse un milione) di persone sul prato davanti al Campidoglio a urlare le loro ragioni, che dentro al Palazzo nessuno (né a sinistra né a destra) voleva davvero ascoltare. I senatori e uomini del Congresso stavano agendo come se il popolo non ci fosse – o meglio, come se la realtà non esistesse.

 

Il problema è che la realtà esiste, e quel che è peggio, la realtà ti aggredisce. Non puoi tenere la realtà nascosta a lungo, non la puoi spazzare sotto il tappeto, non puoi tenerla fuori, anche se hai fieramente costruito un palazzo senza finestre.

 

Fossimo freudiani ricorderemmo che l’inconscio può arrivare e scombinare l’io cosciente e le sue leggi, in realtà l’inconscio è ciò che gli soggiace sempre, e che gli dà vita. In un saggio famoso saggio di analisi letteraria Freud scriveva della sensazione sconvolgente – lui diceva unheimlich, tradotto in italiano con «perturbante» – che insorge quando è rivelato ciò che si pensava nascosto, e del risveglio dei complessi infantili che questo comporta. Freud lo chiamava «ritorno del rimosso».

La realtà esiste, e quel che è peggio, la realtà ti aggredisce. Non puoi tenere la realtà nascosta a lungo, non la puoi spazzare sotto il tappeto, non puoi tenerla fuori, anche se hai fieramente costruito un palazzo senza finestre

 

Praticamente, tutti i film horror si basano su questo principio. Questo ci fa comprendere che il potere in Occidente sta vivendo il suo film horror, ma, drammaticamente, non lo sospetta nemmeno. Il mostro si è svegliato, e arriva per punire le vittime (i primi a morire, nei film, sono sempre quelli un po’ impuri), che fino all’ultimo non sospettano nulla, anzi si prendono gioco della situazione.

 

Il popolo è stato rimosso. Dalla sua sovranità economica, famigliare, elettorale e finanche – conferma stupenda del 2020 – dalla sua sovranità biologica. Il  ritorno del rimosso, quindi, non può che assumere la forma di una rivolta contro il Palazzo: il mostro della democrazia che divora se stessa, o meglio, divora la variante rappresentativa del virus, mentre, in USA, inneggia al Presidente in carica in cui proietta tutta la propria carica politica.

 

Il ritorno del rimosso, che nei racconti e nei film è un mostro, a Washington ha assunto questo aspetto mostruoso, con la realtà che ti bussa alle porte vestita da sciamano cornuto e da massa travolgente.

Il potere in Occidente sta vivendo il suo film horror, ma, drammaticamente, non lo sospetta nemmeno. Il mostro si è svegliato, e arriva per punire le vittime, che fino all’ultimo non sospettano nulla, anzi si prendono gioco della situazione.

 

La questione da valutare è come il rimosso si presenterà in Italia. Ci sono stati disordini alle avvisaglie nei nuovi lockdown estivi, vero. Tuttavia l’evento che ci pare più significativo è quello di domani, quando decine di migliaia di  ristoratori apriranno i locali nonostanti i decreti. Alcuni dicono di avere già molte prenotazioni: non solo i ristoratori, quindi, si stanno ribellando, ma anche una fetta più numerosa della popolazione civile che rivendica la normalità – cosa che, ci rendiamo conto, in quest’era perversa suona come mostruosa.

 

Non ci è chiaro cosa accadrà: lo Stato arriverà e multerà tutti? Li farà chiudere in seduta stante? Manderanno decine di agenti in ogni ristorante? La repressione in un momento di tensione, chi ha anche solo bricioli di saggezza lo riconosce, è sempre un affare rischioso.

 

Tuttavia va ricordato che per lo Stato sarebbe ancora più pericoloso se succedesse l’opposto: non accade nulla, e i ristoranti restano aperti anche sabato, domenica, lunedì, come è normale che sia. Da lì la macchia si potrebbe diffondere indefinitamente: palestre, piscina, cinema, sport ogni categoria a cui il governo ha bombardato un anno della propria esistenza, potrebbe iniziare questa piccola (e ben poco mostruosa) disobbedienza civile.

Non solo i ristoratori, quindi, si stanno ribellando, ma anche una fetta più numerosa della popolazione civile che rivendica la normalità – cosa che, ci rendiamo conto, in quest’era perversa suona come mostruosa

 

Per il potere costituito il risultato potrebbe essere traumatico: potrebbe addirittura spezzare l’incantesimo malvagio per cui la colpa dell’epidemia è solo della gente, incantesimo riuscitissimo che al momento ci tiene in scacco tutti.

 

Forse governo e maggioranza (e parassiti vari) non se ne rendono conto: se il sortilegio si rompe è finita. Forse non hanno la lucidità, la competenza, l’intelligenza per capirlo. E se improvvisamente la gente, nonostante i TG e i social censurati, cominciasse a chiedere: ma dove erano i DPI, dove erano le terapie intensive, dove era il piano pandemico,  perché non si è accusata la Cina, perché non si è bloccato subito Schengen, perché hanno chiuso tutti se muoiono in larghissima parte gli anziani con comorbilità… etc. etc.

 

Forse, semplicemente, i geni della politica non ci arrivano: e questo è il dato sconvolgente di questa crisi di governo, il fatto che fanno altro, vivono e intrallazzano come non ci fosse una realtà pronta a manifestarsi in tutta la sua incontenibile possanza.

Si potrebbe addirittura spezzare l’incantesimo malvagio per cui la colpa dell’epidemia è solo della gente, incantesimo riuscitissimo che al momento ci tiene in scacco tutti

 

Il mondo ribolle ad una temperatura che nessuno hai mai visto prima, ma parlamentari e ministri sono occupati  a litigare sullo «stile di governo» e sulla mancata condanna dei fatti di Washington e del loro mandante (sì, nel pippone di ieri c’era anche questa perla).

 

La vera crisi di governo è questa: la crisi di una classe politica che vive al di fuori del reale e crede di vivere nell’eterna impunità.

 

Potete anche continuare, per quanto ci riguarda, Ma il rimosso torna, e lo fa sotto forma di mostro divoratore. Che domani potrebbe farsi un antipasto nei ristoranti italiani.

Il rimosso torna, e lo fa sotto forma di mostro divoratore. Che domani potrebbe farsi un antipasto nei ristoranti italiani

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

 

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Immagine di Brett Davis via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial 2.0 Generic (CC BY-NC 2.0)

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Uomo si dà fuoco fuori dal processo Trump

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Un uomo si è dato fuoco fuori da un processo contro l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump a Nuova York. Alla fine le fiamme sono state domate, ma al momento non è chiaro se l’uomo sia morto a causa delle ferite riportate.

 

L’episodio di estrema protesta per autocombustione è avvenuto venerdì pomeriggio, poco dopo la selezione finale della giuria e l’insediamento della giuria.

 

Le riprese video hanno mostrato un uomo avvolto dalle fiamme, inginocchiato in posizione verticale con le mani dietro la testa. Dopo aver bruciato per circa un minuto, l’uomo visibilmente carbonizzato si è accasciato a terra e i resti in fiamme sono stati spenti dagli agenti di polizia.

 

 

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L’incidente è stato trasmesso in diretta da diverse reti di notizie statunitensi, tra cui Fox e CNN. Quando i giornalisti della Fox si sono resi conto di cosa stava succedendo, si è sentito uno dire ai colleghi di perquisire il loro camion alla ricerca di un estintore.

 

Dopo aver spento l’incendio, gli agenti di polizia hanno coperto il corpo dell’uomo con coperte ignifughe prima che fosse caricato su un’ambulanza. Non è chiaro se sia sopravvissuto alla sua dura prova.

 

Testimoni hanno detto alla CNN che aveva sparso degli opuscoli prima di bagnarsi di benzina e accendere un fiammifero. Il dipartimento di polizia di Nuova York ha detto ai giornalisti che gli agenti stanno «ancora raccogliendo informazioni» su quanto accaduto.

 

Gli opuscoli includevano un collegamento a un account Substack, in cui l’uomo si identificava come Max Azzarello, «un ricercatore investigativo che si è dato fuoco fuori dal processo Trump a Manhattan». In una sorta manifesto, Azzarello ha affermato che questo «atto estremo di protesta» aveva lo scopo di attirare l’attenzione su un «colpo di Stato mondiale fascista apocalittico».

 

«Mi chiamo Max Azzarello e sono un ricercatore investigativo che si è dato fuoco fuori dal processo Trump a Manhattan», inizia il post di quasi 2.700 parole.

 

«Questo atto estremo di protesta vuole attirare l’attenzione su una scoperta urgente e importante: siamo vittime di una truffa totalitaria e il nostro stesso governo (insieme a molti dei suoi alleati) sta per colpirci con un colpo di Stato mondiale fascista apocalittico».

 

Nel testo l’Azzarello menzionato anche i Simpson, i fallimenti bancari nel 2023 e uomini d’affari di alto profilo tra cui Mark Zuckerberg ed Elon Musk, affermando che sia i repubblicani che i democratici hanno bombardato il pubblico con diverse crisi esistenziali per presentare uno scenario apocalittico.

 

 

Azzarello scrive che le «élite» hanno spacciato la paura nel tentativo di «divorare tutta la ricchezza che potevano e poi strapparci il terreno sotto i piedi in modo da poter passare a un’infernale distopia fascista».

 

La polizia ha detto che ha fatto un viaggio nella Grande Mela all’inizio di questa settimana e la sua famiglia non era a conoscenza del suo viaggio in città.

 

È stato fotografato fuori dal tribunale di Lower Manhattan, al 100 Center St., proprio giovedì, mentre reggeva un cartello che diceva: «Trump è con Biden e stanno per farci un colpo di Stato fascista».

 

«Il più grande scoop della tua vita o ti rimborsiamo!» gridava a un gruppo di giornalisti riuniti lì, dicendo al New York Times che era venuto da Washington Square Park perché pensava che più persone sarebbero state fuori dal tribunale a causa del freddo.

 

«Trump è d’accordo», aveva detto all’Azzarello al quotidiano neoeboraceno lo scorso giovedì, sostenendo che le sue convinzioni sono state influenzate dalle sue ricerche su Peter Thiel, venture capitalist e grande donatore politico. «È una cleptocrazia segreta e può solo portare a un colpo di stato fascista apocalittico».

 

La foto del suo profilo LinkedIn lo mostra in posa con Bill Clinton, che ha citato in giudizio l’anno scorso insieme ad altri 100 influenti imputati in un caso con sfumature di teoria della cospirazione che è stato respinto lo scorso ottobre quando non ha dato seguito ai documenti giudiziari richiesti.

 

 

Altri imputati nominati nella causa del 2023 presso la corte federale di Manhattan includevano Mark Cuban, Richard Branson, il paese dell’Arabia Saudita, e il miliardario del Texas e candidato presidenziale indipendente del 1992 Ross Perot, morto nel 2019.

 

Il caso – archiviato, con Azzarello senza un avvocato – presupponeva «un’elaborata rete di schemi Ponzi» risalente agli anni ’90 e che continua fino al 2023.

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L’incidente è avvenuto il quarto giorno del processo penale di Trump. L’ex presidente è accusato di aver dichiarato erroneamente i cosiddetti pagamenti «silenziati» alla pornoattrice Stormy Daniels, anche se insiste che il processo è una «persecuzione politica» orchestrata dal presidente Joe Biden per metterlo fuori dai giochi prima delle elezioni presidenziali di novembre.

 

A presiedere il caso è il giudice Juan Merchan, che ha rifiutato di ricusarsi nonostante sua figlia lavori per una società di marketing che rappresenta diversi importanti democratici. Merchan ha emesso un ordine di silenzio contro Trump il mese scorso, vietando all’ex presidente di criticare l’accusa.

 

L’incidente avviene meno di due mesi dopo che un membro dell’aeronautica americana in servizio attivo è morto autoimmolato davanti all’ambasciata israeliana a Washington, per protestare contro il sostegno militare degli Stati Uniti a Israele. L’uomo, l’aviatore 25enne Aaron Bushnell, ha gridato «Palestina libera!» mentre bruciava vivo.

 

L’immolazione per via ignea era stata praticata dai monaci buddisti durante la guerra del Vietnam, per protestare contro il troppo spazio garantito nel Paese ai cattolici.

 

La scintilla che fece esplodere la cosiddetta Primavera Araba fu proprio l’immolazione con il fuoco di un venditore di datteri a Tunisi.

 

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Politica

Biden sostiene che i cannibali hanno divorato suo zio

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Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha affermato durante la campagna elettorale che un suo zio scomparso nel Pacifico durante la seconda guerra mondiale era stato mangiato dai cannibali.   Il sottotenente Ambrose Finnegan delle forze aeree dell’esercito americano fu dichiarato disperso nel maggio 1944, dopo che il suo bombardiere leggero si schiantò in mare.   «È stato abbattuto in una zona dove all’epoca c’erano molti cannibali», ha detto Biden ai giornalisti fuori dall’Air Force One a Scranton, in Pennsylvania. «Non hanno mai recuperato il suo corpo, ma il governo è tornato quando sono andato laggiù e hanno controllato e trovato alcune parti dell’aereo».

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Diverse ore dopo, in un incontro con i membri del sindacato United Steelworkers a Pittsburgh, Biden ha raccontato la stessa storia.   «È stato ucciso in Nuova Guinea e non hanno mai trovato il corpo perché c’erano molti cannibali, davvero, in quella parte della Nuova Guinea», ha detto l’81enne politico del Delaware.   Secondo l’agenzia del Pentagono per i prigionieri di guerra e i dispersi (POW-MIA), Finnegan non fu mai abbattuto. Né era in missione di ricognizione, come ha affermato Biden.   Il bombardiere leggero A-20 Havoc era decollato dall’isola di Los Negros quando i suoi motori si sono guastati a bassa quota, secondo il resoconto ufficiale dell’incidente. L’aereo precipitò in mare al largo della costa settentrionale della Nuova Guinea e due membri dell’equipaggio su tre non riuscirono mai a uscire dal relitto che affondava, che non fu mai ritrovato. L’unico sopravvissuto è stato salvato da una barca di passaggio.   Biden ha raccontato molte storie fittizie sulla sua vita nel corso di 50 anni di carriera in politica, la più famosa delle quali è stata l’arresto mentre cercava di visitare Nelson Mandela in una prigione sudafricana. Ha ripetuto una storia sfatata su un conducente dell’Amtrak più di una dozzina di volte.   L’affermazione cannibale sullo zio Ambrose, tuttavia, è servita da trampolino di lancio per attaccare il suo predecessore – e presunto sfidante – Donald Trump. Nel discorso elettorale a Pittsburgh, Biden ha raccontato una storia su come Trump si sarebbe rifiutato di onorare i soldati americani caduti sepolti in Francia, definendoli «perdenti».   La storia è apparsa per la prima volta sulla rivista The Atlantic – testata di sinistra di proprietà della vedova di Steve Jobs – nel settembre 2020, riferendosi a eventi avvenuti nel novembre 2018, in occasione del centenario dell’armistizio della Prima Guerra Mondiale. Trump ha negato l’accusa, definendola «un’altra notizia falsa inventata data da fallimenti disgustosi e gelosi in un vergognoso tentativo di influenzare le elezioni del 2020!»

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Nel giro di pochi giorni erano emersi documenti che sfatavano le affermazioni dell’Atlantic, ma ciò non ha impedito ai democratici di sollevarle ripetutamente come se fossero vere.   Come riportato da Renovatio 21, la carriera politica del Biden è stato un susseguirsi senza requie di menzogne.     Al mendacio va aggiunto anche il plagio, divenuto chiaro nel caso dei discorsi di Biden copiati da quelli del politico laburista britannico Neil Kinnock, del quale ripeteva pure i dettagli biografici sulla sua famiglia.   Varie volte egli dovette scusarsi perché beccato a mentire spudoratamente, talvolta peggiorando la sua situazione. Al ritiro dalla campagna presidenziale 1987, La Repubblica (sì, La Repubblica), aveva intitolato «Casa Bianca, si ritira Biden, il candidato copione».   Se ci si chiede come mai all’epoca le bugie continue del Biden venissero a galla, la risposta probabilmente sta nel fatto che la stampa, allora, era più libera, e faceva il suo lavoro.   Come sia stato possibile mandare un personaggio del genere alla Casa Bianca è un mistero spiegabile con la decadenza terminale dei nostri tempi. E realizziamo che la cosa non è stata priva di conseguenze tragiche per il mondo: mezzo milione di persone morte in Ucraina, più un genocidio in corso in Medio Oriente, che minaccia di divenire, anche lì una guerra atomica.   Se raggiunge il potere, la menzogna si trasforma rapidamente in morte e massacro.

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Politica

Scoppia un incendio in una fabbrica di munizioni nella città natale di Biden poco prima della sua visita

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Secondo quanto riferito dai media locali e testimoni oculari, la fabbrica dell’esercito americano a Scranton, in Pennsylvania, specializzata in munizioni per artiglieria, ha preso fuoco lunedì pomeriggio.

 

L’impianto di munizioni dell’esercito di Scranton ha iniziato a emettere fumo nero poco prima delle 15:00, ora locale. I servizi di emergenza locali sono stati chiamati per far fronte a quello che è stato descritto come un «incendio alla struttura».

 

La struttura del Joint Munitions Command (JMC) è di proprietà delle forze armate statunitensi ma è gestita dalla General Dynamics-Ordnance e da Tactical Systems. Produce proiettili di artiglieria da 155 mm e 105 mm, colpi di mortaio da 120 mm, proiettili navali da 203 mm, nonché una varietà di munizioni fumogene, illuminanti e incendiarie.

 

Gli Stati Uniti hanno cercato di aumentare la produzione di munizioni per artiglieria per rifornire l’Ucraina nel conflitto con la Russia.

 

Scranton è una comunità di circa 75.000 residenti nel nord-est della Pennsylvania. È il luogo di nascita del presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Ieri era prevista la sua visita in città, ma gli eventi non sembrano aver attirato molto pubblico.

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Il presidente ha visitato la casa dove è nato, accompagnato da bambini. Non sono mancate osservazioni sul fatto che tiene una ragazzina per mano.

 

Manifestanti anti-Biden sono apparsi anche qui per dare al presidente il loro «benvenuto».

 

 

Al contrario, ali di folla, come sempre, hanno saluto il presidente Trump, che si trovava ad Harlem per uno dei tanti processi-farsa intentati contro di lui negli ultimi mesi.

 


«Ancora quattro anni!» canta la folla di sostenitori del biondo uomo del Queens, primo ex presidente della storia americana a finire sotto processo

 

Pare che il nuovo nomignolo che la base trumpiana ha trovato per il presidente sia «Genocide Joe», espressione scandita ripetutamente agli ultimi comizi di Trump.

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