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Creazione di ventuno cardinali in un’atmosfera pre-conclave

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Renovatio 21 pubblica una somma di due articoli previamente apparsi di FSSPX.news.

 

 

Il 29 maggio 2022 il Papa ha annunciato che avrebbe creato ventuno cardinali durante il concistoro che si terrà il 27 agosto. Sedici saranno elettori e cinque non votanti, perché hanno più di 80 anni.

 

 

Oltre a tre prelati che lavorano in Vaticano (un britannico, un sudcoreano, uno spagnolo), ci sono due europei (un francese, un italiano), due africani (un nigeriano, un ghanese), quattro americani (due brasiliani, uno statunitense, un paraguaiano) e cinque dall’Asia (due indiani, un singaporiano, un timorese orientale). Il Collegio cardinalizio continua quindi a internazionalizzarsi.

 

 

Cardinali secondo il cuore del Papa

Molti di questi futuri cardinali sono considerati dai vaticanisti come prelati «bergogliani». Ad esempio, il francese Jean-Marc Aveline, arcivescovo di Marsiglia, 63 anni, in cui il Papa vede un difensore di un «mediterraneo felice» dove la migrazione è soprattutto un arricchimento.

 

Su questo punto, mons. Aveline è senza dubbio il più «bergoggliano» dei vescovi francesi. Nell’aprile 2021 aveva incontrato Francesco per quasi un’ora faccia a faccia, evocando una «teologia mediterranea», secondo la quale il dialogo e gli scambi tra i popoli delle sponde mediterranee dovrebbero consentire di dispiegare «una grande tenda della pace».

 

Secondo l’agenzia svizzera cath.ch del 29 maggio, «Papa Francesco e il futuro cardinale condividono una certa visione della missione della Chiesa cattolica nel Mediterraneo: tra dialogo pacifico con l’Islam, fraternità e solidarietà con l’altra riva. “Marsiglia è più di una città: è un messaggio! Un messaggio in cui l’angoscia si mescola alla speranza”, ha detto mons. Aveline al presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, durante una visita nella sua città nell’agosto 2021».

 

Un altro prelato caro a papa Francesco è il britannico Arthur Roche, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, 72 anni. Nel 2012 Benedetto XVI lo ha chiamato a Roma e lo ha nominato segretario della Congregazione per il Culto Divino. Divenne poi il «numero 2» del dicastero con il cardinale Antonio Cañizares Llovera fino al 2014, poi al fianco del suo successore, il cardinale Robert Sarah, nominato da papa Francesco il 23 novembre 2014.

 

Dopo essere lui stesso succeduto al cardinale guineano nel maggio 2021, i primi mesi di monsignor Roche alla guida del dicastero per la liturgia sono stati caratterizzati dalla pubblicazione del Motu proprio Traditionis custodes, che limita le possibilità di celebrare la messa tridentina. Ha mostrato un tale zelo nell’applicazione di questo Motu proprio da meritare certamente la berretta cardinalizia.

 

Anche lui è considerato un «bergogliano» di «stretta osservanza» (…).

 

Negli Stati Uniti, Robert Walter McElroy, vescovo di San Diego, California, 68 anni, è – a differenza di alcuni suoi colleghi – contrario al principio di vietare la comunione ai leader politici favorevoli alla legalizzazione dell’aborto. È noto anche per essersi opposto a Donald Trump, di cui ha definito il progetto per un muro anti-migranti al confine messicano come «grottesco e inefficace».

 

La sua creazione a cardinale sembra essere un modo per controbilanciare l’influenza di due prelati conservatori californiani: l’arcivescovo di San Francisco, mons. Salvatore Cordileone, e l’arcivescovo di Los Angeles, mons. José Gomez, che attualmente ricopre la presidenza della Conferenza episcopale americana.

 

Per il Brasile, è Leonardo Ulrich Steiner, 71 anni, arcivescovo di Manaus, la città più popolosa dell’Amazzonia, importante punto di contatto con la grande foresta. Nell’aprile 2022 è stato nominato presidente della Commissione episcopale speciale per l’Amazzonia, succedendo al cardinale progressista Claudio Hummes.

 

Il suo ingresso nel Sacro Collegio è la continuazione del sinodo sull’Amazzonia svoltosi nel 2019 in Vaticano, al fine di garantire a questa regione visibilità nei futuri dibattiti ecclesiali, con l’idea di «amazzonizzare» la Chiesa attraverso l’ordinazione di uomini sposati e la scoperta del rito pagano di Pachamama, la dea della Madre Terra, che è stata celebrata a Roma il 4 ottobre 2019, durante il sinodo sull’Amazzonia.

 

 

E se si dovesse tenere un conclave prima del concistoro…

L’annuncio del 29 maggio del concistoro che si terrà tre mesi dopo, il 27 agosto, ha fatto interrogare diversi osservatori romani su quali sarebbero i diritti di questi futuri cardinali se si tenesse un conclave prima del concistoro. In pratica, potranno eleggere il prossimo papa o no? Questa domanda mostra il clima pre-conclave che il preoccupante stato di salute del Papa crea a Roma.

 

Interrogato dall’agenzia i.media il 31 maggio, mons. Patrick Valdrini, professore emerito di diritto canonico all’Università Lateranense, risponde: «In caso di morte o di dimissioni di papa Francesco prima del 27 agosto, l’annuncio di questo concistoro, la cui convocazione è strettamente legata al pontefice regnante, sarebbe nullo. Solo i cardinali elettori già costituiti, attualmente in numero di 117, sarebbero quindi convocati in conclave. Lo status di cardinale è legato allo svolgimento del concistoro e non al semplice annuncio della sua convocazione».

 

E aggiunge che l’annuncio di un concistoro impegna solo il papa regnante. Se l’attuale pontificato dovesse interrompersi, essendo la scelta dei futuri cardinali legata a una decisione personale di papa Francesco, «il suo successore potrebbe non crearli», stima mons. Valdrini. Essendo tuttavia consuetudine di dare pegni di continuità, almeno all’inizio del pontificato, il nuovo papa potrebbe però convocare un altro concistoro con la stessa lista, o integrandola.

 

 

Cardinalis, una rivista per i cardinali in vista del conclave

Da qualche mese circola tra i cardinali una nuova rivista creata appositamente per loro, con lo scopo dichiarato di aiutarli «a conoscersi per prendere le decisioni giuste nei momenti importanti della vita della Chiesa». In altre parole: in previsione del futuro conclave, come scrive Sandro Magister sul suo blog Settimo Cielo del 12 maggio 2022.

 

La rivista Cardinalis viene inviata a tutti i membri del Sacro Collegio e può essere letta in quattro lingue, in formato cartaceo o online. È pubblicata a Versailles, in Francia. La scrittura è assicurata da «una équipe di vaticanisti di tutti i Paesi e di diverse tendenze». Il primo numero è uscito a novembre 2021, il secondo ad aprile, con in copertina il cardinale Camillo Ruini che aveva rilasciato un’intervista alla giornalista americana Diane Montagna.

 

L’alto prelato italiano, citato da Sandro Magister, sottolinea che «non deve cadere in ombra la verità di Gesù Cristo unico salvatore di tutti, affermata dal Nuovo Testamento e riaffermata dalla dichiarazione “Dominus Iesus” del 2000, un “documento fondamentale” contro il relativismo presente anche nella Chiesa».

 

Il vaticanista romano commenta: «Ruini non lo dice, ma che questa verità capitale debba tornare al centro dell’attenzione dei cardinali chiamati ad eleggere il prossimo papa è sottolineato con forza alcune pagine più avanti in questo stesso numero di Cardinalis, in un testo dal titolo inequivocabile di “Memorandum per un futuro conclave”».

 

«Firmato dal professor Pietro De Marco ma frutto di un “think tank” più allargato, il “Memorandum” mette in guardia dal parificare la rivelazione cristiana ad altre religioni e dallo spogliare la morte in croce di Gesù da ogni valenza redentrice, riducendola a un messaggio etico di trasformazione dei cuori e della società».

 

Il vaticanista italiano aggiunge: «L’affermazione del carattere unico e universale della mediazione salvifica di Cristo è, invece, parte centrale della buona novella che la Chiesa proclama ininterrottamente fin dall’epoca apostolica. “Questo Gesù è la pietra che, scartata da voi, costruttori, è diventata testata d’angolo. In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati (Atti 4, 11-12)”».

 

«Se si offusca questa verità primordiale “ci si avvia, come purtroppo avviene, alla dissoluzione del soggetto cristiano”. E dunque anche in un conclave – avverte il “Memorandum” – dovrà tornare al centro della riflessione “la fedeltà al compito di Pietro di confermare i fratelli“ su questo caposaldo del Credo cristiano. Senza più quei cedimenti prodotti da certe letture ireniche e banalizzanti di un’enciclica come la “Fratelli tutti” di papa Francesco.».

 

Si noti che questo memorandum è il secondo indirizzato ai cardinali in vista del conclave. Il primo è stato pubblicato il 15 marzo da Sandro Magister che lo ha presentato in questi termini: «Dall’inizio della Quaresima, i cardinali che eleggeranno il prossimo papa si sono trasmessi questo memorandum. Il suo autore, che usa lo pseudonimo di Demos – il popolo in greco – è sconosciuto, ma mostra grande padronanza della sua materia. Non è escluso che sia lui stesso un cardinale».

 

– Questo documento, di cui DICI n°419, aprile 2022, ha dato gli estratti più significativi, è stato presentato sotto forma di dittico: «Il Vaticano oggi» e «Il prossimo conclave».

 

Sempre in Cardinalis n° 2 si può leggere un interessante articolo del cardinale Walter Brandmüller, eloquentemente intitolato Prolegomena sulle interviste [dei cardinali] prima dei conclavi. L’ex presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche dichiara che si tratta «del rapporto reciproco tra il Papa e la Chiesa», precisando che il Papa è un membro della Chiesa che ha le funzioni di Servus servorum, Servo dei servi.

 

Quindi «il Papa non deve, o non può, regnare come monarca assoluto», poiché non è al di sopra della legge canonica. «La sua azione incontra un limite quando si tratta del nucleo fondamentale della dottrina e della costituzione della Chiesa», insiste il prelato tedesco, aggiungendo senza mezzi termini:

 

«Insomma, il Papa può commettere un reato quando non rispetta la legge», anche se è impossibile citarlo in giudizio, secondo l’adagio del IV secolo: prima sedes a nemine judicatur, la sede apostolica non può essere giudicata. Ciò ha un’implicazione significativa: «un dovere di obbedienza graduata da parte dei membri della Chiesa».

 

E insiste: «L’aumento del numero delle dimissioni di vescovi per ordine del Muftì nel recente passato va analizzato da questa prospettiva», quella del mistero della Chiesa e dei limiti del potere pontificio. L’articolo conclude con fermezza: «Spetterà al conclave eleggere un papa consapevole del suo mandato apostolico, compresi i suoi limiti».

 

 

Continuità o discontinuità rispetto al Concilio

Nella sua intervista a Diane Montagna, già citata, il cardinale Ruini afferma: «l’ermeneutica della continuità o meglio del rinnovamento nella continuità, proposta da Benedetto XVI, esprime nel migliore dei modi questi bisogni che tante persone come me hanno sentito», mostrando così le carenze di un’analisi che denuncia gli effetti della crisi, senza arrischiarsi a risalire alle loro cause conciliari.

 

Per questo è utile mettere in prospettiva le dichiarazioni dei conservatori «ratzingeriani», confrontandole con affermazioni precedenti, che sono più forti perché più lucide.

 

Il 1° luglio 2020 lo studioso Roberto de Mattei ha pubblicato sul sito Corrispondenza romana uno studio in cui mostrava l’inadeguatezza di una critica conservatrice basata sull’ermeneutica della continuità: «Pur convinti degli errori di papa Francesco, questi conservatori non hanno voluto seguire la strada aperta dalla Correctio filialis consegnata a papa Francesco l’11 agosto 2016».

 

«La vera ragione della loro riluttanza sta probabilmente nel fatto che la Correctio mette in rilievo come la radice delle deviazioni bergogliane risale ai pontificati di Benedetto XVI e di Giovanni Paolo II e, prima ancora, al Concilio Vaticano II […] Occorre convincersi che l’ermeneutica della continuità è fallita, perché attraversiamo una crisi in cui ci si deve misurare sui fatti, e non sulle loro interpretazioni».

 

«L’inaccettabilità di questo approccio – osserva giustamente Peter Kwasniewski [dal sito americano OnePeterFive, 29 giugno 2020. NdR] – è dimostrata, tra l’altro, dal successo infinitesimale che i conservatori hanno avuto nel rovesciare le “riforme” disastrose, le tendenze, le abitudini e le istituzioni stabilite sulla scia e nel nome dell’ultimo Concilio, con l’approvazione o la tolleranza papale.».

 

E lo storico italiano giustamente aggiunge: «Papa Francesco non ha mai teorizzato l ‘ermeneutica della “discontinuità”, ma ha voluto realizzare il Vaticano II nella prassi e l’unica risposta vincente a questa prassi sta nella realtà concreta dei fatti teologici, liturgici, canonici e morali, e non in uno sterile dibattito ermeneutico. Sotto questo aspetto, il vero problema non sarà la continuità o la discontinuità del prossimo Pontefice con Papa Francesco, ma il suo rapporto con il nodo storico del Concilio Vaticano II».

 

Per la cronaca, la Correctio filialis de hæresis propagatis citata da Roberto de Mattei è una lettera aperta del 16 luglio 2017, e indirizzata a papa Francesco il mese successivo da oltre 60 chierici e studiosi laici. Vi si affermava senza mezzi termini: «È stato dato scandalo alla Chiesa e al mondo, in materia di fede e di morale, mediante la pubblicazione di Amoris laetitia e mediante altri atti attraverso i quali Vostra Santità ha reso sufficientemente chiari la portata e il fine di questo documento.»

 

«Di conseguenza, si sono diffusi eresie e altri errori nella Chiesa; mentre alcuni vescovi e cardinali hanno continuato a difendere le verità divinamente rivelate circa il matrimonio, la legge morale e la recezione dei sacramenti, altri hanno negato queste verità e da Vostra Santità non hanno ricevuto un rimprovero ma un favore».

 

«Per contro, quei cardinali che hanno presentato i dubia a Vostra Santità, affinché attraverso questo metodo radicato nel tempo la verità del vangelo potesse essere facilmente affermata, non hanno ricevuto una risposta ma il silenzio».

 

Indicava poi l’intenzione dei suoi autori: «Desideriamo ora mostrare come alcuni passaggi di Amoris laetitia, insieme ad atti, parole e omissioni di Vostra Santità, servono a propagare sette proposizione eretiche».

 

Infine, la Correctio filialis torna alle cause generali di questi grandi errori dottrinali: il modernismo e il protestantesimo: «Al fine di delucidare la nostra Correctio e di redigere una difesa contro la diffusione degli errori, desideriamo ora attirare l’attenzione su due fonti generali di errori che ci appaiono quale veicolo delle eresie che abbiamo elencato. Parliamo per primo di una falsa comprensione della Divina Rivelazione che generalmente riceve il nome di Modernismo e poi degli insegnamenti di Martin Lutero».

 

 

Neomodernismo e Neoprotestantismo

Il 26 settembre 2017, monsignor Bernard Fellay, allora superiore generale della Fraternità San Pio X, e firmatario della Correctio filialis, accostava questo documento alla dichiarazione di mons. Marcel Lefebvre del 21 novembre 1974: «Questo atteggiamento [degli autori della Correctio] è stato quello di mons. Lefebvre e della Fraternità San Pio X fin dall’inizio. Nella sua dichiarazione del 21 novembre 1974, il nostro fondatore disse»:

 

«Aderiamo con tutto il cuore, con tutta la nostra anima, alla Roma cattolica, custode della fede cattolica e delle tradizioni necessarie per mantenere questa fede, alla Roma eterna, maestra di saggezza e verità. D’altra parte rifiutiamo e ci siamo sempre rifiutati di seguire la Roma di tendenze neomoderniste e neoprotestanti».

 

E monsignor Fellay ha aggiunto: «È proprio questo neomodernismo e questo neoprotestantesimo che giustamente denunciano gli autori della Correctio filialis come le cause dei cambiamenti operati da Amoris laetitia nella dottrina e nella morale del matrimonio. Con ogni fibra del nostro essere siamo attaccati a Roma, Mater et Magistra».

 

«Non saremmo più romani se rinunciassimo alla sua dottrina bimillenaria; al contrario, diventeremmo gli artefici della sua demolizione, con una morale di circostanza pericolosamente fondata su una dottrina debole. La nostra fedeltà alla Tradizione non è un ritiro nel passato, ma una garanzia di sostenibilità per il futuro. Solo a questa condizione possiamo servire utilmente la Chiesa».

 

Questi sono i principi che dovrebbero illuminare un futuro papa, veramente desideroso di servire la Chiesa, attaccando risolutamente la radice dei mali che la stanno consumando.

 

 

 

Somma di articoli previamente apparsi su FSSPX.news

 

 

 

Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

 

 

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Richiesta di preghiera per Mons. Huonder

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Dal 19 marzo mons. Vitus Huonder, che risiede abitualmente presso l’istituto Sancta Maria di Wangs, è ricoverato a Coira per gravi problemi di salute.

 

Molto indebolito ma completamente lucido, sorridente e sereno, offre le sue sofferenze con edificazione per la Chiesa.

 

Il Superiore Generale della Fraternità San Pio X ha potuto fargli visita, e ogni giorno un sacerdote dell’Istituto Sancta Maria va a portargli la comunione.

 

Mons. Huonder è molto commosso e grato per i segni di sostegno spirituale e fraterno che riceve.

 

La Casa Generalizia della Fraternità San Pio X chiede delle ferventi preghiere per questa intenzione.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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L’anticristo si presenterà come re e papa. Meditazione di mons. Viganò per la Domenica delle Palme

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Renovatio 21 pubblica il testo della conferenza spirituale tenuta da monsignor Carlo Maria Viganò per la Domenica delle Palme.      

Exsulta satis, filia Sion, jubila filia Jerusalem. Ecce Rex tuus venit tibi.

Za 9, 9

  Le solenni celebrazioni della Settimana Santa iniziano con l’entrata trionfale di Nostro Signore in Gerusalemme, salutato come Re di Israele. La Santa Chiesa, popolo della Nuova ed Eterna Allenza, fa proprio il tributo di pubblici onori al suo Signore: Hi placuere tibi, placeat devotio nostra: Rex bone, Rex clemens, cui bona cuncta placent   Tuttavia, quasi a mettere in evidenza quanto sia volubile e manipolabile la moltitudine, oggi vediamo la folla festante con rami di palme e di olivo, e pochi giorni dopo la sentiamo gridare il Crucifige e mandare a morte quello stesso Re, sul patibolo riservato agli schiavi.   Non ci è dato sapere se quanti accolsero esultanti il Signore alle porte della Città Santa fossero gli stessi che si riunirono dinanzi al Pretorio e vennero sobillati dai Sommi Sacerdoti e dagli scribi del popolo; ma non è difficile supporre – anche sulla base di altri episodi analoghi nel corso della Storia – che molti fossero presenti in entrambe le circostanze, per il semplice gusto di assistere ad un evento, di seguire la massa, di «farsi un selfie» diremmo oggi.   D’altra parte, non furono gli stessi Ebrei nel deserto a costruirsi un vitello d’oro, mentre Mosè riceveva sul Sinai le tavole della Legge? E quante altre volte quegli stessi Ebrei che avevano acclamato al Dio di Israele finirono con l’accogliere «ecumenicamente» i sacerdoti di Baal e contaminarsi con gli idolatri, meritando i castighi annunciati dai Profeti e pentendosi poi della loro infedeltà, per ricominciare poco dopo?   Questa è la massa, cari fratelli; la massa che assiste alla moltiplicazione dei pani e dei pesci, alla guarigione dei lebbrosi, degli storpi, del servo del centurione e alla resurrezione di Lazzaro, ma poi si assiepa lungo il sentiero che porta al Golgota per insultare e sputare su Nostro Signore, o anche solo per stare a guardare, ut videret finem (Mt 26, 57): per vedere come andava a finire.   Chi era assente all’entrata regale del Signore a Gerusalemme? L’autorità civile e quella religiosa, così come erano assenti i potenti alla Nascita del Salvatore in quella remota capanna di Betlemme la notte del 25 Dicembre di duemilaventiquattro anni fa.   Non c’erano i Sommi Sacerdoti, né gli scribi, né Erode; i quali in realtà non erano nemmeno considerabili come vere autorità, dal momento che tanto i Sommi Sacerdoti Anna e Caifa quanto il re Erode erano saliti al potere con frodi e nomine manipolate – nihil sub sole novi – e non rappresentavano quindi il potere legittimo.   In particolare Caifa non era della casa di Aronne – la tribù sacerdotale degli Ebrei – ma era stato nominato Pontefice da Valerio Grato nel 25 d.C. ed era riuscito a rimanere in carica sino al 36 d.C., quando venne deposto dal Governatore della Siria Lucio Vitellio. Nomina imperiale, dunque, e non diritto ereditario come stabilito da Dio e come fatto ininterrottamente fino all’epoca dei Maccabei (1 Mac 10, 20), quando Gionata assunse il Pontificato.

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Nemmeno il re di Galilea era legittimo, perché la sua nomina fu decisa dal padre Erode il Grande che divise il regno tra i figli Archelao (il quale ebbe la Giudea, l’Idumea e la Samaria meridionale), Erode Filippo (che ebbe la regione nordorientale del lago di Tiberiade) e Erode Antipa (nominato Tetrarca della Galilea e della Perea).   Erode Antipa governò dal 4 a.C. al 39 d.C. su mandato dell’autorità imperiale e quindi poteva essere considerato più un fantoccio al servizio di Roma che un vero sovrano. Non doveva essere molto diverso da un odierno Trudeau o da un Macron, allevati dal World Economic Forum e messi dal deep state a fare gli interessi dell’élite in Canada o in Francia.   D’altra parte anche Erode era stato alla corte imperiale a Roma, dove aveva iniziato una relazione con Erodiade, moglie di suo fratello Filippo, e che poi aveva sposato – contravvenendo alla legge mosaica – meritando la condanna del Battista, che per questo fu arrestato e giustiziato. Il fatto che Nostro Signore non abbia voluto rispondere a Erode – quando Ponzio Pilato glielo fece condurre perché Lo giudicasse essendo sotto la sua giurisdizione – conferma che Cristo stesso considerava la sua autorità illegittima.   In Israele, ai tempi di Cristo, non vi era dunque una vera e propria autorità religiosa né civile. Perché questa latitanza, questa vacatio? Eppure i Giudei riconoscevano i Sommi Sacerdoti ed Erode, come oggi si riconoscono Bergoglio e i capi di governo delle Nazioni, nonostante sia evidente la loro estraneità al vero potere voluto da Dio.   La risposta che possiamo dare è che la Provvidenza abbia voluto che la venuta secundum carnem di Nostro Signore mostrasse che era Lui il vero Re e Pontefice, non solo come autore e garante dell’autorità terrena, ma anche come legittimo detentore di quell’autorità per diritto divino, di nascita e – di lì a poco – di conquista. Ecco il perché di questa assenza di re, pontefici e scribi Ebrei, tanto alla Nascita di Cristo quanto alla Sua Epifania e all’ingresso in Gerusalemme.   Cerchiamo ora, cari fratelli, di osservare la scena che ci si presenta dinanzi. È il 10 del mese di Nisan, sei giorni prima della Pasqua ebraica, quando la Legge prescrive agli Ebrei di procurarsi l’agnello pasquale. Qui vediamo dunque l’Agnus Dei – secondo le parole del Battista (Gv 1, 29) – che cinque giorni dopo, all’ora nona del Venerdì Santo – ossia della Parasceve – sarebbe spirato sulla Croce, nello stesso momento in cui gli Ebrei infilzavano l’agnello su due spiedi per arrostirlo, in ricordo della fuga dall’Egitto e del passaggio del Mar Rosso verso la terra promessa. Agli occhi del popolo fedele, quella simbologia non poteva sfuggire.   Assiso sull’asina bardata, come il re Salomone al momento della sua incoronazione (1 Re 1, 38-40); onorato al Suo passaggio con fronde di palma e mantelli stesi per terra (2 Re, 9-13), Cristo riassume in Sé ogni autorità terrena, temporale e spirituale, mostrandoSi nella plenitudo potestatis e venendo osannato dal popolo: Benedictus qui venit in nomine Domini, esclamano i pueri Hebræorum. Hosanna filio David, ossia al discendente della casa un tempo regnante, al Messia promesso, al prefigurato dal profeta Zaccaria (Zac 9, 9):   Esulta grandemente figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina.   Come si evince dalla narrazione evangelica, l’incoronazione del Signore avviene sul Monte degli Ulivi, a meno di tre chilometri dalla Città Santa, e la processione regale si muove verso il Tempio, richiamando il Salmo 23:   O porte, alzate i vostri frontoni; e voi, porte eterne, alzatevi; entri il Re della gloria. Chi è questo Re della gloria? È il Signore, forte e potente, il Signore potente in battaglia. O porte, alzate i vostri frontoni; alzatevi, o porte eterne, entri il Re della gloria. Chi è questo Re di gloria? È il Signore degli eserciti; egli è il Re della gloria.   L’offerta di una vittima sull’altare, presentata quando ormai è sera (Mc 11, 11) allude all’imminente Passione di Nostro Signore. Possiamo immaginare la preoccupazione che tale imponente manifestazione suscitò tra le autorità. E non è un caso: questo rito civile e religioso – caratterizzato dalla ripetizione di un preciso cerimoniale ben noto ai sacerdoti e agli scribi – doveva in qualche modo rappresentare la restaurazione del regno ebraico in vista della Passione, perché fosse il Re e il Sommo Sacerdote di Israele ad ascendere l’altare del Golgota per offrirSi alla Maestà del Padre in riscatto delle colpe del Suo popolo.

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Vedremo il Signore nuovamente rivestito di vesti regali – il mantello scarlatto e la corona, ancorché di spine – presentarSi alla loggia del Pretorio. Ecce rex vester (Gv 19, 13), dice Pilato ai Giudei; i quali rispondono, confessando la vacanza del trono di Davide: Non habemus regem, nisi Cæsarem (ibid., 14). E ancora, nel titulus crucis, è ribadita la stessa verità: Jesus Nazarenus, Rex Judæorum (ibid., 19). Perché se Cristo non fosse stato riconosciuto Re e Pontefice nell’atto supremo del Sacrificio, Egli non avrebbe rappresentato dinanzi al Padre né i singoli né le nazioni oggetto della Redenzione.   Se volessimo fare un parallelo tra quegli eventi e quelli odierni, potremmo riscontrare un’inquietante analogia tra l’azione del Sinedrio e la Gerarchia Cattolica che usurpa il potere in Roma.   Immaginiamo quale potrebbe essere, oggi, la preoccupazione di certi Prelati – e dello stesso Bergoglio – per la minaccia di vedersi scoperti nella loro frode da Cristo in persona, che viene a riprendersi quell’autorità usurpata ed esercitata non per aprire le Scritture ai fedeli, ma per tenerli nell’ignoranza e consentire a sé di mantenere il potere.   Credete che la reazione sarebbe così diversa da quella del Sinedrio, suscitata dal concorso di popolo in Gerusalemme per proclamare Re uno sconosciuto profeta della Galilea?   Cosa credete che direbbe il novello Caifa, al veder minacciato il proprio prestigio di Sommo Sacerdote e svelato l’inganno che lo ha portato al potere?   Al sentirsi ricordare di essere vicario di un’autorità non sua, e non padrone? Pensate che accetterebbe di rinunciare al Papato che usurpa, per lasciar salire al Soglio il Signore, nel nome del Quale costui dovrebbe governare la Chiesa?   O non si rivolgerebbe piuttosto alle autorità civili, facendo capire ai funzionari e ai politici corrotti che lo riconoscono come Papa che quel Galileo minaccia anche il loro potere, parimenti usurpato?   Non invocherebbe l’intervento dell’esercito per sedare la rivolta e condannare il Signore a morte per sedizione e alto tradimento? Anzi: non vi sembra che il motivo della condanna sia proprio che Egli abbia osato proclamarSi Re e Figlio di Dio – quia Filium Dei se fecit (Gv 19, 7) – in un mondo che si dice democratico e che non riconosce altro re che Cesare – ossia il potere pagano di un invasore – né altro dio che l’uomo?   E in questo quadro non troppo ipotetico, come riporterebbero la notizia i media mainstream, ammesso che la censura o qualche legge contro gli hate speech non impediscano di parlarne e fingano che nulla sia accaduto?

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Secondo alcuni Padri, la processione trionfale di Cristo in Gerusalemme è composta da due schiere: nel significato allegorico delle Scritture, coloro che precedono il Signore sarebbero gli Israeliti, e quelli che Lo seguono i pagani convertiti. E forse tra gli Ebrei vi erano anche degli zeloti, che speravano in una rivolta popolare contro l’invasore romano e che poi abbandonarono il Signore quando fu loro chiaro che Egli non si sarebbe lasciato usare politicamente: sarebbero loro, delusi nelle proprie aspettative rivoluzionarie, ad aver poi gridato il Crucifige.   Abbiamo dunque tre categorie di persone: coloro che hanno acclamato Cristo; coloro che hanno gridato il Crucifige e coloro che hanno fatto entrambe le cose. Fedeli i primi, infedeli e perfidi i secondi, desolatamente mediocri i terzi.   Chiediamoci allora: Tra chi sarei stato, io? Forse non tra la turba sobillata dal Sinedrio per estorcere a Pilato la condanna a morte di Cristo: costoro sono nemici dichiarati di Dio e non esitano ad invocare il Suo Sangue, nella vertigine del loro accecamento. Avremmo dovuto essere piuttosto tra quanti osannavano il Signore e durante la Passione erano con Giovanni, Maria e le Pie Donne ai piedi della Croce. Ma spesso, dolorosamente, dobbiamo riconoscere che la nostra infedeltà – al pari di quella del popolo che fu l’eletto – ci porta a schierarci con Cristo quando trionfa, e a gridare contro di Lui o a negare di conoscerLo – come Pietro – quando è arrestato, processato, insanguinato, coronato di spine, vestito come i pazzi e coperto di obbrobri.   Cattolici impegnati sotto Pio XII e tiepidi modernisti col Concilio; eroici difensori della Fede in tempi di pace in una nazione cattolica, e muti esecutori della mentalità mondana in tempi di persecuzione in stati anticattolici; devoti fedeli della Messa antica quando Benedetto XVI la permette, e scrupolosi esecutori di Traditionis Custodes quando il Gesuita di Santa Marta ne limita la celebrazione o la proibisce.   Ma perché – mi chiedo – questa insofferenza per il trascendente?   Perché questa repulsione per il sacro, e quindi anche per la sacralità dell’autorità di Cristo, Re e Pontefice, che irrompe nella nostra umanità?   Cosa disturba tanto il potere dei Sommi Sacerdoti ai tempi di Nostro Signore?   Cosa disturba tanto da oltre duecento anni il potere delle istituzioni civili, e da sessant’anni quello del Sinedrio modernista?   Credo che la risposta sia nell’orgoglio di noi poveri, miserabili mortali, che non vogliamo accettare e sottometterci alla potestà di Cristo perché sappiamo che se lo facessimo non vi sarebbe più spazio per il nostro particulare, per i nostri meschini interessi, per la nostra brama di potere.   In definitiva, è il Non serviam di Lucifero che si perpetua nella Storia, nel tragico tentativo di sovvertire l’ordine divino e nell’ancor più tragica illusione di poter bastare a noi stessi, di considerare il mondo come una meta e non come un luogo di passaggio, di poterci creare un Paradiso in terra in cui libertà, fraternità e uguaglianza siano il contraltare umano di Fede, Speranza e Carità.   Abbiamo paura che Cristo regni, perché sappiamo che dove l’autorità appartiene a Cristo ed è conforme alla Sua Legge non siamo più noi a comandare, e il potere che amministriamo come luogotenenti di Cristo non può essere usato come pretesto, dietro cui nascondere la nostra folle presunzione di essere sicut dii. E questo vale tanto nella sfera civile quanto in quella ecclesiastica.   Eppure essere vicari di Cristo nelle cose temporali o spirituali dovrebbe essere un onore, non un’umiliazione. Per questo, cari fratelli, è terribile che colui che siede sul Soglio di Pietro consideri «scomodo» fregiarsi del titolo di Servo dei servi di Dio e abbia cancellato quello di Vicario di Cristo. Scrollatosi cosi di dosso la necessaria soggezione a Cristo, si è assunto anche la piena e totale responsabilità dei propri errori, delle proprie eresie, degli scandali di cui è causa; e allo stesso tempo, orgogliosamente, egli rifiuta quelle Grazie di stato che il Signore avrebbe altrimenti concesso al Suo Vicario in terra.   Questa presunzione taglia alla radice la legittimità dell’autorità stessa, che o viene da Dio o è odiosa e illegittima tirannide.   Cari fratelli, questi tempi di apostasia non sono diversi dai tempi della Passione, perché la passio Christi di allora deve necessariamente compiersi nella passio Ecclesiæ di oggi e della fine dei tempi: ciò che il Capo ha affrontato, deve affrontarlo anche il Corpo Mistico. Ma fate attenzione: un altro cercherà di presentarsi come re e papa, e sarà l’Anticristo, contraffazione infernale e diabolico sovvertimento del Principe della pace.   Anche in quei giorni di tenebra – che il profeta Daniele ci indica della durata di tre anni e mezzo – vi sarà una folla che inneggerà a quell’uomo adorandolo come Dio, e altri che lo riconosceranno come impostore e servo di Satana.   Gli inganni e i prodigi del figlio della perdizione ci faranno credere che abbia conquistato il potere, che la Chiesa sia definitivamente cancellata, nella vacanza dell’autorità civile e religiosa. Sarà allora che San Michele ucciderà l’Anticristo, allora che la Vergine schiaccerà la testa del Serpente, allora che il Signore verrà nella gloria a giudicare i vivi e i morti, tornando di nuovo come Figlio di Dio, Re e Pontefice.   Facciamo in modo di essere trovati nel numero di quel pusillus grex, quel piccolo gregge, che non si è lasciato ingannare e che è rimasto fedele.   Esulta grandemente figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re (Za 9, 9).   E così sia.   + Carlo Maria Viganò Arcivescovo   24 Marzo 2024 Dominica II Passionis seu in Palmis  

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Oligarcato

Bergoglio, Milei e il World Economic Forum di Davos

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In occasione del World Economic Forum (WEF) di Davos, che si è tenuto in Svizzera dal 15 al 19 gennaio 2024, Papa Francesco ha inviato un messaggio a dir poco sorprendente. Dichiara, infatti, che questo incontro globalista «fornisce un’importante opportunità di coinvolgimento di più soggetti interessati, per esplorare modi innovativi ed efficaci per costruire un mondo migliore».

 

E insiste sulla «evidente necessità di un’azione politica internazionale che, attraverso l’adozione di misure coordinate, possa perseguire efficacemente gli obiettivi della pace mondiale e dello sviluppo autentico».

 

Come ha opportunamente sottolineato Philip Lawler sul sito web di Catholic Culture il 31 gennaio: «Il WEF di Davos sostiene gli sforzi per combattere il cambiamento climatico, per sostenere la diversità e l’inclusione e per promuovere opinioni “illuminate”».

 

Purtroppo, in questa occasione, il papa non ricorda la dottrina sociale della Chiesa: il salario minimo vitale, la salvaguardia delle famiglie, l’educazione alle virtù… A questo silenzio, il giornalista cattolico ha reagito energicamente: «ciò che dovrebbe sentire il WEF da parte della Chiesa cattolica non è un messaggio di sostegno, ma di sfida».

 

Per ironia della sorte, a Davos, questa sfida è stata lanciata dal presidente argentino Javier Milei, oppositore della Chiesa cattolica, che ha denunciato il «programma di aborto cruento» e il tentativo di frenare la crescita demografica.

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«Milei ha giustamente osservato che il WEF è caduto sotto il fascino dei marxisti che stavano conquistando il potere “appropriandosi dei media, della cultura, delle università e anche delle organizzazioni internazionali”».

 

Philip Lawler aggiunge: «Il Forum di Davos pretende di parlare a nome dei poveri, ma in pratica mira all’obiettivo della crescita zero della popolazione, eliminando così la povertà eliminando i poveri».

 

«Il WEF denuncia i consumi eccessivi, ma i suoi leader giramondo visitano resort esclusivi e cenano in ristoranti di lusso, suggerendo politiche agricole restrittive che rendono il cibo più costoso.

 

«Il gruppo di Davos professa rispetto per le culture indigene, ma è ovvio che la cultura cristiana tradizionale dei fondatori europei non conta». Così «la manifestazione religiosa più memorabile di questa conferenza di Davos ha avuto luogo quando una sciamana brasiliana, originaria dell’Amazzonia, Putanny Yawanawá, ha eseguito un rituale pagano per invocare il potere dei suoi “spiriti” sul lavoro della conferenza».

 

È vero che Francesco aveva già dato un triste esempio assistendo, nei giardini vaticani, a un culto idolatrico della dea pagana Pachamama, il 4 ottobre 2019, in occasione del sinodo sull’Amazzonia.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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Immagine di World Economic Forum via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 2.0 Generic

 

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