Controllo delle nascite
Harry, Meghan e l’assassinio di Lady Diana
Ha tenuto banco sui media di tutto il mondo l’intervista dei duchi Enrico Windsor e della moglie Meghan, i duchi di Sussex.
Come noto, i due dopo essere «fuggiti» da Londra ed essersi esonerati dagli impegni della famiglia reale, si sono concessi ai microfoni di Oprah Winfrey, la più famosa, e potente, conduttrice TV americana.
I due dopo essere «fuggiti» da Londra ed essersi esonerati dagli impegni della famiglia reale, si sono concessi ai microfoni di Oprah Winfrey, la più famosa, e potente, conduttrice TV americana. La scelta è piuttosto interessante
La scelta è piuttosto interessante. Nessuno si è mai fermato davvero ad analizzare la portata del personaggio.
La Winfrey, che gode di un patrimonio spaventoso, è già nota per essere membro delle massime cerchie del potere globale. È riportato che nel 2009 si ritrovò a Nuova York, sotto un manto di segretezza, con alcune delle persone più ricche del mondo per un incontro senza precedenti «per vedere come possono unirsi per fare di più»: tra gli ospiti c’erano Bill Gates, l’investitore ultramiliardario suo amico William Buffett, il creatore della CNN e antinatalista convinto Ted Turner, il multimiliardario sindaco Michael Bloomberg e ovviamente anche George Soros. Insomma, la gente di quelle cenette a base di conversazioni sul controllo della popolazione – chiodo fisso anche degli Windsor – di cui vi ha scritto talvolta Renovatio 21.
I duchi, insomma, per dipanare il loro piano si sono rivolti a una figura introdotta nei poteri maggiori. Nella discussione, ricordiamo, potrebbero aver fatto anche un mezzo, timido, anonimo accenno al caso Epstein, parlando delle difese montate da Buckingham Palace per proteggere un altro non specificato membro della Casa Reale.
Tuttavia la Winfrey è altresì conosciuta per una caratteristica specifica: è nera. E già in passato aveva giocato, anche d’improvviso, la carta razziale: nel 2013 urlò al mondo la sua indignazione per essere stata, a suo dire, maltrattata in una boutique svizzera dove voleva comprare una borsetta da 38 mila dollari. Dirigenti del turismo elvetico si scusarono profusamente.
La Winfrey, che gode di un patrimonio spaventoso, è già nota per essere membro delle massime cerchie del potere globale
La carta della razza è stata ovviamente giocata anche qui, calcolata per avere l’impatto massivo nel circuito dei media drogato ora come non mai da concetti come il «razzismo sistemico» (cioè l’idea che qualsiasi struttura sociale americana sia viziata dal razzismo, compresa l’adozione di bambini neri da parte di coppie bianche) e dalle giustificazioni per le devastazioni di movimenti come Black Lives Matter (con rapporti più o meno diretti alle Fondazioni di Soros e alla campagna elettorale di Biden).
Il mondo si è diviso sulla sincerità della confessione: i media sono inorriditi per la possibilità di avere una Casa Reale britannica razzista: ma come, la stessa che ha trattato così bene indiani e irlandesi con quelle carestie, gli zulu, i cinesi con le due guerre dell’oppio? Quella stessa gente che a suon di ONG ed enti pubblici implementa programmi di sterilizzazione conclamati in India e chissà dove altro?
Un’altra parte dell’opinione pubblica si è polarizzata contro Meghan, definita arrampicatrice e falsa – è, del resto, un’attrice. Il presentatore TV Piers Morgan è stato di fatto licenziato per aver espresso un giudizio severo nei confronti della duchessa.
Il mondo si è diviso sulla sincerità della confessione: i media sono inorriditi per la possibilità di avere una Casa Reale britannica razzista: ma come, la stessa che ha trattato così bene indiani e irlandesi con quelle carestie, gli zulu, i cinesi con le due guerre dell’oppio?
Vale la pena, tuttavia, di ricordare che altri esempi di persone in fuga da Casa Windsor non sono finiti esattamente bene. Su tutti, un caso molto vicino al principe Enrico: quello della Madre Diana.
La rete profonda di Dodi Al-Fayed
È passato oramai quasi un quarto di secolo, e davvero pochi ci pensano ancora (Enrico e il fratello erede al trono Guglielmo in teoria ogni tanto ci dovrebbero pensare).
Tuttavia, bisogna ricordare che all’epoca, perfino in certa stampa mainstream, di dubbi ve ne fossero pochi: la morte di Diana fu innescata dal suo matrimonio programmato (con tanto di mistero sull’anello da 260 mila dollari comprato a Montecarlo presso un gioielliere italiano) con Dodi al-Fayed, un musulmano, un atto che avrebbe posto la loro potenziale prole musulmana – futuri fratellastri dei principi William e Harry–- nella linea di successione reale.
Bisogna ricordare che all’epoca, perfino in certa stampa mainstream, di dubbi ve ne fossero pochi: la morte di Diana fu innescata dal suo matrimonio programmato con Dodi al-Fayed
Nonostante di recente sia stato rivendicata, tra i discendenti di Maometto, pure la regina Elisabetta (!), l’idea di un musulmano che entra nel casato con il suo stesso sangue (quello del padre Mohamed, uomo d’affari spregiudicato che aveva scalato misteriosamente le classifiche dei paperoni di Londra) poneva problemi evidenti a chiunque avesse presente la dinamica della storia.
Aggiungiamo un dettaglio sfuggito a tutti all’epoca e pure oggi che si parla tanto di cose saudite: Dodi era figlio di Samira Khasoggi, sorella di Adnan Khashoggi, trafficante d’armi saudita e playboy internazionale (con prede ambitissime come Farrah Fawcett, Raquel Welch, Brooke Shields e Lory Del Santo) che fu per un certo periodo considerato l’uomo più ricco del mondo.
Dodi era quindi cugino di primo grado di Jamal Khashoggi, l’editorialista del Washington Post che secondo la CIA fu squartato al consolato saudita di Istanbul su ordine del principe di Riyadh Mohammed bin Salman, il celebre amico di Matteo Renzi.
Dodi era figlio di Samira Khasoggi, sorella di Adnan Khashoggi, trafficante d’armi saudita e playboy internazionale che fu per un certo periodo considerato l’uomo più ricco del mondo
La famiglia Khashoggi, prima di cadere in disgrazia con l’ascesa di MbS, era stata praticamente tra le più potenti in Arabia Saudita, con rapporti eccellenti, grazie ai traffici di zio Adnan, con elementi dello Stato profondo americano (fu coinvolto nello scandalo Iran-Contra) e con mezzo mondo – per esempio con le Filippine del presidente Ferdinand Marcos.
Diana, quindi, in casa non si stava portando solo un boyfriend islamico, ma un pezzo di finanza e di geopolitica enorme, con accenti wahabiti e statunitensi.
La confessione del «Soldato N»
A scoppio ritardato, qualche elemento di questo caso tremendo – una macchina sfasciata sotto un tunnel parigino, tra i flash dei paparazzi subito incolpati di tutto – in questi decenni è emerso.
Dodi era quindi cugino di primo grado di Jamal Khashoggi, l’editorialista del Washington Post che secondo la CIA fu squartato al consolato saudita di Istanbul su ordine del principe di Riyadh Mohammed bin Salman, il celebre amico di Matteo Renzi
Nel 2013, ad esempio, emersero sui giornali prove della corte marziale del sergente Danny Nightingale, cecchino della British Special Air Services (SAS), cioè le forze speciali.
Nightingale fu condannato per possesso illegale di una pistola Glock 17 e munizioni. Una lettera presentata alla corte afferma che un ex collega SAS e coinquilino di Nightingale, qualcuno identificato solo come «Soldato N» e che è un testimone chiave dell’accusa, affermava che il SAS era dietro la morte incidente automobilistico di Diana.
Il soldato N stava anche scontando una pena detentiva per possesso illegale di armi da fuoco nella casa che condivideva con Nightingale; la lettera in questione era stata scritta dalla suocera del Soldato N.
La sconvolgente lettera di 8 pagine – passata per la Royal Military Police, la polizia militare del Regno – affermava che il Soldato N si vantava del fatto che le forze speciali avessero assassinato la Principessa Diana. Il soldato N fu in seguito bollato come «unreliable», non affidabile. La storia pian piano si stemperò.
Nel 2008 l’inchiesta ufficiale arrivò alla conclusione che Diana e Fayed morirono per colpa di Monsieur Paul, l’autista, che era ubriaco, oltre ai diversi paparazzi le cui telecamere con flash nel tunnel avevano fatto perdere al Paul il controllo del veicolo.
Una lettera presentata alla corte scrive che tale «Soldato N» affermava che il SAS era dietro la morte incidente automobilistico di Diana
Il Paul era il responsabile della sicurezza per il lussuoso hotel Ritz-Carlton di Parigi, ma era anche stato il pilota presidenziale dell’aereo del presidente François Mitterand.
La suocera del Soldato N aveva inviato una lettera all’ufficiale in comando del Soldato N nel settembre 2011, in cui rivelava le vanterie del genero riguardo al supposto SAS killer di principesse.
Parlando della figlia ex moglie di N, la suocera scriveva che il genero alla moglie «le diceva che era stato il XXX ad organizzare la morte della principessa Diana e che è stato nascosto».
La NSA fu costretta a riconoscere di avere più di 1.000 pagine di informazioni sulla defunta principessa Diana
La principessa intercettata
Wayne Madsen sostiene che la NSA americana (l’agenzia di spionaggio dei segnali con hacking ed intercettazioni varie – quella di Snowden, per intenderci) monitorava le comunicazione di Lady D. L’idea può non essere balzana: i cosiddetti Five Eyes, cioè i servizi segreti uniti dei Paesi dell’anglosfera (USA, UK, Canada, Nuova Zelanda, Australia) usano questa tattica per spiare sui proprio cittadini: il britannico Government Communications Headquarters (GCHQ), la controparte in Albione dell’NSA, non può spiare sui cittadini del Regno, ma l’NSA, che poi ovviamente passa le informazioni a chi di dovere, sì.
Di fatto, questa è la conclusione a cui arrivò nel dicembre 2006 Lord Stevens , un ex Commissario della Polizia Metropolitana di Londra: Diana era monitorata dalla National Security Agency (NSA) al momento della sua morte.
Secondo una ricostruzione, c’entrerebbe il traffico d’armi e i alcuni segreti indicibili
Secondo la famosa trasmissione di reportage TV USA 60 minutes, nel 1999 la NSA fu costretta a riconoscere di avere più di 1.000 pagine di informazioni sulla defunta principessa Diana.
Negli anni si sono susseguite tuttavia anche altre piste.
La pista del traffico nucleare
L’assassinio potrebbe essere stato perpetrato non dall’Mi6, il servizio segreto estero di Londra, ma da agenti di altri Paesi – magari Paesi alleati.
Secondo una ricostruzione, c’entrerebbe il traffico d’armi e i alcuni segreti indicibili.
L’aver pestato qualche piede dietro alla proliferazione potrebbe aver fatto scattare la condanna a morte di Diana una condanna a morte.
Lady Diana aveva fatto del divieto delle mine terrestri la sua causa personale; girando il mondo per la sua crociata avrebbe «ottenuto informazioni dettagliate sulla proliferazione legale e illegale delle mine terrestri in tutte le loro forme, comprese quelle chimiche e nucleari» scrive WMR.
L’aver pestato qualche piede dietro alla proliferazione potrebbe aver fatto scattare la condanna a morte di Diana una condanna a morte.
Ricorderete David Kelly, esperto di armi di distruzione di massa del Ministero della Difesa Britannico – se ne parla ad abundatiam nel libro di Maurizio Blondet La strage dei genetisti.
Tre armi nucleari sudafricane sarebbero state vendute a «investitori privati» con il denaro iniziale proveniente dalle casse del governo britannico
Kelly poteva essere a conoscenza dello stesso circuito di contrabbando di armi che Diana aveva scoperto. Kelly era con probabilità consapevole della proliferazione di armi nucleari che coinvolge tre bombe atomiche sudafricane assemblate con l’aiuto di scienziati israeliani nell’impianto segreto di Pelindaba, vicino a Pretoria.
Ispettori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) che avevano visitato Pelindaba e l’Armaments Corporation of South Africa (ARMSCOR), un ente di proprietà statale, avevano invitato il mondo a credere che le armi nucleari del Sud Africa fossero state tutte smantellate dal regime bianco oramai in uscita – con la puerile e un po’ insultante scusa che ai neri, con probabilità, non volevano lasciare armi di tale potenza.
Tuttavia, tre armi nucleari sudafricane sarebbero state vendute a «investitori privati» con il denaro iniziale proveniente dalle casse del governo britannico.
Ci sono indicazioni che una delle bombe sia stata infine venduta alla Corea del Nord. Anche qui, si tratterebbe di un segreto talmente enorme, talmente inconfessabile, da garantire il principessicidio
Ci sono indicazioni che una delle bombe sia stata infine venduta alla Corea del Nord. Anche qui, si tratterebbe di un segreto talmente enorme, talmente inconfessabile, da garantire il principessicidio.
Sempre considerando, che la regina mai amò Lady Diana Spencer.
Storie di cani e cavalli
Si racconta in certi ambienti, che un giovane aristocratico nostrano aveva un giorno incontrato la regina e, con adolescente impudenza, aveva saltato ogni protocollo e rivolto una domanda direttissima alla sovrana.
Per di più si trattava proprio della domanda sbagliata, quella che chi aveva preparato l’incontro si era premurato di non fare: non parlate di Lady D.
Il nobile ragazzino sbottò impudente: «perché odiate Lady Diana», disse.
La regina reagì in modo secco: mandò via tutti, compresi, secondo questo racconto, i famigli del discolo – voleva parlare da sola con l’impudente. Così, lasciati soli, gli rispose: «Devi sapere che ci sono due cose che piacciono agli Windsor, i cani e i cavalli. E Diana purtroppo non è né un cane né un cavallo. E ora, se non ti dispiace, vorrei che portassero del tè».
La famiglia reale, e l’universo oscuro che sta dietro al suo potere, può considerarli più sacrificabili di un animale di compagnia
Vera o no che sia questa storia, si tratta esattamente di ciò che Enrico e la moglie debbono imparare: nemmeno loro non sono né cavalli né cani.
Quindi la famiglia reale, e l’universo oscuro che sta dietro al suo potere, può considerarli più sacrificabili di un animale di compagnia.
Roberto Dal Bosco
Foto di Mark Jones via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0). Modifiche di filtro e montaggio con foto di pubblico dominio
Controllo delle nascite
India, una speciale task force della polizia contro feticidi e infanticidi femminili
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
L’iniziativa in risposta all’ultimo caso di uccisione di una neonata. A denunciare la vicenda il nonno della bambina, insospettito dalla spiegazione del decesso fornita dalla figlia. Medico cattolico plaude all’iniziativa: «urgente» promuovere «valore e dignità» delle donne fin dal concepimento.
Una speciale task force contro i casi di infanticidio di bambine e di omicidio di feti femminili a Vellore. È l’iniziativa lanciata dal governo del Tamil Nadu, nel Sud dell’India, in risposta ad un recente caso di cronaca, in cui una coppia è stata arrestata in seguito alla morte della loro figlia.
Secondo la polizia distrettuale della città il 28enne Jeeva e la moglie Dayana, di 20 anni, originari del villaggio di Yeliur, nel distretto di Vellore sono stati fermati il 6 settembre scorso per aver presumibilmente avvelenato la bambina. Ad avviare l’inchiesta la denuncia presentata da Saravanan, il padre di Dayana e nonno della vittima, che si è rivolto alla locale caserma di polizia (Sho) di Veppankulam, dopo essersi insospettito sulle cause del decesso.
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Interpellato da AsiaNews il dr. Pascoal Carvalho, membro del Comitato per la vita umana dell’arcidiocesi di Delhi (Ahlc) e già membro della Pontificia accademia per la vita, plaude all’iniziativa perché è «urgente» promuovere «valore e dignità» delle donne fin dal concepimento.
Ricordando che la Chiesa l’8 settembre celebra il compleanno di Maria, madre di Gesù, egli sottolinea una volta di più l’importanza di contrastare pratiche diffuse come «infanticidio femminile e ferticidio». E ribadisce la contrarietà ai test di determinazione del sesso e gli aborti selettivi, auspicando «un cambiamento nelle coscienze» del Paese, valorizzando programmi di tutela e protezione come il «Cradle Baby Scheme» del Tamil Nadu per i bambini abbandonati.
L’ultima vicenda di cronaca è emersa grazie alla coraggiosa denuncia del nonno della piccola vittima, non convinto dal racconto della figlia secondo cui la neonata sarebbe morta dopo aver perso sangue dal naso e dalle orecchie. In seguito alle indagini, i genitori hanno ammesso di averla uccisa perché «si aspettavano che il secondo figlio fosse un maschio». Ora le forze dell’ordine hanno predisposto la formazione di una unità speciale, chiamata a indagare su tutti i casi di morte di bambine piccole registrati nell’ultimo anno nello Stato.
In passato si sono verificati diversi casi di morte di feti o di infanticidi femminili nel distretto di Vellore. Secondo le statistiche, almeno uno o due decessi per ingestione di latte (secondo la versione ufficiale) e tutti riguardavano bambine.
L’amministrazione distrettuale aveva già inviato una missiva agli ufficiali medici perché considerassero le seconde figlie come «neonati ad alto rischio» e da seguire ogni settimana per almeno un mese. Le autorità hanno anche dato direttiva a tutti gli ospedali di monitorare i progressi delle partorienti e di inviare una squadra composta da infermiere e tecnici del villaggio per controllare delle bambine.
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Il dipartimento medico dello Stato ha anche intensificato l’applicazione della legge sulle tecniche diagnostiche pre-concezionali e prenatali (PCPNDT) del 1994 per cercare di arginare i feticidi femminili.
A questo si aggiunge il giro di vite sui centri di screening illegali che venivano utilizzati per l’identificazione del sesso.
Un paio di anni fa, nel distretto di Tiruvannamalai, sempre nel Tamil Nadu, sono stati chiusi ben 22 di questi centri. Dopo che la polizia di Vellore ha registrato un caso di infanticidio femminile contro Jeeva e Dayana, la squadra speciale di polizia controllerà infine i casi di aborti e interruzioni mediche di gravidanza (MTP) dell’ultimo anno in ogni distretto.
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Controllo delle nascite
L’Ucraina accellera nel collasso demografico
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Cina
Con sempre meno nascite Pechino stoppa le adozioni internazionali
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Cominciate nel 1992 nel pieno della «politica del figlio unico», in oltre trent’anni hanno visto più di 160mila bambini e soprattutto bambine accolte da famiglie di tutto il mondo. La portavoce del ministero degli Esteri: «Adeguamento in linea con le tendenze internazionali». L’anno scorso solo 9 milioni di nuovi nati in tutta la Cina, nonostante oggi – al contrario di ieri – le autorità chiedano di avere più figli.
La Cina non invierà più bambini all’estero per l’adozione internazionale. Lo ha annunciato il governo, annullando così una serie di accordi iniziati nel 1992 – quando ancora Pechino era nel pieno della sua politica del figlio unico – e che hanno visto in più di trent’anni oltre 160mila bambini cinesi essere adottati da famiglie di tutto il mondo, la metà dei quali negli Stati Uniti secondo i dati di China’s Children International.
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Rispondendo a una domanda su una notifica in questo senso ricevuta dal dipartimento di Stato degli Stati Uniti, la portavoce ministero degli Esteri di Pechino Mao Ning ha dichiarato che il governo cinese ha «adeguato» la sua politica sulle adozioni per essere «in linea» con le tendenze internazionali.
La funzionaria ha spiegato che – a parte alcuni casi legati a parentele fino al terzo grado con persone che vivono fuori dal Paese – «la Cina non invierà più bambini all’estero per l’adozione». «Esprimiamo il nostro apprezzamento ai governi e alle famiglie straniere che desiderano adottare bambini cinesi per le loro buone intenzioni e per l’amore e la gentilezza che hanno dimostrato», ha aggiunto.
Il cambiamento delle regole arriva mentre i politici cinesi lottano per incoraggiare le giovani coppie a sposarsi e ad avere figli, per la crisi demografica sempre più evidente.
La Cina ha uno dei tassi di natalità più bassi a livello globale e sta cercando di incentivare le giovani donne ad avere figli, finora però con scarsi risultati. Le nuove nascite nella Repubblica popolare nell 2023 sono scese del 5,7% a 9,02 milioni e il tasso di natalità ha raggiunto il minimo storico di 6,39 nascite per 1.000 persone, in calo rispetto al tasso di 6,77 nascite del 2022.
A livello generale la popolazione è diminuita di 2,08 milioni, o dello 0,15%, a 1,409 miliardi nel 2023. Un dato molto superiore al calo della popolazione di 850.000 unità nel 2022, che era stato il primo dal 1961, durante la Grande carestia dell’era di Mao Zedong.
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Dal 1979 al 2015 la Cina ha attuato una rigorosa politica del figlio unico dal 1979 al 2015 per ridurre la sua popolazione. Quando le famiglie sono state limitate ad avere un solo figlio, molte avevano scelto di tenere i figli maschi e di dare le femmine in adozione.
Le «tendenze internazionali» a cui la portavoce del ministero degli Esteri di Pechino ha fatto riferimento si riferiscono alla decisone adottata a maggio dai Paesi Bassi di vietare ai propri cittadini di adottare bambini da Paesi stranieri.
Anche in Danimarca, i cittadini non potranno più adottare bambini dall’estero dopo che l’unica agenzia locale che se ne occupava ha dichiarato di voler interrompere le proprie attività.
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