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Pensiero

«Siamo ostaggi di una sinarchia totalitaria che prelude il regno dell’anticristo». Intervista di mons. Viganò al canale russo Rossija 24 TV

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Renovatio 21 pubblica il testo dell’intervista rilasciata da monsignor Carlo Maria Viganò ad Arkady Mamontov del canale televisivo russo Rossija 24. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

Secondo Lei, chi e cosa ha provocato il conflitto religioso in Ucraina?

Permettetemi innanzitutto di ringraziare Arkady Mamontov, il dottor Dmitry Toropov e la Redazione di Rossija, per avermi invitato con questa intervista. Rivolgo il mio saluto a voi tutti e ai vostri telespettatori.

 

Sappiamo, da un’analisi degli eventi, che la crisi ucraina è stata pianificata da anni, sin da prima dell’Euromaidan. A questa operazione di regime change non era ovviamente estraneo il deep state americano, per il tramite del Dipartimento di Stato e della CIA. 

 

Chi si è mosso con questa disinvoltura nell’interferire nelle questioni interne di uno Stato sovrano considerava la questione religiosa come strumentale alla destabilizzazione interna dell’Ucraina, e per ottenerla si è mosso, con largo anticipo, anche su questo fronte. Come ottenere dunque un conflitto religioso? Semplice: facendo sì che la Chiesa Ortodossa Ucraina si separasse canonicamente dalla Chiesa Russa e fosse considerata autocefala.

 

Sappiamo che nel 2018 il Dipartimento di Stato americano ha stanziato 25 milioni di dollari al Patriarca di Costantinopoli quale incentivo per il riconoscimento dell’autocefalia della Chiesa Ucraina in scisma dalla Chiesa Russa, che Bartolomeo concesse a Gennaio 2019. All’epoca il Segretario di Stato americano Mike Pompeo – con un’ingerenza nelle questioni interne alla Chiesa Ortodossa – espresse il sostegno degli Stati Uniti alla Chiesa Ucraina. 

 

 

Il Patriarcato di Costantinopoli aveva il diritto di concedere l’autocefalia alla Chiesa ortodossa ucraina non riconosciuta, nonostante esistesse una Chiesa ortodossa del Patriarcato di Mosca in Ucraina, che si occupava pastoralmente della stragrande maggioranza dei cittadini ortodossi di questo Paese?

La questione, a mio parere, non è se il Patriarcato avesse diritto di concedere l’autocefalia, ma perché lo abbia fatto.

 

Se posso fare un parallelo con la Chiesa Cattolica, mi pare che un’operazione analoga sia stata condotta da Jorge Mario Bergoglio nei riguardi delle Diocesi tedesche, in occasione del recente Sinodo sulla Sinodalità. Egli ha creato le premesse di uno scisma consentendo alle Diocesi un’autonomia in materia dottrinale e morale che esse non hanno e non possono avere, e i Vescovi di quelle Diocesi hanno approvato la benedizione delle unioni omosessuali, il conferimento di ruoli ministeriali alle donne, la legittimazione dell’ideologia LGBTQ e del gender.

 

E adesso che alcuni rari Vescovi insorgono contro queste deviazioni, la Santa Sede tace, perché era esattamente questo ciò che si prefiggeva. Stiamo assistendo a un piano eversivo, compiuto da colui che Cristo ha costituito Capo della Chiesa per confermare i fratelli nella Fede, e non per diffondere l’eresia e il vizio.

 

Ne ha il diritto? No. Hanno questo diritto i Vescovi tedeschi? No. Perché l’autorità del Papa e dei Vescovi è vincolata alla Verità insegnata da Cristo, ed è nulla non appena se ne discosta.

 

Ritengo che il Patriarca di Costantinopoli abbia agito nello stesso modo, con i medesimi scopi e ispirato dai medesimi poteri.

 

 

Non è un segreto che tutte le decisioni a Kiev vengano prese dopo consultazioni con gli Stati Uniti. Oggi stiamo assistendo a come i monaci vengono espulsi dal Kiev Pechersk Lavra – non pensa che ciò violi i principi dei diritti e delle libertà religiose che gli Stati stessi difendono?

La persecuzione da parte del governo di Kiev dei monaci, del Clero e anche dei fedeli legati al Patriarcato di Mosca, dimostra che l’operazione è di natura politica. D’altra parte, come lei stesso riconosce, le decisioni di Kiev sono prese sempre su indicazione del deep state americano. Se la questione fosse stata esclusivamente religiosa, lo Stato avrebbe dovuto tenersene fuori, come dovrebbe accadere negli Stati che si dicono «laici» e considerano Stato e Chiesa indipendenti e sovrani. 

 

Se il governo di Kiev considera la Chiesa Russa in Ucraina come un’emanazione del governo russo, con questo rivela parallelamente la convinzione che la Chiesa Ortodossa Ucraina sia a sua volta una Chiesa di Stato asservita al governo, e che per questo essa possa svolgere un ruolo di controllo dei fedeli ucraini.

 

E questo è ciò che ha fatto Pechino con l’Accordo segreto con la Santa Sede, che nomina a capo delle Diocesi Vescovi filogovernativi e comunisti, continuando impunemente la persecuzione contro i fedeli della Chiesa Cattolica Romana. 

 

 

Vengono avviati procedimenti penali contro i sacerdoti in Ucraina, alcuni di loro vengono privati della cittadinanza ucraina, le parrocchie vengono prese dagli scismatici: a cosa ci porterà tutto questo?

Questi fenomeni sono sempre avvenuti, nel corso della Storia: quando il potere civile si sente «minacciato» dal potere ecclesiastico – penso ad esempio a quanto avvenuto durante la Rivoluzione Francese e di nuovo nel 1848 in Francia e in Italia, o nella Russia comunista di Stalin, o in Messico alla fine degli anni Venti, o in Spagna negli anni Trenta – la persecuzione del Clero è uno dei primi modi con cui l’autorità civile cerca di reprimere il dissenso.

 

D’altra parte i Cristiani sono sempre stati perseguitati dai regimi totalitari, perché il Vangelo è considerato pericoloso per chi vuole sostituire la legge di Dio con la legge degli uomini. 

 

 

Potrebbe nominare gli scismi della Chiesa che sono avvenuti nella storia del mondo e a cosa hanno portato?

Citerei il caso emblematico dello scisma anglicano, che nasce non tanto da una questione teologica, ma dalla volontà di Enrico VIII di sottrarsi all’autorità spirituale del Romano Pontefice e divorziare dalla sua legittima consorte Caterina d’Aragona. Con questo atto di sopraffazione del potere temporale sul potere spirituale il sovrano inglese si dichiarava «capo supremo in terra della Chiesa d’Inghilterra», col vantaggio di appropriarsi dei beni e delle entrate sino ad allora spettanti alla Santa Sede e di controllare le nomine dei Vescovi.

 

Una simile operazione era avvenuta pochi anni prima in Germania, dove i Principi tedeschi appoggiarono l’eretico Martin Lutero non tanto perché condividessero i suoi errori dottrinali, ma perché vedevano in essi un pretesto per incamerare i beni della Chiesa.

 

Sia per la pseudoriforma protestante, sia per lo scisma anglicano, l’autorità civile si costituiva un contraltare ecclesiastico all’autorità del Papa e dei Vescovi, così da indebolirne il potere e rafforzare il proprio.

 

 

Le autorità secolari hanno il diritto di interferire negli affari della Chiesa? 

Rispondo con le parole di Cristo: Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio (Mt 22, 21). Questo precetto ci insegna che l’autorità civile e quella religiosa hanno due campi di azione ben distinti e separati: da un lato il buon governo dello Stato per la concordia dei cittadini e dall’altra il governo dei fedeli per la loro santificazione. Sono due finalità distinte, una temporale e una spirituale; ma entrambe le autorità devono avere comunque Cristo come modello: Cristo Re per i governi civili, e Cristo Pontefice per la Chiesa. 

 

La Rivoluzione – tanto quella del Liberalismo massonico quanto quella del Comunismo ateo – ha sovvertito quest’ordine sociale, ed è per questo che da due secoli – e prima ancora nella Germania divisa dall’eresia protestante – le autorità secolari hanno interferito nelle questioni della Chiesa. Ciò è dovuto all’aver fatto derivare il potere temporale dal popolo, sottraendolo a Cristo: da una parte, deificando l’individuo (come vuole l’ideologia liberale) e dall’altra deificando la collettività (come vuole l’ideologia comunista). 

 

Oggi assistiamo all’alleanza tra questi due errori – che sono teologici, oltre che filosofici e politici – nella divinizzazione dell’élite sinarchica del Nuovo Ordine Mondiale, che unisce il relativismo liberale e il liberismo economico al collettivismo socialista. E questa alleanza infernale – che in Occidente sta distruggendo il tessuto sociale e religioso delle Nazioni – è necessariamente anticristiana e anticristica, perché nega la Signoria di Cristo sui singoli e sulle società.

 

È satanica, come evidenziato recentemente dal Presidente Vladimir Putin.

 

 

Le agenzie di intelligence statunitensi cercano di controllare le organizzazioni religiose?

Non conosco quale sia il coinvolgimento dell’Amministrazione Biden e dei servizi segreti nelle vicende religiose ucraine. Sappiamo invece, dalle mail di John Podesta pubblicate negli scorsi anni, che il deep state americano ha avuto un ruolo determinante nel provocare una «rivoluzione colorata» in seno alla Chiesa Cattolica, giungendo ad auspicare un cambiamento della dottrina e della morale, da ottenersi tramite la sostituzione di Papa Benedetto XVI con un Papa progressista.

 

Ricorderete che, alla vigilia dell’abdicazione di Papa Ratzinger la lobby finanziaria globale aveva bloccato le transazioni bancarie del Vaticano, e che immediatamente dopo il 11 Febbraio 2013, il sistema SWIFT fu riattivato. L’azione del deep state fu aiutata dalla deep church, che come ammise il defunto Cardinale Godfried Danneels, allora Arcivescovo di Malines-Bruxelles, organizzò tramite la cosiddetta Mafia di San Gallo l’elezione di Bergoglio. Il quale, a differenza di Benedetto XVI, è totalmente allineato all’ideologia globalista. 

 

Non parlerei quindi di un’azione degli Stati Uniti, ma di quella parte corrotta e eversiva – che viene detta per brevità deep state – che ha preso il potere in America e in quasi tutte le Nazioni aderenti alla NATO, all’Unione Europea, all’OMS, al World Economic Forum.

 

E questo stesso argomento, a mio parere, vale anche per l’Ucraina, il cui corrotto regime – appoggiato da movimenti estremisti di chiaro stampo neonazista – si è asservito all’élite globalista per interessi personali, mentre il popolo ucraino viene mandato al macello in prima linea in una guerra che si sarebbe potuta evitare semplicemente facendo rispettare gli accordi di Minsk.

 

 

Cosa ha guidato il Patriarca Bartolomeo di Costantinopoli nel concedere l’autocefalia alla nuova Chiesa in Ucraina? Abbiamo la sensazione che stesse seguendo gli ordini del Dipartimento di Stato USA o della CIA…

Il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo è ben noto per essere totalmente asservito al disegno dell’ONU e dell’élite globalista: non è un caso che sia in ottime relazioni con Jorge Mario Bergoglio. Sappiamo bene che la sede di Costantinopoli è da tempo nelle mani della Massoneria: erano insigniti del 33° grado del Rito Massonico Antico Scozzese e Accettato tanto il Patriarca Atenagora quanto il suo predecessore Meletios Metaxakis, e in ambienti massonici si è più volte ventilato che anche Giovanni XXIII, quand’era Nunzio apostolico a Istanbul, sia stato affiliato a una Loggia.

 

Non mi stupisce quindi che Bartolomeo, obbedendo agli ordini del deep state – che controlla il Dipartimento di Stato americano e la CIA – possa aver riconosciuto l’autocefalia della Chiesa Ortodossa Ucraina non per ragioni canoniche, ma politiche; esattamente per lo stesso motivo per cui Paolo VI, nel 1964, soppresse in chiave ecumenica il Patriarcato Latino di Costantinopoli, eretto nel 1205. 

 

Ricordo che il 3 Novembre 2009 l’allora Presidente americano Barack Obama incontrò il Patriarca Bartolomeo I, per parlare di «salvaguardia dell’ambiente» e per promuovere la riapertura della scuola teologica ecumenica di Halki, in Turchia, dopo i falliti tentativi negli anni Novanta da parte di Madeleine Albright e Bill Clinton.

 

Se ho ben compreso le dinamiche interne all’Ortodossia, la Chiesa Russa costituisce per così dire la parte «tradizionalista» della compagine Ortodossa, mentre quella di Costantinopoli è «progressista», infiltrata dalla Massoneria, manovrata dal deep state e favorevole al dialogo interreligioso e perfino all’ideologia ambientalista: sembra di vedere la versione «fanariota» del Vaticano di Bergoglio. 

 

Faccio notare che il movimento ecumenico – volto a preparare l’avvento della Religione dell’Umanità auspicata dalla Massoneria – iniziò nell’Ottocento con i Protestanti e come tale fu severamente condannato dai Romani Pontefici fino al Concilio Vaticano II, per poi allargarsi negli anni Sessanta del Novecento alla Chiesa Cattolica e alla Chiesa Ortodossa, avvalendosi di massoni infiltrati ai vertici delle rispettive Gerarchie.

 

E quando parliamo della Massoneria, parliamo di élite globalista e di Nuovo Ordine Mondiale.

 

 

Qual è la sua posizione nei confronti dell’operazione militare speciale?

Credo che ciascuno di noi sia in grado di comprendere quanto è avvenuto in Ucraina negli ultimi anni, semplicemente sulla base dei fatti.

 

È un fatto che la NATO si era impegnata a non espandersi a Est; è un fatto che la rivoluzione di Euromaidan è stata condotta con il supporto del deep state americano, in particolare di Victoria Nuland e di altri suoi complici; è un fatto che il Protocollo di Minsk non è stato rispettato, e abbiamo sentito leader di spicco come l’ex-Cancelliera Angela Merkel o l’ex-Presidente francese François Hollande ammettere che lo scopo di quell’accordo era di dar tempo all’Ucraina di armarsi; è un fatto che alla vigilia dell’operazione militare speciale la Federazione Russa aveva chiesto di rispettare l’indipendenza del Lugansk e del Donetsk, assieme all’autonomia del Donbass.

 

Se il Presidente Vladimir Putin ha deciso di difendere i russofoni dalle ripetute e continue aggressioni del governo di Kiev, questo non è certo avvenuto all’improvviso. Al contrario, mi pare evidente che fosse esattamente questo che la NATO voleva ottenere, dopo oltre un decennio di provocazioni. 

 

 

Chi, secondo lei, ha provocato la guerra in Ucraina?

La guerra in Ucraina è stata pianificata sin dalla «rivoluzione colorata» del 2014, alla quale non fu estraneo nemmeno il sedicente filantropo George Soros, assieme all’intera cabala globalista. Chi ha voluto la guerra doveva da un lato sostituirsi alla Federazione Russa nella fornitura di energia alla maggior parte dei Paesi europei per poi subentrarvi con una operazione di scandalosa speculazione: il costo del gas, oggi fornito dagli Stati Uniti, è enormemente superiore a quello a cui era venduto prima del Febbraio 2022. 

 

Ma questo era strumentale a due obiettivi paralleli. Il primo era impedire un’alleanza tra le Nazioni europee e la Federazione Russa, balcanizzandola e cercando di isolarla tramite operazioni di regime change e tramite «primavere colorate», come avvenuto in Ucraina e come si è provato a fare in Georgia. Questo primo obiettivo è fallito, com’è fallito il tentativo di far cadere il Presidente Putin.

 

Al contrario, stiamo assistendo alla costituzione di un mondo multipolare, ad esempio con i BRICS, in cui la dedollarizzazione sta mettendo nell’angolo gli Stati Uniti. Ma questo processo non dovrebbe a mio parere far pagare al popolo americano le colpe di un governo eversore asservito all’élite globalista.

 

Il secondo obiettivo doveva essere la distruzione del tessuto economico dell’Europa – non solo in chiave anti-russa – per consentire che le sanzioni si ritorcessero anzitutto contro i Paesi dell’Unione Europea, indebolendoli e costringendoli forzatamente alla cosiddetta transizione green, basata sulla frode del cambiamento climatico. Ma per giungere a questo, dopo le prove generali con la farsa pandemica dei due anni precedenti, occorreva che alla Casa Bianca vi fosse un fantoccio del deep state, ed era quindi necessario estromettere il Presidente Donald Trump con la frode elettorale. Tra l’altro Joe Biden, essendo ricattabile per via degli scandali suoi e di suo figlio, aveva tutto l’interesse di nascondere il proprio coinvolgimento nei biolaboratori ucraini e forse anche negli orrori del traffico di minori per alimentare la lobby internazionale dei pedofili, della predazione di organi e il lucroso mercato delle maternità surrogate.

 

Ciò è stato possibile grazie ad un vero e proprio colpo di stato globale, condotto con la cooperazione di molti governi, i cui leader sono significativamente emissari del World Economic Forum e di altri enti privati sovranazionali, tutti gestiti da una ben identificabile cupola di eversori privi di legittimazione popolare, con l’appoggio di gruppi finanziari altrettanto identificabili. 

 

I popoli occidentali – salvo rarissime eccezioni – sono ostaggio di governanti venduti all’élite globalista, che ha come scopo l’instaurazione di una sinarchia totalitaria che prelude all’instaurazione del regno dell’Anticristo. Da questo comprendiamo anche l’odio verso Dio, verso la religione, la famiglia, la vita. 

 

 

In precedenza ha prestato servizio negli Stati Uniti. Qual è la sua impressione su questo Paese?

L’America è una Nazione relativamente giovane, se la confrontiamo con i millenni di storia di altre Nazioni. Questo implica due considerazioni, una positiva e una negativa. Quella positiva è che vi è una certa ingenuità nella coscienza del popolo, che è e rimane essenzialmente ancorato a «valori» – non li chiamerei «principi» – tradizionali: la Famiglia, la Patria, la Religione.

 

Quella negativa è che l’assenza di una solida eredità spirituale e culturale è spesso colmata da un pensiero non identitario, e spesso incline a lasciarsi contaminare dall’ideologia liberale e massonica che domina le classi dirigenti e in particolar modo la sinistra Dem. Inoltre, vi è una sorta di persuasione che l’America sia in qualche modo lo “sceriffo del mondo”, e questo si scontra con la legittima sovranità delle altre Nazioni. L’attuale crisi economica e politica provocata dal colpo di Stato del deep state potrà aiutare gli Americani a prendere coscienza della necessità di una profonda riforma interna.

 

Questa riforma sarà certamente possibile se il Presidente Donald Trump verrà rieletto e potrà liberare questa grande Nazione facendola entrare nell’alleanza multipolare dei popoli. Ancora una volta è l’autorità che deve tornare ad essere un servizio alla comunità per il bene comune, e non uno strumento di accentramento di un potere eversivo che nessuno ha eletto e nessuno vuole. 

 

 

Qual è il più rilevante principio etico degli Stati Uniti?

Questa è una domanda semplice e complessa allo stesso tempo. Direi che il principio etico degli Stati Uniti risente fortemente della mentalità protestante, che si è instaurata in America nell’Ottocento grazie appunto, come dicevo, allo strapotere della Massoneria. I Cattolici americani – e immagino anche gli Ortodossi – si sono abituati a convivere con questa idea, che si traduce in un primato dell’azione e del successo imprenditoriale rispetto al pensiero filosofico e alla cultura «non monetizzabile». 

 

Nella mentalità protestante, il successo economico è un segno di predestinazione, e come tale finisce per legittimare – come ha effettivamente fatto – anche la vessazione dei deboli, considerati «perdenti», loser, e come tali non predestinati da Dio alla salvezza. Non è un caso che la ricchezza sia concentrata nelle mani dei WASPWhite, Anglo-Saxon, Protestant – e che molti immigrati, ad esempio Irlandesi o Italiani, abbiano avuto sempre un ruolo marginale.

 

Questa tendenza conobbe un’inversione di rotta negli anni Cinquanta, quando sotto il glorioso Pontificato di Pio XII il Cattolicesimo americano conobbe un significativo risveglio e le conversioni alla Chiesa di Roma aumentarono enormemente. Purtroppo questa parentesi si chiuse con il Concilio Vaticano II, che rappresentò in qualche modo una protestantizzazione almeno parziale dei Cattolici, e diede luogo a quell’alleanza nefasta tra deep state americano e deep church, tra i cui esponenti possiamo contare personaggi politici come Joe Biden, Nancy Pelosi, John Kerry e personaggi ecclesiastici come l’ex Cardinale McCarrick, i cui «eredi» sono tuttora ben radicati nelle istituzioni ecclesiastiche. 

 

Va riconosciuto che l’apostasia della chiesa bergogliana ha aperto gli occhi a molti fedeli: stiamo assistendo, in America, al risveglio di molti Cattolici che si riconoscono nella Fede tradizionale, significativamente nel momento in cui essi sono fatti oggetto di una persecuzione congiunta della deep church e del deep state, al punto che l’FBI li tiene sotto controllo considerandoli «domestic terrorists». La situazione della Chiesa Russa in Ucraina è per certi versi speculare – ma molto più grave – a quella che ho appena descritto.

 

 

E cosa spinge i politici americani a scatenare le guerre nel mondo – Siria, Libia, Iraq, Jugoslavia, Ucraina…?

Come ho detto, si tratta di personaggi politici appartenenti al deep state, infiltrati in tutte le istituzioni dello Stato e nei media. Il loro potere è enorme, come enormi sono i loro mezzi economici, perché finanziati da gruppi di investimento potentissimi come BlackRock e Vanguard (…). Il loro obiettivo è il potere, visto che il denaro lo creano e lo possiedono già.

 

Un potere che deve diventare globale, come vediamo accadere oggi, e che per realizzarsi nel Nuovo Ordine Mondiale, richiede necessariamente la distruzione del Cristianesimo, anche di quello protestante. 

 

Vi è inoltre un’alleanza tra potere ideologico e potere economico, ossia tra chi vuole dominare il mondo per instaurare la tirannide sinarchica e chi ha come scopo il mero profitto. Per questa ragione le guerre promosse dagli Stati Uniti e dalla NATO nel corso del Novecento e di questo secolo sono state progettate in vista del governo unico mondiale e della cancellazione delle sovranità nazionali, ma sostenute da chi in quei conflitti vedeva e vede enormi opportunità per arricchirsi e per indebolire gli altri Stati.

 

Le denunce di parlamentari ucraini sulla corruzione del governo di Kiev e sull’arricchimento personale dei suoi membri – che continuano a ricevere somme esorbitanti dal traffico di armamenti e da altre attività illecite – dimostrano che coloro che ricoprono ruoli di potere nelle nazioni occidentali si trovano in gravissimo conflitto di interessi anziché tutelare i cittadini. 

 

 

Gli Stati Uniti sono un Impero del Bene?

Non credo vi siano Nazioni che possano oggi rivendicare questo titolo, e certamente non gli Stati Uniti, finché rimangono ostaggio degli eversori del deep state, dell’ideologia woke, della teoria LGBTQ e di tutte le aberrazioni che conosciamo. Certo, ogni Nazione – essendo composta da persone che possono essere buone e orientate al bene – può essere usata dalla Provvidenza di Dio per i Suoi piani. Anche l’Impero Romano, che pure perseguitò i Cristiani, creò con le sue conquiste le premesse per la diffusione del Vangelo nel mondo. Ma questo compito non è appannaggio esclusivo di una Nazione.

 

La Federazione Russa, ad esempio, si sta ponendo in questo momento come un argine al Great Reset, quantomeno nell’opporsi alla perversione dei costumi e alla corruzione dei popoli portata avanti dall’ideologia globalista. 

 

A mio parere sarebbe auspicabile che questa comune opposizione al Nuovo Ordine Mondiale fosse affrontata non accentrando il potere e riducendo i propri alleati a vassalli o a colonie, come fa la NATO, bensì riscoprendo l’importanza delle sovranità nazionali, della comune eredità cristiana, del comune patrimonio di cultura e civiltà che in duemila anni è stato promosso e reso fecondo dalla Fede in Gesù Cristo. 

 

Se i popoli riconoscono Gesù Cristo come loro Re; se le leggi delle Nazioni sono conformi ai Comandamenti di Dio e alla Legge naturale inscritta nel cuore di ogni uomo, esse non hanno bisogno di sopraffarsi, né di affermare il proprio potere sulle altre.

 

L’ordine cristiano, a prescindere dal sistema di governo che i cittadini si scelgono, è l’unico che tuteli il bene comune di tutti i popoli, recando loro la luce del vero Dio. D’altra parte, la pretesa «laicità dello Stato» si è dimostrata essere una frode, con cui si emargina il Cristianesimo dalla società per sostituirlo con la religione globalista dell’ecologismo, della cancel culture, della sostituzione etnica, della dittatura sanitaria. 

 

Credo sia questo l’approccio «multipolare» a cui si richiama spesso il Presidente Putin: rispettare l’identità e le libertà dei popoli, uniti dalla comune eredità cristiana.

 

 

Sembra che nessuno cerchi più di evitare il peccato. Il peccato sta diventando parte della norma nel mondo di oggi? Potrebbe fare degli esempi? 

Evitare il peccato implica riconoscere una norma morale trascendente, e di conseguenza un divino Legislatore. Significa, in sostanza, condurre la vita privata e pubblica nell’ambito dell’ordine soprannaturale che Dio ha stabilito. Da due secoli ormai gli Stati hanno rifiutato di riconoscere pubblicamente la Signoria di Cristo sulle società. 

 

L’Occidente cristiano si è dovuto confrontare con un processo di secolarizzazione che ha coinvolto – e visto anzi come protagonista – quella deep church che si è infiltrata sino ai vertici della Chiesa Cattolica, e che con il Concilio Vaticano II ha sostanzialmente cancellato la dottrina della Regalità Sociale di Nostro Signore, riducendo la pratica della Fede ad una questione privata, come già accaduto quattro secoli prima con l’eresia protestante.

 

Questa secolarizzazione ha avuto come esito il venir meno dell’ordine sociale che consentiva ai singoli fedeli e cittadini di vivere secondo i Comandamenti, e ha quindi favorito il dilagare dell’immoralità, del peccato, della corruzione.

 

Perché dove lo Stato non tutela la Morale pubblica, ed anzi promuove tutto ciò che è contrario alla Legge di Dio e di natura, è estremamente difficile rimanere fedeli alla pratica religiosa. E questa è l’ulteriore dimostrazione che la laicizzazione della società non aveva come scopo il garantire libertà alle religioni non cristiane, ma di scardinare l’ordine sociale e cancellare ogni retaggio cristiano non solo dalle leggi, ma anche dalla vita quotidiana. 

 

 

Qualsiasi scissione nella chiesa porta le persone ad allontanarsi da Dio. L’agenda LGBT e la legittimazione di tutto ciò che in precedenza era considerato un peccato hanno un effetto dannoso.

Non vi è dubbio che le divisioni sono opera del diavolo, principe della rivoluzione e del caos. La Santa Chiesa, come sappiamo e crediamo, è una, ossia unica, come unica è l’Arca che Cristo ha posto in terra per la salvezza degli uomini. Se il corpo ecclesiale patisce le ferite della divisione e dello scisma, ciò avviene perché il Nemico del genere umano – Satana – vuole trascinare con sé quante più anime possibile nella dannazione eterna. 

 

Separarsi dalla Santa Chiesa significa abbandonare la famiglia soprannaturale nella quale siamo stati concepiti alla Grazia, credendo di poterci difendere con mezzi umani dall’assalto furioso del Nemico. Significa credere di poter rinunciare alla verità dell’eterno Padre incarnata nel divin Figlio e vivificata dallo Spirito Santo. Ma questo è un grave peccato di orgoglio che ci rende ancora più deboli nel resistere al male. 

 

 

In Germania c’era uno slogan: la Germania soprattutto. In Ucraina, l’Ucraina è al di sopra di tutto. Non pensa che ci siano molte somiglianze? Perché l’Occidente sostiene i nazionalisti ucraini?

Deutschland über alles era una frase patriottica dell’inno dell’Impero tedesco, che poi il Nazionalsocialismo ha fatto propria in chiave ultranazionalista, conformemente a quell’eredità protestante cui accennavo poc’anzi che pone lo Stato al di sopra di tutto. Ma mentre l’Impero Austroungarico, pur essendo cattolico, riconosceva libertà ai popoli e alle culture che lo componevano – secondo i principi cristiani di buon governo – il totalitarismo nazista mirava a creare le basi ideologiche che legittimassero una supremazia etnica – quella della razza ariana – al di sopra dei popoli. 

 

Questa visione, dopo decenni di deplorazione degli eccessi del Nazismo, è oggi tornata in auge in una chiave ancor più distruttiva, perché attribuisce una superiorità morale alla “religione globalista”, all’ideologia woke, alla cancel culture, facendo sì che tutto ciò che non è conforme ai precetti di questo pensiero totalitario sia considerato eretico, e che quanti non si adeguano ad esso siano indegni di far parte del consorzio civile.

 

Non c’è da stupirsi se i principali teorizzatori di questa ideologia siano legati culturalmente e in certi casi addirittura da rapporti di parentela con gli ideologi del Nazismo. A titolo di esempio, Adolf Heusinger, capo dell’Operationsabteilung dal 1940 che aiutò Hitler nella pianificazione delle invasioni di Polonia, Norvegia, Danimarca e Francia, dal 1961 al 1964 fu presidente del Comitato della NATO a Washington.

 

E quel che maggiormente sconcerta è che questa riproposizione di principi neonazisti sia sostenuta e finanziata dal mondo askenazita, di cui sono esponenti molti leader politici e personaggi di spicco del globalismo, con l’apporto di movimenti neocon filosionisti, presenti soprattutto negli Stati Uniti e legati al deep state americano.

 

 

Cosa dovrebbero prendere in considerazione i politici quando prendono decisioni nel nostro tempo? Su cosa dovrebbero basare le loro decisioni?

Il ruolo dei politici, ieri come oggi, è di impegnarsi per il buon governo e per la difesa dei propri concittadini dal colpo di stato globalista. A ciò sono chiamati indistintamente tutti i politici di tutte le Nazioni, ma in particolare di quelle che si trovano ostaggio dell’élite eversiva del Nuovo Ordine Mondiale. Essi dovrebbero chiedersi: Cosa dirò a Cristo, quando mi troverò dinanzi a Lui per essere giudicato? 

 

Occorre – lo ripeto da tempo – che si costituisca un’Alleanza Antiglobalista che unisca tutti i popoli, con i loro leader, in un’azione di opposizione e resistenza all’instaurazione del Nuovo Ordine Mondiale, al Great Reset, all’Agenda 2030, ai suoi punti programmatici. Questa Alleanza dovrebbe avere come scopo la denuncia del colpo di stato globale e dei suoi artefici, la riappropriazione delle sovranità nazionali (ivi compresa la sovranità monetaria) e il boicottaggio sistematico di tutto ciò che erode le libertà individuali imponendo modelli e stili di vita distruttivi. 

 

È indispensabile porre un freno alla follia del gender, alla corruzione dei bambini, alla dissoluzione della famiglia, alla cancellazione della civiltà cristiana, alla schiavizzazione degli individui. Occorre parimenti che chi governa lo Stato non sia ricattato dalle lobby finanziarie o da gruppi di potere più o meno occulti, punendo con leggi severe i conflitti di interesse che rendono possibile il tradimento dei popoli.

 

Questa Alleanza sarebbe a mio parere un’ottima premessa per il ristabilimento della pace nelle Nazioni, oggi dilaniate dai conflitti causati dall’élite globalista, e potrebbe unire in questa battaglia di verità e di libertà anche i leader politici di Paesi i cui governi si dichiarano oggi nemici della Federazione Russa e dei suoi alleati. 

 

 

Perché l’umanità, nel corso della sua storia plurimillenaria, non ha imparato a vivere senza guerre?

L’umanità potrebbe e vorrebbe vivere senza guerre: il crollo del consenso popolare per i leader guerrafondai della NATO e le centinaia di manifestazioni contro la guerra in Ucraina (tra le altre) che si tengono in molti Stati europei ne sono la prova. Ma finché la guerra verrà considerata come uno strumento non per ripristinare la giustizia o difendersi da un attacco (poiché in questo caso sarebbe legittima) ma per imporre un modello distopico di società tirannica in vista del Nuovo Ordine Mondiale ai danni dei cittadini, nessuno di noi potrà sottrarvisi e ne saremo tutti vittime. 

 

(…)

 

 

Il nostro programma sarà visto sia in Russia che in Ucraina, quindi cosa vorrebbe dire in conclusione?

Come Vescovo e Successore degli Apostoli, mi rivolgo ai Russi e agli Ucraini nel nome di Gesù Cristo Re e della Tutta Santa Madre di Dio, Aiuto dei Cristiani. Pregate con fede, in questo periodo benedetto in cui celebriamo i Santi Misteri della Passione, Morte e Resurrezione del Salvatore, per implorare la pace; una pace che non può che venire da Cristo, Principe della Pace.

 

Siate consapevoli che la minaccia che incombe sul mondo viene dall’abbandono dei Comandamenti di Dio, dalla ribellione alla Legge eterna voluta dal Signore per il nostro bene e per la nostra salvezza eterna. 

 

Il Signore ha detto: Senza di me non potete fare nulla (Gv 15, 5). Pregate con fiducia, cari fratelli in Cristo: pregate la Regina della Pace, perché interceda presso il trono di Dio e implori per tutti noi la pace vera, pax Christi in regno Christi, la pace di Cristo nel regno di Cristo.

 

Pregate perché lo Spirito Santo Paraclito susciti sentimenti di verità e di giustizia nei governanti di tutte le Nazioni, portandoli ad un sussulto di dignità e di lealtà verso i loro concittadini, inducendoli a liberarsi dalla soggezione a poteri che nessuno vuole, che nessuno ha eletto, e che hanno come unico scopo cancellare Cristo dal mondo e dannare le anime che Egli ha redento col proprio Sangue.

 

Pregate perché il Signore susciti tra di voi leader onesti e coraggiosi che abbiano a cuore il bene comune, e non gli interessi dei cospiratori.

 

Ma soprattutto, cari Amici, iniziate da voi stessi: fate che il Signore regni anzitutto nei vostri cuori, nelle vostre famiglie, nelle vostre comunità.

 

Rimanete nella Grazia di Dio, perché nessuno potrà mai togliervi l’amicizia con il Signore, che è l’unico sommo Bene e che, in tutte le avversità, non vi farà mai mancare il Suo santo aiuto.

 

Gesù Cristo ha detto: Sarete miei amici, se farete quello che vi comando (Gv 15, 14).

 

Ecco: nell’obbedienza al Vangelo è custodito il segreto perché la pace regni nei vostri cuori e nella società. Il Signore vi benedica tutti.

 

 

 

 

 

Renovatio 21 offre questo testo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

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NATO e mRNA, la Von der Leyen riconfermata per l’imminente guerra transumanista

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«Intanto ci teniamo la Von der Pfizer» mi ha detto un parlamentare italiano a poche ore dalla conferma di Ursula al vertice della piramide UE. Io gli parlavo sognante del fatto che magari Kennedy finisce dentro il prossimo gabinetto Trump con mansioni di revisione sanitaria, lui mi riportava alla realtà. La Von der Leyen è ancora presidente della Commissione Europea.

 

Di fatto, è qualcosa per cui ci sarebbe da darsi i pizzicotti: i giornali, fino al giorno prima, davano per improbabile che Von der Leyen ce la facesse. Tuttavia abbiamo visto lo stesso fenomeno in Francia, dove pareva dovesse stravincere l’estrema destra, invece, tra trucchetti e giravolte, eccoti che al governo potrebbe andare l’estrema sinistra. Eccoci, dunque, in istato di choc.

 

Dicevano, e anche all’estero: deciderà Meloni. In molti gongolavano: l’Italia ago della bilancia… Costoro non solo l’hanno presa nel muso, come Giorgia, ma ignoravano pure il fatto che la prima elezione di Ursula, che stava venendo deragliata da una sanguigna manovra europarlamentare di Salvini, la si deve ad un partito italiano, il M5S, che – vero grande partito del dissenso – votò la super-intrallazzante democristiana tedesca. Se rivangate nella memoria, ricorderete che si parlava di un SMS di accorato ringraziamento mandato dalla Von der Leyen alla Trenta, allora ministro della Difesa grillino zona Link University, che conosceva l’Ursula dai tempi in cui questa era ministro omologo a Berlino.

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Sarebbe seguito l’incubo che tutti ricordiamo. Con la tedesca, cominciò a caricarsi l’Europa pandemica, l’Europa del green pass, dell’euro digitale, della crisi energetica, della guerra alla Russia.

 

Come è possibile che chiunque abbia votato – o, come Fratelli d’Italia, abbia anche solo immaginato di votare – per la riconferma dell’algida sciura germanica, non abbia tenuto conto della catastrofe multipla che rappresenta?

 

È che davvero sembrava impossibile che andasse così liscia: su tutto, pesava il fatto che pochi giorni prima la Corte di giustizia europea avesse accolto il ricorso intentato da cittadini ed eurodeputati dei Verdi contro il rifiuto opposto alla richiesta del 2021, di ottenere l’accesso ai documenti relativi ai contratti per l’acquisto di vaccini COVID da parte della Commissione Von der Leyen e Big Pharma.

 

Abbiamo pensato tutti: il messaggio è chiaro. Ursula, scansati. Ci hai, a questo punto, uno scandalo di troppo. C’era stata la storia degli SMS con il CEO di Pfizer, Albert Bourla, spariti nel nulla. Era trapelato che il Bourla, quello che ha paura di presentarsi davanti ai deputati europei, peraltro, apprezzava tanto la Ursula, perché sulla questione dei farmaci genici sembrava informata: e ci crediamo, l’aristocratico marito (padre dei suoi sette figli) è un esperto nella materia, e lavora proprio in quel campo.

 

Qui era scattato uno scandalo ulteriore, che aveva toccato anche l’Italia: ecco che nella fiumana di finanziamenti del fondo europeo PNRR, tra i progetti dell’Università di Padova spuntava fuori anche il nome del marito Heiko, della nobile casata dei Von der Leyen. Conflitto di interessi? Mah. Lui alla fine dovrebbe essersi ritirato.

 

Sono tegole che possono capitare, ma i giornalisti cominciarono a dire che si trattava di una recidiva: erano spariti messaggini anche rispetto ad una storia di appalti militari, quando era ministra della guerra della Repubblica Federale. Anche lì, non successe niente, tutto le scorre addosso come niente fosse: Ursula von der Teflon. Evidentemente, ci sono altri piani per lei. Piani altissimi.

 

La cosa ci pare evidente se rammentiamo – e forse siamo gli unici a farlo – che ad una certa sembrò che Biden voleva che, dopo lo Stoltenberg, a capo della NATO ci finisse proprio lei, l’Ursula. E pazienza per gli scandali – o forse, proprio per gli scandali era il caso che al vertice visibile della più grande macchina da guerra della storia umana ci finisse una come lei.

 

Poi niente: han fatto segretario NATO l’ex premier olandese Mark Rutte (quello dei lockdown massivi, dei cani che sbranano i manifestanti, degli spari sui trattori dei contadini, etc.). Ursula era destinata a tenersi lo scranno più alto d’Europa. Non le è andata male, anzi: lì dove è serve eccome.

 

Perché quando avanzò l’idea della Von der Leyen alla NATO – il cui quartier generale, sottolineiamo ancora una volta, sta sempre a Bruxelles – la guerra alla Russia era già bella che partita. E quindi, era già chiaro quale postura avrebbe avuto la NATO ursulina con Mosca. Lei aveva già fatto vedere tutto: round di sanzioni continue, che hanno incontrovertibilmente danneggiato più industrie e cittadini europei che non la Russia. E poi, episodi come quello in cui sembrò intimare al governo tedesco di dare alle forze ucraine «tutte le armi necessarie».

 

Ricapitoliamo: la storia di Ursula è fatta quindi di NATO, e di mRNA. Le due cose paiono indissolubili, e l’abbiamo capito nelle riflessioni che abbiamo fatto sulla geopolitica vaccinale degli anni pandemici. Un tempo c’era la cortina di ferro, ora c’è quella di RNA messaggero sintetico. Sempre ricordando che si tratta di tecnologia militare del Pentagono, l’edificio che guida il Patto Atlantico.

 

I vaccini mRNA sono essenzialmente quelli che, a livello maggioritario, sono stati consentiti, cioè inflitti, alla popolazione dei Paesi NATO ed alleati. Pfizer e Moderna sono vaccini mRNA puri, mentre AstraZeneca e Janssen, cioè Johnson&Johnson, che sono a vettore virale, hanno avuto una fetta minuscola del mercato del deltoide europeo bucato per obbligo. Abbiamo visto pure che ora AZ è stato del tutto ritirato, e pazienza per quelli che alla lotteria della siringa se lo sono beccati, e adesso magari (ammesso che abbiano coraggio o cervello, cose che nei vaccinati possono a volte drammaticamente mancare) si trovano a seguire i processi britannici sulle morti da coagulo.

 

Nei Paesi NATO, lo sapete, per qualche ragione non sono stati accettati né il vaccino russo Sputnik – un siero genico a vettore virale, quindi non diverso dall’AZ o dal J&J – né i vaccini cinesi Sinovac, che usavano invece l’antica tecnologia del virus attenuato. Nessuna vera spiegazione è stata data sul diniego opposto a questi sieri, pure in un momento in cui vi era scarsità tale che gli editorialisti del Fatto Quotidiano si segnalavano come caregiver per farsi inoculare il prima possibile.

 

C’era l’emergenza, non c’erano abbastanza dosi – ce lo ripetevano di continuo, assieme alla narrazione della tecnopozione miracolosa venuta dalla catena del freddo, talmente necessaria che l’anno dopo i vaccini cominciarono a farli tra gli ombrelloni in spiaggia, rincorrendo signore spalmate di crema solare impegnate nel cruciverba de La Settimana Enigmistica.

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Eppure i vaccini russi e cinesi no, non si potevano avere. Si ingenerò il problema di San Marino, nazione dove i solidi contatti preesistenti con la Russia (dovuti magari a qualche circuito inconfessabile messo su ai bei tempi il Partito Comunista Italiano), consentirono la distribuzione dello Sputnik, con il problema che poi i sanmarinesi, che sono materialmente italiani, non sapevano come fare usciti dai confini del Titano: dovevano iniettarsi anche un vaccino atlantico? Che effetto avrebbe fatto la mistura? All’epoca si diceva che la misture di marche diverse non si poteva fare, poi, come niente fosse, dissero che fare dosi di brand differenti si poteva, anzi magari era pure meglio. (Quante meraviglie ci riemergono…)

 

I lettori avranno capito dove voglio arrivare: esiste sulla Terra un’immensa spaccatura, partita tempo prima della guerra in Ucraina, una divisione del mondo che passava attraverso i corpi dei cittadini occidentali perfino a livello subcellulare. Se sei cittadino USA o UE, devi farti l’mRNA. Punto.

 

I lettori di Renovatio 21 sanno altresì che a questo fenomeno abbiamo tentato, soli soletti, di dare una spiegazione: la popolazione va abituata alle terapie geniche (questo di fatto è il siero, non un vaccino), che sono peraltro proprio la specializzazione del marito principe Von der Leyen.

 

La popolazione va indotta all’uso dell’mRNA, e non solo per il COVID: ogni malattia, in futuro, potrà essere curata con strumenti genetici. Ogni disturbo sarà trattato con la modifica biomolecolare dell’essere umano. Si tratta, né più né meno, dell’imposizione di un programma di transumanesimo di massa. E con la prima prova, il referendum per capire se il gregge avrebbe accettato, è andata benissimo.

 

Il cittadino europeo sarà genicamente modificato, o non sarà: il green pass significava esattamente questo. La cittadinanza, i diritti che ne derivano, sottomessi all’accettazione della propria trasformazione genetica cellulare.

 

E quindi, ci diviene più chiara la composizione del conflitto militare sul punto di deflagrare definitivamente: da una parte la Russia, dall’altra parte il mondo umanoide.

 

Da una parte una nazione che è tornata cristiana, e che valuta positivamente le altre religioni (come l’Islam, che costituisce il 15% della popolazione russa, ma stranamente non vi è anarco-tirannia musulmana delle banlieue né minaccia soverchiante del terrore jihadista); dall’altra il blocco che dell’umanità transumanizzante.

 

La guerra contro la Russia quindi, oltre che termonucleare, sarà in effetti la prima guerra transumanista della storia.

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Non perdete tempo a pensare ai giochetti di superficie dell’europolitica: sì, Ursula si è presa i voti dei Verdi promettendo chissà quale follia decrescitista climatica antiumana, ma ricordatevi sempre che i Verdi sono al momento il partito più guerrafondaio al governo in Germania. Sì, c’era una manovrina che ha tentato la sgomitante Meloni – richieste di ruoli di vice, robette così – ma del fatto che nel vero scacchiere Giorgia non contasse nulla non è che dovevamo avere dimostrazioni, altrimenti non l’avrebbero mai lasciata arrivare lì, sbarrando ovunque la strada a Salvini.

 

Quello è rumore di fondo. La realtà è che la Von der Leyen è rimasta perché c’è un lavoro da portare avanti, il grande piano da realizzare una volta per tutte: scatenare una guerra post-umana contro la Russia, e perseverare con la sottomissione – perfino biologica – della popolazione dell’Occidente.

 

È più spaventoso di quanto si riesce ad immaginare, ma va così. E quando vedete quella bella vecchina, il dolce volto diafano stile Charlotte Rampling camomillizzata, dovete capire che dietro vi è qualcosa di enorme – il programma di riforma, intima e violenta, del pianeta e dell’umanità stessa.

 

Le pallottole per Trump – a proposito: ci diranno quante erano? Sono tutte state sparate dal misterioso ragazzino sfigato? – hanno la medesima radice politica, geopolitica, metapolitica, metafisica. Il miracolo che lo ha salvato, pure è un fatto metafisico che riguarda le sorti dell’umanità intera.

 

Eppure non è ancora finita: nei prossimi mesi, giocoforza accelereranno. Perché la guerra transumanista si deve fare, costi quello che costi.

 

I signori del mondo non molleranno, e se ne fregano oramai se – tra signore controverse e presidenti dementi – non hanno nemmeno più facce nuove, o anche solo decorose, da mettere sul palco.

 

È, in verità, un gran brutto segno.

 

Roberto Dal Bosco

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Immagine di European Union, 2024 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International; immagine modificata

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Vandalizzata un’altra chiesa a Parigi

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La chiesa Notre-Dame-du-Travail, situata nel 14° arrondissement di Parigi, è stata vandalizzata nella notte tra il 14 e il 15 luglio. Sulle pareti della chiesa furono dipinte iscrizioni contro la religione cattolica e altri commenti offensivi. Un coltello è stato conficcato nella gola di una statua lignea della Vergine Maria, riferiscono diversi media.   Il sito Valeurs Actuels precisa che all’interno della chiesa c’è stata una «effrazione» e danni. Padre Vincent de Mello racconta al Journal du Dimanche che «la persona che ha aperto la chiesa la mattina ci ha avvisato: il parroco è andato subito lì, e io l’ho raggiunto più tardi nella giornata».   Aggiunge che «è stata chiamata la polizia e la chiesa è rimasta chiusa per 24 ore, mentre venivano prelevati i campioni scientifici e si svolgevano le indagini. I fatti si sono verificati nella notte tra domenica e lunedì. La persona ha avuto tutto il tempo per agire durante la notte e, non avendo una telecamera di sorveglianza, non sappiamo a che ora è iniziato».   Secondo Valeurs Actuels, «l’autore(i) è entrato dalla porta di emergenza e ha scritto con pennarello nero su diversi supporti dell’edificio: “sottomettetevi ad Allah, infedeli, la preghiera 5 volte al giorno”, e ancora “Gesù bastardo, un dio unico, allah”, oppure “questa grande Babilonia ha bruciato la chiesa, satana”, e “la chiesa qui sta bruciando prima parte”».   La litania di bestemmie e insulti – oltre che di grossolani errori di ortografia – continua: «l’ultimo profeta Maometto», «tagliata la testa a chi sorpassa / Farò guerra al mondo cristiano», «noi musulmani, noi noi non puoi accettare questa di religione/sposarsi questo è il tuo destino”, “vai all’inferno, satana brucia”».

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Gli stessi media riferiscono che, secondo una fonte della polizia, «sono state rotte anche le porte degli armadi, è stata perquisita la reception, è stato forzato un piccolo registratore di cassa e sono stati bruciati dei documenti». Alla fine, un coltello fu conficcato nella gola di una statua lignea della Vergine Maria. L’organo era «rotto» secondo Le Figaro, «anche l’impianto audio era danneggiato: tutti i relè del radiomicrofono erano strappati».   Alla fine, i criminali hanno tentato di dare fuoco all’edificio.   Padre de Mello ha detto a CNews che «sembrava l’opera di un pazzo», ma che «aveva intenzioni religiose anticristiane», ha aggiunto. Ciò sembra probabile, ma resta il fatto che questo odio anticattolico è stato alimentato da un fuoco che non è venuto dal nulla.   Non bisogna chiudere gli occhi di fronte ai violenti attacchi dello stesso Corano contro gli «associatori», cioè i cristiani che adorano la Santissima Trinità, che, per il Corano, è associare altri dei all’unico Dio. E le minacce sono chiare: «combattete gli associatori ovunque li troviate, prendeteli, assediateli, intrappolateli».  

Chiesa di Notre-Dame-du-Travail

Secondo Wikipedia, la chiesa fu costruita «per i numerosi lavoratori del 14° arrondissement che furono responsabili dell’allestimento delle esposizioni universali di Parigi all’inizio del XX secolo. Rende omaggio alla condizione lavorativa e ai significati che danno alla parola lavoro». Padre Jean-Baptiste Roger Soulange-Bodin (1861-1925) iniziò il progetto nel 1897.   «Si distingue per l’utilizzo di un innovativo telaio metallico e di un’intelaiatura di travi a vista. La sua campana fu riportata da Sebastopoli dopo la presa della città (1855) durante la Guerra di Crimea (1853-1856). Fu completato nel 1902 dall’architetto Jules-Godefroy Astruc (1862-1955)».   Le Figaro ricorda che nel 2023 sono stati registrati quasi mille atti anticristiani, di cui «il 90% sono attacchi contro proprietà, come cimiteri o chiese», hanno indicato gli uffici statistici di Place Beauvau all’inizio del 2024.   Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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Immagine di Chabe01 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
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La scuola e l’eclissi della parola. Intervento di Elisabetta Frezza al convegno presso la Camera dei Deputati

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Renovatio 21 pubblica in versione l’integrale l’intervento di Elisabetta Frezza al convegno dell’associazione Asimmetrie «La scuola artificiale. Età evolutiva ed evoluzione tecnologica» tenutosi presso la Camera dei Deputati il 10 luglio 2024 alla presenza del ministro Valditara.

 

Da qualche decennio a questa parte la scuola italiana è posseduta dal demone della innovazione: versa in uno stato di riforma permanente. È sovraccarica, ormai sfigurata, eppure chiunque passi dalle parti di quel ministero si sente in dovere di aggiungere la propria impronta senza chiedersi a quale τέλος [tèlos] essa concorra. Ammesso che un τέλος ci sia.

 

Si accenni solo a tre passaggi legislativi salienti, ex multis

 

  • nel 1997 l’autonomia scolastica ha aperto gli istituti al territorio e li ha incoraggiati ad avventurarsi in ogni genere di sperimentazione, creando per questa via un surreale clima di competizione mercatista tra le varie scuole; 

 

  • nel 2015 la cosiddetta «buona scuola», tra l’altro (tra molto altro), ha fatto delle innovazioni didattiche – qualunque fosse il loro risultato – una sorta di obbligo e un titolo per accedere alle premialità; 

 

  • nel 2019 la legge istitutiva della «nuova educazione civica» ha sfruttato quest’etichetta dal suono familiare e rassicurante per inondare l’orario curricolare di contenuti ad alto tasso ideologico (il piatto forte è l’Agenda 2030, nuovo libro sacro sui cui dogmi catechizzare, dall’asilo fino all’università, schiere di fedeli), contribuendo pesantemente a relegare la didattica delle discipline – già tanto sacrificata da attività estemporanee di ogni genere, spesso scadenti se non addirittura imbarazzanti – in uno spazio che si può a buon diritto definire residuale. 

 

Ormai fare scuola a scuola è diventata un’esperienza piuttosto eccezionale e non occorre spiegare come le continue distrazioni, anche senza entrare nel loro merito, producano l’effetto plurimo di: interrompere il ritmo didattico; immiserire i contenuti dell’insegnamento; disperdere l’attenzione in mille rivoli ciechi; contribuire alla interiorizzazione della superficialità come metodo di lavoro. 

 

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Così, lanciata alla rincorsa di magnifiche sorti e progressive, la scuola si è via via trasformata in altro da sé. Ha finito per rinunciare al suo compito specifico ed esclusivo, che è innanzitutto quello di alfabetizzare e quindi – attraverso la chiave di accesso del linguaggio – di trasmettere le conoscenze, con particolare riguardo a quelle che hanno resistito alla prova del tempo, agli invarianti; e di iniziare al sapere teoretico, che vuol dire afferrare le cause, elevarsi alle leggi, agli universali, che sono gli strumenti di comprensione della realtà. 

 

A farci caso, il modello a cui i riformatori nostrani si abbeverano parla un’altra lingua, parla inglese: skills, life long learning, cooperative learning, problem solving, peer education, gamification, job shadowing, etc. 

 

E infatti, la demolizione controllata del nostro sistema di istruzione, che aveva il grave difetto di funzionare a dovere, è avvenuta tramite l’importazione massiva dei pacchetti pedagogici anglosassoni, con tutto il loro repertorio di stilemi attraenti. Essi rappresentano una parte – non certo secondaria – di quel capillare processo di colonizzazione culturale che da tempo, in Italia, gioiosamente ci autoinfliggiamo.

 

Erano gli anni Settanta del Novecento, quando Elémire Zolla, avendo in mente proprio la pedagogia progressiva di John Dewey (definito come colui che «consigliò di aggiogare il maestro all’alunno») commentava che «gli italiani, come macilenti gatti di periferia, si ostinano a nutrirsi dei rifiuti altrui». 

 

In realtà il prodotto di importazione, presentatoci sotto il segno invincibile della innovazione, per paradosso è tutt’altro che nuovo: è vecchio di secoli. Non solo – paradosso su paradosso – si è pure dimostrato empiricamente fallimentare: la devastazione cognitiva e culturale delle scuole americane è una piaga non controvertibile.

 

La spiega con dovizia di particolari Eric Donald Hirsch nel suo saggio Le scuole di cui abbiamo bisogno e perché non le abbiamo, uscito in prima edizione nel ’96 in America e recentemente tradotto in italiano da Paolo di Remigio e Fausto Di Biase (edizioni Petite Plaisance). 

 

Il nostro legislatore quindi – o chi gli fa da scrittore ombra – continua ad attingere a una fonte tossica e a riscaldare una minestra già andata a male nel paese di origine.

 

Ma cosa contengono questi pacchetti? Sono plasmati su quell’impostazione pedagogica puerocentrica di stampo ludico-pratico e laboratoriale, che fa leva sul pragmatismo e sull’attivismo didattico, sul mito della personalizzazione e sul culto del benessere; e che, correlativamente, si nutre di un profondo pregiudizio anticognitivo, perché porta con sé l’avversione per le conoscenze teoriche, per i libri, per la scrittura, per la parola. 

 

La sua stella polare è il protagonismo dell’alunno, ritenuto capace di dare forma a se stesso (la base filosofica risale al mito dello stato di natura e del “buon selvaggio”, e della civiltà come struttura corruttrice dell’innocenza): un’idea comprensibilmente dotata di una particolare presa emotiva, tant’è che, grazie alla sua suggestione vischiosa, si è talmente incistata nella mentalità corrente da sembrare ormai inestirpabile e da impedire, come una lente deformata, di ritrovare il vero perché della scuola. 

 

Questo pregiudizio anticognitivo si sublima nella fede che l’ignoranza possa formare alunni creativi che pensano con le loro teste. Si tratta della fede che sta alla base della didattica per competenze: si crede che l’acquisizione di abilità cognitive (le famose skills) avvenga in assenza di cognizioni, vale a dire che si possa pensare criticamente un argomento senza conoscerlo. Quindi, si dovrebbe «imparare a imparare» senza imparare mai nulla (la metacognizione appesa nel vuoto cognitivo) e il senso critico nascerebbe per partenogenesi, confondendosi con l’esercizio di qualsiasi protervo vaniloquio.

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L’impeto digitale – scatenato dalla nuova superstizione che va sotto il nome di tecnolatria – è coerente con questo sistema di pensiero, dal quale è stato propiziato: la scuola 4.0 può essere ben vista come l’ultima declinazione, al passo con il progresso, della solita teoria pedagogica secondo cui il bambino, alla stregua di un cucciolo d’animale, svilupperebbe la sua mente spontaneamente e avrebbe bisogno soltanto di un ambiente attrezzato intorno a lui e di un inserviente al suo fianco.

 

La novità è che oggi questo ambiente ribattezzato «ecosistema di apprendimento» o «eduverso», o ambiente onlife (sic), tende ad abbandonare la presa sul mondo reale per popolarsi dei fantasmi di quello virtuale. E così la scuola si trasforma in una grande sala giochi in cui la tempesta di immagini sostituisce le parole, la scrittura, lo studio delle leggi della realtà. 

 

Osservata dall’altra parte (non del cliente ma del gestore), la scuola 4.0 si presenta come una distesa sterminata di materiale umano da scrutare, da sfruttare, da spolpare, da offrire in pasto alle banche dati e infine da assoggettare agli automatismi degli algoritmi delegati a predire i destini futuri dal loro impenetrabile ὀμϕαλός [onfalòs]

 

Ma, sempre da questa prospettiva puerocentrica, deriva anche dell’altro: deriva da un lato lo snaturamento della figura del docente; dall’altro l’ubriacatura dell’«utenza», cioè delle famiglie che usano del servizio che alla scuola compete. 

 

I docenti. Dovrebbero essere i promotori del sapere e invece, costretti a farsi satelliti dell’alunno e a inchinarsi alla sua singolarità sovrana, assumono il ruolo subalterno di assistenti, di animatori, di facilitatori, finiscono per degradarsi al dilettantismo psicologico e ora soprattutto informatico (il ministro Bianchi parlò apertis verbis di ri-addestramento digitale del corpo docente); mentre diventa irrilevante, paradossalmente quasi inopportuno, che conoscano bene la propria materia di insegnamento al fine di trasmetterne la sostanza, e l’amore.

 

In questo modo, fatalmente perdono autorevolezza e prestigio, vengono umiliati nella loro professionalità e marginalizzati in un contesto che non valorizza la preparazione, restano totalmente disarmati di fronte all’imbarbarimento dilagante. Nel tempo, questo trattamento li ha intimamente passivizzati.

 

I genitori. Si fanno abbagliare dagli effetti speciali esposti in vetrina (la vetrina si chiama PTOF e, grazie al regime di concorrenza di cui sopra, contiene quante più attrazioni possibili per sedurre la clientela, salire nell’indice di gradimento degli osservatori, accaparrare fondi). Alimentano così l’ipertrofia dei progetti inutili scordandosi dei fondamentali – a partire dal leggere, scrivere, far di conto – con tanti saluti al «diritto all’istruzione» dei propri figli.

 

La più parte di loro si accontenta del bel voto gonfiato, da ottenere senza fatica, senza stress e senza frustrazioni. Non comprendono – non solo loro per la verità – che la prodigalità valutativa, essendo una finzione, è non soltanto diseducativa, ma mortificante sia per il mittente sia per il destinatario.

 

Hanno recepito l’idea che la scuola debba essere ritagliata come un abito su misura addosso al loro figlio (peccato che questo cambi taglia ogni momento, perché cresce e matura, per fortuna). La personalizzazione viene spacciata urbi et orbi come un salto di qualità necessario, quando invece conduce da un lato alla paralisi didattica, dall’altro alla medicalizzazione delle fragilità – per cui qualsiasi ostacolo non è più qualcosa da superare, da vincere, per conquistare un traguardo, ma semplicemente qualcosa da rimuovere dal percorso

 

È chiaro che a queste condizioni il cosiddetto «successo formativo» non può che essere garantito. Ma a che prezzo? Al prezzo di abbassare sempre più obiettivi e risultati e di rinchiudere l’alunno nel proprio bozzolo abbandonandolo a se stesso. Con il fenomenale risultato che le sue fragilità si cronicizzeranno (ora per giunta si fisseranno algoritmicamente nella memoria indelebile delle banche dati) e le sue potenzialità, non stimolate, si deprimeranno sul nascere. 

 

È questo, oltretutto, il modo migliore – il più subdolo: si chiama «inclusione» – per rompere l’ascensore sociale, cioè per far perdere alla scuola la sua funzione essenziale di assicurare la mobilità sociale. Perché l’egualitarismo dell’ignoranza interno alla scuola si traduce fatalmente al suo esterno in differenziazione classista (Gramsci, che ci aveva visto molto lungo, parlava al proposito di divisione in caste) e lo status della famiglia di provenienza diventa più decisivo che mai per il destino degli alunni. 

 

Non sono, queste, considerazioni astratte. Chi ha a che fare con l’ambiente scolastico, sa come sia sempre più frequente che gli studenti approdino alle medie, o anche alle superiori, senza saper impugnare la penna e prendere appunti; senza riuscire a mantenere l’attenzione se non per un tempo molto fugace; senza essere in grado di afferrare periodi complessi ma, ancor prima, senza comprendere il significato delle parole che eccedano un corredo sempre più scarno. Sopravvive un solo modo verbale, l’indicativo, con giusto un paio di tempi. 

 

L’italiano della nostra tradizione letteraria sta diventando di fatto una lingua straniera: è sempre meno accessibile, a tratti del tutto incomprensibile. E non ci si riferisce all’italiano di Dante o di Machiavelli, ma a quello di Pascoli, di d’Annunzio, di Manzoni (lo lamentava, ancora negli anni ’80 del Novecento, Alfonso Traina, e chissà cosa direbbe ora). 

 

Queste debolezze strutturali, diffuse e ingravescenti, ostacolano la produzione orale e scritta, e condannano troppo spesso gli alunni al silenzio e alla pagina bianca. Con tutta la frustrazione che ne deriva.

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Lungo la china percorsa da decenni, il laboratorio della pandemia ha segnato indubbiamente un cambio di passo. Dopo l’isolamento forzato e l’esperienza devastante della DAD, alle voragini cognitive si è sommato un pregiudizio psicofisico generalizzato: gli studenti sono rientrati in aula più arrugginiti e inselvaggiti che mai, regrediti, profondamente provati dalla deformazione protratta dei ritmi della loro quotidianità, dalla immersione telematica in apnea, dalla prolungata desuetudine allo studio, dalla espropriazione di quel contesto vitale, fisico e partecipato, che la classe costituisce in modo infungibile.

 

Il rapporto UNESCO del 2023 che esamina gli «effetti avversi» della chiusura delle scuole e dell’uso assorbente delle tecnologie educative si intitola significativamente An EdTech tragedy.

 

Insomma, la cattività ha fatto da detonatore a problemi preesistenti. Ma l’esperimento è servito per incrementare, normalizzare e legittimare l’invasione selvaggia del digitale dentro un luogo che, all’opposto, avrebbe dovuto esserne preservato e semmai bonificato. Subito dopo la parentesi emergenziale, le scuole sono state inondate dei soldi del PNRR da spendere in materiale tecnologico (peraltro soggetto a rapidissima obsolescenza) in ossequio a ferree condizionalità e a una tabella di marcia incalzante – la fretta, si sa, è un espediente impareggiabile per azzerare il tempo della riflessione.

 

Dal canto loro, i più giovani hanno guadagnato un alibi istituzionale per avallare la dipendenza dal dispositivo informatico, e pazienza se questo funzioni anche da idrovora di informazioni personali, da braccialetto elettronico, da profilatore, da spacciatore continuo di spazzatura fluttuante nell’etere. 

 

Non occorrono certo studi scientifici particolari – per quanto ce ne siano a bizzeffe, e siano dirimenti – per capire ciò che è autoevidente: ovvero che le funzioni, sia fisiche sia cerebrali, appaltate precocemente a una protesi, peraltro così potente, o sono inibite a priori, oppure si atrofizzano. Peccato che si tratti di funzioni non marginali, ma letteralmente fondanti. 

 

Se già da tempo i libri di testo (ciò che ne rimane) sono sempre più zeppi di immagini (oltre che di errori) e vuoti di parole, e le poche parole sono ridotte a slogan, ora vengono sovente sostituiti dai tablet, e la penna dalla tastiera. Si perdono l’abitudine alla lettura e l’abilità della scrittura, che costituiscono la base ideale e materiale di tutta attività scolastica.

 

Non è un caso che la scrittura, insieme alla grammatica e alle lingue dotte, sia sempre stata fonte di grave imbarazzo per la pedagogia progressiva: i suoi adepti, incantati dalla modalità di apprendimento del primo linguaggio orale (poiché è vero che il bambino impara a proferire le sue prime parole spontaneamente per imitazione), restano intrappolati nell’equivoco che il linguaggio tout court si apprenda spontaneamente, per istinto e senza fatica.

 

Non è così. Già gli antichi avevano capito come il linguaggio umano si dispieghi su due livelli: quello del lessico, cioè il sistema di segni; e quello del discorso, il λόγος [logos]. I γράμματα [gràmmata] –le lettere, ciò che è scritto) sono la struttura elementare, atomica, del linguaggio, il suo elemento indivisibile: stanno dentro la voce – ἐν τῇ ϕων (en té phonè) e rendono la voce significante, intellegibile, appunto in quanto scrivibile. 

 

La scrittura è dunque un atto consapevole e volontario, che richiede esercizio, e che man mano libera il linguaggio dagli errori legati all’imitazione espandendo la sua orbita lessicale e sintattica. 

 

Oggi l’arte dello scrivere a mano – in particolare della scrittura corsiva – non è più coltivata. Insieme alla manualità fine, viene così inibita tutta la vasta gamma di attitudini che si sviluppa esercitandola, a partire dalla memoria – in russo si dice рука помнит [ruka pomnit], «la mano ricorda», per sottolineare come la mente si appropri del concetto anche attraverso il corpo, attraverso la memoria muscolare che passa per la mano. Tra l’altro, la grafia è un connotato unico e distintivo del suo autore e il toglierla di mezzo a scuola rappresenta una via maestra verso la spersonalizzazione e l’omologazione. 

 

A ben vedere, la scrittura è uno degli elementi in cui si radica la distinzione tra uomo e animale. L’argomento è stato approfondito dal prof. Agamben nel suo recente saggio La voce umana (Edizioni Quodlibet, 2023). Anche l’animale, infatti, possiede un linguaggio. Ma il linguaggio umano, a differenza di quello animale, non è un mero flusso di suoni.

 

Esso consta dell’elemento costitutivo della grafia, che lo sposta da un piano sensoriale a un altro: dal binomio voce-orecchio, a quello mano-occhio. Permette di «vedere la voce», di leggerla. Più in generale, permette di oggettivare la lingua, di articolarla e, quindi, di dominarla. Separandola da sé, l’uomo ha fatto della sua lingua uno straordinario strumento di conoscenza, proprio perché con lo scritto può lasciare traccia di sé: può fissare il suo messaggio e, fissandolo, può tramandarlo.

 

Alla luce di questi pur sommari rilievi, non si può non pensare a quali ricadute abbia il togliere di mezzo a scuola il magistero e l’esperienza della scrittura, la consuetudine col segno e con il processo di astrazione che al segno è collegato; e l’esercizio della parola, che è simbolo – da συμβάλλω [symbàllo], «unisco» – , ciò che appunto unisce l’uomo sia alla cosa significata, sia ai suoi simili coi quali la condivide.

 

Il danno che si causa negando tutto questo si misura anche se si considera come tanto per l’apprendimento della lingua materna quanto per quello del linguaggio matematico (è dimostrato chei due sono intimamente correlati) esista una finestra temporale di opportunità, un periodo dentro il quale la natura ha posto una particolare sensibilità a fissare i segni e i suoni, ovvero le parole e la musicalità della lingua, a stamparli nella memoria. Passata questa fase, diventa difficile recuperare il terreno perduto.

 

E ancora, a proposito di lingua madre – e della acquisizione graduale della capacità di dominarla, di modularla, di distinguerne i diversi registri, di scoprire in ogni lemma uno scrigno di senso e di saperci mettere mano –, si pensi per contrasto alla moda del CLIL (che consiste nell’insegnamento in inglese delle materie diverse dall’inglese), una metodologia introdotta dalla «buona scuola» e oggi spinta con valanghe di denaro dal PNRR insieme all’alluvione digitale. Essa rappresenta uno straordinario veicolo di erosione della nostra lingua (e della civiltà che vive dentro la sua lingua) e un micidiale strumento di colonizzazione linguistica: costituisce un avallo alla superficialità e approssimazione espositiva e, di riflesso, contenutistica. È la rivincita del maccheronismo.

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Si diceva anche del fattore tempo, nel senso che ogni tipo di apprendimento ha il suo momento ideale. Ma non solo. Ogni apprendimento richiede un congruo tempo di assimilazione: la strada lenta e paziente della formazione non ammette troppe scorciatoie. Sempre per contrasto, si pensi allora all’altra moda della riduzione a quattro anni delle scuole superiori, come se ciò che si è sempre studiato in cinque anni, integrandosi peraltro a un percorso di crescita e maturazione complessive, possa essere strizzato e ingurgitato in quattro. Un po’ come la storia del letto di Procuste. 

 

C’è un simpatico passaggio di Proclo, che è la fonte principale su cui si fonda la storiografia di Euclide: è Proclo a collocare Euclide al tempo del primo Tolomeo e a dirci che fu discepolo di seconda generazione di Platone. Egli, nel suo Commento a Euclide (II, 68) scrive: «…si racconta che Tolomeo una volta gli chiese (chiese a Euclide, ndr) se non ci fosse una via più breve degli Elementi per apprendere la geometria; ed egli rispose che per la geometria non esistevano vie fatte per i re». 

 

Anche la matematica è un linguaggio che si nutre di segni, di scrittura, di parole, di astrazione. 

 

Oggi l’enfasi sugli STEM implica, e allo stesso tempo induce, una contrapposizione del tutto pretestuosa tra materie scientifiche e materie umanistiche; nell’orizzonte pedagogico asfittico di cui si è detto finora, la matematica, la fisica e le scienze sono degradate a mera pratica laboratoriale e sottratte all’astrazione e alla teoria; quando invece – non meno della filologia o della storia – sono anch’esse forme del contegno teoretico.

 

Fausto Di Biase, che è un matematico, spiega: «Avere abbandonato lo studio serio della geometria euclidea e avere giovani immersi nella dimensione puramente visuale a discapito di quella simbolica e verbale, a discapito in particolare del ragionamento ipotetico deduttivo che esige il rigore della dimostrazione, ecco, tutto questo già significa essere “anti-matematici”». 

 

Abolendo la prospettiva storica dei saperi, si recidono le radici, indissolubilmente intrecciate, della matematica e della filosofia, delle scienze, dell’arte e della letteratura; radici che affondano nello stesso humus, fertile e geniale, nel quale vissero Pitagora, Anassimandro, Platone, Euclide, Archimede.

 

Esiste quindi un legame inscindibile tra linguaggio e pensiero, tra categorie grammaticali e categorie logico-filosofiche. La stessa matematica, come si è visto, è impensabile al di fuori del linguaggio e di categorie logico-filosofiche. E le nostre strutture grammaticali – sempre per via di quelle ascendenze – riprendono la terminologia aristotelica: per noi, cioè, l’alfabeto del pensiero sono le categorie della lingua greca. 

 

Non è un caso che da tempo si cerchi di uccidere il liceo classico, dipinto come una sorta di monumento all’inutilità da svecchiare e professionalizzare con curvature fantasiose e altre improbabili trovate. Ce la faranno, probabilmente, ad ammazzarlo. Il colpo di grazia sarà inferto dall’orientamento vincolante, prossima barbara frontiera, semplicemente perché non vi si orienterà più nessuno, e così morirà per asfissia. 

 

Perché sarebbe un delitto? Perché il liceo classico possiede l’esclusiva dello studio della lingua greca, chiave di accesso a un deposito di pensiero e di sapere irrinunciabile. Al miracolo compiuto dai greci noi dobbiamo non soltanto modelli letterari eterni, ma anche la matematica sistematizzata da Euclide, la scienza della natura dell’epoca l’ellenistica, la filosofia di Platone e di Aristotele. Senza contare che oggi, nemmeno ce ne rendiamo conto ma nel linguaggio quotidiano parliamo greco (oltre che latino) e saper risalire all’etimo delle parole è ciò che permette di usarle comprendendo cosa davvero le abita – ἔτυμος [ètymos] significa «vero, reale».

 

Un esempio tra gli innumeri che si potrebbero fare, giusto per rimanere in tema: il ramo della scienza che si occupa dello studio e della fabbricazione degli strumenti magici capaci di scimmiottare alcune funzioni del cervello umano, è detto «cibernetica». Il κυβερνήτης [kybernètes] è il timoniere. La κυβερνητική τέχνη [kybernetiché tèchne] è l’arte di governare la nave.

 

È il greco a dirci che abbiamo a che fare con un fenomeno di sostituzione al timone della nostra nave: che stiamo cedendo questo timone a una guida aliena, meccanica, che erode la nostra libertà di decidere la rotta, intacca il nostro libero arbitrio, orienta e condiziona la nostra vita nella logica di un controllo sempre più penetrante e pervasivo. 

 

Ecco perché il primo dei servizi che la scuola dovrebbe onorare, a maggior ragione di fronte all’irruzione di tecnologie tanto sofisticate e invadenti (di fronte al sempre più aggressivo non-pensiero algoritmico), è proprio quello di coltivare il linguaggio, chiave di accesso a un patrimonio inestimabile (e indisponibile) di scienza, arte, letteratura, che non va certo ascritto semplicisticamente alla categoria del passato, bensì a quella del durevole, dell’eterno. 

 

Senza la parola infatti non c’è comunicazione, col suo valore catartico: sapersi esprimere e saper comprendere gli altri è ciò che permette di uscire dal proprio guscio autoreferenziale superando la limitatezza e l’istintività della propria esperienza contingente. 

 

Ma, prima ancora, senza la parola non c’è ragionamento. Nello sforzo di parlare, di leggere, di scrivere, cova il seme della libertà – dove libertà è il sapersi emancipare da visioni settarie e parziali, imposte ab extra, per imparare ad analizzare e interpretare autonomamente la realtà. 

 

Oggi, al contrario, la scuola fornisce contenuti ideologici preconfezionati, oltretutto prescrittivi: tende a imporre stili di vita e modi di pensare conformi, impartisce lezioncine morali sottoforma di educazioni omologate. Si fa ripetitore dei media, appropriandosi degli stessi slogan, della stessa iconografia, degli stessi codici corrivi. Così, oltre a svuotarsi dei contenuti fondamentali, imbocca una preoccupante deriva autoritaria.

 

Solo recuperando la sua sostanza culturale attraverso l’uso della parola vera, della parola che mantiene la presa sulla realtà che designa (e che è il contrario esatto della barbarie degli slogan), la scuola può tornare a essere vivaio e palestra di libertà, e può restituire ai più giovani, insieme alla cognizione della realtà e insieme al senso delle dimensioni che servono a prendere le misure della realtà – comprese l’altezza, la profondità, la distanza – anche una solidità interiore andata quasi completamente distrutta. Perché, al contrario di ciò che affermano tanti melensi luoghi comuni, l’incapacità della scuola di abituare i giovani a un lavoro impegnativo e sensato esaspera la loro fragilità psicologica.


Il professor Agamben, in un suo articolo del 2023 (intitolato Virgole e fiamme), scrisse tra l’altro: «Gli uomini hanno nel linguaggio la loro dimora vitale e se pensano e agiscono male, è perché è innanzitutto viziato il rapporto con la loro lingua. Noi viviamo da tempo in una lingua impoverita e devastata, […] ridotta a un piccolo numero di frasi fatte; il vocabolario non è mai stato così stretto e consunto, il frasario dei media impone ovunque la sua miserabile norma, nelle aule universitarie si tengono lezioni in cattivo inglese su Dante: come pretendere in simili condizioni che qualcuno riesca a formulare un pensiero corretto e ad agire in conseguenza con probità e avvedutezza? Nemmeno stupisce che chi maneggia una simile lingua abbia perso ogni consapevolezza del rapporto tra lingua e verità e creda pertanto di poter usare secondo il suo tristo profitto parole che non corrispondono più ad alcuna realtà…».

 

Infine, non si può non citare l’attacco del Vangelo di San Giovanni: «Ἐν ἀρχῇ ἦν ὁ λόγος, καὶ ὁ λόγος ἦν πρὸς τὸν θεόν, καὶ θεὸς ἦν ὁ λόγος…» («In principio era il Logos, ed il Logos era presso Dio, ed il Logos era Dio…»).

 

E più avanti: «…Καὶ ὁ λόγος σὰρξ ἐγένετο καὶ ἐσκήνωσεν ἐν ἡμῖν…» («e il Logos si fece carne, e venne ad abitare (lett: piantò la sua tenda) in mezzo a noi…». 

 

Per dire che la profondità di quanto sta accadendo sotto i nostri occhi – qualcosa di clamorosamente sottostimato e colpevolmente non indagato – è tale da intaccare il nucleo duro della natura dell’uomo, la cifra stessa dell’umano. 

 

Ecco perché non possiamo rassegnarci alla sostituzione alla guida della nostra nave, ma abbiamo il dovere assoluto di attrezzarci, e di attrezzare chi ci succede, per restare ciberneti di noi stessi e custodire il fuoco – che è il logos, la parola, il simbolo. 

 

I nostri figli, al traino della macchina e immersi nel fumo degli slogan incantatori, rischiano di perdere definitivamente l’accesso al tesoro sedimentato lungo un passato grande e maestro. Ma solo da qui può scaturire un futuro dove ancora brillino la luce della conoscenza e la forza della ragione.

 

Per elevare ad maiora, verso cose più grandi, chi avrà l’onore e l’onere di viverlo.

 

Elisabetta Frezza

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