Maternità
Riduzione del seno: se amputarsi le tette diventa una questione femminista
Molti conoscono il caso di Angeline Jolie, che si fece asportare il seno preventivamente: disponendo della mutazione famoso gene BRCA1, quella che teoricamente porterebbe a maggiori possibilità di cancro alle mammelle, la diva anni nel 2013 diede ampia pubblicità alla doppia mastectomia preventiva.
Il trend è ora in aumento. Secondo le cronache, tantissime giovani sotto i 30 anni con casi di tumori al seno in famiglia si rivolgono al chirurgo per tagliare via le mammelle.
Tuttavia, questa molto discutibile pratica medica di amputazione non è l’unico motivo per cui la chirurgia sta mutilando a tante donne l’organo dell’allattamento e della femminilità.
Il New York Times lo scorso mese ha mandato in stampa un lungo articolo intitolato «La questione femminista della riduzione del seno».
L’autrice è una giovane che si fa raffigurare in canotta, con un seno piuttosto prosperoso e nessun reggiseno ad occultare i capezzoli che premono sul tessuto tra tatuaggi a caso. La didascalia ci informa tuttavia che la foto è scattata dopo l’operazione di riduzione del seno.
Perché l’articolista ha optato per intervenire chirurgicamente per diminuirsi le tette? Beh, viene raccontata una storia piuttosto triste.
«Ero una ragazza sicura di sé e atletica (…) Poi è arrivato il mio seno: enorme, pesante e primo tra i miei coetanei. Hanno segnato il prima e il dopo del mio corpo, cosa significava nel mondo delle persone e cosa significava per me».
«La mia trasformazione mi ha inibito sia fisicamente che socialmente. Non potevo più correre, in parte perché era scomodo (…) ma anche perché non potevo essere visto correre. Ho smesso di fare sport, ho smesso del tutto di giocare all’aperto. Peggio ancora, sono stata perseguitata dai ragazzi e detestato dalle ragazze e presto ho sviluppato la reputazione di puttana. All’inizio, ciò era dovuto esclusivamente al mio seno, ma è peggiorato quando ho ceduto con riluttanza ai ragazzi che volevano toccarli. L’attenzione sessuale poteva essere allettante, ma lo spettro del piacere era un miraggio (…) ho acconsentito ad atti che mi hanno sopraffatto e sono stata incessantemente molestata a scuola».
Un seno enorme e desiderato da tutti, una vera maledizione. Al contempo, un grimaldello infallibile per il focus altrui.
«Nei successivi 25 anni, il mio seno ha attirato attenzioni che altrimenti non avrei ricevuto. Come un faro sessuale, segnalavano agli uomini ovunque».
Purtroppo però, l’autrice confessa di aver «sempre saputo di essere queer e ho iniziato a frequentare donne da adolescente». Queer non abbiamo mai capito bene cosa significhi, dovrebbe essere la Q in LGBTQ. Arrotondiamo, per nostra ignoranza, nel dire che in questo caso si tratta di qualcosa di vicino al lesbismo (ma non ne siamo sicuri).
L’autrice, confessando di preferire partner femminili, aggiunge però un commento oscuro: «mentre trovavo rifugio in queste relazioni intime, vivevo ancora nel mondo degli uomini e le dimensioni del mio seno significavano che il mio corpo era loro per lo sguardo, il commento, l’afferramento e il feticismo».
Insomma, la maledizione continua. Anche perché, pare di capire, il «mondo degli uomini», notoriamente e misteriosamente attratti dalle tette, non era stato ancora abbandonato.
Ecco quindi che scatta il primo cortocircuito femminista: «per la maggior parte della mia vita, ho voluto disperatamente che il mio corpo fosse diverso, e ho anche inteso l’ossessione come un difetto, come un fallimento per essere una vera femminista».
Se hai le tette grosse, non puoi davvero essere una vera femminista. Ma in realtà bisogna cercare comprensione anche lì.
«Ho pensato che dovevo accettare il mio corpo, amare il mio corpo e trovarlo bello, per respingere con successo il messaggio interiorizzato della cultura patriarcale».
Eccoci: le tette come «messaggio interiorizzato della cultura patriarcale». Le tette, oscene Quisling del corpo femminile, sono chiaramente complici del patriarcato. Perché i patriarchi, notoriamente e misteriosamente, per lo più adorano le tette (non tutti, per qualche oscuro motivo).
È stato duro, per la femminista, cercare la via del bisturi.« La più importante teorica femminista contemporanea sull’argomento, in un articolo del 1991 sulla rivista Hypatia, che la chirurgia estetica fosse “considerata come una forma estrema di misoginia medica, che produce e riproduce i temi culturali perniciosi e pervasivi della femminilità carente”».
La chirurgia estetica è patriarcale, in sé. «La donna che ha ceduto al desiderio di commettere una tale violenza sul proprio corpo era una “droga culturale”, afflitta da falsa coscienza, credendo di aver fatto una scelta personale mentre in realtà si arrendeva a un sistema che controlla e opprime le donne».
Quelle che si aumentano il seno o si botoxano lo fronte, insomma, sono delle tossiche schiave dei maschi.
L’autrice maggiorata quindi parla del tentennamento nei confronti del chirurgo estetico: « quando avevo vent’anni, le uniche persone che sapevo che l’avevano fatto erano amiche che lavoravano nell’industria del sesso, per i quali sembrava un investimento professionale piuttosto che personale».
Un attimo… cosa significa «amiche che lavoravano nell’industria del sesso»? Prostitute? Attrici porno? In che senso «amiche»?
Dopo discussione con la «moglie», l’autrice si decide infine per l’intervento.
L’esperienza è descritta con toni mistici: «nella sala operatoria il corpo è sacro solo al suo abitante. Mi è venuta addosso di soppiatto, la strana sensazione di sacralità, mentre il mio chirurgo mi ha stretto, misurato e scarabocchiato sul seno con un pennarello la mattina del mio intervento».
Strana «sacralità del corpo», che si esprime nella sua mutilazione. Tuttavia, sul versante tecnico-organolettico dell’esperienza, «La mattina del mio intervento chirurgico al seno, ero felice di non dover vedere le mie parti scartate gettate nella spazzatura».
La questione femminista rimane:
«Nonostante la considerazione dell’esperienza vissuta dalle donne con la chirurgia estetica, la teoria femminista la considera ancora in gran parte problematica, un modo per scambiare una sofferenza terribile con una sofferenza meno terribile: la scelta è quella di continuare a vivere in un corpo che si sente insopportabile o di subire un aborrente violenza. Il presupposto è che nessuno sceglierebbe la violenza fisica se non per alleviare sofferenze insopportabili».
«Questo semplicemente non è vero» realizza la fanciulla ex-gigantomastica, rivelando d’improvviso cose inaspettate. «Lo dico non solo come ex dominatrix professionista, ma come persona che ha capito da tempo che la maggior parte delle forme di guarigione include il dolore e molte includono la violenza».
Piano, piano, scusate, un secondo.
Cosa è una dominatrix professionista? Apprendiamo dall’enciclopedia online che una «dominatrice», detta anche «padrona», è una donna che nelle pratiche sadomasochiste interpreta il ruolo dominante.
Cioè: quella con il corpetto nero, il frustino che schiocca, magari una maschera di lattice i tacchi a spillo con cui eseguire crudeltà indicibili.
«Riveste invece una certa diffusione il fenomeno delle Prodomme» scrive Wikipedia, «ovvero di donne che esercitano professionalmente il ruolo di padrona, spesso all’interno di un dungeon [sotterraneo, ndr] ben attrezzato, percependo denaro come profitto della propria attività. Tali rapporti, quando consistono in uno scambio tra prestazione sessuale e denaro, vengono inquadrati nell’ambito della prostituzione».
Quindi, una dominatrice professionista è…
Ma quindi, con quel seno pazzescamente problematico, è possibile dire che l’autrice del pezzo ci abbia «lavorato»? Che abbia in qualche modo contribuito ai suoi guadagni?
Insomma, seguite la linea: palpamenti e pentimenti, femminismo, omosessualismo, sadomasochismo «professionale», amputazione delle mammelle. Il quadro è questo.
E noi, in tutto questo, cosa cosa ci vediamo?
La mortificazione assoluta dell’essere femmina, dell’essere donna. La mutilazione di organi della maternità: alla fine finiamo sempre là, all’attacco alla donna generatrice della vita, custode del genere umano.
Fateci caso: i cristiani, di solito non sempre comprensivi riguardo alle nudità, per millenni non hanno avuto problemi a raffigurare l’allattamento di Gesù dal seno di Maria. Ciò rimane, anche se sempre più in difficoltà, anche nella vita reale: se una madre si mette a bordo della strada ad allattare, nessuno si scandalizzava, fino a poco tempo fa. Si scandalizzava se qualcuno le urlava che stava facendo una cosa indecente.
Ma quale indecenza? La funzione del seno è, per la continuazione dell’umanità, per la legge naturale, davvero sacra.
Qui invece, per blasfema perversione nosocomiale, diviene «sacra» la sua riduzione chirurgica. Perché l’ora presente santifica cioè che distrugge i sessi biologici e la riproduzione naturale.
Ecco, in tutta questa storia ci vediamo un paragrafo poco considerato dell’azione della Necrocultura: la guerra del mondo moderno contro le tette.
Bioetica
Feto sorride dopo aver sentito la voce del papà durante l’ecografia
Un video virale di una bambina ancora nel ventre materno che reagisce alla voce del padre mette in luce la bellezza assoluta della riproduzione naturale umana.
Il video caricato dal giornale neoeboraceno New York Post, mostra una bambina non nata di 32 settimane sorridere quando sente il padre parlarle durante un’ecografia in un ospedale di Xanxere, in Brasile.
‘Fearfully and wonderfully made’ | Unborn baby smiles after hearing dad’s voice during ultrasound
READ MORE HERE: https://t.co/somWYFc1LH#abortion #ProLife #Unborn #ChooseLife #life pic.twitter.com/6y7AlRDwBN
— LifeSiteNews (@LifeSite) October 2, 2024
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I bambini non nati , che sono persone umane dal momento del concepimento, possono iniziare a sentire i suoni all’interno del corpo della madre a circa 18 settimane. Entro le 27-29 settimane, i bambini possono sentire voci esterne al corpo della madre, come la sua voce e le voci di chi le sta intorno.
Infatti, se il padre parla al suo bambino nel grembo materno, il bambino spesso riesce a riconoscere la sua voce quando nasce. La ricerca ha dimostrato che i bambini non ancora nati possono iniziare a riconoscere la voce del padre già a 32 settimane.
«Il bambino sicuramente ascolta se la famiglia parla a casa… e inizieranno a identificarli», ha spiegato il medico che ha eseguito l’ecografia a Xanxere.
Come scrive LifeSite, il video, caricato il 12 agosto, non solo dimostra l’umanità dei bambini non ancora nati, ma anche la gioia che portano a tutti coloro che li circondano, mentre la stanza si riempie di risate quando la bambina sorride nel grembo materno.
«Fatto in modo meraviglioso e meraviglioso», ha commentato un utente sotto il video. «Chiunque dica che non è un essere umano, non è umano lui stesso», ha scritto un altro utente.
Femministe, abortisti, mostri vari: fatevi avanti, e diteci che non esiste dialogo tra il feto e la madre – e il padre! –, diteci che quello è un ammasso di cellule di cui potete decidere la morte a piacimento.
Diteci che questo non è un essere umano.
Chi ha programmato l’introduzione dell’aborto nella società lo sa perfettamente: ed è proprio per questo che il suo sacrificio – il sacrificio umano – è divenuto così centrale per lo Stato moderno.
Maledetto, assassino sin dal principio!
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Immagine screenshot da Twitter
Controllo delle nascite
India, una speciale task force della polizia contro feticidi e infanticidi femminili
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Alimentazione
La dieta delle donne incinte influisce sulle caratteristiche facciali dei loro figli: studio
Un recente studio pubblicato su Nature Communications suggerisce che la dieta di una madre durante la gravidanza è un fattore significativo nel modo in cui si modellano i tratti del viso a causa di una complessa danza tra l’espressione genetica e la quantità di proteine che ingerisce nel mentre il feto sta nel ventre materno.
Un team internazionale di scienziati è giunto a questa conclusione raccogliendo e trascrivendo i geni responsabili della formazione del viso umano, identificando da questo gruppo i complessi proteici chiamati mTORC1 che, secondo loro, potrebbero delineare le caratteristiche del viso.
Per vedere se il percorso mTORC1 influenza effettivamente i tratti somatici, gli scienziati hanno preso topi e pesci zebra geneticamente modificati dove potevano monitorare l’attività di mTORC1 e li hanno nutriti con diete diverse.
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Da lì, hanno scoperto che una dieta ricca di proteine influenzava l’attività di mTORC1 portando a caratteristiche facciali più prominenti, mentre le diete a basso contenuto proteico portavano a caratteristiche facciali più piccole. In sintesi, hanno scritto, l’assunzione di proteine materiali è correlata a «cambiamenti sottili ma distinti nella forma craniofacciale degli embrioni».
«Questa capacità del percorso mTORC1 di modulare la modellatura del viso, insieme alla sua conservazione evolutiva e alla capacità di percepire gli stimoli esterni, in particolare gli aminoacidi alimentari, indicano che il percorso mTORC1 può svolgere un ruolo nella plasticità fenotipica del viso» scrive il paper.
«In sintesi, abbiamo dimostrato qui che la via mTORC1 modula la modellatura embrionale degli elementi scheletrici craniofacciali allo stadio di condensazioni condrogeniche, con successiva messa a punto durante l’intercalazione dei condro-progenitori. Inoltre, forniamo prove di un impatto dell’assunzione di proteine materne durante la gravidanza sulla formazione della cartilagine craniofacciale fetale. Questi risultati forniscono importanti informazioni sui meccanismi alla base della modellatura craniofacciale e, potenzialmente, anche sulla plasticità fenotipica di questo processo e, inoltre, aiutano a chiarire il ruolo delle proteine alimentari materiali durante la gravidanza in questo contesto».
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La dieta della madre durante la gravidanza svolge risaputamente un ruolo nell’aspetto dei bambini, come indica il problema dell’assunzione di alcol durante la gravidanza, ciò può portare alla nascita di bambini con determinate caratteristiche che indicano la cosiddetta «sindrome alcolica fetale». Anche il fumo prima o dopo il concepimento è stato collegato ad uno sviluppo embrionale ritardato.
Come riportato da Renovatio 21, diversi studi in questi anni hanno portato l’attenzione anche sull’assunzione di farmaci che possono danneggiare i nascituri, come l’ibuprofene (che assunto all’inizio della gravidanza potrebbe interferire con la futura fertilità delle figlie) e soprattutto gli antidepressivi, con riguardo per le benziodiazepine (Xanax, Valium), che secondo studi aumenterebbero il rischio di gravidanze ectopiche.
Avvertimenti sono stati fatti nei confronti degli effetti sulle gravidanze dei nuovi farmaci dimagranti. Un comune farmaco antidiabetico è stato collegato due anni fa a difetti alla nascita.
In America si assiste peraltro al tristissimo fenomeno dell’aumento delle overdosi di droga tra le donne incinte.
Quest’anno è emerso altresì che l’esposizione al glifosato durante la gravidanza può far aumentare il rischio di ridotta funzionalità cerebrale del bambino.
Come riportato da Renovatio 21, i nuovi vaccini RSV sono stati correlati alle nascite premature, mentre attivisti come la scrittrice Naomi Wolf sono arrivati a ritenere che i vaccini mRNA abbiano possibilmente un vero e proprio effetto feticida. Due anni fa un parlamentare della provincia dell’Ontario, in Canada, chiese conto del boom di bambini di madri vaccinate nati morti.
Come noto, i test per i vaccini COVID sulle donne incinte sono stati iniziati solo dopo che il programma di vaccinazione universale era stato fatto partire includendo pure le donne in dolce attesa.
Tre anni fa gli scienziati rilevarono nel corpo delle donne gravide sostanze chimiche indecifrabili.
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