Pensiero
Betlemme e l’annientamento dell’uomo
Presi dalle mille incombenze reali e dalle mille connessioni virtuali di tante giornate qualunque in cui sono gli eventi a trascinare la vita – o un suo simulacro – da qualche lustro a questa parte siamo come svuotati: immersi in un tempo deforme, alterato dalle interferenze costanti di una frenesia, gabellata per efficienza, che ha interrotto il flusso del pensiero e annichilita ogni riflessione. Appiattito ogni anelito spirituale.
Eppure oggi più di ieri sentiamo il peso opprimente di un cielo sempre più gonfio sopra di noi: sopra il brulichio di cose, di fatti e persone intrappolate in un ingranaggio che solo in apparenza procede uguale a se stesso, tra scosse intermittenti di gioie e dolori, bassezze e nobiltà; e invece sta facendo velocemente la muta, com’era in programma che fosse e come puntualmente si è verificato, senza significative resistenze, nella grande casa degli struzzi ammaestrati. Chi osi estrarre la testa dalla sabbia, e guardarsi intorno, è segnalato alle guardie e bandito dal “consesso civile” – o dallo zoo, a seconda dei punti di vista. Potenza dell’«inclusione».
È evidente che stiamo assistendo in presa diretta alla realizzazione di un radicale cambio di paradigma. Era tutto scritto nelle agende con tanto di data in copertina, tutto preparato nel dettaglio, e pure strombazzato in tivvù; ma vederlo squadernarsi sotto i nostri occhi e sulla nostra pelle non può non suscitare qualche domanda, tipo: cosa ho fatto io per trovarmi, impreparato, ad uno svincolo della storia così decisivo? Perché proprio a me?
Da qualche parte, qualcuno ha deciso che l’uomo va annientato velocemente e ha capito che, per farlo in modo perfetto, con un lavoro pulito, gli va prima aspirata la sua umanità. Non è un piano originale, è un piano antico come il mondo, e segue sempre i soliti schemi. Solo, portato alle estreme conseguenze cibernetiche e mediatiche – come progresso consente – fa davvero impressione. Perché si vedono all’opera individui che, disumanizzati e quindi sfigurati persino fisiognomicamente, diventano lupi a se stessi, e infieriscono senza pietà ovunque scorgano un varco per l’esercizio di un qualsivoglia potere estemporaneo sui propri simili non allineati. È l’ebbrezza del sopruso a scatenarsi laddove il cuore non batte più.
«E se un giorno gli storici indagheranno su quello che è successo sotto la copertura della pandemia, risulterà, io credo, che la nostra società non aveva forse mai raggiunto un grado così estremo di efferatezza, di irresponsabilità e, insieme, di disfacimento. Ho usato a ragione questi tre termini, legati oggi in un nodo borromeo, cioè un nodo in cui ciascun elemento non può essere sciolto dagli altri due».
Ecco. Faccio mia l’immagine del nodo borromeo a tre capi, di Giorgio Agamben, rara avis di un’accademia agonizzante: sin dalle sue prime battute, ha guardato dentro il circo dell’assurdo, e della disumanità, che si stava allestendo nel silenzio atterrito prima, nel complice zelo poi, della massa bovina – o vaccina, che ne è sinonimo eloquente. Avendo spiegato con iconica maestria ciò che vedeva con gli occhi dell’anima, ha aiutato molti a mettere in fila le sensazioni e organizzarle in pensieri; altri a muovere al dubbio che la versione ufficiale fosse quella reale; altri ancora a confortarsi di non essere soli, oppure impazziti.
Il ruolo dell’intellettuale, in fondo, dovrebbe essere proprio quello di aprire la strada, smuovendo le idee e rimettendole in fila. Ma se ne avvistano pochi, oggi, nel giro buono dei pensatori in carriera.
Il terreno è ostile, dunque, come non mai, in mezzo a una quiete che è solo apparente; e la misura della barbarie si coglie appieno guardando al trattamento riservato ai più piccoli, bersagli martoriati di quella malefica triade: efferatezza, irresponsabilità, disfacimento.
Quale soddisfazione più facile e tremenda di quella ottenuta con la prevaricazione e l’abuso sistematico, ormai sistematicamente impunito, su chi è massimamente indifeso?
L’adulto, scollato dalla memoria, incapace di custodire il mondo sacro dell’infanzia perché incapace di immedesimarsi in una sensibilità di cui ha perduto il ricordo, infligge ai suoi simili più deboli ogni angheria. Se è su questo piano, come lo è, che si misura il grado di civiltà di un popolo, il nostro versa allo stadio terminale.
E però l’uomo non è fatto per morire, ma per vivere e per sperare. E i tempi ultimi, in cui ci si gioca tutto, sono quelli della verità. Di fronte all’inganno universale nemico della vita, non resta che aggrapparsi alle radici profonde, per ritrovarsi intorno a quel nucleo di senso come intorno a un piccolo fuoco in mezzo a una distesa brulla e gelata, e affollata di zombie. Convergere in un punto di ritrovo è un’esigenza che si impone per non soccombere alla arroganza del male che, colpendo senza tregua, logora, sfibra, svuota chi non sappia recuperare in sé le risorse per resistere. In una prova collettiva, e questa lo è, affiora più che mai il senso atavico del compatire. E del cooperare per ciò che, forse, domani verrà.
Davanti a quel falò che riscalda, mi vien da guardare a chi ha risposto al mio stesso richiamo che viene da molto lontano, e mi rallegro che anch’egli ci sia. Né mi interessa che strada abbia fatto per arrivare fin là.
Una cosa mi ha insegnato questo tempo, balordo e terribile: la inanità delle etichette.
Di più, mi ha insegnato a diffidare di quanti, e sono tanti, selezionano il prossimo loro in base alle etichette, vere o presunte, che il passato, recente o remoto, gli ha appiccicate addosso. Non per nulla i selezionatori di uomini secondo etichetta mica si avvistano davanti al falò: vagano altrove, inutili, persi e fanatici. La cosa bizzarra è che alcuni di costoro si dicono pure «cattolici» – termine il cui etimo avrebbe a che fare con l’universalità – e misurano la qualità altrui con il metro tomista all’insaputa dell’incolpevole Tommaso.
Questo tempo, invece, ha rivoltato le zolle. Che tu sia di destra, di sinistra, giovane o vecchio, ateo o credente, carnivoro o vegano, se ti sei staccato dalla massa telecomandata per guardare oltre il tuo misero tornaconto personale, per guardare in alto a cercare una stella, vuol dire che ti si è accesa quella provvidenziale scintilla. E vuol dire che tu e io dobbiamo imparare a darci una mano, come fratelli, perché ce ne sarà tanto bisogno.
La stella che cerchiamo sta sopra Betlemme, è lì il nostro falò. E c’è anche un bambino.
Elisabetta Frezza
Geopolitica
Zakharova e le sanzioni ai media russi: gli USA stanno diventando una «dittatura neoliberista»
Le ripetute sanzioni volte a limitare la libertà dei media russi negli Stati Uniti sono un segnale dell’erosione dei valori democratici a Washington, ha affermato la portavoce del Ministero degli Esteri, Maria Zakharova.
La portavoce ha rilasciato queste dichiarazioni all’agenzia di stampa RIA Novosti a margine dell’Eastern Economic Forum tenutosi mercoledì a Vladivostok, poche ore dopo l’introduzione di un nuovo ciclo di sanzioni da parte degli Stati Uniti.
Washington ha imposto severe restrizioni ai media russi in passato, ha osservato Zakharova. L’imposizione di queste nuove sanzioni «testimonia l’irreversibile degrado dello stato democratico negli Stati Uniti e la sua trasformazione in una dittatura neoliberista totalitaria», ha affermato, aggiungendo che i notiziari sono diventati una «merce di scambio nelle dispute di parte e il pubblico è deliberatamente tratto in inganno da insinuazioni su mitiche interferenze nei “processi democratici”».
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Gli attacchi ai media russi sono «il risultato di operazioni attentamente ponderate» pianificate dai servizi segreti e coordinate con i principali organi di informazione, ha affermato la Zakharova.
L’obiettivo, ha affermato, è «sterilizzare lo spazio informativo nazionale e, in futuro, globale da qualsiasi forma di opinione dissenziente». Questa nuova «caccia alle streghe» è volta a mantenere «la popolazione in uno stato di stress permanente», oltre a costruire l’immagine di «un nemico esterno», in questo caso la Russia, ha sottolineato la portavoce.
Mercoledì, i dipartimenti di Giustizia, Stato e Tesoro hanno annunciato uno sforzo congiunto per colpire con sanzioni e accuse penali i media russi, tra cui il noto notiziario governativo Russia Today, e gli individui che l’amministrazione del presidente degli Stati Uniti Joe Biden afferma essere «tentativi sponsorizzati dal governo russo di manipolare l’opinione pubblica statunitense» in vista delle elezioni presidenziali di novembre.
Queste azioni degli Stati Uniti «contravvengono direttamente ai loro obblighi di garantire il libero accesso alle informazioni e il pluralismo dei media» e non rimarranno senza risposta, ha affermato la Zakharova.
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Immagine di Diana Robinson via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-ND 2.0
Pensiero
JFK: perché le vere repubbliche odiano la censura e necessitano una stampa libera
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Epidemie
Ma il papa si preoccupa del vaiolo delle scimmie perché teme per i suoi cardinali gay?
All’Angelus di domenica scorsa il papa ha parlato di un tema che gli sta a cuore particolarmente: la nuova epidemia di vaiolo delle scimmie.
«Desidero manifestare la mia solidarietà alle migliaia di persone colpite dal vaiolo delle scimmie, che costituisce ormai un’emergenza sanitaria globale» ha detto il Bergoglio dalla finestrella in Piazza San Pietro la scorsa domenica 25 agosto. «Prego per tutte le persone contagiate, specialmente la popolazione della Repubblica Democratica del Congo, così provata. Esprimo la mia vicinanza alle Chiese locali dei Paesi più colpiti da questa malattia e incoraggio i governi e le industrie private a condividere la tecnologia e i trattamenti disponibili affinché a nessuno manchi l’adeguata assistenza medica».
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Ci si può chiedere come mai il romano pontefice tanto si interessi di un tema che sta passando, di fatto, un po’ in sordina, nonostante gli sforzi allarmistici dell’etiope OMS Tedros e la bava che sale alla bocca alle virostar catodiche nostrane, che non vedono l’ora di tornare alla TV.
Ecco il papa «virologo» che asseconda «i piani criminali dell’élite globalista», ha tuonato monsignor Viganò. «Bergoglio smette provvisoriamente i panni dell’esperto climatologo nei quali ha rilanciato ossessivamente la narrazione dell’agenda green, per indossare il camice del virologo e dare il suo sostegno alla propaganda psicopandemica sul vaiolo delle scimmie, che altro non è se non uno degli effetti avversi indotti dal siero sperimentale che aveva tanto insistentemente raccomandato all’epoca della farsa del COVID».
Ma allora, perché gli stia così a cuore questa malattia più di altre?
Al di là dell’argomento terzomondista (sappiamo benissimo che per il Bergoglio l’amore per la «periferia» è solo una finzione di facciata: altrimenti non avrebbe fatto adirare l’intero episcopato africano con le benedizioni omofile della Fiducia Supplicans), potrebbe esserci di mezzo una questione profonda, e costante, e strutturale, di questo Papato: Sodoma e i suoi cittadini.
Tutti ricorderanno che, due anni fa, quando scoppiò la paura del vaiolo delle scimmie, perfino le autorità sanitarie internazionali iniziarono ad ammettere che il morbo colpiva soprattutto gli «uomini che fanno sesso con altri uomini», espressione neolinguistico-orwelliana per indicare i sodomiti, che secondo il dato britannico costituivano il 99% dei casi.
La sanità italiana, rammenterete, salì in cattedra. Il ministero della Salute della Repubblica diede la precedenza ai gay sul resto della popolazione per l’iniezione del vaccino (è legale?), poi passò a fare una lista incredibile della morfologia dell’attività omosessuale moderna.
«Persone gay, transgender, bisessuali e altri uomini che hanno rapporti sessuali con uomini (MSM) che rientrano nei seguenti criteri di rischio: storia recente (ultimi 3 mesi) con più partner sessuali; partecipazione a eventi di sesso di gruppo; partecipazione a incontri sessuali in locali/club/cruising/saune; recente infezione sessualmente trasmessa (almeno un episodio nell’ultimo anno); abitudine alla pratica di associare gli atti sessuali al consumo di droghe chimiche (Chemsex)».
Alcuni di questi termini abbiamo notato siano rispuntati anche in questi giorni.
Insomma: con gli allarmi epidemici che si alzavano durante i gay pride, e con casi di cronache sconcertanti e rivoltanti che spuntavano fuori ogni giorno, sembrava chiaro che il vaiolo delle scimmie stava per divenire un nuova «malattia dei gay», come è stato per l’AIDS nei primi tempi, prima che si cominciasse a tirare fuori casi come quello del cestista NBA Magic Johnson (o più recentemente gli Oscar al film Texas Buyers Club, dove pure il cattivo era Anthony Fauci…) a dimostrare che, dai, anche gli etero potevano ammalarsi.
E quindi ci domandiamo: non è che il papa della «frociaggine», o i suoi pupari, sono preoccupati per la quantità di cardinali gay suoi elettori?
Non scriviamo per rivangare la voce secondo cui la lobby gay, da McCarrick in giù, avrebbe complottato per l’elezione di Bergoglio – ottenendo in cambio quello che abbiamo visto, la persecuzione della Messa Antica (partita con quella dei Francescani dell’Immacolata e continuata ora con il prossimo bando totale che segue al motu proprio Traditionis Custodes) nonché la pax omoerotica vaticana, col «chi sono io per giudicare» e con la Fiducia Supplicans.
No, parliamo perché abbiamo nelle orecchie una storia ripetuta la settimana scorsa dal geniale investitore miliardario Peter Thiel (ora accusato di essere il puparo della futura amministrazione Trump, in particolare del vicepresidente JD Vance) durante il podcast di Joe Rogan. Parlando di Epstein – che Thiel ha ammesso di aver conosciuto grazie al suo ex socio e ora finanziatore democratico anti-Trump Reid Hoffman – e del kompromat, cioè del materiale compromettente scavato per ricattare qualcuno, il ricco fondatore di PayPal ed allievo di Réné Girard racconta: «si dice che l’80% dei cardinali nella Chiesa cattolica siano gay. Non so se sia vero, ma la direzione è corretta: la tesi di base è che non viene promosso ad essere cardinale se sei eterosessuale, perché dobbiamo fare in modo che tu sia compromesso, così sei sotto controllo, ma fai carriera»
WATCH — Former CEO of PayPal Peter Thiel tells Joe Rogan that approximately 80% of cardinals in the Catholic Church are gay and says “you don’t get promoted to a cardinal if you’re straight.” pic.twitter.com/Vh81mLBBRf
— Not A Number (@myhiddenvalue) August 20, 2024
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Certo, non è la prima volta che sentiamo questa storia, questa percentuale. Ma tornarci col pensiero fa un po’ male.
Se l’80% dei 142 cardinali è omosessuale (ed è, per questo, ricattabile, ricattato, compromesso), ciò significa che i porporati di Sodoma sono almeno 113. E si tratta solo della punta dell’iceberg: per ciascuno di essi, quanti vescovi, quanti sacerdoti che li sostengono sono della cricca invertita?
Le domande che uno può porsi si fanno sempre più abissali: che papa può eleggere un conclave gay?
Qualcuno insinua che pontefici omofili potrebbero già esserci stati, ma certo non erano frutto di conclavi popolati da una maggioranza di omosessuali organizzati. Non è un caso accidentale singolo: qui parliamo di una struttura vera e propria.
Il pensiero da fare, quindi, è: cosa bisogna fare per fermare tutto questo?
Cosa è necessario fare per pulire, per resettare questo quadro impazzito?
Questa è la vera infezione da combattere. Non il vaiolo scimmiesco, che, lo comprendiamo bene, può preoccupare non poco il personale del Sacro Palazzo sotto l’occupazione omo-modernista.
Roberto Dal Bosco
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Immagine di European Union via Wikimedia su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International licence; immagine tagliata
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