Connettiti con Renovato 21

Pensiero

Betlemme e l’annientamento dell’uomo

Pubblicato

il

Presi dalle mille incombenze reali e dalle mille connessioni virtuali di tante giornate qualunque in cui sono gli eventi a trascinare la vita – o un suo simulacro – da qualche lustro a questa parte siamo come svuotati: immersi in un tempo deforme, alterato dalle interferenze costanti di una frenesia, gabellata per efficienza, che ha interrotto il flusso del pensiero e annichilita ogni riflessione. Appiattito ogni anelito spirituale.

 

Eppure oggi più di ieri sentiamo il peso opprimente di un cielo sempre più gonfio sopra di noi: sopra il brulichio di cose, di fatti e persone intrappolate in un ingranaggio che solo in apparenza procede uguale a se stesso, tra scosse intermittenti di gioie e dolori, bassezze e nobiltà; e invece sta facendo velocemente la muta, com’era in programma che fosse e come puntualmente si è verificato, senza significative resistenze, nella grande casa degli struzzi ammaestrati. Chi osi estrarre la testa dalla sabbia, e guardarsi intorno, è segnalato alle guardie e bandito dal “consesso civile” – o dallo zoo, a seconda dei punti di vista. Potenza dell’«inclusione». 

 

È evidente che stiamo assistendo in presa diretta alla realizzazione di un radicale cambio di paradigma. Era tutto scritto nelle agende con tanto di data in copertina, tutto preparato nel dettaglio, e pure strombazzato in tivvù; ma vederlo squadernarsi sotto i nostri occhi e sulla nostra pelle non può non suscitare qualche domanda, tipo: cosa ho fatto io per trovarmi, impreparato, ad uno svincolo della storia così decisivo? Perché proprio a me? 

 

Da qualche parte, qualcuno ha deciso che l’uomo va annientato velocemente e ha capito che, per farlo in modo perfetto, con un lavoro pulito, gli va prima aspirata la sua umanità. Non è un piano originale, è un piano antico come il mondo, e segue sempre i soliti schemi. Solo, portato alle estreme conseguenze cibernetiche e mediatiche – come progresso consente – fa davvero impressione. Perché si vedono all’opera individui che, disumanizzati e quindi sfigurati persino fisiognomicamente, diventano lupi a se stessi, e infieriscono senza pietà ovunque scorgano un varco per l’esercizio di un qualsivoglia potere estemporaneo sui propri simili non allineati. È l’ebbrezza del sopruso a scatenarsi laddove il cuore non batte più.

 

«E se un giorno gli storici indagheranno su quello che è successo sotto la copertura della pandemia, risulterà, io credo, che la nostra società non aveva forse mai raggiunto un grado così estremo di efferatezza, di irresponsabilità e, insieme, di disfacimento. Ho usato a ragione questi tre termini, legati oggi in un nodo borromeo, cioè un nodo in cui ciascun elemento non può essere sciolto dagli altri due». 

 

 

Ecco. Faccio mia l’immagine del nodo borromeo a tre capi, di Giorgio Agamben, rara avis di un’accademia agonizzante: sin dalle sue prime battute, ha guardato dentro il circo dell’assurdo, e della disumanità, che si stava allestendo nel silenzio atterrito prima, nel complice zelo poi, della massa bovina – o vaccina, che ne è sinonimo eloquente. Avendo spiegato con iconica maestria ciò che vedeva con gli occhi dell’anima, ha aiutato molti a mettere in fila le sensazioni e organizzarle in pensieri; altri a muovere al dubbio che la versione ufficiale fosse quella reale; altri ancora a confortarsi di non essere soli, oppure impazziti.

 

Il ruolo dell’intellettuale, in fondo, dovrebbe essere proprio quello di aprire la strada, smuovendo le idee e rimettendole in fila. Ma se ne avvistano pochi, oggi, nel giro buono dei pensatori in carriera. 

 

Il terreno è ostile, dunque, come non mai, in mezzo a una quiete che è solo apparente; e la misura della barbarie si coglie appieno guardando al trattamento riservato ai più piccoli, bersagli martoriati di quella malefica triade: efferatezza, irresponsabilità, disfacimento.

 

Quale soddisfazione più facile e tremenda di quella ottenuta con la prevaricazione e l’abuso sistematico, ormai sistematicamente impunito, su chi è massimamente indifeso?

 

L’adulto, scollato dalla memoria, incapace di custodire il mondo sacro dell’infanzia perché incapace di immedesimarsi in una sensibilità di cui ha perduto il ricordo, infligge ai suoi simili più deboli ogni angheria. Se è su questo piano, come lo è, che si misura il grado di civiltà di un popolo, il nostro versa allo stadio terminale.

 

E però l’uomo non è fatto per morire, ma per vivere e per sperare. E i tempi ultimi, in cui ci si gioca tutto, sono quelli della verità. Di fronte all’inganno universale nemico della vita, non resta che aggrapparsi alle radici profonde, per ritrovarsi intorno a quel nucleo di senso come intorno a un piccolo fuoco in mezzo a una distesa brulla e gelata, e affollata di zombie. Convergere in un punto di ritrovo è un’esigenza che si impone per non soccombere alla arroganza del male che, colpendo senza tregua, logora, sfibra, svuota chi non sappia recuperare in sé le risorse per resistere. In una prova collettiva, e questa lo è, affiora più che mai il senso atavico del compatire. E del cooperare per ciò che, forse, domani verrà.

 

Davanti a quel falò che riscalda, mi vien da guardare a chi ha risposto al mio stesso richiamo che viene da molto lontano, e mi rallegro che anch’egli ci sia. Né mi interessa che strada abbia fatto per arrivare fin là.

 

Una cosa mi ha insegnato questo tempo, balordo e terribile: la inanità delle etichette. 

 

Di più, mi ha insegnato a diffidare di quanti, e sono tanti, selezionano il prossimo loro in base alle etichette, vere o presunte, che il passato, recente o remoto, gli ha appiccicate addosso. Non per nulla i selezionatori di uomini secondo etichetta mica si avvistano davanti al falò: vagano altrove, inutili, persi e fanatici. La cosa bizzarra è che alcuni di costoro si dicono pure «cattolici» – termine il cui etimo avrebbe a che fare con l’universalità – e misurano la qualità altrui con il metro tomista all’insaputa dell’incolpevole Tommaso. 

 

Questo tempo, invece, ha rivoltato le zolle. Che tu sia di destra, di sinistra, giovane o vecchio, ateo o credente, carnivoro o vegano, se ti sei staccato dalla massa telecomandata per guardare oltre il tuo misero tornaconto personale, per guardare in alto a cercare una stella, vuol dire che ti si è accesa quella provvidenziale scintilla. E vuol dire che tu e io dobbiamo imparare a darci una mano, come fratelli, perché ce ne sarà tanto bisogno.

 

La stella che cerchiamo sta sopra Betlemme, è lì il nostro falò. E c’è anche un bambino.

 

 

Elisabetta Frezza

 

 

 

Pensiero

Dire «Cristo è re» è «antisemitismo»: studio firmato da Jordan Peterson

Pubblicato

il

Da

Uno studio pubblicato da un’organizzazione no-profit liberale fondata da un intellettuale ebreo condanna come «antisemitismo» la frase «Cristo è Re» – un’espressione al centro di accese polemiche negli ultimi mesi. Lo riporta LifeSite.

 

Giovedì 13 marzo, il Network Contagion Research Institute (NCRI) ha pubblicato uno studio di 20 pagine intitolato «Il tuo nome in vano: come gli estremisti online hanno dirottato “Cristo è Re”».

 

L’NCRI è stato fondato nel 2018 da Joel Finkelstein, un ricercatore presso l’università Rutgers che in precedenza aveva lavorato per l’Anti-Defamation League, l’ente ebraico dedito alla censura di quello che ritiene «antisemita» e ora anche «razzista». L’NCRI si propone di denunciare «la diffusione di contenuti ideologici ostili” online lavorando per «identificare e prevedere minacce cyber-sociali».

Sostieni Renovatio 21

Finkelstein è coautore del paper con il celebre psicologo canadese Jordan Peterson (una star di YouTube negli ultimi anni), insieme ad altri 11 accademici, la maggior parte dei quali sono ebrei. Il Peterson ha difeso a gran voce il paper sui social media.

 

Lo studio sostiene che il termine «Cristo Re» è stato «strumentalizzato» da «estremisti politici» che lo stanno usando per promuovere «narrazioni escludenti e piene di odio».

 

«Gli estremisti in America hanno iniziato a distorcere il significato della frase e la stanno sfruttando come un simbolo in codice … per destabilizzare la politica americana, infiammare le tensioni all’interno della società civile e incoraggiare l’odio verso le minoranze», si legge nello studio.

 

Per sostenere la sua tesi, il rapporto include screenshot di X post pubblicati da personalità pubbliche note in rete come Candace Owens, Jack Posobiec e Nick Fuentes (tutti e tre cattolici) tra gli altri.

 

Come noto, la Owens – ora cattolica partecipante al pellegrinaggio tradizionalista Parigi-Chartres – era stata licenziata dal gruppo The Daily Wire (un conglomerato «conservatore» di programmi YouTube fondato dall’opinionista ebreo Ben Shapiro) l’anno scorso per aver promosso la frase. Andrew Klavan, conduttore di una delle trasmissioni del Daily Wire sedicente cristiano convertito, ha sostenuto che si trattava di un «tropo antisemita» e che era come «sputare addosso» a Ben Shapiro, che porta sempre la kippah.

 

Nello studio viene menzionato pure il vescovo Joseph Strickland, che – a riprova di una certa ignoranza sulle questioni religiose sulle quali la dozzina di autori vuole discettare – viene descritto in modo inesatto come un «ex» vescovo cattolico. Sebbene Strickland sia stato rimosso da Bergoglio dal suo incarico di vescovo di Tyler, Texas, nel novembre 2023, non è stato scomunicato né privato dell’ordine sacerdotale. È noto inoltre che secondo la dottrina cattolica il titolo di vescovo non può essere tolto.

 

Tra gli autori di fatto non vi sono cattolici e vi è forse un solo cristiano, l’evangelico Johnnie Moore, già capo di alcune commissioni ed enti con la parola «libertà» nel titolo, nonché premiato con una medaglia al valore dal Simon Wiesenthal Center, l’organizzazione ebraica intitolata al celebre «cacciatore di nazisti».

 

Il protestante Moore ha assunto un ruolo attivo nella promozione dello studio dell’NCRI sui social media, difendendolo di fronte al massiccio contraccolpo della Owens e decine di altri commentatori cristiani.

 

«Il termine CRISTO È RE… viene dirottato dagli estremisti antisemiti per manipolare i cristiani», ha affermato Moore giovedì.

 


Come scrive LifeSite, lungi dall’essere un centro di ricerca «neutrale» di terze parti, l’NCRI è legato a diversi gruppi di sinistra e ha promosso molti punti di discussione del Deep State sin dal suo inizio.

 

Nel 2021, ol Finkelstein è apparso sulla trasmissione di inchiesta americana 60 Minutes per criticare la «disinformazione» sui vaccini anti-COVID e sull’uso delle mascherine. Il suo gruppo ha anche affermato che i «propagandisti russi» erano da biasimare per la «disinformazione» in atto.

 

Nel 2019, l’NCRI ha stretto una partnership con la radicale anti-Defamation League (ADL), potente ente che funge da «inquisizione» di idee non allineate, che di recente dalle questioni ebraiche si è spostato su temi come razzismo e omofobia, cercando di colpire anche figure del calibro di Tucker Carlson e Elon Musk. Un comunicato stampa emesso all’epoca spiegava che avrebbero «prodotto una serie di report che analizzassero in modo approfondito il modo in cui l’estremismo e l’odio si diffondono sui social media».

 

L’ADL consiste de facto in un gruppo di pressione ebraico che ha diffamato i cattolici tradizionali e attaccato la Santa Messa tradizionale per molti anni. Il Finkelstein ha lavorato come Research Fellow per l’ADL dal 2018 al 2020. Moore stesso ha prestato servizio come membro del Board of Trustees dell’ADL a Los Angeles. Moore ha anche lavorato con la Middle East Task Force dell’ADL.

 

L’NCRI è stato sostenuto da altri gruppi di sinistra e sionisti. La testata di sinistra Mint News riferisce che avrebbe ricevuto oltre 1 milione di dollari dalla Israel on Campus Coalition (ICC), un gruppo che cerca di diffondere il sionismo nei college statunitensi. La testata di sinistra Grayzone ha anche scoperto che l’NCRI ha elencato la Open Society Foundation di George Soros come affiliata fino a quando non ha eliminato quella sezione dal suo sito web nel 2021.

 

L’attuale sito web dell’NCRI include un elenco di consulenti strategici. Tra questi c’è il professor Robert George di Princeton. George è cattolico e ha legami con molti gruppi influenti e importanti cattolici coinvolti nella politica a Washington DC. Ha trascorso molti anni a promuovere il dialogo tra cattolici ed ebrei.

Acquistate le Maglie Crociate

Membro del Council on Foreign Relations (CFR), il George sembra aver incontrato Finkelstein durante gli anni del college, quando Finkelstein frequentò Princeton, scrive LSN. Il Finkelstein fu anche visiting scholar per il James Madison Program di Princeton, di cui George è a capo.

 

Il George ha condiviso un articolo sul suo account X questa settimana, invitando i cattolici a «1essere solidali con i nostri fratelli ebrei». Sebbene non abbia condiviso il rapporto del NCRI, ha condiviso un saggio scritto dal cardinale Timothy Dolan di New York. Il saggio è stato pubblicato un giorno prima della pubblicazione dello studio del NCRI e rimproverava «coloro che sui social media si definiscono cristiani ma diffondono odio contro gli ebrei». La tempistica della pubblicazione dell’articolo solleva la questione se sia stato coordinato per amplificare il messaggio del NCRI.

 

 

Da tempo Renovatio 21 aveva in cuore la stesura di un articolo intitolato «Basta con Jordan Peterson», per porre argine all’immeritata popolarità che l’ex accademico canadese ha in tanti ambienti conservatori e non solo. Solo chi non conosce la sua figura può essere colpito dal fatto che l’uomo che ha basato la sua fama sul rifiuto di sottomettersi al linguaggio altrui opponendosi ai pronomi gender all’università ora firma saggi per condannare chi usa una propria espressione religiosa.

 

L’espressione «Cristo Re» ha le sue radici nella Bibbia dove Gesù è detto Re (basileus), Re dei Giudei (basileus ton Iudaion), Re d’Israele (basileus Israel), Re dei re (basileus basileon) per un totale di 35 volte.

 

La regalità di Cristo,e la necessità di principi e governanti di sottomettersi ad essa, è ribadita consistentemente nell’enciclica Quas Primas del 1925 di Papa Pio XI : «non rifiutino, dunque, i capi delle nazioni di prestare pubblica testimonianza di riverenza e di obbedienza all’impero di Cristo insieme coi loro popoli, se vogliono, con l’incolumità del loro potere, l’incremento e il progresso della patria».

 

Va quindi considerata come pura spazzatura e manipolazione tutta la serie di video lezioni che il Peterson ha dedicato alla Bibbia e alla figura di Cristo, che riesce ad intendere, secondo la mentalità junghiana che emerge dal suo lavoro universitario, come simbolo, più che come realtà vivente ed eterna.

 

Renovatio 21, che lotta costantemente contro la piaga dell’uso degli psicofarmaci, ricorda anche come il Peterson mentre dava al mondo i suoi consigli per vivere meglio (con libri tradotti in italiano anche da Mondadori) in realtà assumeva benziodiazepine sino a divenirne dipendente. Sparito per un periodo dalla circolazione, si raccontò poi che i famigliari lo avevano portato in Russia e in Serbia per curarsi.

 

Di lì a poco sarebbe stato assunto dal Daily Wire, il gruppo mediatico dell’ebreo Ben Shapiro, che gestiva stelle di YouTube a fior di milioni di dollari (Stephen Crowder, che doveva entrare nel gruppo ma rifiutò, parlò di un contratto da 60 milioni di dollari), arrivando a finanziare persino la creazione di un polo cinematografico che si voleva alternativo ad Hollywood: da dove arrivassero tutti quei soldi, piovuti improvvisamente in ambiente conservatore, in molti se lo sono chiesti più volte.

Aiuta Renovatio 21

Uscito dalla crisi psicofarmaceutica e dall’università, il Peterson riemerse in un incredibile video in cui pranzava in Israele assieme a Ben Shapiro e al premier dello Stato Ebraico Beniamino Netanyahu. Osservando il video, si possono notare persone che mangiano sullo sfondo, a indicare che il video era stato concepito per sembrare il più casuale e naturale possibile (si può mangiare nella stessa stanza di Netanyahu, una delle persone più minacciate al mondo? Davvero?).

 

Già quel video faceva capire il disegno complessivo, che rivela una verità profonda e risalente: l’intero movimento conservatore è infiltrato dagli interessi di un etno-Stato, con le icone e le vedette intellettuali concupite e messe a libro paga (e forse, qualcuno sussurra pensando al caso Epstein, ricattate).

 

Il conservatorismo, ha detto E. Michael Jones (un altro che ha avuto i suoi problemi con ADL e compagni) è un meccanismo creato «per farti rimanere stupido».

 

L’industria culturale, anche ai tempi di YouTube, anche per la destra, funziona così: narcosi e manipolazione pura.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


Immagine di Rzuwig via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported; immagine tagliata e modificata

 

Continua a leggere

Pensiero

Ecco il reato di femminicidio. E la fine del diritto

Pubblicato

il

Da

Femminicidio, tanto tuonò che piovve. Di questa ennesima «conquista di civiltà» si era già tanto sentito a fasi intermittenti, e i giochi sembravano fatti da tempo.   Il termine sgangherato circolava da quando quella idea distorta era già stata inoculata di soppiatto in quel capolavoro di brigantaggio legislativo che aveva assunto da solo il titolo onorifico di «Buona scuola». Infatti, faceva corpo unico col pacchetto avvelenato del gender per tutti, da distribuire nelle scuole di ogni ordine e grado per la formazione adeguata delle inermi giovani generazioni.   Un pacchetto confezionato nientemeno che a Istanbul, nel 2011 con la Convenzione stilata lì, chissà perché, dal Consiglio Europeo. Dunque farina del sacco di Bruxelles, come tutto il ciarpame che viene prodotto e distribuito da anni nella indifferenza o nella ignoranza di popoli da esso contaminati e oppressi. Infatti, tutto viene metabolizzato e alla fine legittimato in un processo di adeguamento passivo che sembra non dare scampo.

Sostieni Renovatio 21

Il DDL accolto trionfalisticamente dalle signore (ma anche dai signori) della politica, è lo specchio di un degrado culturale e in particolare giuridico che potrebbe diventare inarrestabile, di cui essi non arrivano minimamente a valutare le conseguenze, per grossolana ignoranza in alcuni casi, ma forse per mirata malafede in altri.   Di certo, ancora una volta si va ad intaccare il meccanismo sapiente e coerente, e per questo delicato, del sistema penale, ignorando o mettendo in programma conseguenze capaci di minare gli stessi assetti, peraltro già traballanti, dell’ordinamento giuridico e istituzionale.   Per mettere a fuoco correttamente quale sia veramente la posta in gioco, occorre lasciare da parte il contorno folkloristico del piagnisteo fuori tempo massimo e fuori luogo in cui il politicume di ogni colore cerca di ritagliare una propria aggiornata credibilità.   Tra Sette e Ottocento, menti illuminate e sostenute da una solidissima cultura umanistica, sentirono l’urgenza di dedicarsi allo studio della legge penale, con la speranza e la volontà di apportare ad essa quel contributo di conoscenza e di pensiero con cui gettare le basi dei moderni sistemi penalistici.   Era stato messo a fuoco come il problema eterno del delitto e della pena, da sempre fondamentale per la vita di una comunità organizzata, in un tempo in cui la tortura era ancora uno strumento per «rendere giustizia», portava con sé quello di un nuovo rapporto tra cittadino e potere che doveva essere e poteva essere riformulato sulla scia degli eventi rivoluzionari.   Si trattava di fondare lo «stato di diritto», dove il cittadino possa ottenere la protezione della legge anche nei confronti del potere costituito, e in cui tutte le moderne società sedicenti «democratiche» aspirano a sentirsi incastonate (va detto per onore di cronaca che per nostra signora di Bruxelles lo stato di diritto significa dovere dei sudditi di obbedire simul ac cadaver alle «regole» UE).   Ci si è resi conto che il diritto penale deve dunque difendere la società dai comportamenti antisociali dei singoli, ma anche dall’arbitrio del giudice e del legislatore. Ma queste finalità possono venire raggiunte attraverso l’elaborazione di un sistema di norme ordinate secondo una logica precisa e articolata. Con una tecnica legislativa capace di garantire il più possibile quegli obiettivi attraverso una precisa rete concettuale, che non deve lasciare spazio alla distorsione dei principi e della loro vocazione ordinatrice.   Anzitutto debbono essere individuati i valori che assicurano le condizioni di conservazione e sviluppo della società e che, come tali, vengono chiamati «beni giuridici».   Il reato è il comportamento lesivo che, offendendo quei valori predeterminati, mette in pericolo queste condizioni, e deve essere combattuto attraverso la minaccia prima, e l’applicazione poi, della pena da parte dello Stato. Questo assume il ruolo di chi subisce l’offesa in quanto espressione della intera collettività, e dispone del potere di infliggere la sanzione utilizzando i mezzi necessari allo scopo.   Se il reato è dunque la violazione di un valore meritevole di tutela, quello che viene punito è il fatto che viola il bene giuridico, indipendentemente dalle qualità di chi sia vittima del reato, qualità che incidono soltanto sulla gravità e quindi eventualmente sulla quantità della pena.   I fatti lesivi del valore tutelato vengono «tipizzati» cioè indicati in schemi astratti predeterminati che limitano l’oggetto dell’accertamento del fatto concreto da parte del giudice. La tipizzazione garantisce all’individuo di non essere esposto ad una incriminazione e ad un giudizio arbitrari, e al tempo stesso definisce il valore oggettivo tutelato, ovvero il bene giuridico violato dal fatto indipendentemente dal soggetto che ne sia portatore particolare.   Così, se ad essere tutelata è la vita umana, o la proprietà, o la fede pubblica, il valore offeso rimane il medesimo chiunque sia la persona offesa, salvo la graduazione della pena, come si diceva, se il fatto è stato commesso ai danni ad esempio di un minore o di persona in condizioni di menomazione fisica o psichica.   La tecnica normativa non si manifesta dunque come un informe catalogo di divieti e di minacce, ma come una rete concettuale determinata volta a comporre le esigenze contrapposte di difesa della società e di difesa da un uso arbitrario del potere punitivo. Si tratta di un sistema che risponde ad una logica che garantisce nei limiti del possibile l’applicazione corretta della legge e il soddisfacimento di quelle esigenze di tutela.   Così ad esempio, per venire al caso in questione, se il reato venisse calibrato sulle caratteristiche della persona offesa, avremmo un sistema penale basato su discriminazioni e privilegi, cioè esattamente in opposizione con quella che riconosciamo come una conquista di civiltà giuridica, ovvero di civiltà tout court.

Acquistate le Maglie Crociate

Un ritorno al tempo che pensavamo seppellito per sempre nella modernità, in cui l’uccisione di un feudatario era ritenuto più grave di quella del servo della gleba, e punito di conseguenza. E viene in mente in proposito la tremenda pena per squartamento, peraltro non proprio eccezionale, inflitta all’attentatore di Francesco I qualche secolo fa.   Ma tutto questo sfugge evidentemente ai virtuosi promotori, ai propagandisti di regime, ai mestatori di ogni risma, a politici impegnati per definizione, non si sa bene in cosa, fino alla Presidenza del Consiglio e dintorni, dove si fa sfoggio di qualche carenza formativa almeno sul piano dei concetti giuridici più elementari. Carenza che peraltro non andrebbe sottovalutata.   Infatti, in questa nuova forma di reato di genere, si potrebbe vedere, in fondo, il rovescio di quell’ «uccidere un fascista non è reato» che spopolava nei tempi d’oro della guerra per bande politiche. Perché il principio è lo stesso: il reato dipende dalla qualità della vittima. Ma su una base del genere si possono aprire scenari di ogni tipo nel grande varietà in movimento di cui siamo spettatori spesso attoniti.   Non occorre spendere ancora parole sulla disperante campagna fumogena che viene alimentata sul tema e che è ormai sotto gli occhi di tutti. Ma basterebbe che si acquisisse coscienza anche della estrema pericolosità dello slittamento di un intero sistema normativo che, con inaudita irresponsabilità da parte degli organi di governo, viene intaccato nei suoi cardini e nelle sue chiavi di volta.   Perché senza una presa di posizione fortissima contro questa deriva da parte di giuristi e politici oculati, le conseguenze potranno diventare incontrollabili.   Patrizia Fermani

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21
   
Continua a leggere

Pensiero

Ecco la fine del giornalismo. E l’inizio della propaganda neofeudale

Pubblicato

il

Da

Un lettore un giorno ha chiamato per significare il suo sostegno: era giusto, diceva, che aiutasse Renovatio 21, che gli arriva tutti i giorni aggratis, visto che pagava profumatamente l’abbonamento ad un noto quotidiano, considerabile come il più «indipendente» in circolazione.

 

Alla domanda su quale dei due, noi o loro, fornisse articoli più approfonditi sulla realtà presente, il lettore non ha esitato: noi.

 

Ora, alcuni si chiedono la differenza tra una testata indipendente come Renovatio 21 e una testata mainstream: ebbene, dietro ogni giornale tradizionale c’è una macchina grande come una montagna. Giornalisti, redattori e collaboratori, titolisti, correttori di bozze, grafici, direttori – e abbiamo solo iniziato. C’è chi stampa e chi distribuisce, chi tiene in piedi un sito (lavoro, lo sappiamo, non facile e costoso). C’è chi vende la pubblicità – una specie a parte, circolante nelle acque sempre meno profonde dell’editoria, una razza dai denti bianchissimi che ho imparato a conoscere a Milano tanti anni fa.

Sostieni Renovatio 21

Soprattutto, un giornale mainstream ha a differenza di qualsiasi «voce indipendente» come la nostra qualcosa di raro, rarissimo: un editore, o meglio, un editore con i soldi.

 

Perché mandare avanti la montagna e la sua macchina richiede una quantità di capitale assurdo, e visto che oggi il business di un giornale non è redditizio e nemmeno sostenibile, l’editore deve avere un qualche motivo non-economico per imbarcarsi nel mondo delle notizie. Niente di nuovo qui: i grandi giornali hanno storicamente dietro di loro imperi industriali e finanziari di vario tipo che vogliono, che devono, dare alle notizie uno spin che magari favorisca la loro esistenza: in Italia abbiamo visto gli Agnelli e i Berlusconi, ma non è diverso se pensate all’America dove il Washington Post lo ha comprato il padrone di Amazon (che era bersaglio di raffiche di articoli-denuncia sul concorrente New York Times) Jeff Bezos.

 

Ora, bisogna capire che l’editore con i soldi garantiva al giornale, al giornalista, oltre che uno stipendio (alcune volte pure buono) anche l’ulteriore elemento che rendeva necessario al giornalismo (oltre che alla civiltà, al progresso, alla giustizia, all’umanità), cioè la libertà di parola. La quale, come sa il lettore, non esiste in Europa, né tantomeno in Italia.

 

Dopo anni di Renovatio 21 lo sappiamo bene: come ti avvicini a certi argomenti, ecco che fioccano le lettere degli avvocati, minacce di ogni sorta, richieste di censura. Non è che ci stupiamo: è la dinamica fisiologica della finta democrazia, che altro non è che oligarchia: il potente si avvale dei suoi danari e contatti per mettere a tacere qualcosa che non vuole sia reso pubblico – e pubblicare a favore del bene comune ciò che dovrebbe rimane segreto è il compito del giornalismo.

 

Quindi, capite la vera funzione del giornale con dietro l’editore coi soldi: schermare il giornalista davanti alle richieste economiche devastatrici di chi ti denuncia. Tutto qua. Il giornalismo d’inchiesta, in pratica, non esiste senza un paperone dietro di esso. E chi mai vuole pubblicare una storia sconvolgente, sapendo che questa distruggerebbe per sempre la sua economia, la sua famiglia, la sua vita?

 

Benvenuti nella realtà: notate come scoop e rivelazioni, sulle quali poi si imbastiscono le narrative della cosiddetta controinformazione, sono portate avanti da giornali all’antica con alle spalle il gruppo editoriale solido. Tutti i canaletti Telegram, i sitarelli, i blogghini, i wannabe anchormanni che seguite su YouTube, almeno per quanto riguarda tante rivelazioni sul piano nazionale, sono di fatto parassiti del lavoro che fanno i giornalisti vecchio stile, spalleggiati da istituzioni e fondi che rendono possibile la difesa giudiziaria.

 

Ricordo ancora una serata – anzi oramai era notte – dopo un grande convegno organizzato anni fa da Renovatio 21 a fronte di un grande scandalo che ricorderete. A termine dei lavori, parlai con una giovanissima, brava giornalista di una grande testata che stava portando avanti il tema. Mi disse, in pratica, che era già stata denunciata dopo i primi articoli, e nemmeno da chi si aspettava, cioè dai protagonisti della vicenda, ma da un’ente che credo avesse citato solo di striscio. Le chiesi: ma non sei preoccupata? Lei rispose con semplicità: no, se ne occupa l’ufficio legale.

Aiuta Renovatio 21

Come dire: era davvero libera di scrivere quello che rilevava nella sua ricerca, condotta incontrando persone, scovando documenti, captando storie mentre era inviata nel territorio. Le querele, grazie alla schermatura, erano come rumore di fondo, un’evenienza quasi fisiologica del lavoro giornalistico. La noncuranza con cui sorvolava sul processo che poteva avviarsi mi stupì – e mi riempì di una sorta di bonaria invidia.

 

Sì, una questione organica, naturale, automatica: ho presente il sito dell’Ordine dei Giornalisti di una regione che, tra le pagina, ha anche un «SOS querele», in pratica una FAQ per il giornalista che finisce al solito denunciato da qualcuno. Ora, come questo sia compatibile con la tanto sbandierata «libertà di stampa» non è dato sapere, né come sia possibile che le leggi in Italia tendono a punire più severamente che si esprime contro politici e figure pubbliche, mentre quelle dell’Europa – dove comunque non esiste la libertà di parola, mettetevela via – attenuano, e rendono poi il risarcimento economico proporzionale alle possibilità del condannato (cosa che da noi invece non è).

 

Tutto questo per dirvi quanto consideri disperante la notizia battuta pochi giorni fa dal sito Dagospia e ripresa da Mowmag. Ci sarebbe una «cura dimagrante» in corso nei giornali del gruppo Angelucci – dominus della Sanità del Lazio, deputato della Lega Nord, personaggio verso cui confessiamo di avere simpatia visto il mondo in cui manda a quel Paese (diciamo così) i reporter microfonati che lo pedinano.

 

Angelucci, già editore di Libero, si è comprato dai Berlusconi anche Il Giornale. Voci dicevano che avrebbe avuto interesse anche per La Verità, mentre fece ancora più scalpore quando si disse che voleva acquistare l’AGI, l’agenzia notizie fondata dall’ENI. (Enrico Mattei, che nel 1956 aveva fondato pure Il Giorno, aveva compreso il summenzionato ruolo della stampa nelle dinamiche «democratiche» del padronato: decisamente)

 

Ora, scrive Dagospia, oltre ai tagli agli stipendioni come quello di Vittorio Feltri, sarebbero «previsti prepensionamenti a pioggia», «obbligo di strisciare il badge aziendale altrimenti la porta rimane chiusa (anche se il contratto giornalistico lo esclude)», «risparmio spasmodico per tutto: viaggi centellinati, gli inviati non vengono più inviati da nessuna parte (a meno che siano spesati e invitati da altri, immaginarsi che inchieste…) e tutti devono presenziare alla riunione del mattino dove Sallusti o non c’è o non dice una parola». In più non sarebbe «stato rinnovato neanche il noleggio dell’auto, concesso ai tempi di Paolo e Silvio Berlusconi».

 

Non siamo in grado di verificare l’indiscrezione, tuttavia possiamo anche dire che di questi dettagli non ci interessa nulla. È altro che ci fa sobbalzare.

 

Secondo la nota di Dagospia, ai grandi nomi dei due giornali «le spese legali sono ancora garantite per contratto, ma ai giornalisti no, tanto che un paio di cronisti hanno rischiato il licenziamento (per una querela)».

 

Viene buttato lì anche un elemento preciso «Filippo Facci, che ormai scrive per le pagine della cronaca di Milano, ha riferito in assemblea che si è dovuto pagare l’avvocato e una transazione economica da 30mila euro dopo una denuncia di un giudice antimafia».

Acquistate le Maglie Crociate

Facci, per chi non lo conoscesse, è una delle penne più alte di cui dispone oggi il giornalismo italiano. Samurai del tardo craxismo, abbracciato quando era giovanissimo, a lui dobbiamo tantissime storie riguardo il vero volto di Mani Pulite. A lui dobbiamo la disamina precisa di azioni e trasformazioni della magistratura italiana. A lui dobbiamo inchieste eccezionali, che si sono susseguite nei decenni: ricordiamo quelle su Di Pietro, ma anche una, antica e profetica, sulla vita a Genova di Beppe Grillo prima che il suo partito sfondasse in Parlamento.

 

A Facci riconosco inoltre il fatto di essere l’unico, sia pur molto brevemente, ad aver accennato alla possibilità che una crisi degli oppioidi come quella americana possa scatenarsi nel nostro Paese.

 

Qualcuno può trovare Facci irritante, e in varie questioni dissentire con lui totalmente (è il caso dei vaccini). Bisogna capire però che senza una voce come la sua – cioè di un giornalista vero, un giornalista d’inchiesta – il discorso pubblico non può che morire. Nessuno dei compiaciuti canali della «controinformazione» può avere di che parlare, se prima non c’è qualcuno che, con le spalle coperte, si espone per tirare fuori la verità.

 

Se fosse vero quanto scrive Dagospia, dobbiamo chiederci se uno come Facci scriverà ancora, oppure, come detto, si occuperà solo della «cronache di Milano», magari nemmeno delle cose che gli piacciono come la classica alla Scala e le risse verbali con Fedez, perché ambo le cose potrebbero portare querele. Avvisiamo pure che la pagina Wikipedia inerente al Facci, al momento, risulta «bloccata», e scrive: «Attenzione: questa pagina è stata oscurata e protetta a scopo cautelativo a causa di una possibile controversia legale. Verrà eventualmente ripristinata alla fine della vicenda che la riguarda».

 

Per quanto mi riguarda, questa storia dei giornalisti privati della difesa legale del giornale rappresenta un elemento incontrovertibile della fine del giornalismo – o meglio, della sua trasformazione in senso neofeudale: da informazione a propaganda pure e semplice – più intrattenimento, cioè istupidimento.

 

Se il giornalista viene esposto al rischio della querela, non scriverà più nulla.

 

Se il giornalista non scava più, se le inchieste spariscono, l’informazione diviene puramente trasmissione alle masse delle volontà dell’oligarcato. I giornali (i siti, i TG, etc.) divengono puri imbuti che fanno colare i desiderata del potere sulla popolazione: uffici stampa, o nemmeno quelli, degli oligarchi. I quali oligarchi ora, a differenza dei tempi di Berlusconi-De Benedetti, magari non litigano nemmeno più (ordinandosi inchieste e campagne giornalistiche l’uno contro l’altro): sono tutti attovagliati al tavolone, e perché mai farsi la guerra? Perché mai desiderare un giornalismo fatto di ricerca della verità, e non di comunicati stampa misti a sciocchezze narcotiche?

 

Siamo preoccupati? Un po’, ma un po’ anche no. Con estrema cautela, e con estremo sacrificio, Renovatio 21 va avanti lo stesso – costi quello che costi.

 

Tuttavia il fatto rimane: fosse vero quanto scrivono, i segni della fine del giornalismo, cioè della fine di articoli che vale la pena di leggere, è dietro l’angolo, e minaccia sempre più di divenire un ingrediente del totalismo ultra-orwelliano che sappiamo essere avviato: Stato-partito, biosorveglianza, censura, financo vera e propria riforma del pensiero, cioè lavaggio del cervello universale.

 

Non cose di poco conto.

 

Per questo vi chiediamo di aiutare Renovatio 21 a continuare ad esistere.

 

Fatelo davvero. Perché dietro di noi l’editore paperone non c’è.

 

Roberto Dal Bosco

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


 

 

 

 

 

 

 

Continua a leggere

Più popolari