Necrocultura
Natale senza tregua
Chi di noi non è arrivato a questo Natale sfinito, esausto, esaurito. Chi di noi non ha percepito che questo è stato un anno difficile – come mai ne avevamo visti.
Quelli che hanno un lavoro autonomo possono aver rincorso i clienti che non pagano, magari solo per racimolare il danaro per pagare le tasse che sono calate spietate, e nient’altro.
Quelli che hanno bambini, hanno dovuto subire le montagne russe delle febbre a 40°C, con la serie a raffica di influenze ravvicinate – una cosa, come vi abbiamo tentato di dire su Renovatio 21, anche quella mai vista, e che nessuno ha nemmeno iniziato a spiegare cosa può essere, perché non lo sanno nemmeno, perché hanno paura della risposta (che è: immunodeficienza da lockdown biennale), perché non ha il vaccino pronto, perché le farmaceutiche e Bill Gates ancora non hanno dato loro il copione del caso.
Quelli che hanno resistito, senza stipendio e senza sostegno, alla sottomissione biologica nel proprio ambito lavorativo, sappiamo come possono essere arrivati a questo Natale.
E poi quelli che pensavano di uscire intonsi dalla follia pandemica, che invece si sono ritrovati con famigliari impazziti, e tutt’intorno morti per malori improvvisi che fanno crollare famiglie ed equilibri.
Sì, siamo arrivati al Natale 2022 stanchi, distrutti. Più che mai. Chi di noi, quindi, non crede che a questo punto, ci meritiamo una tregua. Almeno a Natale e Santo Stefano. A casa, senza pensieri, vera vacanza, parola che deriva dal latino vacuum, il vuoto. Eccoci, «svuotati» dei nostri pesi, la realtà per magico potere del calendario gregoriano ci dà tregua.
Negli anni mi è diventato impossibile non pensare alla tregua di Natale. Sapete tutti di cosa sto parlando: una serie di cessate il fuoco spontanei che avvennero durante il primo Natale della Grande Guerra, nel 1914. D’improvviso, senza che la cosa fosse minimamente organizzata, sul fronte belga e non solo soldati tedeschi e inglesi cominciarono a cantare canti natalizi. Poi emersero dalle trincee, e cominciarono a incontrarsi nella terra di nessuno.
Partirono scambi di souvenir, di cibo, alcool, tabacco: di «doni» di Natale veri e propri. I soldati, tecnicamente nemici, fraternizzavano. Si raccontavano storie della loro vita, o addirittura cercavano di mettere le proprie capacità al servizio del nemico.
Bruce Bairnsfather, caricaturista inglese che combatté per tutta la guerra, ricorda: «Non mi sarei persa per niente quell’unico e strano giorno di Natale… Ho notato un ufficiale tedesco, una specie di tenente direi, ed essendo un po’ un collezionista, gli ho fatto capire che mi era piaciuto ad alcuni dei suoi bottoni… Ho tirato fuori le mie cesoie e, con qualche abile taglio, ho tolto un paio dei suoi bottoni e me li sono messi in tasca. Allora gliene diedi due dei miei in cambio… L’ultimo che vidi fu un mio mitragliere, un po’ parrucchiere dilettante nella vita civile, che tagliava i capelli innaturalmente lunghi di un docile Boche [termine alleato per definire i soldati tedeschi, ndr], pazientemente inginocchiato a terra mentre le cesoie automatiche gli si arrampicavano sulla nuca».
Partirono diverse partite di calcio, simbolo estremo del livello di relazione che si era raggiunto tra quegli uomini: il gioco. I ragazzi che prima si uccidevano, in quel miracolo di Natale, iniziarono a giocare…
A fine anno il quotidiano fiorentino La Nazione diede una potente descrizione del calcio della tregua di Natale: «l’accordo era completo. I tedeschi nella notte di Capodanno avevano ornato l’orlo della trincea di lampioncini multicolori e per tutta la notte cantammo, ora essi ora noi, le più gaie canzoni. All’alba potremmo anzi combinare una partita di football. Mai più squisita cortesia regnò fra i giuocatori di due teams. Però intanto, all’intorno, vari compagni nostri erano caduti per lo scoppio di qualche shrapnel venuto da lontano e sospendemmo la partita per seppellire i morti, a cui da entrambe le parti furono resi gli estremi onori»
È vero che in altre zone si continuò a combattere, che i francesi non furono così disposti al Natale come tedeschi e inglesi, tuttavia si riporta di incontri tra militari nella terra di nessuno anche sul fronte orientale, perfino con i russi, che il Natale lo festeggiano a gennaio.
Le testimonianze giunte al presente sono da lagrime agli occhi.
È istruttivo anche sapere poi cosa accadde. Gli ufficiali redarguirono i soldati, in alcuni casi li passarono per la corte marziale. Per evitare altre tregue spontanee di questo tipo (di cui, comunque, ci furono cenni anche negli anni successivi, subito repressi) le élite militari decisero bombardamenti di artiglieria alla vigilia di Natale, così che tra botti e morti ai soldati passasse la voglia di stringer la mano al nemico. Furono perfino organizzate rotazioni in modo tale che, cambiando spesso il personale in trincea, a qualcuno non saltasse in mente di tendere la mano all’uomo che al di là del filo spinato, ad un certo punto scopri essere, appunto, un uomo, come te…
Sappiamo cosa successe poi: armi chimiche. Essere assassinati in massa è il giusto contrappasso per quegli uomini che si scoprono memori della legge naturale. Stragi di massa con l’iprite (da Ypres, una delle località dove nel 1914 partì la tregua di Natale) per cancellare l’umanità, che il vizio, talvolta, di non odiare il suo prossimo, di non desiderare la morte, né la propria né quella dell’altro, di amare il bene e odiare il male.
È parimenti indicativo ricordare un’altra cosa: i giornali insabbiarono tutto. La notizia stupefacente della pace fra soldati instauratasi col Natale fu taciuta da tutti i media mondiali, che ne erano tuttavia ovviamente informati, vista la quantità di testimoni. Fu il New York Times, quotidiano di un Paese allora non ancora in guerra, a cominciare a pubblicare la notizia solo 6 giorni dopo, il 31 dicembre 1914. I giornali tedeschi tentavano di sbilanciarsi contro i soldati della tregua, ma con poca convinzione. In Italia, allora Paese che stava decidendo se intervenire o meno, la stampa disse che nonostante i canti e gli alberelli nelle trincee i combattimenti erano andate avanti.
I giornali, quindi, mentivano. In tutto il mondo. Ora come oggi, i media servivano il loro padrone, fermano se necessario i segni di umanità che emergevano dalla catastrofe in corso.
Tutto questo vi ricorda qualcosa?
Se leggete Renovatio 21, sì. Sapete che viviamo in un mondo comandato in modo sempre più pervasivo da quel sistema che Giovanni Paolo II chiamava la Cultura della Morte. Per la Necrocultura, anche oggi gli Stati mandano a morire i loro uomini – non al fronte, o almeno non ancora, ma nel laboratorio, nella biomedicina.
Lo Stato moderno, anzi, ha perfezionato l’istinto di morte del suo predecessore otto-novecentesco, che uccideva i suoi sudditi con guerre inutili, ma non era arrivato a considerare i propri cittadini come nemici. Purtroppo, come sapete, è ciò che avviene oggi: in quanto esseri umani, voi siete i nemici dello Stato moderno, il cui sistema operativo prevede la disumanizzazione, la degradazione, la riduzione dell’umanità.
Lo Stato moderno può sacrificare le masse senza bisogno di Grandi Guerre. Ecco l’aborto, ecco la provetta, ecco l’espianto di organi, ecco i vaccini. Morte e devastazione, mutilazioni, cancellazione della dignità umana.
Sì, la vostra vita, che lo abbiate accettato o meno, è una guerra. Una guerra fatta per sottomettervi e per uccidervi. E non è mai stato più chiaro di adesso. Una guerra in cui non c’è più né giudeo né greco, né bianco né negro, né ricco né povero: conta solo l’adesione più o meno volontaria di ciascuno al programma della Morte che si dipana dinanzi ai nostri occhi.
Se vi sembrano parole forti, fate attenzione: nessuno lo sta negando. L’utilitarismo, che è la filosofia politica che funge da maschera della Necrocultura presso lo Stato moderno, vi aiuta ad accettarlo: il feto deve morire per la serenità esistenziale della madre, l’embrione deve essere scartato per impiantare quello migliore, l’incosciente deve essere squartato per il maggior godimento del malato che riceverà il trapianto, il danneggiato da vaccino ci può stare, perché deve sacrificarsi per un bene più grande, l’immunizzazione universale, anche se questa è solo un miraggio…
In pratica: nessuno, davvero, nessun politico, nessun intellettuale, nessun giornale, nessun dottore, nessun partito, vi sta dicendo qualcosa che non sia un discorso sulla vostra stessa morte.
A questo punto, potete capire perché non è possibile, oggi, chiedere una tregua di Natale.
Non possiamo farlo perché, a differenza degli inglesi, che avevano i tedeschi, e dei tedeschi, che avevano gli inglesi, noi dall’altra parte non abbiamo uomini. Chi vuole ucciderci non è un ragazzo di un altro Paese, ma è un sistema, un algoritmo anticristico, una demonica potenza dell’aria, una macchina senza pietà, che vuole solo distruggere l’umanità, che opera per l’unico fine del Trionfo della Morte.
No, il nostro nemico, oggi, non è umano. Non è possibile, quindi, chiedere una tregua. Il nostro nemico combatte non per vincere una battaglia, ma per portare a termine il nostro sterminio.
Quindi mi resta solo di augurare Buon Natale a quanti tentano di resistere.
Buon Natale a quanti hanno accettato il supplizio di rimanere puri.
Buon Natale a quanti hanno fatto voto di non tollerare di essere sorvegliati come dei terminali elettronici.
Buon Natale a quanti hanno fatto il sacrificio di rimanere umani.
Vi perseguitano, e non vi daranno tregua nemmeno il giorno di Natale, perché essi, in realtà, è proprio il Natale che odiano – odiano l’essere umano, per cui anche la religione il cui Dio ama a tal punto l’uomo da discendere sotto forma di bambino. Odiano Dio, odiano l’uomo, odiano l’Imago Dei. Odiano voi.
Buon Natale a quanti che, capito che si tratta di una guerra, non hanno lasciato la presa.
Buon Natale a voi che siete estenuati, sfibrati, stremati.
Buon Natale a chi non scappa da questa trincea. Per quanto possa valere, dà qualche parte, sporco, spossato e insignificante, ci sono anche io, e non ho intenzione di disertare, né di risparmiarmi negli attacchi al nemico.
Buon Natale a chi assieme a noi vive per mettere la vita contro la morte, il bambino contro il nulla.
Buon Natale.
Roberto Dal Bosco
Necrocultura
Un altro feto trovato nel cassonetto. Volete davvero credere alla favola del disagio sociale?
Due giorni fa è stato rinvenuto un feto di poche settimane in un cassonetto situato in un parco a Parona, un comune della Lomellina nei pressi di Vigevano, in provincia di Pavia.
L’individuazione è avvenuta grazie agli operatori ecologici impegnati nelle operazioni di pulizia dell’area. Durante la loro attività di svuotamento dei cestini lungo via Papa Giovanni XXIII, il feto è emerso dal cassonetto.
Si tratta esattamente della trama della canzone Cassonetto differenziato (1989) di Elio e le Storie Tese, quella che ipotizzava una raccolta differenziata per i feti, vista la quantità di casi che finivano sui giornali: «lo spazzino è più sereno/ e poi si impressiona meno». Trentacinque anni fa già questo tipo di eventi seguiva un pattern molto riconoscibile, al punto da divenire una canzone satirica.
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Conosciamo, ad ogni modo, anche il ruolino di marcia delle cronache di situazioni come questa: secondo quanto riportano all’unisono i giornali locali e nazionali, i carabinieri sono stati tempestivamente contattati e si sono recati sul luogo. Possiamo annunciarvi che, nonostante si parli di telecamere ed altro, con molta difficoltà verrà trovato chi ha lasciato lì il bambino. Ad oggi, non abbiamo presente di casi di «scagliatrici di feto nel cassonetto» (cit. sempre Elio) identificate ed arrestate (e a dire il vero, non siamo nemmeno sicuri che si tratti di donne).
Torniamo alle cronache fetali pavesi: il feto, delle dimensioni di dieci centimetri, è stato affidato agli esperti dell’Istituto di Medicina Legale dell’Università di Pavia per essere sottoposto a esame, è stato riportato. La cosa potrebbe creare una certa dissonanza cognitiva: il lettore sa che in certi casi – come quelli degli enigmatici feti imbarattolati disseminati in tutto il Paese – inizialmente si sospetta proprio di ospedali ed università, da cui «il residuo» potrebbe essere uscito. Abbiamo appreso anche che il giallo dei bidoni gialli di Granarolo, dove furono trovati feti umani, si risolse esattamente con l’Università che ne chiese la restituzione, e la procura che ne dispose il dissequestro. (Altro non ci è dato sapere: quanti erano, perché erano lì, a cosa servivano, chi erano… tutte domande che ci rimangono addosso)
Le cronache, in coro, continuano informandoci che date le sue ridotte dimensioni, si suppone che la gravidanza della madre del bambino del cassonetto pavese sia stata breve,
Nessuno osa ovviamente specificare come sia possibile che il bambino, che si presume sia uscito intero dal grembo materno, possa essere finito lì: vi sarebbe da fare la dolorosa ammissione per la quale – è la possibilità meno allucinante – il bambino sia uscito con la RU486, la pillola dell’aborto domestico che permette di espellere il feto integro, in genere nel water, pronto per farlo viaggiare nelle tubature giù giù sino alle fogne, dove sarà divorato da pantegane, batraci e pesci coprofagi, magari pure qualche insetto goloso che apprezza la carne umana tenera e i concentrati di staminali.
La RU486 – che qualcuno giustamente ha chiamato «il pesticida umano» – permette di far uscire integri dal grembo materno questi bambini minuscoli, ma mica questo orrore può essere detto pubblicamente (la storia dei bambini divorati nelle sentine, che Renovatio 21 va ripetendo da anni, dove altro credete di poterla leggere?), perché la pasticca della morte va sdoganata sempre più: ricorderete il ministro Roberto Speranza (quello che adesso ha qualche problemino nel presentare i suoi libri in giro per l’Italia, dove lo aspettano alcune persone che ha fatto vaccinare genicamente) e la sua spinta, in pieno lockdown, per la distribuzione più libera della pillola dell’aborto fai-da-te, da rifilare alle donne senza ricovero. Di nostro possiamo dire che più di una decina di anni fa abbiamo visto politici sedicenti pro-life – ancora in circolo, presso pure le alte sfere – votare a favore della distribuzione ampliate del pastiglione omicida.
Ciò detto, non è per parlarvi della RU486 – ora distribuita su internet anche per impulso civico delle femministe americane, sconvolte dalla defederalizzazione dell’aborto subita due anni fa tramite la sentenza della Corte Suprema USA Dobbs v. Jackson – che scriviamo queste righe.
In realtà, non è nemmeno per parlare dell’aborto – o meglio, per cercare di raccontare, una volta di più, che oramai siamo convinti di come esso sia solo un pezzo del puzzle, e il puzzle è talmente mostruoso che non c’è film o libro che lo abbia anche solo concepito.
In breve, abbiamo maturato la convinzione che il ritrovamento di feti in luoghi improbabili e degradanti – o misteriosi, inspiegabili – non sia un fenomeno spontaneo, una storia spiegabile con le categorie che ci forniscono giornali e politici – di sinistra, di destra, abortisti, pro-lifi.
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La narrazione, che perdura dai casi di feto nel cassonetto che avanza dagli anni Ottanta, vuole farci pensare che l’abominevole atto è un segno di degrado. Si tratta di persone povere, disperate. Forse una donna che non può permettersi di avere un bambino, o che non vuole averlo perché vive in un appartamento dove il patriarcato le imporrebbe di divenire madre. Cose così.
Insomma: lo shock del feto trovato nella spazzatura serviva a consolidare l’aborto di Stato, ad estenderlo: se la donna avesse abortito avremmo evitato di scandalizzare il netturbino («Ma mettetevi nei panni di chi / il cassonetto pulisce / mi trova e non capisce / il perché di tanta inciviltà / poi scende in piazza e sciopera / e la colpa è anche un po’ tua / se non ti batti per un mondo migliore / in cui una madre sappia dove gettare il bebè»: sono i realistici versi di Elio).
Logica ferrea: fai a pezzi il bambino dentro il grembo materno con il metodo Karman (facendolo diventare un rifiuto ospedaliero, o in certi casi materiale da esperimento) invece che farlo trovare poche settimane dopo nell’immondizia. Non una grinza: come diceva una filastrocca delle scuole medie, «era meglio morire da piccoli / con i…»
Il problema è che oggi tutta questa teoria non tiene più. Il bambino non è nato, è stato fatto uscire dalla madre prima, integro, quando era lungo poco più di un dito – eppure, già perfettamente umano, già Imago Dei.
L’aborto è libero, liberissimo: consentito dalle autorità anche senza essere incinte (è successo), celebrato come grande conquista sociale dalla stampa, dalla politica (tutta!), glorificato da fiction e serie TV. Perché mai allora, continuiamo a trovare feti nel cassonetto?
Se qualche voce «laica» ora si alza per dire che è per colpa del clima intollerante causato dalla chiesa cattolica, può tacersi anche subito: perché sappiamo come Roma non solo non abbia intenzione in alcun modo di andare contro la legge di figlicida (abbiamo cardinali che lo hanno pure dichiarato, e casi sussurrati di confessori che consigliano la procedura a fedeli disperate) ma come abbia fatto di tutto per infliggere il mondo un prodotto che dall’aborto è derivato, il vaccino COVID (e prima ancora, altri vaccini, tutti – come sa il lettore che ci segue negli anni 0 ottenuti con cellule di aborto). Il Vaticano sapeva, ma ha fatto spallucce.
E quindi? Se non si tratta di disagio, dramma sociologico, di repressione del diritto umano all’ammazzare la propria discendenza, cosa sono questi feti nei cassonetti?
Quello che pensiamo noi, adesso, è che siano essenzialmente dei segni. Non sono stati abbandonati, sono stati piazzati. Sono delle puntine su una mappa oscura, sono capitelli di un territorio letto secondo una mistica del male. Sono antenne, amuleti, sono prove di un sacrificio avvenuto sopra una determinata zona del Paese.
Chi li mette? Qualcuno che concepisce l’aborto, o meglio l’uccisione della vita umana innocente, come una realtà da rendere simbolo ripetibile distribuito sul territorio.
Immaginate tutte quelle vecchie chiesette, anche minuscole, ora deserte, che vedete un po’ ovunque. Immaginate che lì vi è un altare, che serve per il sacrificio di Dio per l’uomo. Invertite tutto: ecco che bisogna puntellare la Terra del segno del sacrificio dell’essere umano per il dio – o meglio, per il demone.
Si può trattare, quindi, di una sorta di pratica satanica, o forse perfino«post-satanica», di cui non abbiamo mai sentito nulla, perché tenuta davvero segreta da chi la pratica?
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Abbiamo ipotizzato questa spiegazione per la storia dei feti in barattolo rinvenuti nel corso di più decenni in vari luoghi improbabili, spesso nel verde: campi, argini dei fiumi, aiuole urbane, cimiteri. Probabilmente, siamo stati i primi a cercare di unire i puntini di questi casi: chi può avere interesse, nell’arco di trenta o quaranta anni, ad abbandonare vasetti con bambini dentro a Nord e Sud, in città e in campagna? Come può trattarsi di un unico soggetto che lo fa?
Ora stiamo cercando di allargare la medesima idea ai bimbi nei cassonetti. Forse non si tratta di donne disperate, a cui gli obiettori di coscienza cattivi hanno negato l’accesso al feticidio. Non si tratta di degrado sociale, non si tratta di quelle storie brutte che ci fanno allargare le braccia e dire «ma dove andremo a finire», così da spingerci sempre più dentro il nostro bozzolo domestico.
Forse non è una storia che potete ancora immaginare. Perché potrebbe essere talmente spaventosa da dover essere tenuta segreta – sia da chi la pratica, che da chi forse lo ha capito, ma non può dirlo, vuoi perché teme il panico sociale che potrebbe scatenare, vuoi perché forse qualcuno in alto desidera che continui, perché parte di un meccanismo, di un accordo indicibile.
Mentre meditate dentro questo abisso, abbiate una certezza: quella di non credere più, nemmeno per un secondo, a quanto vi dicono sull’aborto i politici, i giornali, i pregatori seriali, i pro-life a caccia dei vostri soldini.
Rifiutate del tutto chi vuole farvi fissare il dito invece che la luna di sangue che è sopra tutti noi.
Roberto Dal Bosco
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Autismo
Finestra di Overton per l’inarrestabile incremento dell’autismo: dal vaccino al sacrificio umano dell’eutanasia infantile
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«Abbiamo visto che eliminano completamente i down, perché la loro è una vita indegna di essere vissuta» dicevo indicando il caso dell’Islanda down-free. «E una vita indegna di essere vissuta, va eliminata… voi pensate che sia impossibile? Il re cattolico del Belgio nel 2014 ha firmato una legge per cui si può fare l’eutanasia del bambino, basta che il bambino sia “consenziente”… l’eutanasia infantile è arrivata… qualcuno lo chiama aborto post-natale» dicevo. Poi parlavo del caso di Charlie Gard, il bambino lasciato morire della Sanità inglese, e del suo messaggio, e cioè il «pensare che si possono ammazzare i bambini anche già nati… i bambini danneggiati si possono ammazzare». «Quindi io mi chiedo, e sono conscio della forza di questa mia domanda: quanti anni ci vorranno prima che i bambini autistici finiranno in questo calderone?» Ricordo il gelo che scese nella sala. Da persona che lavora con i teatri, so percepire la temperatura di una sala. Lì era precipitato tutto sottozero all’istante, al punto che mi fermai prima ancora di finire la frase. L’eutanasia dei bambini autistici sarà una proposta che la realtà globale comincerà a discutere, e ad accettare, a brevissimo. Il cittadino del futuro è dipendente, prevedibile, domestico – e soprattutto spendibile. Scartabile a piacere, eliminabile magari pure con l’assenso dei famigliari. Il capolavoro della Necrocultura di Satana è più visibile che mai: come con l’aborto – dove è la madre ad uccidere il suo figlio indifeso – anche qui l’eliminazione massiva di questa parte della popolazione in crescita verrà fatta passare per il consenso della famiglia, distruggendone, di fatto, ogni suo tessuto morale. La famiglia da luogo della vita, diventa luogo della Morte. La famiglia, la cellula primaria della società nella quale visse lo stesso Dio incarnato, il cuore della legge naturale, viene pervertita in modo sanguinario. È il Regno Sociale di Satana: parte dalle siringhe dei sieri e, dopo dolore e malattia, torna alle siringhe, ma dello sterminio biomedico di Stato. Dalla siringa al sacrificio umano. Lo Stato moderno fa così Quanto ci piacerebbe che la «consapevolezza sull’autismo», e le sue giornatone ONU pagate dal contribuente, parlasse di queste cose. Un’ultima cosa detta ai censori e ai «normalisti» che leggono queste righe e ridacchiano, o si scandalizzano, magari presi dalla voglia di segnalarci alle «autorità competenti» per «disinformazione»: ecco a voi il nostro dito medio, e ve lo siete meritato tutto, perché le vostre azioni stanno portando avanti nei decenni questo programma di morte e devastazione che usa i bambini come strumenti, come armi per la rivoluzione biologica che sta rovinando il mondo. Siatene consapevoli: la Necrocultura travolgerà anche voi e le vostre patetiche esistenze di volonterosi carnefici di Moloch. Svegliatevi. Convertitevi. Roberto Dal Bosco SOSTIENI RENOVATIO 21Autismo ed eutanasia infantile. Intervento di Roberto Dal Bosco dal convegno di Renovatio 21 «Vaccini fra obbligo e libertà di scelta», Reggio Emilia, 9 settembre 2017 pic.twitter.com/5aYBo27Gb8
— Renovatio 21 (@21_renovatio) April 17, 2024
Controllo delle nascite
Continua il crollo delle nascite in Italia
Il crollo delle nascite in Italia si è confermato nel corso del 2023, in Italia. Lo riporta l’agenzia ANSA.
L’ulteriore declino del numero dei bambini messi al mondo, come indicato dai dati demografici relativi a tale anno pubblicati oggi dall’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT).
Secondo le statistiche preliminari, il numero dei neonati residenti nel Paese si attesta a 379 mila, accompagnato da un tasso di natalità pari al 6,4 per mille (rispetto al 6,7 per mille registrato nel 2022).
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Tale diminuzione delle nascite rispetto all’anno precedente si attesta a 14 mila unità, equivalenti al 3,6%.
Risalendo al 2008, ultimo anno di aumento delle nascite in Italia, si osserva un calo complessivo di 197 mila unità (-34,2%).
La media di figli per donna diminuisce da 1,24 nel 2022 a 1,20 nel 2023, avvicinandosi notevolmente al minimo storico di 1,19 figli riscontrato nel lontano 1995. L’Italia, come da imperativo della Necrocultura, si sta spopolando.
Gli articoli di stampa che analizzano tale numero non osa metterlo in relazione con l’altra quota ufficiale che la logica vorrebbe andasse subito citata: il numero degli aborti nel Paese. Il dato del 2021 è di un totale nel notificato di 63.653 «interruzioni volontarie di gravidanza», o IVG, termine della neolingua orwelliana per il feticidio di Stato.
In pratica, secondo il dato ufficiale, ogni sei bambini uno viene sacrificato a Moloch – e non sappiamo che fine possa fare il corpo dei piccoli assassinati, se smaltito con i residui ospedalieri, bruciato come rifiuto, smembrato e venduto per esperimenti e linee cellulari per le farmaceutiche (in America, lo sappiamo, succede: e i produttori di vaccini possono ringraziare) oppure finito misteriosamente in barattoli disseminati per le campagne, o ancora in enigmatici bidoni gialli abbandonati in depositi fuori città.
A chi si rallegra del continuo andamento in diminuzione dell’aborto (-4,2% rispetto al 2020) a partire dal 1983, vogliamo ricordare che il dato ufficiale rappresenta la punta dell’iceberg, e forse nemmeno quella.
I bambini di fatto oggi muoiono a causa di quella che chiama contraccezione, che crea il fenomeno della cosiddetta «microabortività»: alcuni anticoncezionali, come la cosiddetta spirale (o IUD), ostacolando l’annidamento dell’embrione, di fatto agiscono come sistemi di aborto permanente. Qualcuno ritiene quindi che i dispositivi intrauterini possono considerarsi in grado di procurare alla donna anche un aborto al mese: è l’infanticidio automatico, impiantato macchinalmente dentro il corpo stesso della donna. Capolavori della medicina moderna…
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Stesso discorso va fatto per il numero sommerso dei bambini uccisi dalla RU486, il pesticida umano utilizzato per l’aborto chimico: come usiamo ripetere, qui il feto viene espulso nel water e poi inviato con lo sciacquone nelle fogne dove sarà presumibilmente divorato da ratti, rane, pesci, insetti vari.
Esistendo un mercato nero diffuso della pillola dell’aborto – negli USA pure sostenuto da alcuni gruppi femministi specialmente dopo la defederalizzazione del «diritto di aborto» avvenuta con la sentenza della Corte Suprema Dobbs v. Jackson del 2022 – il numero di bambini trucidati con la pasticca assassina non è dato conoscerlo.
Vi va aggiunta, in ogni caso, anche la quantità di esseri umani terminati dalla pillola del giorno dopo, per la quale la stampa sincero-democratica si sgola da anni spiegando che non è aborto, quando invece lo è.
In questa sede, poi, non inizieremo nemmeno il discorso sulla quantità di embrioni prodotti e scartati con la riproduzione artificiale (sono centinaia di migliaia…), né il numero di esseri creati in provetta e poi congelati sotto azoto liquido in un limbo teologicamente, politicamente, legalmente biologicamente indefinito (sono vivi? Sono morti?).
Il numero dei bambini uccisi dallo Stato-Erode non è quindi di 65 mila individui, ma molto superiore. Non si tratta di una città di piccole dimensioni che sparisce ogni anno: forse è una metropoli, è una piccola regione che viene nuclearizzata nel grembo materno mentre la popolazione si contrae mostruosamente, e – molto causalmente – il Paese, anche sotto un sedicente governo nazionalista e sovranista, importa a spese del contribuente milionate di africani, le cui cifre sembrano decisamente essere quelle di una sostituzione vera e propria.
Caro lettore sincero-democratico, qualche campanello in testa ti si accende?
C’è qualcosa che vuoi fare, che non sia dare spago a danari a qualche stupido gruppo pro-life?
Roberto Dal Bosco
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