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Satira

NATO, Israele, aborto, Ucraina, partigiani, UE, PD e radicali nella stessa foto: grazie dottor Viale!

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Un’unica immagine in grado di comprendere il supporto alla NATO, allo Stato di Israele, al regime ucraino, all’Unione Europea, ai partigiani, all’aborto, ai radicali italiani e indirettamente al PD: tutto ciò è stato possibile al 25 aprile di Torino, grazie al dottor Silvio Viale.

 

L’indomito ginecologo cuneese è stato visto in piazza Castello far garrire al vento ben due bandieroni, uno dell’Alleanza Atlantica e uno dello Stato ebraico.

 

Dietro di lui, un gruppo di persone, talune col fazzoletto partigiano tricolorato, che sventolano il vessillo ucraino e pure quello dell’Europa Unita, scandendo slogan come «Putin assassino», «Putin all’Aia», «viva la resistenza ucraina», etc. Uno striscione firmato radicali italiani, che – novità assoluta – chiede firme, scrive «Putin criminale di Guerra».

 

Le immagini del benemerito Local Team come sempre mostrano tantissimo. Il gruppo non è troppo esteso, e dobbiamo dire che Bella Ciao viene cantata con non troppa convinzione, ma non è che siamo giudici di X Factor.

 

 

Il gruppo è circondato da un cordone della Polizia di Stato, che forse sospetta che ad un evento del genere le insegne della NATO e di Israele possano innervosire qualcuno, che magari ha passato la vita a sognare di rifugiarsi sotto il Patto di Varsavia (con il piano quinquennale, la stabilità) e/o ha una estrema, immarcescibile e ad una certa pure inspiegabile simpatia per la causa palestinese.

 

Bisogna dire altresì che anche i colori ucraini fanno arrabbiare alcuni, come si era veduto al 25 aprile di Milano nell’anno passato.

 

Nelle riprese video non manca il notorio slogan banderista «Slava Ukraïni/Heroiam Slava», che nell’aprile 1941 divenne saluto ufficiale dei nazionalisti integralisti ucraini che collaboravano con il III Reich, che all’epoca accompagnavano il motto con il saluto fascista. Ad un 25 aprile ci sta a palla. No?

 

Lo sbandieratore è, come noto, uno dei campioni dell’abortismo italiano.

 

Molti si ricordano una sua intervista che avrebbe dato alla trasmissione radiofonica La Zanzara nel 2019, riportata da Dagospia.

 

«Una volta ho detto polemicamente che frullavo i bambini, ma in realtà non userei mai più la parola bambini per un feto o un embrione. Frullare l’ho pronunciata in polemica quando si discuteva dell’aborto farmacologico e della pillola abortiva, circondato da persone che me ne dicevano di tutti i colori. Di fatto i feti vengono frullati perché vengono aspirati».

 

«Tecnicamente è un’aspirazione elettrica. Quindi con un aspiratore si aspira e il feto finisce in un contenitore. Da lì a frullare la differenza è poca. Di fatto è la stessa cosa. Dopo di che si usano anche altre pinze, c’è il raschiamento, cioè l’aborto chirurgico che è un intervento traumatico» avrebbe detto il dottore.

 

È arcinoto il suo impegno per il mifepristone, e cioè la pillola abortiva RU-486, quella di cui ha appena discusso la Corte Suprema USA, quella che riempie fogne e fiumi di ormoni tossici e minuscoli esseri umani, per la gioia di ratti, pesci ed anfibi che fanno scorpacciate di staminali umane.

 

«Nel dicembre 2009 la RU486 è stata legalizzata in Italia» scrive Wikipedia. «Nell’aprile 2010 Viale e i suoi colleghi dell’Ospedale S. Anna di Torino hanno iniziato la somministrazione ordinaria del farmaco; in un anno hanno somministrato la pillola RU486 a 1.011 donne, il 25% delle IVG (interruzioni volontarie di gravidanza) avvenute nell’ospedale. La Regione Piemonte è al primo posto in Italia nella somministrazione della RU486».

 

 

Un suo manifesto elettorale di qualche anno fa lo ritraeva mentre mostra orgoglioso pacchetti di pillola abortiva, sorrisetto perenne. Istruttivo anche il testo: «un medico dalla parte delle donne, un radicale nel PD».

 

 

Proprio così, Viale è parte della diaspora dei Pannella-boys, finiti praticamente in tutti i partiti. «Oltre che a Radicali Italiani è iscritto al Partito Democratico sin dalla sua fondazione» leggiamo su Wikipedia.

 

Il portabandiere NATO-Israele, insomma, è un abortista radicale del PD, europartigiano nemico della Russia putiniana. Capite che è un bingo, una tombola, un poker, un full, una scala reale colore, insomma una cosa così, anzi di più.

 

Lui forse lo sa, e per questo si mostra serafico, masticando con determinazione in modalità bocca aperta una cingomma, e non sappiamo se si tratti di un ulteriore omaggio alla superpotenza americana, espresso senza stelle e strisce ma con il pregnante simbolo di un chewing gum che non si attacca al lavoro del tuo abortista.

 

Sotto l’espressione sorniona, notiamo un pezzone inaspettato: una cravattona a motivo rosa dei venti, un omaggio fashion alla NATO che ci prende di sorpresa per colore e creatività.

 

Bisogna ricordare, tuttavia, che non è la prima volta che il Viale ci regala immagini ragguardevoli, politicamente e storicamente pregnanti, per le vie di Torino.

 

C’è quella foto dimenticata, di qualche anno fa. C’è Fassino, allora sindaco del capoluogo piemontese, che viene avvicinato da pittoreschi transessuali ignudi dotati di corna. L’espressione del profeta piddino dice tutto. Il suo linguaggio del corpo ancora di più. Poco dietro, se la ride, inarrestabile, il dottor Viale.

 

 

È la plastica immagine del PD divenuto quello che il filosofo Augusto del Noce chiamava il «partito radicale di massa». Un’icona più letterale non era possibile trovarla – anche perché ci mostra come in realtà si sentisse dentro una bella parte del partito.

 

Parliamo, tuttavia, dell’era pre-Schlein. Ora, immaginiamo, è tutto molto, molto diverso. Tante cose sono cambiate, ma Viale è sempre lo stesso. È una certezza. E di questo c’è da essergliene grati.

 

La coerenza di agglutinare in una sola foto tanta roba è francamente ammirevole.

 

Bene così.

 

SCB. Sono cose belle.

 

 

 

 

 

 

Immagine screenshot da YouTube

 

 

 

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La rete impazzita per Greta trasformata in He-Man

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Greta Thunberg, passionaria un tempo giovanissima della causa climatica, è ora alle prese con un oceano di lazzi scatenatisi in rete per il look esibito nelle ultime sue apparizioni.

 

La ragazza, ora in forze alla protesta nautica (motorizzata a combustibile fossile) della flotilla pro-palestinese, ha scioccato tutti con un taglio di capelli conosciuto tecnicamente come pageboy («taglio da paggio» medievale) che a molti ha ricordato un personaggio dello cartone Shrek, il principe Farquaadd. Ai più, tuttavia, ha ricordato un altro personaggio dei disegni animati, He-Man, il protagonista della serie anni Ottanta Masters of the Universe.

 

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La Greta, evidente strumento mondialista che anni fa smuoveva (con il consenso dei governi!) milioni di studenti per i gli scioperi del «venerdì climatico» e parlava all’ONU («how dare you…») arrivando sulla barca a vela «Malizia II» con il principe (quello sì, tipo) monegasco marito della giornalista santoro-travagliana Isabella Borromeo, ora a ridotta a zimbello della rete, con la piattaforma X eretta a quartier generale degli zimbellatori, che zimbellano come non ci fosse un domani.

 

È un fiume zimbellante inarrestabile. He-Greta è realtà.

 

 

 

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Tuttavia, molti sono offesi al riferimento, magari pure involontario, al biondo personaggio della Mattel. Parlare di He-Man significa toccare l’infanzia di tanti individui della generazione X.

 

Lo stretto collaboratore di Renovatio 21 Francesco Rondolini, possessore di un copia originale del Castello di Greyskull (così come un altro tizio che scrive per la testata, che se lo porta dietro da quando aveva otto anni, quello e pure la Cittadella del Serpente) ci fa sapere tutta la sua indignazione: «non è giusto, ma come si permette… giù le mani da He-Man, giù le mani dai Masters, i pupazzi della nostra infanzia».

 

Al culmine dell’ira funesta, Francesco ci manda pure un video di pochi secondi della sua collezione: un grattacielo impressionante di concrezioni in plastica di fantasie antiche. Lo He-manno è visibile all’ultimo piano della teca, dove, evolianamente, cavalca la tigre.

 

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Pupazzi che citano pupazzi, la vertigine socio-metafisica sale di brutto.

 

Non si tratta del primo assalto che i fan del biondo forzuto devono subire. Anni fa è emerso l’interesse delle torme omotransessualiste, che hanno tentato di trasformare l’eroe del pianeta Eternia in un’icona gay, con saggi accademici sul sottotesto omoerotico del cartone e continui meme sui sul suo rapporto con altri muscolosi personaggi, incluso il perfido deutoragonista Skeletor.

 

 

He-Man si traduce letteralmente come «lui-uomo», e forse è questo che attrae la popolazione gaia, che con la figura del maschio, secondo un certo pensiero psicanalitico, ha un rapporto incompleto – da qui la passione per ruoli in teoria molto maschili, come quelli dei Village People: il poliziotto, l’indiano, il pompiere, il marinaio… etc.

 

Sappiamo dell’esistenza dei «Bear», gli «orsi», un sottogruppo di omosessuali il cui ideale erotico è l’uomo grande, grosso, villoso: in pratica Babbo Natale. Un’ammissione implicita, secondo la teoria psicologica (da Sigismondo Freud alla cosiddetta terapia riparativa di Joseph Nicolosi) proibita e censuratissima, dei problemi del rapporto con la figura paterna, che è stata troppo debole o assente…

 

E Greta cosa c’entra? in effetti sembra un po’ mascolina nelle foto, ma non sappiamo nulla delle sue vere inclinazioni – questo gossip globalista ce lo hanno risparmiato, e ci saranno delle ragioni. Possiamo attaccare un paio di sinapsi, e ricordare che il transessualismo, secondo sempre più studi, pare correlato allo spettro autistico, e ci era stato detto che la ragazzina era Asperger: ma sono illazioni, e siamo convinti che la diagnosi psichiatrica spiattellata urbi et orbi possa fare parte del trend globale, partito da Hollywood diversi anni fa, di glamourizzare l’autismo, visto che la sua crescita è inarrestabile almeno quanto l’ascesa dei vaccini e dei loro obblighi.

 

Ci colpisce, tuttavia, nella foto che sta facendo il giro della rete, qualcos’altro. L’icona climatico-oligarchica, schiena leggermente curva e gambette un po’ piegate, sembrerebbe infatti come spingere con le budella, uno sforzo che taluni ritengono possibile leggerle pure in volto. Come mai? Non è che…

 

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Ricordiamo che certi gas organici, nella narrazione climatista, sono il grande nemico da abbattere: i peti prodotti dalla civiltà che si alimenta a carne bovina, sostengono gli scienziati, sono la causa della catastrofe ambientale in atto – e di qui ai progetti eccezionali, spesso ben finanziati da Gates, come quelli per i tecno-pannoloni anti-scureggia per le mucche

 

Anche di questo aspetto della nuova incarnazione pro-pal (dopo essere stata pro-Ucraina, ovvio) della svedese non abbiamo lumi, e non ci interessa nemmeno: anche perché, viste certe conferenza stampa in cui faceva scena muta, non siamo sicuri che se glielo chiedessimo saprebbe risponderci.

 

Il campione catodico laico (diciamo così) Piero Angela diceva che la prima vera Greta Thunberg che aveva conosciuto portava i baffi e si chiamava Aurelio Peccei – vero, grande signora della Necrocultura depopolazionista, vero e proprio inventore, committente dell’ambientalismo moderno.

 

Ecco, un bel suggerimento: la prossima volta, Greta, vai con i baffoni. Magari la gente ride meno.

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Immagine screenshot da YouTube; modificata

 

 

 

 

 

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Auguri e figli gender

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Accade a Padova, provincia del Veneto bigotto e benpensante, di sani e robusti principi morali e costituzionali. Un assessore (assessora, cioè), che ha appena dato alla luce una creatura, è riuscito/a a fare della propria riproduzione una notiziona planetaria grazie a una spontaneissima trovata: il superamento del fiocco monocromatico. Niente più rosa, niente più celeste, ecco il fiocco arcobaleno, tinto dell’ineffabile iride omotransessualista.    L’assessoressa, che porta l’impegnativo cognome di Colonnello (da cui possibili cortocircuiti istituzionali dal sapore golpista: «assessore colonnello», anzi «assessora colonnella»), lo aveva già annunziato al Gay Pride dello scorso 31 maggio, cui aveva partecipato, cinta con la bandiera della gaiezza a mo’ di pareo, insieme al suo concittadino sempre sul pezzo, l’onorevole Zano.   «Mio figlio o figlia non avrà un fiocco rosa o azzurro per indicare il sesso bensì arcobaleno, simbolo di inclusione e di libertà». Ed eccallà. La stampa riporta strafelice che l’assessore colonnello è stato di parola: accanto alla puerpera – si può dire, puerpera? – compaiono cinque (perché cinque? c’è qualche numerologia simbolica LGBTina che ci sfugge?) coccarde arcobalenate.  
 
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Nihil novum sub sole: la pratica lungimirante di delegare al diretto interessato la libera scelta del proprio sesso è inveterata tra le star hollywoodiane, e perché mai un’assessor* piddina non dovrebbe conformarvisi.   Evvi tuttavia qualche ragionamento da farsi riguardo al nome scelto per la creatura. Molto gettonato per chi programma la neutralità sessuale della prole è Andrea, perché in effetti basta varcare la soglia della provincia autonoma di Bolzano e Andrea diventa femmina. Invece, secondo le cronache, al piccolo colonnello è stato imposto (quale inaccettabile prepotenza!) il nome di «Aronne». Biblica nomea, all’apparenza, tutta maschile. Come si concilia con l’arcobaleno? Ma dove è poi finita la strombazzata libertà del neonato?    E perché non Aronnə con lo schwa? Capiamo che non è facile trovarlo sulla tastiera, ma si poteva allora optare per Aronn*, in attesa dell’autodeterminazione onomastica del pargolo (a che età? E se poi strada facendo cambia idea?). Ancora meglio, considerando gli ingombri delle lettere, sarebbe stato un «Aaronn*», con quella doppia «a» davanti che può arricchirlo di un effetto di stupefazione. Con lo stesso numero di lettere, ad una certa, la «a» in eccedenza a inizio parola potrebbe essere trasportata infine, come desinenza: vi presento Aronna. A meno che, ora che ci pensiamo, Aronne non sia stato scelto già come termine femminile, ma plurale: le Aronne. Sappiamo che in effetti per qualche ragione il genderismo anglofono consiglia l’uso di pronomi plurali (they/them) per le persone cosiddette «non binarie», o meglio per chi vuole.   Ragionandoci su, ci rendiamo conto però che si tratta di problemi inesistenti: con la sfolgorante carriera della carriera alias per tutti, qualsiasi studente può cambiare nome al volo, e pretendere di farsi chiamare col nuovo nome da tutta la scuola anche senza passare all’anagrafe. Che poi, pure il passaggio all’anagrafe per il cambio (di sesso, di nome, etc.) non è che sia cosa difficile: si può già fare, senza bisogna di castrazioni o chirurgie plastiche, in tanti Paesi, come la vicina Svizzera, o la Germania, dove si può fare una volta l’anno, da cinque anni in su. In futuro si potrà fare, molto presumibilmente, più volte. Lo si farà, se non lo si fa già, via internet, dal telefonino, con la app.   Insomma: perché mai, a questo punto, intraprendere quello sforzo indicibile che è la scelta del nome per la creatura (mettendo insieme gusti, statistiche, date, santi, faccia) quando questa può sceglierselo democraticamente in autogestione più in là? Se può scegliersi il sesso, perché non può scegliersi il nome?   Facciamo ufficialmente una proposta seria allo Stato moderno: ma perché mai dare nomi ai bambini, che poi magari non sono quelli che vogliono? Non sarebbe molto più facile assegnare loro un codice numerico, e via? Ad una certa, potranno sbloccarlo, come si fa quando si sceglie la password di un nuovo account dopo quella provvisoria iniziale, e piazzarci l’appellativo che vogliono, magari pure capolavori di digitazione come X Æ A-12, l’eccezionale, battaglianavalesco nome del figlio di Elone e dell’allora concubina cantante.   Si immagini la dolcezza sottesa alla nostra proposta: «THX1138, è pronta la cena!». A emettere l’annuncio qui, ovviamente, non è la madre, ma il genitore 1, oppure quello 2.   Havvi, infine, da farsi una considerazione riguardo al passare del tempo e dei costumi – o tempora, o mores, direbbe Ciceron* – con i relativi rischi: se a uno scappa «auguri e figli maschi», in quali conseguenze incorre? Denunzie? Rieducazioni? Deportazioni? Torture? Sostituzione coatta del nome anagrafico?   Che non sia il caso di conformare tutti al mondo nuovo? Suggeriamo all’onorevole Zan* di prendere spunto dal lieto evento che lo vede coinvolto per presentare un veloce disegnino di legge – un articoletto e via – per istituire, come unico auspicio proferibile a chi ancora si ostina a fare i figli con l’utero senza sesso predefinito, «auguri e figli gender».    Roberto Dal Bosco Elisabetta Frezza

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Il vento da Urano rende difficile la sonda NASA. Doppi sensi tremendi

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Gli scienziati hanno scoperto che un «raro evento di vento intenso» durante il sorvolo della NASA Voyager 2 di Urano nel 1986 potrebbe aver seriamente reso difficile la nostra comprensione del pianeta. Lo riporta il sito Futurism, che dedica un articolo alla questione pieno di doppi sensi.

 

Come dettagliato in un articolo pubblicato sulla rivista Nature Astronomy, lo scienziato del Jet Propulsion Lab (JPL) della NASA Jamie Jasinski e un team internazionale di ricercatori, hanno scoperto che la nostra attuale comprensione di Urano potrebbe essere basata su dati raccolti durante un periodo di tempo insolito in cui la magnetosfera di Urano era in uno «stato anomalo e compresso», che si verifica solo «meno del 5% delle volte».

 

Ciò detto, l’attuale conoscenza del pianeta potrebbe essere molto più limitata di quanto pensiamo, perché il Sole, in quel periodo, stava bersagliando Urano con il tempo solare.

 

Lo Jasinksi ha riesaminato i dati raccolti dalla Voyager 2 durante il suo sorvolo del 1986 e ha scoperto che la sonda aveva esaminato Urano poco dopo un intenso evento del vento solare, che ha visto un enorme aumento di particelle cariche esplodere dal Sole.

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L’evento ha compresso la magnetosfera del pianeta causandone la deformazione in una forma significativamente asimmetrica che sembrava mancare di plasma.

 

«Una tale compressione della magnetosfera potrebbe aumentare i flussi di elettroni energetici all’interno delle fasce di radiazione e svuotare temporaneamente la magnetosfera del suo plasma», hanno scritto i ricercatori nel loro articolo.

 

Anche se Voyager 2 avesse raccolto i dati solo una settimana prima, suggeriscono i ricercatori, avrebbe trovato una magnetosfera molto più riconoscibile, come quelli che circondano altri pianeti del nostro sistema solare, tra cui Giove, Saturno e Nettuno.

 

«A causa della variazione del vento solare a Urano, suggeriamo che potrebbero esserci due cicli magnetosferici durante il minimo solare», hanno dichiarato i ricercatori, riferendosi al periodo più calmo del ciclo solare di 11 anni del Sole.

 

«Evidenziamo che la nostra comprensione del sistema Urano è altamente limitata e la nostra analisi mostra che qualsiasi conclusione fatta dal flyby Voyager 2 è altrettanto provvisoria», conclude il team di ricerca nel loro articolo.

 

«Suggeriamo che le scoperte fatte dal Voyager 2 non dovrebbero essere assegnate alcuna tipicità per quanto riguarda la magnetosfera di Urano».

 

Ora, questo articolo assume tutt’altro significato qualora si ricordi che il pianeta Urano, in inglese Uranus, si presta ad ogni sorta di scherzo e battuta nella lingua di Guglielmo Shakespeare: Uranus si legge esattamente come «your anus», cioè «il tuo ano». Il vento da Urano, quindi, il lettore può immaginare cosa possa significare nel suo doppio senso, così come l’idea di una sonda («probe») su per Uranus.

 

Il piccolo pianeta del sistema solare da tempo immemore è al centro di battute e sketch di ogni tipo. Ricordiamo gli spot fasulli della multinazionale Uranus Corp dell’inarrivabile film comico The Groove Tube (1974).

 

 

Sono cose belle, SCB. Tuttavia non stupisce il fatto che la NASA, dove è stata espressa la volontà di cambiare il nome ad un satellite, perché intitolato ad uno scienziato ora ritenuto omofobo, riguardo alla possibilità di cambiare il nome di Urano non ha mai fatto alcun cenno.

 

Chissà perché. Misteri dello spazio, di Urano, e dei buchi neri.

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