Pensiero
Massacro trans di bambini, ecco lo stragista ideale dei «conservatori». Per un futuro di sorveglianza totale

Erano passate poche ore dal massacro di Minneapolis che già fioccavano in rete teoria di tutti i tipi. Et pour cause: come è stato notato da molti, non era mai accaduto che emergessero così tante informazioni su uno stragista scolastico.
Ricordiamo il caso del Tennessee: ci sono voluti mesi e mesi prima che il famigerato «manifesto» dell’assassina transessuale Audrey Hale fosse pubblicato – e pubblicato perché trapelato in barba alle forze dell’ordine. E invece qui i diari del mostro sono subito fruibili, persino in formato video. C’è tutto, disegni, scritti, meme, confessioni… ogni cosa è subito in chiaro, in tutta la sua portata allucinante.
Alcuni notano ancora la differenza che vi è tra il caso di Robert Westman e di Thomas Matthew Crooks, il coetaneo che sparò al candidato presidente Donald Trump durante il comizio di Butler in Pennsylvania. Del Crooks non si sa ancora nulla: caso più unico che raro di ventenne che non ha una vera traccia su internet, né social media né altro. Curioso.
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Qualcuno specula di un nuovo caso MK-Ultra, dicendo che il programma di controllo mentale della CIA non è mai stato veramente fermato. Puntano il dito contro il padre del massacratore, James, che lavorerebbe per ESRI, produttore di un software di Intelligence geospaziale (cioè, satelliti) usato anche dalla CIA.
Il padre racconta che il ragazzo avrebbe avuto una delusione d’amore recente. La madre – che aveva lavorato proprio per la scuola della strage – invece ha rifiutato di collaborare con la polizia, e ora si sarebbe data alla macchia, rendendosi latitante. Secondo fonti del giornalista indipendente Andy Ngo, a spingere per la transessualizzazione di Robert sarebbe stato più il padre che la madre, definita come «cristiana devota», che sarebbe stata in qualche modo indotta a firmare per la «transizione» sessuale del figlio.
La realtà è che, al di là dei tantissimi dettagli contingenti che continuano ad affiorare, vi sono elementi che rendono il caso un vero e proprio ideale per i conservatori americani – o meglio, per i neocon.
Ci ha riflettutto sopra Kim Iversen, giornalista americana di origini scandinavo-vietnamite, un tempo considerabile come moderata, ora piuttosto lanciata su temi come quello di Israele e della sua totale influenza sugli USA – la bella Kim, per coincidenza, ha subito in questi ultimi giorni un furto di identità, con un’auto comprata a suo nome, nonché una misteriosa effrazione in casa sua mentre stava registrando una puntata del suo show YouTube.
Incurante di tutto, la Iversen mette in fila un po’ di spunte che fanno quasi pensare che si tratti di una figura desiderabile per la propaganda del vecchio conservatorismo USA: l’assassino è trans, e la demonizzazione della classe certo non dispiace ai conservatori vecchio stile; l’assassino scrive in cirillico, pare quindi avere simpatia per la Russia, nemico immortale dei neocon; l’assassino scrive su fucili e caricatori messaggi contro lo Stato Ebraico («Israele deve cadere», ad esempio) e la narrativa dell’«olocausto» («6 milioni non erano abbastanza»): ed ecco una leva interessante contro la nuova destra americana, i MAGA, che a differenza dei conservatori non sembra avere più riflessi pavloviani pro-Israele.
Insomma: lo Westman parrebbe quasi un babau concepito per la propaganda neocon, sempre più disperata per il fatto di aver perduto completamente il favore verso Israele del popolo di sinistra in America e di buona parte di quello della destra. Forse per questo, dicono alcuni, a Gaza accelerano: sanno di avere poco tempo, quando la generazione dei boomer morirà, non resterà in Occidente più nessun appoggio per lo Stato Giudaico…
Sono annotazioni, analisi, speculazioni. Tuttavia altri rilievi usciti dopo il massacro sono invece certezze.
La strage dei bambini cattolici di Minneapolis avrebbe potuto essere evitata se fosse stato installato uno strumento di rilevamento delle minacce basato sull’intelligenza artificiale, ha dichiarato mercoledì a Fox News – la TV dei conservatori americani, il canale tramite il quale necon portarono gli USA alla guerra in Iraq – proprio un ex agente delle forze speciali israeliane.
Parlando della sua piattaforma GIDEON, il fondatore Aaron Cohen ha affermato che l’attacco alla scuola cattolica dell’Annunciazione, in cui sono morti due bambini, non sarebbe mai avvenuto se le forze dell’ordine avessero utilizzato il suo software di polizia predittiva.
‼️🇺🇸 NEW: And there it is;
“I’m about to launch GIDEON, America’s first-ever Ai threat detection platform built for law enforcement.”
“It scrapes the internet 24/7 using Israeli-grade ontology…”
Pre-crime policing starts NEXT WEEK. 👀 pic.twitter.com/pTQUsMnONx
— Diligent Denizen 🇺🇸 (@DiligentDenizen) August 28, 2025
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«Sto per lanciare la prima piattaforma di rilevamento delle minacce tramite intelligenza artificiale di GIDEON America, creata appositamente per le forze dell’ordine», ha affermato Cohen, aggiungendo: «Esamina Internet 24 ore su 24, 7 giorni su 7, utilizzando un’ontologia di livello israeliano per estrarre un linguaggio di minaccia specifico e poi lo indirizza alle forze dell’ordine locali».
«È un detective attivo 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Non dorme mai e ci aiuterà a fronteggiare questi attacchi», ha aggiunto Cohen.
Cohen ha descritto GIDEON come «il primo sistema di intelligenza artificiale in tempo reale progettato per rilevare le minacce online prima che si trasformino in attacchi. Reti anonime che segnalano il comportamento e prevedono il pericolo».
Su YouTube è caricato un video che ne spiega funzionamento e potenzialità.
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Secondo quanto è dato di capire, il sistema analizza l’intera rete Internet aperta, inclusi Reddit, Discord, chat dei videogame e blog marginali, alla ricerca di segnali d’allarme chiave come «accumulo di lamentele, linguaggio da martire, pianificazione tattica, scouting scolastico e indottrinamento estremista».
È stata notata la simiglianza di tale piattaforma di polizia predittiva con il rilevamento delle minacce pre-crimine in stile Minority Report, film che partiva dagli incubi distopici del romanziere Philip K. Dick per descrivere una società dove i reati sono puniti prima ancora che avvengano.
Il fatto è che questo GIDEON non è l’unico software di questo tipo: più grande, ed esperto, è Palantir, programma di cui recentemente si parla moltissimo per descrivere l’influenza che il Venture Capitalist Peter Thiel (creatore con Elon Musk di PayPal) eserciterebbe occultamente sul governo Trump, a partire dal vicepresidente JD Vance, che aveva lavorato in un fondo dello stesso Thiel e la cui carriera politica sarebbe stata da questi promossa.
Secondo i critici, il Thiel da anni agirebbe in fusione con spezzoni dello Stato profondo, in ispecie militare, americano. Alcuni quindi si spingono a dire che vi sarebbe una sorta di golpe di Palantir in atto in USA, con una società di sorveglianza AI ad occupare sempre più largamente le stanze dei bottoni. Con questa idea un ragazzo si era dato fuoco a Nuova York fuori dal tribunale che stava processando l’allora candidato presidente Trump.
Al di là degli allarmi, la meccanica dietro alle grandi stragi – lo abbiamo imparato con amarezza dall’11 settembre 2001, e poi ancor di più con la pandemia – pare la medesima: ad un evento pauroso lo Stato risponde con maggior controllo sul cittadino, che a questo punto è pienamente giustificato dal pericolo, al punto da passare sopra alle Costituzioni dei Paesi sedicenti democratici.
Qualcuno ha cominciato a chiamarlo «liberalismo emergenziale», in realtà sarebbe più giusto definirlo più semplicemente biototalitarismo, perché abbiamo appreso che esso intende estendersi in ogni dimensione dell’esistenza umana, persino – pensate a vaccino e green pass – a livello biomolecolare, subcellulare, genetico, cioè al controllo della base stessa della vita
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Ancora nel 2020 Renovatio 21 ricordava come il leader del World Economic Forum di Davos Klaus Schwab avesse pubblicato un libro di 195 pagine, COVID-19: The Great Reset, nel quale, sulla scorta di una frase attribuita a Winston Churchill, incoraggiava gli industriali e chi ricopre ruoli decisionali a «fare buon uso della pandemia, non lasciando che questa crisi vada sprecata».
Diviene chiaro, quindi, che – sempre all’interno della triade tesi-antitesi-sintesi dell’idealismo di Hegel, sempre caro alle élite – chi produce crisi produce anche opportunità.
Chi produce massacri, crea la possibilità di manipolazione sociale – specie verso il controllo capillare dell’essere umano.
In fondo, non è così difficile da capire. Certo, realizzarlo, ad un certo punto, è angosciante e mostruoso. Ma questo è il tempo che ci è stato dato da vivere. E tirarsi indietro non solo non è possibile, ma è proprio quello che vogliono i commendatori del sacrificio umano.
Roberto Dal Bosco
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Immagine da Twitter; modificata
Pensiero
Renovatio 21 saluta Giorgio Armani. Dopo di lui, il vuoto che inghiottirà Milano e l’Italia

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Bizzarria
Ecco la catena alberghiera dell’ultranazionalismo revisionista giapponese

Per chi è stato in viaggio in Giappone il nome APA hotels potrebbe risultare familiare. La catena di alberghi dalla caratteristica insegna arancione è onnipresente nel Paese del Sol Levante, possiede circa 900 strutture alberghiere e in alcune zone urbane la loro densità è incredibile: così a memoria direi che ce ne sono almeno 5 nella zona tra Asakusa e Asakusabashi (due fermate di metro o mezz’ora scarsa a piedi).
La catena ha anche già iniziato la sua espansione nell’America settentrionale, con 40 strutture tra Stati Uniti e Canada.
Di recente ho avuto l’occasione di provare per la prima volta un hotel APA a Kanazawa, dove la catena è nata nei primi anni ottanta. Il giudizio complessivo è positivo: pulito, molto pratico da usare, al netto di stanze piuttosto anguste (ma nella norma nipponica) non posso dire che mi sia mancata alcuna comodità.
Anzi, le stanze dispongono del «bottone buonanotte» (oyasumi botan) cioè un pulsante vicino al comodino che spegne tutte le luci in un colpo solo. Di questo sono particolarmente grato perché mi ha risparmiato la classica caccia agli interruttori che contraddistingue le serate passate negli alberghi meno recenti qui in Giappone – in alcuni ryokan ci sono persone che si rassegnano a dormire con le luci accese per la disperazione, spossati dalla caccia all’interruttore nascosto.
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Un’altra caratteristica degli hotel APA è l’onnipresenza dell’effigie della presidentessa dell’azienda, la buffa Fumiko Motoya, sempre accompagnata da uno dei suoi vistosissimi cappelli (la sua collezione ne conta circa 240).

Fumiko Motoya, di hirune5656 via Wikimedia CC BY 3.0
Insegne, pubblicità, bottiglie di acqua minerale, confezioni di curry liofilizzato: non c’è posto da cui non spunti il sorriso della nostra Fumiko, il tutto ha una lieve sfumatura di culto della personalità da regime totalitario.
Ma quello che porta ripetutamente questa azienda al centro di aspre polemiche non sono i vistosi copricapo del suo presidente, né tanto meno la folle varietà di ristoranti ospitati dagli alberghi APA (a seconda della località mi è capitato di vedere ristoranti italiani, indiani, singaporiani, coreani, caffè in stile europeo, letteralmente la qualsiasi). Si tratta, invece, della cifra politica della catena alberghiera.
Ogni stanza d’albergo ha in dotazione almeno un paio di copie degli scritti del fondatore dell’azienda, Toshio Motoya, storico e ideologo di orientamento decisamente patriottico.
Gli scritti in questione innescano periodicamente polemiche furibonde: il picco era stato raggiunto tra 2016 e 2017, quando il volume che si trovava nelle stanze degli alberghi conteneva una revisione storica del massacro di Nanchino (1937). Apriti cielo: il clima allora era meno liberticida di adesso, si era agli albori dei social media totalitari come li conosciamo oggidì, ma le polemiche in Asia e occidente furono furibonde.
Il bello è che l’autore e l’azienda hanno fatto quello che oggi nessuno fa: nessun passo indietro, nessuna scusa, soltanto ribadire le proprie ragioni in maniera più articolata. In un mondo come quello in cui viviamo, in cui la gogna internettiana ha reso tutti ominicchi, quaquaraquà e, d’altronde love is love, un po’ invertiti, un atteggiamento del genere si può forse definire eroico.
Cotale attitudine mi ha ricordato l’epoca d’oro del movimento ultrà italiano, quando ancora dalle curve, allora libere da qualsiasi controllo da parte di partiti politici, malavita e istituzioni, si alzava il coro liberatorio: «Noi facciamo il cazzo che vogliamo!».
La pagina in inglese dell’azienda usa uno stile revisionistico che in Europa sarebbe ragione sufficiente per arresto, condanna e detenzione. Ve la ricordate la libertà, voi europei? Pensate che brivido trovare in albergo letteratura che rivede il dogma riguardo agli eventi accaduti nei primi anni quaranta tra Polonia, Germania e Austria…
Di fronte alle furiose contestazioni, l’azienda continua imperterrita a fare trovare in ogni camera delle copie di Theoretical modern history (理論近現代文学), i volumi che raccolgono gli scritti del fondatore della catena Motoya. Durante il mio soggiorno a Kanazawa ho avuto modo di leggere alcuni articoli che mi hanno dato una prospettiva diversa della storia giapponese.
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L’insegnamento della storia nel Giappone post bellico ha frequentemente preso l’aspetto di una forma di autoflagellazione (sotto la guida dell’occupante statunitense). Questa colpevolizzazione del paese a scapito di tutte le altre forze coinvolte nel conflitto mondiale raggiunge picchi disturbanti nelle prefetture più sinistrorse del Paese, le così dette H2O (Hiroshima, Hokkaido, Oita).
Ci sono stati casi di genitori che hanno protestato dopo avere sentito che ai figli veniva insegnato che «le bombe atomiche ce le siamo meritate». Dopo decenni di scuse a capo chino, non c’è da stupirsi che parte del Paese inizi a manifestare insofferenza verso questo clima culturale e a volersi riconciliare con la propria storia, senza intenti necessariamente autoassolutori.
L’articolo che riporto nella foto riguardo al pilota suicida (quelli che l’occidente chiama kamikaze, ma che in Giappone sono tokkoutai, 特攻隊、le squadre speciali d’assalto), mi ha ricordato il manifesto elettorale del partito Sanseito, in cui due piloti «kamikaze» sono raffigurati abbracciati e con le lacrime agli occhi, un’immagine dei cosiddetti kamikaze diversa da quella che solitamente ci viene mostrata.
Passare una notte all’APA hotel è stata l’occasione per capire una volta di più che al popolo del Giappone, come a quelli d’Europa, è stato messo sulle spalle il giogo di un senso di colpa che impedisce loro di esistere in quanto tali, costringendoli ad abiurare sé stessi quotidianamente.
Adesso basta, noi facciamo il katsu che vogliamo.
Taro Negishi
Corrispondete di Renovatio 21 da Tokyo
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Immagine di Mr.ちゅらさん via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International; immagine tagliata
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