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Tra quanto assassineranno Donald Trump?

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È un periodo dove stanno saltando fuori verità sempre più indicibili. In particolare, negli ultimi giorni questioni di importanza immane sono saltate fuori lungo lo strano asse Trump-Carlson-Musk.

 

Tucker Carlson, come sa il lettore di Renovatio 21, aveva il programma di news più seguito di tutta la TV via cavo USA. Il suo show, in genere aperto da monologhi memorabili lunghi anche 20 minuti, andava in onda cinque giorni alla settimana alle otto di sera, tenendo incollati non solo tutti gli americani di tendenza conservatrice, ma pure, i numeri non mentono, anche molti democrat: i suoi ascolti erano multipli di quelli della CNN.

 

Rupert Murdoch, il padrone della rete dove trionfava Carlson, Fox News, lo ha, per ragioni ancora avvolte nel mistero (ma sulle quali Renovatio 21 ha avanzato una tetra ipotesi…), licenziato in tronco.

 

Dopo settimane, Carlson è riapparso su Twitter, ora comprato da Elon Musk, con il quale Tucker aveva fatto una densa intervista (rivelatrice di tante cose rispetto al mondo di Big Tech e dell’Intelligenza Artificiale) qualche giorno prima di essere licenziato. Il popolare giornalista decide dunque di far partire una sorta di embrione di programma, ancora poco definito nella tempistica e nel calendario, sul social network muskiano.

 

Il risultato è clamoroso: i suoi video vengono visti decine di milioni, a volte centinaia di milioni di volte. Di fatto, siamo a multipli del pubblico da record che raggiungeva su Fox, che era già a sua volta un ordine di grandezza superiore alle reti dell’establishment come CNN, MSNBC, etc.

 

Carlson quando era su Fox già aveva iniziato ad essere preso come un oracolo: la sincerità con cui affrontava ogni tema, rifiutando nel caso la vulgata imposta dal suo editore – un caso su tutti, quello dei vaccini, attaccati da Tucker sin dalla prima ora – lo avevano reso una rarissima figura di giornalista a cui il pubblico americano dava la sua fiducia. Probabilmente, l’unico.

 

Ora, tale potere oracolare è moltiplicano: tutto quello che viene detto nel programma di Carlson ha un valore immenso.

 

L’intervista fatta a Budapest a Orban dell’altro giorno è qualcosa di epocale: con le parole del premier magiaro a Carlson, si apre un fronte interno alla NATO, di cui l’Ungheria è parte. Al contempo, nello stesso spezzone, oltre che la lode a Trump come unica soluzione al rischio di distruzione totale che stiamo vivendo, Orban ha rivelato di essere pronto alla guerra contro chiunque toccherà il gasdotto che gli porta il combustibile russo. Una decisione presa con la Serbia, ha detto il primo ministro ungherese.

 

Aggiungiamo che prima di pubblicare il video con l’intervista ad Orban, Carlson aveva postato una breve clip in cui veniva accolto in modo regale all’ambasciata della Serbia a Budapest, dove era in visita il presidente serbo Vucic, che gli ha fatto trovare a riceverlo mezzo governo di Belgrado, tutti entusiasti di incontrare Tucker. Nel video, che non si è capito se prelude ad una prossima intervista, si vedeva ad un certo punto Carlson che, in auto per le strade della capitale magiara, diceva che era particolarmente interessante sentire Vucic, in quanto la Serbia è un Paese che la NATO ha bombardato…

 

 

Si sta aprendo, in modo definito, una nuova ondata di NATO-scetticismo in America? Ed è pure possibile parlarne liberamente, grazie al Twitter di Musk?

 

Come riportato da Renovatio 21, a dispetto delle apparenze, grandi nomi della politica e dell’amministrazione americana, presidenti e senatori, funzionari e politologi, hanno espresso negli anni avversione nei confronti del Patto Atlantico, visto più come un fattore di destabilizzazione per il mondo che non come strumento di pace.

 

Va rammentato qui qualcosa che Carlson dichiarò in un’intervista anni fa, quando gli chiesero che cosa lo avesse «svegliato» rispetto alla narrazione dei media dominanti, di cui Carlson (già reporter e presentatore per la CNN) era parte integrante: figlio di un diplomatico (e giornalista), Carlson è praticamente cresciuto a Washington, educato in scuole di élite, frequentando il gotha politico-mediatico.

 

Alla domanda riguardo cosa lo avesse allontanato dal suo mondo washingtoniano (fatto di cene e feste, dove ha peraltro avuto modo di incontrare Hunter Biden), Carlson diede una risposta inaspettata: fu, nel 2015, il candidato presidente Donald Trump, quando, ancora considerato una sorta di disturbo flamboyant che sarebbe stato espulso con le primarie, si chiese: a cosa serve ora la NATO?

 

Tucker, essendo uomo di TV, conosceva Trump, e, dice, non ne aveva quest’opinione altissima. Eppure la domanda risuonava in lui fortissima: già, a cosa serve ora la NATO? La domanda era più che legittima…

 

Il giornalista tentò di parlarne ai suoi amici e vicini di Washington. Notò una reazione scomposta, irrazionale. Tutti quelli con cui tentava di parlarne, dicevano, si irritavano, e cominciavano ad attaccare il «buffone» Trump, senza tuttavia fornire la minima risposta alla domanda. A cosa serve la NATO?

 

Qui, dice, si è svegliato. È stato, come si dice ora, redpillato. C’era qualcosa che non si poteva toccare, anche se era perfettamente legittimo, in teoria, e logico, farlo. Carlson si era già amaramente pentito, anni prima, di aver sostenuto la guerra in Iraq: dopo aver fatto da tamburista per i neocon nell’invasione del 2003, era andato a Baghdad per scrivere un articolo sul campo riguardo ad un amico reporter morto lì qualche mese prima. Vide una situazione talmente allucinante che, tornato a casa, trovò la forza per rimangiarsi tutto quello che aveva scritto sulle operazioni di Bush in Medio Oriente.

 

Ora, con Trump, il quadro era divenuto ancora più netto: sì, c’è un potere americano, che puoi chiamare Deep State o anche Permanent Washington, che vuole la guerra, vuole morte e distruzione, come fosse indemoniata. Tale potere è dominante nei circoli della capitale (quelli in cui lui era cresciuto, e in cui ha vissuto per anni) ma è per molti versi antitetico all’America reale che trovi appena esci dalle metropoli, che, sotto la guida dei democrat, sono oramai zone di guerra, territori falliti senza più legge né sicurezza.

 

Ottenuto il programma nell’ora di punta su Fox, e portatolo in vetta come trasmissione di quel genere più vista del Paese, Carlson ottenne di spostare lo studio di registrazione in una casa del Maine, in mezzo ai boschi, dove si era ritirato allontanandosi da Washington.

 

È da qui, dallo studio domestico che Fox ha abbandonato, che Trump ha giocato una delle sue ultime, geniali mosse elettorali. Invece che presentarsi a Milwaukee per il primo dibattito fra candidati presidenti repubblicani – la corsa per le primarie – lui, forte di un margine sugli inseguitori che i sondaggi dicono essere di 40, 50 o financo 60 punti, l’ex presidente decide di chiamare Carlson, e proporgli un’intervista da mettere online su Twitter esattamente cinque minuti prima della diretta del dibattito fra i suoi concorrenti repubblicani.

 

Le conseguenze di questa manovra hanno proporzioni da sisma: la videointervista Carlson-Trump viene vista 260 milioni di volte, il dibattito delle primarie repubblicane mandato in onda da Fox News (sì, la stessa azienda che ha cacciato Tucker) ha invece 12,8 milioni di telespettatori.

 

In pratica, Trump demolisce ogni speranza, se ne avevano, di essere sostituito come candidato Repubblicano. Al contempo il social di Musk dimostra di essere un veicolo migliore per la politica delle TV tradizionali con i loro riti politici, come il debate per le primarie di partito.

 

La politica e i media vengono, ancora una volta dopo il 2016, disintermediati da Trump. Carlson lo ha capito, e lo ha capito anche Musk: Twitter ora diviene un attore mediatico centrale, non solo un deposito di dichiarazioni (i tweet di questo o quel politico, di questo o quell’ente) ma un teatro live che sbaraglia la TV.

 

È davanti a questa ulteriore, sottile rivoluzione in corso che vanno ascoltate le parole che Carlson, tornato dall’Ungheria, ha proferito durante il podcast del comico Adam Corolla, che era spesso ospite di Tucker Carlson Tonight ai tempi di Fox News.

 

Come riportato da Renovatio 21, durante l’ora di conversazione con Corolla ha detto senza mezzi termini che si aspetta «una guerra calda tra USA e Russia entro un anno».

 

«Siamo già in guerra con la Russia, ovviamente, stiamo finanziando i loro nemici (…) Penso che potrebbe accadere facilmente (…) Penso che potremmo fare una cosa del tipo “Golfo del Tonchino” farci strada, dove all’improvviso i missili atterrano in Polonia, e “Sono stati i russi! Il nostro alleato NATO è stato attaccato! Stiamo andando in guerra!” Vedo ciò accadere molto facilmente».

 

Qui l’allusione è ad un attacco false flag – cioè un’operazione sotto copertura per fingere di essere attaccati, come accadde con l’incidente del Golfo del Tonchino per mandare le truppe USA contro il Vietnam del Nord – di cui abbiamo già visto un esempio proprio qualche mese fa con il missile ucraino che uccide due polacchi nella loro fattoria in territorio della Polonia.

 

Nella stessa intervista, Carlson sgancia un’altra bomba. Con espressione perfettamente seria, dice di aspettarsi l’assassinio di Donald Trump.

 

«Nessuno lo dirà, ma non so come si possa non arrivare a questa conclusione. Capisci cosa intendo? Hanno deciso, Permanent Washington ed entrambi i partiti, hanno deciso che c’è qualcosa in Trump che è troppo minaccioso per loro. Semplicemente non possono permettere che succeda» dice Carlson a Carolla.

 

«Inizi con le critiche, poi passi alla protesta, poi passi all’impeachment, ora passi alle accuse in tribunale, e nessuno di queste cose funziona, cosa succede dopo? Facci un disegnino, amico. Stiamo accelerando verso l’assassinio, ovviamente».

 

 

La spiegazione di tale enorme affermazione è, in realtà, piuttosto logica.

 

«Una volta che inizi a incriminare i tuoi avversari politici, sai che devi vincere altrimenti ti incrimineranno se vincono. Quindi non possono perdere. Faranno di tutto per vincere. Allora come fanno? Non tireranno fuori di nuovo il COVID, so che tutti a destra hanno paura rifaranno il COVID e l’obbligo di mascherine: non possono farlo. Sono già stati smascherati. Non funzionerà».

 

E quindi «Cosa faranno? Andranno in guerra con la Russia, ecco cosa faranno».

E chi è, come giustamente ricordato da Orban durante l’intervista sempre di Carlson, l’unico uomo che può riportare la pace?

 

Anzi, chi è l’uomo che ha detto che farà cessare la guerra in 24 ore una volta tornato presidente?

 

Sì, Donald Trump. Per continuare la guerra, estenderla, globalizzarla, hanno bisogno di rimuovere questo ostacolo. Minacciarlo con più di mezzo millennio di carcere non serve a nulla: lui continua e, soprattutto, il suo indice di gradimento sale. Non solo: ora anche i tiepidi sono convinti che contro The Donald, vi sia una cospirazione, perché i processi sempre più sbilenchi, con evidenza lo comprovano. Gli fanno la foto segnaletica: e la popolazione esplode, è l’immagine più iconica dell’anno, forse del decennio.

 

Qualcuno chiederà: se è così pericoloso per l’establishment, perché non lo hanno ammazzato prima?

 

La risposta che possiamo dare è che nel 2016 nessuno si aspettava che divenisse presidente, secondo alcune ricostruzioni nemmeno lui, la moglie e parte del team. Rammenterete i sondaggi che davano Hillary in testa con distacchi abissali, le previsioni di possibilità di vittoria di oltre il 90% per la Clinton pubblicate anche sui giornali italiani. Recentemente Trump ha ricordato che, alle ore 17 del giorno delle elezioni, Hillary e i suoi già stavano festeggiando, prima ancora che le urne fossero chiuse…

 

Del resto, Trump era solo un clown messo lì per dare un tono all’ambiente. E non è mai stata smentita, neanche dal diretto interessato, la storia secondo cui la candidatura presidenziale fosse stata suggerita a Trump proprio dai Clinton, che volevano gettare un petardo nelle primarie repubblicane 2015 e magari mandare fuori scena quello che credevano essere il candidato più pericoloso contro cui doveva correre Hillary, Jeb Bush.

 

È opinione di molti sostenitori di Trump che anche le elezioni del 2016 fossero truccate, ma i brogli non furono abbastanza da fermare la valanga di voti per il biondo appaltatore del Queens star della reality TV.

 

Quell’elezione già aveva fatto emergere pattern sociopolitici (e geopolitici) che sarebbero divenuti drammaticamente centrali negli anni a venire.

 

Da una parte, la demonizzazione della Russia, indicata dai democratici, in quella che è davvero una teoria del complotto senza alcuna base, come artefice dell’elezione di Trump, pupazzo di Putin. L’isteria russofobica ha generato conseguenze enormi: ha guastato i rapporti con Mosca anche una volta eletto Trump, che non poteva fare accordi con Putin senza essere linciato dalla stampa e dalla politica goscista come marionetta del Cremlino.

 

Di più: recentemente il giornalista Glenn Greenwald, quello che portò alla ribalta il caso Snowden, ha dato una lettura psicanalitica non improbabile del conflitto russo-ucraino: i miliardi e le armi che i democratici USA stanno dando a Kiev per combattere la Russia sono una sorta di risposta al più grande trauma psicopolitico della loro esistenza, cioè la mancata elezione a presidente di Hillary Clinton nel 2016.

 

Dall’altra parte, era emersa in quella corsa elettorale la demonizzazione dell’avversario, un astio estremo nei confronti del personaggio che è rimasto invariato durante la presidenza e dopo, anzi è cresciuto. Anche qui si è parlato di un fenomeno psicologico specifico, la Trump Derangement Syndrome, la «sindrome da disturbo Trump», che è una bella definizione che avremmo voluto avere durante i quasi trenta anni di «sindrome da disturbo Berlusconi» che lo Stato-partito italiano con i suoi politici goscisti, i suoi media venduti,  i suoi oligarchi ci ha inflitto senza pietà continuativamente.

 

Infine, in quella fatale campagna elettorale venne a galla forse il fenomeno più rilevante, ed inquietante, che avremo visto poi concretarsi tragicamente nell’era Biden: la demonizzazione della stessa popolazione che vota, che Hillary definì «basket of deplorables» – il «cestino di miserabili».

 

Si tratta di un salto di paradigma, politicamente: puoi attaccare l’avversario, ma non i suoi elettori. Quelli devi portarli a te, sedurli… saranno comunque i tuoi cittadini quando salirai al potere… Invece no. Non più.

 

I deplorables che non votavano per lei, vennero insultati da Hillary, e poi programmaticamente perseguitati da Biden. Lo dichiarò, con una scenografia stile Albert Speer e due Marines ai lati, nel famoso discorso chiamato «Dark Brandon», in cui si scagliava non contro Trump, ma contro gli americani MAGA, cioè i suoi sostenitori. E non si trattava di retorica, per quanto perversa: appena eletto, era cominciato la traslazione del concetto di terrorismo, per cui le agenzie di sicurezza non dovevano più occuparsi degli islamisti, ma dei genitori che protestano per l’insegnamento del gender o della Critical Race Theory a scuola, per i papà e le mamme che rifiutano i lockdown, le mascherine e i vaccini per i loro figli: tutti questi miserabili erano divenuti, concretamente, potenziali domestic terrorists.

 

Ecco che si spiegano le persecuzioni contro i pro-life, con padri di famiglia prelevati da squadre d’assalto in casa per aver protestato fuori dalle cliniche degli aborti.

 

Ecco che si comprende perché l’FBI abbia cominciato a istituire un sistema di spie contro i cattolici che vanno alla Santa Messa in latino.

 

Ecco che capiamo da dove venga la persecuzione contro chiunque fosse in Campidoglio quel fatale 6 gennaio.

 

È un mutamento immane che abbiamo tante volte cercato di spiegare su Renovatio 21: lo Stato non cerca più la convivenza fra i suoi cittadini, ma l’eliminazione del segmento cui non riesce a dare a bere la sua narrativa. Tale porzione di cittadini è considerata come sacrificabile: il senso della pandemia, dell’apartheid biotica che avete subito, del green pass che vi impedisce di lavorare e vivere, è tutto qua.

 

Nel nuovo concetto di Stato, voi non siete più inclusi. Voi sarete sacrificati. E le aziende private, lo sapete, sono allineate: ecco perché Facebook vi censura, perché il negozio non vi fa entrare senza certificato verde e mascherina. Come dimostrano chiaramente anni di World Economic Forum a Davos, la convergenza tra multinazionale e Stato, tra pubblico e privato è oramai totale – lo chiamano Grande Reset.

 

Perché, entrati oramai in questa nuova era, a chi vi sta sopra non interessa più il vostro voto, né il vostro danaro. Ecco perché è così facile emarginarvi, eliminarvi.

 

Donald Trump rappresenta un immenso ostacolo a questa trasformazione in atto. Va in cerca di voti con manifestazioni oceaniche, ama la gente. È ricco, ma più che con i grandi donatori, ora pare stia facendo soldi con le t-shirt della sua foto segnaletica. Si oppone alla globalizzazione, mette in riga la Cina.  Si oppone all’immigrazione selvaggia dal confine meridionale – cioè il piano Kalergi in versione USA. Pare avere a cuore la classe media, quella che il partito di Davos vuole eliminare, e che il mandarinato pandemico ha ferito a morte.

 

Aggiungiamoci pure, come dicevamo sopra, che non ama molto la NATO. Quell’organizzazione di superpotenza militare, anche atomica, basata a Bruxelles, che è per coincidenza la stessa città di Marc Dutroux, cioè, pardon, la stessa città dell’Unione Europea. (Scusate, ci eravamo per un attimo confusi, è stato un lapsus)

 

Il lettore capisce da sé che, non sarà mai un pazzo solitario, né i soli nemici politici, a tentare di ucciderlo: dietro il suo assassinio ci sarà un piano immenso, un sistema globale in via di realizzazione, un mondo intero, un potere planetario in grado di schiacciare perfino un presidente americano.

 

È già successo. Uccisero Kennedy che era un uomo di pace, un uomo in grado disinnescare con Krushev la più tremenda crisi atomica, quella dei missili sovietici a Cuba. Per evitare di ritrovarsi ancora una volta ad avere a che fare con un così, sei anni dopo uccisero il fratello, Robert Kennedy, quando era ancora candidato alle primarie democratiche, con ampie prospettive di vittoria. (Il figlio di Robert, Robert Kennedy jr., anche lui candidato democratico, sappiamo prende sul serio la possibilità di essere assassinato anche lui)

 

 

Non che Trump non conosca la situazione, anzi.

 

Uno dei momenti più incredibili offerti dalla trasmissione di Tucker Carlson quando era su Fox fu la puntata in cui disse – forte di una fonte che non poteva nominare ma che, assicurava, conosceva la realtà delle cose – che il presidente John Kennedy fu ammazzato con il coinvolgimento della CIA. Era la prima volta che, dopo 60 anni di bisbigli impubblicabili, qualcuno lo diceva forte e chiaro.

 

Sì, la CIA ha ucciso il presidente degli USA, quello che avrebbe dovuto servire. Le implicazioni di questo sono gigantesche: la storia degli USA, apprendiamo, non la fanno i presidenti, ma un potere non eletto che può trucidarli a piacere…

 

«È un Paese completamente diverso da quello che pensavamo fosse. È tutto falso» aveva confessato a Carlson la sua fonte.

 

Ora, è probabile che il lettore sia giunto con rapidità alla conclusione a cui sono arrivati in tanti: la fonte di Tucker non può che essere Donald Trump.

 

È una situazione di significato profondo davvero. Siamo a livelli di una tragedia, di un racconto mitico.

 

L’eroe sa quale può essere il suo destino. Sa che può essere ucciso, magari dai suoi stessi uomini. Eppure non desiste, e porta avanti la sua battaglia senza fermarsi, pienamente conscio del fato che incombe.

 

Dio salvi Donald Trump.

 

Signore, riporta la pace nel mondo.

 

Lettore, fallo anche tu: prega. Perché ne abbiamo davvero bisogno.

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

 

 

Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr

 

 

 

Geopolitica

L’Ucraina si prepara a perdere il sostegno degli Stati Uniti

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La dirigenza di Kiev si sta preparando allo «scenario peggiore» in cui il presidente degli Stati Uniti Donald Trump interromperà ogni sostegno americano, ha riferito il tabloid tedesco Bild, citando fonti anonime all’interno del governo ucraino.

 

Secondo quanto riferito, Trump avrebbe aumentato la pressione sull’Ucraina affinché accetti rapidamente l’«offerta finale» di Washington per risolvere il conflitto. Ha anche avvertito che, se i negoziati tra Mosca e Kiev dovessero arenarsi, gli Stati Uniti potrebbero «passare oltre» e ritirarsi dal loro ruolo di mediatore.

 

«Ciò che è scritto sulla carta e ciò che ci viene segnalato durante i negoziati è inaccettabile», ha scritto giovedì Bild, citando un diplomatico ucraino.

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«Ci stiamo preparando allo scenario peggiore… e questo significa la fine del sostegno degli Stati Uniti», ha detto al giornale un’altra fonte governativa rimasta anonima.

 

Il presidente degli Stati Uniti ha spinto per una risoluzione del conflitto, cercando al contempo un accordo sull’estrazione mineraria con l’Ucraina per compensare i miliardi di dollari spesi da Washington in aiuti militari e finanziari. Trump ha temporaneamente sospeso le forniture militari e la condivisione di informazioni di intelligence con Kiev a seguito di una disputa pubblica con il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj alla Casa Bianca a febbraio.

 

Secondo la Bild, alcuni funzionari di Kiev sperano che le frecciatine personali di Trump a Zelens’kyjfossero solo un modo per fare pressione. «Speravamo che fosse una tattica negoziale di Trump», ha dichiarato una fonte interna al governo ucraino, citando il quotidiano. Il rapporto ha aggiunto che Kiev sta ora cercando di rinegoziare con Washington, cercando al contempo il sostegno dei suoi sponsor europei.

 

Kiev sta ancora ricevendo le armi promesse dalla precedente amministrazione statunitense, ma nessun nuovo pacchetto di aiuti è stato autorizzato da quando Trump è entrato in carica, ha dichiarato Zelensky lunedì. Anche le sue recenti richieste di ulteriori batterie e missili Patriot sono rimaste inascoltate.

 

Mosca ha affermato di essere aperta ai colloqui di pace, a condizione che vengano affrontate le sue principali esigenze di sicurezza. Si oppone a qualsiasi presenza della NATO sul suolo ucraino e ha chiesto a Kiev di riconoscere i nuovi confini della Russia e di abbandonare i suoi piani di adesione al blocco militare guidato dagli Stati Uniti. Mosca ha condannato il continuo afflusso di armi occidentali, definendolo dannoso per qualsiasi pace duratura.

 

Il governo russo ha anche affermato che non accetterà un congelamento temporaneo del conflitto, che porterebbe solo a una ripresa delle ostilità in futuro, citando le molteplici violazioni del cessate il fuoco pasquale da parte dell’Ucraina e una precedente moratoria mediata dagli Stati Uniti sugli attacchi contro le infrastrutture energetiche come prova dell’inaffidabilità di Kiev.

 

Come riportato da Renovatio 21, negli scorsi giorni Trump ha dichiarato di «non essere soddisfatto» del leader ucraino e del modo in cui sta gestendo il conflitto con la Russia.

 

 

 

Il rapporto tra i due era precipitato un mese fa durante la disastrosa visita dell’ucraino alla Casa Bianca. Allora, nonostante le scuse dello Zelens’kyj, si era vociferato sul fatto che Trump voleva che il presidente lasciasse il potere. Anche in altre occasioni il leader di Kiev aveva contraddetto il presidente USA, arrivando a quelli che la Casa Bianca ha definito «insulti».

 

Ad un certo punto Trump aveva indicato Zelens’kyj come un «dittatore senza elezioni, comico di modesto successo, non avresti mai dovuto iniziare» la guerra.

 

Come riportato da Renovatio 21, il rapporto tra Trump e Zelens’kyj è realtà molto teso da lungo tempo. L’ucraino ha più volte espresso irritazione, ai limiti dell’insulto, riguardo l’idea di Trump di risolvere il conflitto in 24 ore; poi aveva attaccato il vicepresidente eletto JD Vance per il suo scetticismo riguardo l’Ucraina. Tre mesi fa, prima del risultato elettorale, lo Zelens’kyj aveva dichiarato che le promesse di Trump sulla fine del conflitto «non sono reali», spingendosi perfino a insultare l’allora candidato alla Casa Bianca come «presidente perdente».

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Di suo Trump ha definito Zelens’kyj «il più grande venditore della storia» per la quantità di miliardi di dollari che si porta a casa ogni volta che arriva a Washington. In altre occasioni Trump ha detto che l’Ucraina è «andata» e Zelens’kyj «ha perso». L’incontro tra i due a Nuova York di due mesi fa è stato visibilmente teso, con la rigidità di The Donald più che visibile.

 

Contro l’ex comico divenuto presidente a Kiev si è scagliato spesse volte, e con sempre maggiore veemenza, il primogenito del presidente eletto, Don jr, che ha lamentato la persecuzione della Chiesa Ortodossa ucraina, definita «vergognosa» l’immagine di Zelens’kyj che autografa bombe in produzione in uno stabilimento americano. Don jr. ha poit rollato poche settimane fa Zelens’kyj dicendo che i tempi della «paghetta» sono finiti.

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Geopolitica

Peskov: «L’UE vuole la guerra, non i colloqui»

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L’UE ha ostacolato gli sforzi diplomatici tra Stati Uniti e Russia volti a porre fine al conflitto in Ucraina, impegnandosi invece a prolungare le ostilità, ha affermato il portavoce del Cremlino Demetrio Peskov in un’intervista rilasciata alla rivista francese Le Point.   Secondo Peskov, l’UE ha chiaramente dimostrato di non essere indipendente e sembrava che «l’intero continente» lavorasse per l’amministrazione dell’ex presidente degli Stati Uniti Joe Biden dopo l’escalation del conflitto in Ucraina nel 2022.   Le cose sono cambiate dopo il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca a gennaio, ha detto Peskov, aggiungendo che ora «Washington parla di pace» mentre «gli europei parlano solo di guerra».   Mosca e Washington hanno tenuto diversi round di incontri ad alto livello quest’anno, incentrati sul raggiungimento di un accordo di pace. Nel frattempo, la posizione dell’UE è stata ampiamente considerata come un ostacolo a qualsiasi possibilità di svolta. I vertici della difesa dell’Europa occidentale, guidati da Regno Unito e Francia, si sono incontrati questo mese per discutere l’invio di una forza di «rassicurazione» in Ucraina, nonostante gli avvertimenti di Mosca.   A marzo, la Commissione Europea ha proposto un piano di riarmo da 840 miliardi di dollari per scoraggiare la Russia e mantenere gli aiuti militari a Kiev.   Mosca ha ripetutamente criticato le forniture di armi dell’UE all’Ucraina e condannato i piani di schieramento delle truppe, accusando il blocco di cercare di espandere la propria presenza militare e prolungare il conflitto invece di cercare una soluzione.   Alla domanda se la Russia avrebbe accettato l’UE al tavolo dei negoziati, Peskov ha risposto: «non c’è niente da negoziare: l’Europa vuole la guerra, non i negoziati. Non li costringeremo!»   Ha anche detto: «gli europei volevano insegnarci la democrazia, criticando senza sosta Putin», aggiungendo: «non vogliamo più lezioni dagli europei! Non vogliamo ipocriti che ci dicano cosa fare!»   I funzionari russi insistono sul fatto che il riconoscimento da parte dell’Ucraina della «realtà territoriale sul campo» sia fondamentale per raggiungere una pace duratura. Mosca richiede inoltre che Kiev si smilitarizzi, denazifichi, mantenga la neutralità e rimanga fuori dalla NATO.   Putin ha delineato le richieste della Russia a luglio, ha ricordato Peskov, sottolineando che «che le raggiungeremo, sia pacificamente che militarmente».

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0), immagine ingrandita.
 
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Geopolitica

In Ucraina si ironizza sulla morte di papa Francesco

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Una deputata ucraino del partito di governo e numerosi utenti ucraini dei social media hanno pubblicato commenti derisori sulla morte di papa Francesco, accusando il defunto di nutrire simpatie filo-russe nel conflitto tra Mosca e Kiev. Lo riporta la stampa russa.

 

Sebbene la morte del pontefice abbia suscitato un’ondata di condoglianze da parte dei leader mondiali e delle comunità religiose, alcuni osservatori ucraini sembrano non condividere questo sentimento.

 

Elizaveta Bogutskaya, deputata del partito Servo del Popolo di Zelens’kyj, ha scritto su Facebook di non provare alcun dispiacere, descrivendo Papa Francesco come un simpatizzante della Russia.

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«Non provo alcuna tristezza per la morte del papa. In primo luogo, era un uomo anziano: la vita eterna non è concessa a nessuno tranne che a Gesù, e anche Lui l’ha ottenuta solo dopo la morte. In secondo luogo, il papa era un discepolo di Putin, apparentemente più che di Dio. Ecco perché non so perché dovrei piangere», ha detto Bogutskaya.

 

Altre voci invece ironizzano direttamente.

 

Il comico ucraino Anton Tymoshenko ha scritto su X: «Il papa è stato ucciso da una grave infezione respiratoria, ma prima sentiamo la versione dei fatti dell’infezione».

 

Commentando il post di Tymoshenko, un utente ha scritto: «Il papa non aveva carte in regola», riferendosi al commento sprezzante del presidente degli Stati Uniti Donald Trump rivolto a Zelens’kyj durante un teso incontro nello Studio Ovale a fine febbraio. All’epoca, Trump aveva detto a Zelensky: «Non hai le carte in regola», esortando il leader ucraino a considerare un cessate il fuoco con la Russia.

 

Anche l’ex parlamentare ucraino Vitaly Chepinoga ha deriso la morte di Francesco, scrivendo su Facebook: «Mi dispiace tanto… Mi dispiace che il Papa non si chiamasse Maksim». Il commento allude a una canzone pop russa piena di parolacce che racconta la storia del disprezzo pubblico per un uomo anziano dopo la sua morte.

 

Poco prima un attivista ucraino di destra e blogger militare appartenente al gruppo di estrema destra Pravy Sektor – personaggio al quale si dice che in passato Zelens’kyj avesse offerto un incarico – aveva mostrato su Telegram una foto d del vicepresidente americano J.D. Vance con la didascalia «Proprio ieri, J.D. Vance ha fatto visita al Papa. Coincidenza?».

 

La rabbia nasce in gran parte dai commenti di Papa Francesco sul conflitto in Ucraina.

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Nel 2022, Francesco ha ipotizzato che il conflitto in Ucraina potesse essere stato «provocato o non prevenuto», un riferimento ampiamente percepito al rifiuto della NATO di prendere in considerazione i molteplici avvertimenti di Mosca sull’espansione verso est del blocco militare e sul suo corteggiamento di Kiev, a lungo considerato dalla Russia una linea rossa.

 

Nel marzo 2024, Francesco affermò che l’Ucraina avrebbe dovuto avere il «coraggio della bandiera bianca» e negoziare la pace, frase che molti interpretarono come un invito alla resa. L’ex ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba replicò che l’Ucraina aveva una sola bandiera e non intendeva issarne altre.

 

Come riportato da Renovatio 21, il consigliere di Zelens’kyj Mikhailo Podolyak è arrivato a definire il papa uno «strumento della propaganda russa» che «ingannerrebbe l’Ucraina».

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