Connettiti con Renovato 21

Politica

Rivolta del Campidoglio di Washington, erano tutte bugie

Pubblicato

il

L’intera vulgata di quanto accaduta al Campidoglio di Washington il 6 gennaio 2021, quando un’immane quantità di americani protestava per elezioni che riteneva rubate, è falsa, basata su manipolazioni, censure e occultamento di video di sorveglianza – che sono stati tenuti secretati fino a ieri, e non concessi nemmeno agli avvocati delle centinaia di persone che oggi ancora languono in galera per aver partecipato alla protesta nel Campidoglio.

 

Il giornalista TV Tucker Carlson ha ottenuto dal nuovo speaker della Camera Kevin McCarthy decine di migliaia di ore di video di sorveglianza di quel giorno. Ora Carlson, dopo circa un mese di studio, sta cominciando a mostrare i filmati – mai visti prima, se non tagliati, manipolati, etc. – nel suo programma televisivo, che è il più seguito della TV via cavo statunitense.

 

«I nastri mostrano che la polizia del Campidoglio non ha mai fermato Jacob Chansley», ha detto Carlson, riferendosi a Jake Angeli, noto al mondo come «QAnon Shaman», il tizio che è entrato nel Palazzo a petto nudo, il volto dipinto e un copricapo peloso con le corna, divenuto immagine della protesta. «L’hanno aiutato. Hanno agito come le sue guide turistiche».

 

 

Chansley, un veterano della Marina USA, è stato condannato a 41 mesi di prigione federale per «aver ostacolato un procedimento ufficiale». Il video di Chansley è sorprendentemente incoerente con la caratterizzazione di sinistra del 6 gennaio come «insurrezione». Lungi dal contrastare l’ambizione di Chansley di raggiungere la camera del Senato, due agenti di polizia del Campidoglio lo hanno scortato lì. Nel filmato si vede il trio che supera un folto gruppo di agenti di polizia del Campidoglio, i quali sembrano disinteressati a Chansley, nonostante la sua mise impossibile da non notare.

 

Nel video mostrato in TV Chansley-QAnon Shaman e la sua scorta di polizia si avvicinano a varie porte della camera, con un agente di polizia che le spinge e le tira per vedere se sono aperte.

 

Nel novembre 2021, un comunicato del Dipartimento di Giustizia USA che celebrava la condanna alla galera di QAnon Shaman scriveva che «Chansley è entrato nell’edificio attraverso una porta rotta verso le 14:14. Ha continuato a muoversi, raggiungendo la Galleria del Senato e poi l’aula del Senato». Tale comunicato può apparire ora come disinformazione di Stato.

 

«Abbiamo contato almeno nove agenti che si trovavano a breve distanza da Jacob Chansley disarmato», ha dichiarato lunedì Carlson. «Nessuno di loro ha nemmeno provato a rallentarlo».

 

Il 33enne Chansley, messo alla gogna, lo aveva poi capito: «l’unico rimpianto molto serio che ho è stato credere che quando siamo stati accolti dagli agenti di polizia fosse accettabile», ha detto il QAnon Shaman in un’intervista trasmessa da Carlson.

 

Carlson ha quindi rivelato che l’agitatore non indagato Ray Epps – l’uomo filmato a sobillare le folle per farle entrare nel Campidoglio già la sera prima (ottenendo in risposta il coro «sei dell’FBI») – ha mentito durante la sua testimonianza giurata dinanzi alla Commissione sul 6 gennaio, condotta da democratici e repubblicani simpatizzanti (i cosiddetti RINO, «repubblicani solo di nome»).

 

«Epps ha testimoniato che quando ha inviato i messaggi di testo a suo nipote, aveva già lasciato i terreni del Campidoglio per tornare nella sua camera d’albergo. Non è vero», ha detto Carlson, mostrando un video dove lo si vede tra la folla almeno mezzora dopo il momento in cui ha testimoniato di essere rientrato nella sua camera d’albergo.

 

 

Come noto, nonostante il suo ruolo nella rivolta, Epps non è stato accusato di nulla, è stato portato davanti alla Commissione solo dopo enormi pressioni, e la Commissione stessa – che oramai appare svergognata come una enorme, impudica farsa – non ha avuto nulla da rimproverargli. Epps, una volta che il suo nome ha preso a circolare, ha goduto del massimo sostegno della stampa: un lungo articolo sul New York Times lo descriveva come vittima di teorie del complotto.

 

Un’altra menzogna saltata fuori è quella riguardo al senatore trumpiano Josh Hawley, che era stato accusato di essere un «codardo» dopo che era stato mostrato un filmato di sorveglianza dove lo si vedeva brevemente correre all’interno del Campidoglio.

 

«Il vero filmato mostra che Hawley era uno dei tanti legislatori che venivano fatti uscire dall’edificio dagli agenti di polizia di Capitol Hill, e in effetti, Josh Hawley era in fondo al gruppo. Il video del codardo era una bugia – una delle tante dal Comitato 6 gennaio». In pratica, il filmato mostrato fino a ieri era stato ritagliato e montato per obbiettivi politici, mentre la versione integrale non era consultabile.

 

 

Un’altra rivelazione riguarda la morte dell’agente Brian Sicknick, poliziotto ritenuto a lungo un «martire» trucidato dai rivoltosi.  Invece, il video mostra Sicknick camminare tranquillamente dentro l’edificio dopo il momento in cui la vulgata ufficiale sostiene fosse stato ucciso.

 

 

«La Commissione del 6 gennaio sapeva perfettamente che Brian Sicknick stava camminando normalmente attraverso il Campidoglio dopo essere stato presumibilmente assassinato dai sostenitori di Trump. E lo sanno perché hanno visto questo nastro. Possiamo esserne sicuri perché il filmato contiene un indicatore temporale elettronico che è ancora archiviato nel sistema informatico del Campidoglio», ha detto Carlson.

 

 

Nella serata di ieri Carlson ha continuato a mostrare video e casi inerenti al 6 gennaio, aprendo con un collage delle reazioni dei media mainstream e soprattutto dei politici di ambo i partiti.

 

 

Il democratico Chuck Schumer, leader della maggioranza, ha preso parola in Campidoglio per chiedere la censura immediata del programma di Carlson. Il leader della minoranza, il repubblicano Mitch McConnell, sarebbe d’accordo.

 

 

Una risposta netta, e di segno opposto, è venuta invece dall’ex presidente Donald Trump, che ha chiesto l’immediata liberazione dei prigionieri politici del 6 gennaio.

 

«Liberate i prigionieri del 6 gennaio» ha scritto Trump su Truth Social. «Sono stati condannati, o sono in attesa di giudizio, sulla base di una grande truffa della sinistra radicale (…) i nuovi filmati sono irrefutabili».

 

In un altro messaggio, il Trump parla di un «quadro nuovo, e completamente opposto, di quello che era indelebilmente dipinto. La Commissione non selezionata, ha mentito, e dovrebbe essere perseguita per le sue azioni».

 

Sulla questione della Commissione è entrato diretto pure Elon Musk: «oltre a fuorviare il pubblico, hanno nascosto le prove per motivi politici di parte che hanno mandato le persone in prigione per crimini molto più gravi di quelli che hanno commesso. Questo è profondamente sbagliato, legalmente e moralmente».

 

 

Come riportato da Renovatio 21, la rivolta del 6 gennaio potrebbe essere parte di un’operazione di ampio respiro che aveva come obiettivo, più che il popolo in rivolta per la bizzarra elezioni di Biden ai danni di Trump, l’esercito USA, che andava testato ed eventualmente «purgato» di elementi che potevano rimanere fedeli al potere precedente, magari seguendo figure come quelle del generale Flynn.

 

Secondo sempre il Carlson, che fece una serie di tre documentari due anni fa, si sarebbe quindi trattata di una «purga dei patrioti». Viene ipotizzato che il fine più immediato dell’operazione 6 gennaio fosse un subitaneo riallineamento dell’esercito: i soldati che supportavano i golpisti (e quindi, il «loro» presidente) potevano essere così individuati, filtrati, allontanati – o peggio.

 

In pratica, sarebbe stata un’operazione preordinata, con un fine preciso, creare «un nuovo 11 settembre» (espressione ripetuta mille volte dai media dell’establishment) con l’ulteriore obiettivo di determinare un nuovo nemico da abbattere: non più il terrorista islamico delle Due Torri, ma il «terrorista domestico», cioè il razzista bianco, cioè – per la folle proprietà transitiva ripetuta goebbelsianamente dai media mainstream – l’elettore trumpiano

 

Il 6 gennaio, quindi, è il casus belli di una nuova «guerra al terrore», come lo fu il mega-attentato al World Trade Center per l’Islam. Solo che stavolta l’obbiettivo non è fuori dal Paese, è dentro al Paese.


 

 

 

 

Immagine screenshot da YouTube

 

 

 

 

Politica

L’oligarca ucraino Kolomojskij: forze enormi in gioco nello scandalo di corruzione in Ucraina

Pubblicato

il

Da

Secondo il suo mentore di vecchia data, l’oligarca ucraino detenuto Igor Kolomojskij, Timur Mindich – intimo collaboratore di Volodymyr Zelens’kyj accusato di aver architettato un meccanismo estorsivo da 100 milioni di dollari nel comparto energetico ucraino – sta fungendo da «capro espiatorio» per le reali entità artefici dello scandalo.

 

Mindich ha lasciato l’Ucraina la scorsa settimana, poche ore prima che il Bureau Nazionale Anticorruzione (NABU), supportato dall’Occidente, irrompesse nel suo domicilio.

 

Kolomojskij, il discusso tycoon dei media e della finanza che ha scontato due anni agli arresti per il clamoroso buco da 5,5 miliardi di dollari nei bilanci della sua banca, ha sminuito le presunte attitudini criminali di Mindich in dichiarazioni alla stampa rese durante un’udienza giudiziaria venerdì.

 

«Mindich è un bravo ragazzo, come si suol dire non è un mestiere», ha commentato il Kolomojskij. «Quello che gli attribuiscono è che non è un boss mafioso». Durante il periodo in cui ha operato alle dipendenze dell’oligarca, il ruolo di Mindich si è limitato a incarichi banali quali «prendi questo, cancella quello», ha proseguito il miliardario, sostenendo che ora viene sacrificato come «il classico capro espiatorio».

 

«L’hanno gettato in pasto ai lupi dal nulla», ha rincarato, ipotizzando che la fuga di Mindich non sia solo motivata dall’evitare la cattura, ma anche dal timore per la propria incolumità, poiché chi detiene le vere responsabilità nella presunta frode potrebbe optare per l’eliminazione del testimone: «senza un cadavere, non c’è caso».

Sostieni Renovatio 21

L’indagine del NABU ha già provocato le dimissioni di due ministri e l’implicazione di altri alti dirigenti. Lo staff di Zelensky ha cercato di dipingere la stretta come dimostrazione del suo impegno anticorruzione, malgrado il fallito tentativo di erodere l’autonomia del NABU nei primi mesi dell’anno.

 

Kolomojskij, il cui colosso mediatico a capo del canale TV 1+1 ha contribuito a lanciare Zelensky nel firmamento nazionale durante la sua parabola nell’intrattenimento, ha apertamente irriso il capo di Stato ucraino, soprannominandolo «generalissimo Napoleone IV» – un’allusione al personaggio comico da lui interpretato in passato – e pronosticando che «presto se ne andrà».

 

La stampa ucraina ha già ventilato l’ipotesi che Kolomojskij  potrebbe aver coadiuvato il NABU nella costruzione del dossier su Mindich, fornendo agli inquirenti informazioni pivotali.

 

Presidente del Parlamento ebraico europeo, è inoltre stato comproprietario di PrivatBank dal 1992 al 2016 e proprietario del FC Dnipro e di Jewish News One. Dal marzo 2014 al marzo 2015 è stato governatore dell’oblast’ di Dnipropetrovs’k.

 

Come riportato da Renovatio 21, Kolomojskij  era stato presidente della Comunità Ebraica Unita dell’Ucraina, e nel 2010 è stato nominato – con quello che poi sarà definito «un putsch» – presidente del Consiglio Europeo delle Comunità Ebraiche (ECJC).

 

Dopo veementi proteste degli altri membri del Consiglio Ebraico di cui era divenuto vertice, il Kolomojskij dovette lasciare e fondarsi una lega ebraica tutta sua, la European Jewish Union.

 

Nel frattempo in Ucraina sono fioccate le  accuse di riciclaggio.

 

Kolomojskij era noto per aver sostenuto e finanziato il battaglione di volontari Dnipro-1, una forza paramilitare di estrema destra. Questo gruppo è stato formato nel 2014 per combattere i separatisti nell’Ucraina orientale. Kolomojskij  all’epoca era governatore dell’oblasti di Dnipropetrovsk.

 

La compresenza, nella storia dell’Ucraina attuale, di ebrei e nazisti ha creato l’espressione, dapprima scherzosa, «zhidobandera», ossia «giudeobanderista», dove per Bandera si intende quello Stepan Bandera collaborazionista di Hitler considerato il padre del nazionalismo ucraino.

 

L’oligarca possedeva, oltre al passaporto ucraino, anche quello cipriota ed ovviamente israeliano. L’uomo, tuttavia, ora è oggetto di raid da parte della giustizia e dei servizi del suo ex protegé.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

Continua a leggere

Politica

Il Bangladesh condanna a morte l’ex primo ministro

Pubblicato

il

Da

Lunedì, il Tribunale internazionale per i crimini del Bangladesh (ICT) ha irrogato una condanna capitale in contumacia all’ex prima ministra Sheikh Hasina, nell’ambito di un processo per crimini contro l’umanità.   Dalle cronache giornalistiche, la pronuncia la giudica responsabile di aver impartito l’ordine di una sanguinosa soppressione delle dimostrazioni studentesche del 2024.   Le contestazioni a carico di Hasina annoverano omicidi, tentati omicidi, sevizie e, verosimilmente, il comando di adoperare armi letali contro i manifestanti.   «Le pronunce pronunciate nei miei confronti emanano da un’istituzione corrotta, eretta e presieduta da un esecutivo non legittimato dal voto popolare e privo di autorità democratica. Sono parziali e orientate da logiche politiche», ha replicato Hasina in un comunicato.   Hasina, riparata in India dopo la sommossa del 2024, ha liquidato il verdetto come «un esito inevitabile». La leader bengalese ora isiede ora in India.   Le stime ONU quantificano in fino a 1.400 le vittime della repressione, prevalentemente abbattute dalle forze dell’ordine. Le agitazioni si estinsero dopo la sua fuga dal territorio nazionale.

Sostieni Renovatio 21

Tra gli ulteriori accusati compaiono l’ex ministro dell’Interno Asaduzzaman Khan Kamal e l’ex capo della polizia Chowdhury Abdullah Al-Mamun. Solo quest’ultimo ha presenziato al processo.   Il leader del governo transitorio del Bangladesh, che esercita al momento il potere esecutivo, è il Nobel per la Pace Muhammad Yunus. Le consultazioni elettorali nel Paese sono calendarizzate per il 2026.   Come riportato da Renovatio 21, alla Lega Awami della Hasina, dominante per un quindicennio prima della ribellione, è stato precluso l’accesso alle urne.   La Lega Awami, guidata dall’ex premier Hasina, è stata estromessa dal potere il 5 agosto dello scorso anno da una rivolta studentesca. La Hasina è fuggita in India e il Premio Nobel per la Pace Muhammad Yunus ha assunto la guida di un governo ad interim. Da allora, i rapporti tra i due vicini dell’Asia meridionale sono tesi, con attacchi alla minoranza induista del Paese. Il golpe ha gettato anche la comunità cristiana nell’incertezza.   Hasina è figlia del fondatore del Bangladesh, lo sceicco Mujibur Rahman, vittima di un colpo di Stato militare nel 1975.   Prima della sentenza, centinaia di contestatori hanno marciato su Dhanmondi 32, l’ex abitazione di Rahman.  

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21
Immagine di DelwarHossain via Wikimedia pubblicata su licenza  Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
Continua a leggere

Politica

Trump accusa Marjorie Taylor Greene di essere diventato una «traditrice»

Pubblicato

il

Da

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha reciso i legami con una figura chiave del movimento MAGA, la deputata Marjorie Taylor Greene, accusandola di aver tradito il Partito Repubblicano e di essersi spostata all’«estrema a sinistra».

 

In un messaggio divulgato sabato su Truth Social, il leader ha proclamato il recesso del proprio endorsement e del sostegno al veterano congressista repubblicano.

 

«Marjorie “Traitor” Green [sic] è una vergogna per il nostro GRANDE PARTITO REPUBBLICANO!», ha sentenziato.

 

«Nelle ultime settimane, nonostante i traguardi storici raggiunti per il nostro Paese… tutto ciò che vedo fare alla “Wacky” [pazzoide, ndr] Marjorie è LAMENTARSI, LAMENTARSI, LAMENTARSI!», ha proseguito in un altro post.

 

Trump ha spiegato che la frattura è emersa dopo averle sottoposto un sondaggio che rilevava un consenso del 12% in Georgia, consigliandole di desistere da una candidatura a senatore o governatore, e ha aggiunto che da quel momento «si è virata verso l’estrema sinistra».

 


Iscriviti al canale Telegram

In una sequenza di post su X, Greene ha sostenuto che il presidente statunitense ha revocato il proprio endorsement nei suoi confronti perché ha sollecitato il dipartimento di Giustizia a declassificare tutti i documenti residui sul trafficante di minori Jeffrey Epstein, suicidatosi in carcere nel 2019.

 

«Non avrei mai immaginato che impegnarmi per la diffusione dei fascicoli Epstein, tutelare le donne vittime di abusi e lottare per smantellare la rete delle élite ricche e potenti avrebbe portato a questo, ma eccoci qua», ha scritto sabato, subito dopo il ritiro del sostegno presidenziale.

 

Greene ha imputato a Trump il tentativo di isolarla per «dare un monito e intimorire gli altri repubblicani in vista del voto della prossima settimana sulla pubblicazione dei file Epstein».

 

Una petizione volta a imporre il voto su un disegno di legge che vincola il dipartimento di Giustizia alla divulgazione dei documenti ha raggiunto mercoledì il quorum di firme necessario, con lo scrutinio fissato per la settimana entrante.

 

All’inizio della settimana, la Commissione di Vigilanza della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha reso pubblici circa 20.000 atti inerenti al patrimonio di Epstein. I democratici della Camera hanno quindi estratto dagli archivi un’e-mail in cui il defunto pedofilo asseriva che Trump «era al corrente delle ragazze».

 

Subito dopo, il presidente ha disposto un’inchiesta sui nessi del trafficante sessuale con figure di spicco del Partito Democratico, tra cui Bill Clinton, e ha accusato gli avversari di strumentalizzare la cosiddetta «farsa Epstein» come manovra politica di distrazione.

 

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

Continua a leggere

Più popolari