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Geopolitica

La Lituania convoca il nunzio apostolico: diplomazia vaticana morta, grazie a Zelens’kyj e a Bergoglio

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Il ministero degli Esteri lituano ha richiesto un incontro con l’inviato del Vaticano nel Paese sulle recenti osservazioni fatte da Papa Francesco sulla storia russa, hanno riferito i media locali.

 

«Il ministero degli Esteri ha invitato il nunzio apostolico per un colloquio all’inizio di settembre, quando l’arcivescovo Petar Rajic tornerà dalle vacanze», ha detto mercoledì la portavoce Paulina Levickyte, citata dal Baltic News Service.

 

Il Papa ha suscitato la rabbia dei critici di Mosca con le sue osservazioni rivolte ai giovani cattolici russi la settimana scorsa. Li ha esortati ad amare la storia della loro nazione, nominando Pietro I e Caterina II come esempi di grandi leader politici russi. I monarchi cui è conferito il titolo onorifico «il Grande» sono in tutti tre, e Bergoglio ne ha citati ben due.

 

Come riportato da Renovatio 21, le parole del Pontefice sono state accolte con furore a Kiev. Un portavoce del ministero degli Esteri ucraino ha accusato papa Francesco di elogiare «le idee del grande Stato, che sono la causa dell’aggressione cronica della Russia».

 

In un’intervista al Corriere della Sera, Mikhailo Podolyak, alto consigliere del presidente Zelens’kyj, ha definito il romano pontefice uno «strumento di propaganda russa», procedendo poi a mettere in dubbio l’intera Chiesa cattolica e il cristianesimo stesso.

 

«Se valutiamo con mente aperta le frasi del Papa, vediamo che sono un incoraggiamento incondizionato all’imperialismo aggressivo, un plauso all’idea sanguinaria del “mondo russo”, che implica la brutale distruzione delle libertà e degli stili di vita altrui» ha dichiarato Podolyak. «Francesco incoraggia l’ideologia misantropica di Putin, le sue manie genocide».

 

L’ambasciatore del Vaticano a Kiev ha respinto le affermazioni secondo cui le osservazioni sostenevano l’imperialismo. L’ambasciata lituana presso la Santa Sede ha ripubblicato i suoi commenti, secondo i media locali, anche se il ministero degli Esteri ha affermato che l’apparente appoggio non era stato coordinato con Vilnius.

 

Mosca ha reagito alla controversia affermando di essere d’accordo con la valutazione del Papa secondo cui la Russia ha una storia ricca e molto apprezzata.

 

Ci sono molti insegnanti nelle scuole e nelle università russe il cui obiettivo è ispirare gli studenti con questa eredità, ha detto il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov, aggiungendo che «il fatto che il Pontefice sia sembrato all’unisono con questi sforzi è stato molto piacevole».

 

Come riportato da Renovatio 21, il papa potrebbe aver così ricucito l’incidente diplomatico di quando a fine 2022 insultò i ceceni ed i buriati, due popolazioni della Federazione Russa, accusati di essere «crudeli». Dopo la reazione del ministro degli Esteri Lavrov, che disse che quelle del pontefice erano parole «non cristiane», il Vaticano si affrettò a scusarsi: una mossa di rarità eccezionale.

 

Questo ulteriore episodio ridefinisce meglio il ruolo diplomatico che può avere il Vaticano – cioè, quasi nullo. La decadenza dello status di potenza delle relazioni internazionali (alla quale, come abbiamo ricordato su Renovatio 21, si affidarono pure i giapponesi per far finire la guerra prima di Hiroshima e Nagasaki) è per la Santa Sede, ora, l’amara realtà.

 

Di fatto, le parole del braccio destro di Zelens’kyj al Corsera fanno capire, se ce n’era bisogno, che ogni possibile ruolo del Vaticano nei negoziati sarà impossibile. Il papato si è così giocato del tutto il suo programma, che ci è parso da subito velleitario ed improvvisato, di figurare come «costruttore di pace» nel conflitto in corso e nei prossimi, che già ribollono in Africa, in Asia e forse persino in Oceania e in America.

 

Si era capito da tante cose.

 

Tornando da Budapest, dove Bergoglio aveva incontrato il metropolita ortodosso Ilarione, religioso di vedute moderniste (e sfrenatamente vacciniste) allontanato dalla gerarchia centrale del Patriarcato di Mosca, aveva millantato ai giornalisti chissà quali manovre dietro le quinte per risolvere il conflitto in corso. All’epoca ci sembrarono vanterie e fandonie improvvisate, e non possiamo ora che confermare la nostra impressione.

 

Ci fu poi la visita, fatta in maglioncino con simboli banderisti, di Zelens’kyj presso la Santa Sede nel suo tour romano, dove ha potuto abbracciare la Meloni, Mattarella e Bruno Vespa. Dal papa, ricorderete tutti, Zelens’kyj si contraddistinse per una boria inflessibile, al punto che, come mostrato dalle TV, contrariamente ad ogni protocollo, si sedette prima che lo facesse il pontefice che lo ospitava. In pratica, l’intera operazione era una grande porta sbattuta di persona dal vertice di Kiev in faccia alle ambizioni diplomatiche del papato.

 

Poi ci fu inflitto lo spettacolo disarmante della visita, fatta con espressione timida e testa un po’ china, del cardinale Zuppi a Kiev, dove si è trovato di fronte la faccia di bronzo di Zelens’kyj – il cui Paese perseguita i monaci ortodossi e mette a tacere i sacerdoti cattolici che osano pregare per la pace – che non è, come dire, intenzionato a servirsi del canale della Santa Sede, e nemmeno vede nella religione uno strumento necessario al potere.

 

Grazie alla nequizia di Zelens’kyj e alla velleitaria incompetenza del papa e dei suoi uomini, il prestigio diplomatico è morto e sepolto. Per farlo risorgere servirebbe, almeno, qualcuno che nella Resurrezione ci crede. Difficile trovare persone così in Vaticano, oggi.

 

 

 

 

 

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Geopolitica

Trump: India e Pakistan concordano un «cessate il fuoco immediato»

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L’India e il Pakistan hanno concordato di cessare le ostilità, ha affermato il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, aggiungendo che l’accordo è stato raggiunto dopo una «lunga notte di colloqui» mediata da Washington.

 

Il ministro degli Esteri pakistano Ishaq Dar ha confermato che è stato raggiunto un accordo, ma non ha menzionato il coinvolgimento degli Stati Uniti. Nuova Delhi ha affermato che la tregua è entrata in vigore alle 17:00 ora locale.

 

«Sono lieto di annunciare che India e Pakistan hanno concordato un cessate il fuoco completo e immediato», ha scritto Trump in un post su Truth Social sabato. Ha anche elogiato entrambe le parti per aver dimostrato «buon senso e grande intelligenza».

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Anche il Segretario di Stato americano Marco Rubio ha affermato che i due Paesi vicini hanno deciso di «avviare colloqui su un’ampia serie di questioni in un luogo neutrale». Secondo Rubio, lui e il vicepresidente statunitense J.D. Vance hanno avuto colloqui nelle ultime 48 ore con alti funzionari indiani e pakistani, tra cui i primi ministri Narendra Modi e Shehbaz Sharif, il massimo diplomatico indiano Subrahmanyam Jaishankar e il capo di stato maggiore dell’esercito pakistano Asim Munir.

 

Poco dopo l’annuncio, il Ministero degli Esteri indiano ha dichiarato che i responsabili delle operazioni militari dei due Paesi avevano concordato di cessare tutte le ostilità in una telefonata di sabato, avviata dalla parte pakistana. Il Ministro degli Esteri pakistano Ishaq Dar ha dichiarato a X che «Pakistan e India hanno concordato un cessate il fuoco con effetto immediato».

 

 

La tregua segue una breve ma rapida escalation militare tra le due potenze nucleari. All’inizio di questa settimana, Nuova Delhi ha lanciato l’«Operazione Sindoor», una serie di attacchi contro presunte strutture terroristiche in Pakistan e nel Kashmir amministrato dal Pakistan. Gli attacchi erano una rappresaglia per un attacco terroristico avvenuto ad aprile nel Territorio dell’Unione Indiana di Jammu e Kashmir, che ha causato la morte di 26 civili.

 

L’attacco è stato inizialmente rivendicato dal «Fronte della Resistenza», un gruppo ritenuto legato all’organizzazione jihadista pakistana Lashkar-e-Taiba. Nuova Delhi ha affermato che i suoi investigatori sono stati in grado di identificare nodi di comunicazione di terroristi all’interno e verso il Pakistan. Islamabad ha negato con veemenza di aver avuto alcun ruolo nell’attacco e ha chiesto un’indagine imparziale.

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Islamabad ha condannato le azioni dell’India definendole una «provocazione odiosa» e ha risposto bombardando la Linea di Controllo, il confine di fatto tra i due paesi del Kashmir, e con attacchi con droni.

 

Venerdì sera, il Pakistan aveva annunciato di aver lanciato un’operazione militare su larga scala contro l’India, chiamata «Bunyan Al Marsoos» (Muro Infrangibile), in quella che ha definito una rappresaglia per gli attacchi indiani.

 

Sono seguiti attacchi contro siti militari indiani.

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Immagine di Mos.ru via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International

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Geopolitica

Fico e Vucic si fanno un video davanti al Cremlino, che li definisce eroi

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Il presidente serbo Aleksandar Vucic ha condiviso un filmato in cui stringe la mano al primo ministro slovacco Robert Fico vicino al Cremlino. Entrambi i leader hanno incontrato notevoli difficoltà nel raggiungere le celebrazioni del Giorno della Vittoria nella capitale russa, a causa dei divieti di decollo e atterraggio imposti da diversi paesi dell’UE.   «Incontro fraterno con il premier slovacco Robert Fico stasera a Mosca. Serbi e slovacchi fratelli per sempre!» ha scritto Vucic su Instagram giovedì, allegando un video che mostra i due leader che si salutano.  
 
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Un post condiviso da Aleksandar Vučić (@buducnostsrbijeav)

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  Il Cremlino ha elogiato il presidente serbo Aleksandar Vucic e il primo ministro slovacco Robert Fico per aver sfidato le pressioni dell’UE e aver partecipato alle celebrazioni del Giorno della Vittoria nella capitale russa venerdì.   «Di questi tempi… è semplicemente un atto di eroismo. Mostrare la propria volontà sovrana di rendere omaggio alla memoria del Giorno della Vittoria, nonostante la pressione palese e frenetica, è degno del massimo elogio», ha dichiarato il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov.   Putin aveva già elogiato coloro che avevano accettato l’invito, definendoli coraggiosi nel partecipare nonostante le pressioni di Bruxelles.   L’Alta rappresentante per la politica estera dell’UE, Kaja Kallas, aveva sconsigliato ai leader degli Stati membri e dei paesi candidati di recarsi in Russia per l’80° anniversario della vittoria sovietica sulla Germania nazista, esortando i leader a recarsi a Kiev.   A fine aprile, la Commissaria europea per l’allargamento Marta Kos avrebbe dichiarato a Vucic che la sua presenza a Mosca avrebbe potuto avere ripercussioni sull’adesione della Serbia all’Unione Europea.   In uno sviluppo a dir poco preoccupante, la Lettonia e la Lituania hanno negato l’accesso allo spazio aereo all’aereo di Vucic, costringendolo a dirottare il volo attraverso Bulgaria, Turchia, Azerbaigian e Georgia.   L’Estonia si è rifiutata di agevolare il volo di Fico, nonostante la Slovacchia avesse un permesso annuale per utilizzare lo spazio aereo estone per i voli governativi.

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Il ministro degli Esteri estone Margus Tsahkna ha insistito sul fatto che i rappresentanti dell’UE dovrebbero evitare di partecipare a «eventi di propaganda organizzati dalla Russia» poiché «la Russia è un Paese che ha scatenato e continua una guerra in Europa».   Nonostante i tentativi di blocco, sia Vucic che Fico hanno proseguito con i loro piani per partecipare all’evento del Giorno della Vittoria a Mosca. Sono tra gli oltre due dozzine di leader mondiali che prendono parte alle commemorazioni di quest’anno nella capitale russa.   Tra gli altri partecipanti figurano il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva, il presidente venezuelano Nicolas Maduro, il presidente egiziano Abdel Fattah El-Sisi, il primo ministro slovacco Robert Fico e il presidente cinese Xi Jinping.  

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Alimentazione

Fame a Gaza: cibo ovunque ma nulla da mangiare

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La fame incombe su Gaza ma gli aiuti alimentari sono lì a disposizione, a pochi metri dal confine, che è sbarrato.

 

«Il Programma Alimentare Mondiale afferma di essere pronto a inviare aiuti sufficienti a Gaza per sfamare l’intera popolazione di circa 2 milioni di persone per un massimo di due mesi. L’UNRWA, la principale agenzia delle Nazioni Unite a supporto dei palestinesi, ha dichiarato di avere quasi 3.000 camion pieni di aiuti in attesa di attraversare Gaza. Entrambe hanno bisogno che Israele revochi il suo blocco per far arrivare tali aiuti» sostiene un servizio della CNN.

 

Il servizio cita il dootor Ahmad Al-Farra, responsabile del reparto pediatrico del Complesso Medico Nasser di Gaza, che il 3 maggio aveva avvertito che «una catastrofe sanitaria imminente sta minacciando la vita di centinaia di migliaia di persone» nell’enclave. «Siamo di fronte al pericolo di una massiccia ondata di morti per malnutrizione se l’attuale crisi umanitaria continua senza essere affrontata».

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Quella mattina, secondo il dottor Munir Al-Barsh, Direttore Generale del Ministero della Salute di Gaza, Janan Saleh Al-Sakkafi, di due mesi, è morto per malnutrizione presso l’ospedale Al-Rantisi.

 

Il ministro della Sicurezza Nazionale israeliano, Itamar Ben-Gvir, ha dichiarato la scorsa settimana: «finché i nostri ostaggi languiscono nei tunnel, non c’è assolutamente motivo che un solo grammo di cibo o di aiuti entri a Gaza».

 

L’amministrazione Netanyahu usa da oltre due mesi la negazione di cibo, medicine e aiuti umanitari come arma militare, l’ennesimo crimine di guerra.

 

La politica del blocco degli aiuti umanitari è risalente. L’anno passato mesi UE e Casa Bianca hanno condannato gli «estremisti israeliani» che bloccano e attaccano i convogli umanitari per Gaza.

 

 

Come riportato da Renovatio 21, ad inizio anno le forze israeliane aprirono il fuoco sulla folla di palestinesi in attesa degli aiuti alimentari, provocando una strage.

 

 

Va considerata anche la morte di almeno 5 palestinesi di Gaza uccisi dagli aiuti USA lanciati dal cielo.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’anno scorso il ministro israeliano Smotrich aveva detto che permettere a due milioni di abitanti di Gaza di morire di fame «potrebbe essere morale».

 

Da più di un anno è emerso il tema dei bambini che stanno letteralmente morendo di fame a Gaza.

 

Come riportato da Renovatio 21, in settimana un rapporto delle Nazioni Unite che monitora la situazione ha parlato di «fame catastrofica» rilevando che circa 300.000 persone nel Nord di Gaza vivono in condizioni di carestia.

 

Solo tre settimane fa il giornale israeliani Haaretz aveva chiesto in un editoriale che il mondo costringesse Israele di «smettere di affamare Gaza».

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