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Geopolitica

Trump non esclude il taglio degli aiuti a Israele, attacca Netanyahu e rivela dettagli sull’assassinio di Soleimani

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L’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha rifiutato di escludere il ritiro degli aiuti militari a Israele per forzare la fine della guerra a Gaza se verrà rieletto. Un tempo strenuo difensore del primo ministro Benjamin Netanyahu, Trump ha sostenuto che il leader israeliano e il suo esercito hanno «pasticciato» la guerra con Hamas.

 

In un’intervista con la rivista Time pubblicata questa settimana, il candidato alla Casa Bianca ha confermato la sua insistenza del mese scorso sul fatto che Israele dovrebbe «porre fine alla guerra» prima di perdere ulteriore sostegno internazionale.

 

«Penso che Israele abbia fatto molto male una cosa: le pubbliche relazioni», ha detto Trump al quotidiano, aggiungendo che secondo lui l’esercito israeliano non dovrebbe «inviare ogni notte immagini di edifici che crollano e vengono bombardati».

 

Alla domanda se escluderebbe di negare o applicare condizioni agli aiuti militari statunitensi a Israele per portare la guerra a una conclusione, Trump ha risposto «no», prima di lanciarsi in una feroce critica a Netanyahu.

 

«Ho avuto una brutta esperienza con Bibi», ha detto, riferendosi a Netanyahu con il suo soprannome. Trump ha ricordato come Netanyahu avrebbe promesso di prendere parte all’attacco aereo statunitense che ha ucciso il comandante militare iraniano Qassem Soleimani nel gennaio 2020, prima di ritirarsi all’ultimo minuto.

 

«È stato qualcosa che non ho mai dimenticato», ha detto Trump al Time, aggiungendo che l’incidente «mi ha mostrato qualcosa».

 

Come riportato da Renovatio 21, secondo rivelazioni dello scorso anno dell’ex capo dell’Intelligence israeliana, sarebbe stato lo Stato Ebraico a convincere la Casa Bianca ad uccidere il generale iraniano.

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Netanayhu, ha detto The Donald, «è stato giustamente criticato per ciò che è accaduto il 7 ottobre», riferendosi all’attacco di Hamas contro Israele. «E penso che abbia avuto un profondo impatto su di lui, nonostante tutto. Perché la gente diceva che non sarebbe dovuto succedere».

 

Israele ha, proseguito «le attrezzature più sofisticate», ha continuato. «Tutto era lì per fermarlo. E molte persone lo sapevano, migliaia e migliaia di persone lo sapevano, ma Israele non lo sapeva, e penso che sia stato fortemente incolpato per questo».

 

Trump non è la prima persona ad affermare che l’esercito e il governo israeliani non hanno risposto agli avvertimenti di un imminente attacco di Hamas. Secondo quanto riportato dai media israeliani, diversi membri del personale militare e dell’Intelligence hanno cercato di avvertire i loro superiori che era in corso un attacco, mentre i funzionari egiziani hanno riferito all’Associated Press di aver trasmesso avvertimenti alle loro controparti israeliane nelle settimane precedenti il ​​7 ottobre.

 

Trump è stato uno stretto alleato di Netanyahu durante il suo mandato alla Casa Bianca e si è descritto come «il presidente degli Stati Uniti più filo-israeliano della storia». Ha imposto sanzioni all’Iran su richiesta di Netanyahu, ha spostato l’ambasciata americana in Israele a Gerusalemme ovest e ha mediato gli accordi di Abramo, che hanno visto Israele normalizzare le relazioni con il Bahrein, gli Emirati Arabi Uniti, il Marocco e il Sudan.

 

Alla domanda se potrebbe lavorare meglio con il principale rivale politico di Netanyahu, Benny Gantz, se dovesse tornare alla Casa Bianca dopo le elezioni presidenziali di novembre, Trump non ha dato una risposta diretta. Tuttavia, ha osservato che «Gantz è bravo» e che ci sono «alcune persone molto brave che ho conosciuto in Israele che potrebbero fare un buon lavoro».

 

Benjamin Netanyahu è stato sostenuto negli anni dalla famiglia del genero di Trump Jared Kushner, il cui padre – controverso immobiliarista ebreo ortodosso finito in galera per una squallida storia di ricatti perfino a famigliari – era uno dei primi finanziatori di Bibi, il quale, si dice, quando era a Nuova York dormisse nella cameretta del Jared.

 

Il personaggio si è fatto notare di recente per aver detto che «è un peccato» che l’Europa non accolta più profughi palestinesi in fuga da Gaza, per poi fare dichiarazioni entusiastiche sul valore delle proprietà immobiliari future sul lungomare della Striscia.

 

Il Jared – che è sospettato da molti di essere una «talpa» contro Donald, perfino nel caso del raid FBI a Mar-a-Lago – e la moglie, l’adorata figlia di Trump Ivanka, sarebbero stati lasciati fuori dalla nuova campagna per esplicita richiesta dell’ex presidente.

 

Trump, in uno degli ultimissimi atti della sua presidenza, diede la grazia al traditore (e spia israeliana) Jonathan Pollard, analista dell’Intelligence USA artefice di una delle più grandi falla di segreti militari della storia degli apparati statunitensi.

 

Nei primi giorni del 2021, agli sgoccioli della presenza di Trump alla Casa Bianca, Pollard arrivò in Israele, dove lo attendevano ali di folla a festeggiarlo come un eroe (per aver tradito il loro principale alleato: incomprensibile fino al grottesco, a pensarci), tramite un jet privato messo a disposizione dal controverso magnate dei casino di Las Vegas – e finanziatore di quasi tutto il Partito Repubblicano USA come del Likud israeliano – Sheldon Adelson, morto poche ore dopo.

 

Come riportato da Renovatio 21, Trump il mese scorso ha dichiarato che il comportamento di Israele a Gaza ha causato un danno enorme alla percezione dello Stato ebraico nel mondo, mettendoli «nei guai» e incoraggiando l’antisemitismo.

 

Attacchi pubblici di Trump a Netanyahu si sono registrati già a fine 2021, mossa che gli valse uno screzio con i fondamentalisti protestanti americani, cioè i cristiano-sionisti che sostengono Israele per la profezia apocalittica secondo cui gli ebrei, ricostruendo il Terzo Tempio, genereranno il loro messia che sarà l’anticristo dei cristiani, accelerando la venuta di Cristo.

 

Tale teologia escatologica è in azione anche in questi giorni, come visibile nel caso della giovenca rossa, e di altri animali da sacrificio che hanno tentato di trafugare sul Monte del Tempio di Gerusalemme.

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Geopolitica

Orban: finanziare la «mafia di guerra» di Kiev è come la vodka per un alcolizzato

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Il primo ministro ungherese Vittorio Orban ha aspramente censurato la Commissione europea per aver invitato gli Stati membri dell’UE a incrementare gli apporti finanziari all’Ucraina, in piena luce del macroscopico scandalo corruttivo, sostenendo che la «mafia della guerra» di Kiev sta deviando i fondi dei contribuenti europei.   Lunedì, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha recapitato una missiva alle capitali europee, incalzando un’intesa celere per far fronte alle esigenze militari e monetarie di Kiev per il biennio venturo. Nella lettera, ripresa dalla stampa, il deficit di bilancio in espansione dell’Ucraina viene stimato in circa 135,7 miliardi di euro. Von der Leyen ha delineato tre opzioni di finanziamento: versamenti bilaterali opzionali da parte dei membri UE, mutui collettivi a livello europeo e un prestito risarcitorio ancorato ai beni russi congelati.   Orban ha postato su X di aver ricevuto la nota, in cui si descrive il gap finanziario ucraino come «considerevole» e si sollecita l’invio di ulteriori risorse da parte dei Paesi UE.  

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«È stupefacente. Proprio quando è emerso che una mafia della guerra sta svuotando le tasche dei contribuenti europei, anziché pretendere verifiche reali o bloccare i flussi, la presidente della Commissione propone di mandarne ancora di più», ha scritto, alludendo palesemente al recente scandalo corruttivo in Ucraina. Orban ha equiparato tale strategia al «tentativo di soccorrere un ubriaco spedendogli un’altra cassa di vodka», chiosando che «l’Ungheria non ha smarrito il buonsenso».   All’inizio del mese, le autorità anticorruzione ucraine hanno smascherato un presunto schema illecito capitanato da Timur Mindich, storico partner d’affari di Volodymyr Zelen’skyj, che ha distolto circa 100 milioni di dollari in mazzette dai contratti con l’operatore nucleare nazionale Energoatom, fortemente dipendente dagli aiuti esteri.   La vicenda corruttiva è esplosa mentre Kiev preme sui donatori per un finanziamento da 140 miliardi di euro, garantito dai beni della banca centrale russa bloccati dall’Occidente – un progetto ostacolato dal Belgio, custode della fetta maggiore di quei fondi. Mosca qualifica qualunque impiego di tali asset come «furto» e ha minacciato contromisure giudiziarie.   Il caso potrebbe armare i politici europei di argomenti solidi per invocare un ridimensionamento degli aiuti a Kiev, ha osservato Le Monde.   Come riportato da Renovatio 21, intanto con il megascandalo sulla corruzione Kiev sta incontrando ostacoli nel reperire un nuovo prestito dal FMI.  

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Mearsheimer: l’Occidente vuole distruggere la Russia come grande potenza

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I governi occidentali continuano a perseguire politiche mirate a indebolire la Russia fino a privarla definitivamente del suo status di grande potenza. Lo sostiene John Mearsheimer, professore di scienze politiche all’Università di Chicago, ritenuto decano mondiale nella scuola di pensiero realista nelle relazioni internazionali.

 

In un’intervista rilasciata venerdì al canale YouTube Daniel Davis Deep Dive, Mearsheimer ha dichiarato che l’obiettivo dei governi occidentali è sempre stato «sconfiggere Russia e Ucraina, distruggere l’economia russa con le sanzioni e mettere i russi in ginocchio».

 

«Non ci siamo riusciti, ma questo non significa che non lo vogliamo; ovviamente lo vogliamo ancora», ha aggiunto.

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«Se domani si presentasse l’occasione di farlo, la coglieremmo immediatamente: ci piacerebbe eliminare la Russia come grande potenza», ha proseguito il politologo, sottolineando che Mosca percepisce perfettamente la natura esistenziale della minaccia occidentale.

 

Mearsheimer ha poi osservato che l presidente russo Vladimir «Putin, l’ultima volta che ho controllato, ha un QI a tre cifre, il che significa che ha capito perfettamente la situazione e sa esattamente contro cosa sta combattendo».

 

Il professore ha sostenuto che Putin ha tutte le ragioni per non fidarsi né del presidente degli Stati Uniti Donald Trump né dei leader europei, poiché «sta ipotizzando in modo molto realistico lo scenario peggiore».

 

Negli ultimi mesi numerosi esponenti occidentali hanno apertamente definito il conflitto ucraino una guerra per procura contro la Russia. All’inizio di quest’anno Keith Kellogg, inviato per la politica ucraina nell’amministrazione Trump, ha usato questa espressione mettendo in guardia contro la fornitura di missili da crociera a lungo raggio a Kiev.

 

Anche il segretario di Stato americano Marco Rubio ha impiegato lo stesso termine, e il Cremlino ha accolto con favore tale caratterizzazione.

 

Come riportato da Renovatio 21, il Mearsheimer aveva preconizzato ancora nel 2015 lo sfascio dell’Ucraina, accusando, già all’ora, l’Occidente di portare Kiev verso la sua distruzione invece che verso un’era florida che sarebbe seguita alla neutralità dichiarata dagli ucraini.

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Il politologo appartiene alla schiera delle grandi figure politiche americane che hanno rifiutato la NATO, talvolta prima ancora che nascesse. Uno è George Frost Kennan (1904-2005), ex ambasciatore USA in URSS, lucido, geniale mente capofila della scuola «realista» delle Relazioni Estere (quella oggi portata avanti accademicamente proprio da Mearsheimer) e funzionario di governo considerato «il padre della guerra fredda».

 

Mearsheimer è noto altresì per il controverso libro La Israel lobby e la politica estera americana, tradotto in Italia da Mondadori. Il libro contiene una disamina dell’influenza di Tel Aviv sulla politica americana, e identifica vari gruppi di pressione tra cui i Cristiani sionisti e soprattutto i neocon.

 

Il cattedratico statunitense ha anche recentemente toccato la questione israeliana dichiarando che le intenzioni dello Stato Ebraico sarebbero quelle di allargare il più possibile il conflitto nell’area di modo da poter svuotare i territori dai palestinesi: «più grande è la guerra, maggiore è la possibilità di pulizia etnica».

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I marines americani si scambiano colpi di arma da fuoco con le bande di Haiti

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La scorsa settimana, i marines USA di sentinella presso l’ambasciata nella capitale haitiana, Port-au-Prince, hanno ingaggiato uno scontro armato con presunti affiliati di una gang, ha riferito un portavoce delle forze armate.   La nazione caraibica, con quasi 12 milioni di abitanti, è funestata da violenza incessante a partire dall’omicidio del presidente Jovenel Moïse nel 2021, con bande criminali ben armate che approfittano del vuoto istituzionale per estendere il loro dominio su Port-au-Prince e altre zone del territorio. Haiti versa in stato di emergenza da oltre un anno.   I marines hanno replicato al fuoco nemico dopo essere stati bersagliati da sospetti membri di una gang giovedì sera, ha precisato domenica il capitano Steven J. Keenan, portavoce dei marines USA, in un comunicato ufficiale.   Keenan ha inoltre confermato che non si sono registrate vittime tra il personale statunitense in seguito all’episodio.

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Il dipartimento di Stato americano ha imposto l’evacuazione del personale governativo non essenziale e dei loro familiari da Haiti nel luglio 2023. Attualmente, vigono un avviso di «Livello 4: Non Viaggiare» per l’intero Paese, motivato da pericoli di sequestri, criminalità diffusa, atti terroristici e instabilità civile.   A giugno, Ghada Fathi Waly, capo dell’Ufficio ONU contro droga e crimine, ha denunciato che le gang detengono «circa il 90% di Port-au-Prince sotto il loro giogo», con estese offensive in aree prima tranquille. Il monopolio sulle arterie commerciali da parte di questi gruppi ha azzerato il flusso legale di merci, gonfiando i prezzi di beni vitali come il carburante da cottura e il riso, ha aggiunto Waly.   Dati ONU indicano che nel 2024 in Haiti almeno 5.600 individui sono periti in fatti legati alle gang, mentre 1,3 milioni di persone su tutto il territorio sono state costrette allo spostamento forzato dalla crisi.   Una missione a guida keniota, sostenuta dalle Nazioni Unite e arrivata ad Haiti nel 2024 per arginare l’escalation violenta, ha riconquistato il palazzo presidenziale nella capitale e liberato alcune vie strategiche, ma non ha conseguito ulteriori avanzate per presunta carenza di effettivi e mezzi. Secondo l’Associated Press, è stato dispiegato solo il 40% circa dei 2.500 militari programmati.   Il mese scorso, il Consiglio di sicurezza ONU ha deliberato la ristrutturazione della missione, convertendola nella Gang Suppression Force, con un organico di 5.500 tra soldati e poliziotti.   Come riportato da Renovatio 21, mesi fa l’ONU aveva dichiarato che le gang hanno portato la capitale di Haiti Port au Prince sull’orlo del collasso.   Come riportato da Renovatio 21, settimane fa è emerso che il governo ad interim di Haiti, la cosiddetta Commissione Presidenziale di Transizione (TPC), avrebbe assunto Erik Prince, noto per aver fondato (e poi venduto) la multinazionale di contractor militare Blackwater, per combattere le violente ghenghe che hanno di fatto preso il controllo di gran parte della capitale Port-au-Prince e di porzioni sempre più estese della regione di Artibonite.

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Come riportato da Renovatio 21, l’isola è oramai considerata come interamente in mano alle ghenghe.   La discesa di Haiti in un paesaggio infernale si è accelerata nel 2021, quando il presidente Jovenel Moise è stato assassinato. Da allora, le gang hanno governato quasi tutta la capitale, perpetrando estorsioni, rapimenti, stupri, omicidi e decapitazioni su larga scala. Come riportato da Renovatio 21, tre anni fa l’Alto Commissarrio ONU per i diritti umani Bachelet aveva parlato di livelli «inimmaginabili ed intollerabili» di violenza armata.   Due anni fa gli USA avevano chiuso l’ambasciata tra le mitragliate delle bande.   Come riportato da Renovatio 21, tra rapimenti e violenze, anche i religiosi e le religiose cattoliche ad Haiti non se la passano bene. Lo scorso novembre era emerso che era stato bruciato il convento e l’ospedale delle Suore della Carità. In altre occasioni si erano rivisti rapimenti di missionari e aggressioni contro suore.Lo scorso autunno vescovi di Haiti avevano dichiarato di essere «disperati».   Tre anni fa l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Michelle Bachelet ha parlato di livelli «inimmaginabili e intollerabili» di violenza armata.   Haiti negli anni è più volte emersa come base per il supposto malaffare umanitario della Fondazione Clinton. Lo ha sostenuto Breitbart e tutto il giro di Steve Bannon nel film e nel libro Clinton Cash, di cui hanno pure fatto una versione a fumetti.   Nel panorama allucinante haitiano dell’ora presente, arrivano notizie come quella delle 184 persone (in maggior parte anziani) fatte uccidere da un capobanda perché avrebbero praticato contro di lui la stregoneria per far ammalare il figlio.

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