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Pensiero

Primo Levi e lo «Stato autoritario»

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Renovatio 21 pubblica queste parole dello scrittore e chimico superstite ai campi di concentramento nazisti Primo Levi (1919-1976), contenute nell’appendice dell’edizione 1976 di Se questo è un uomo, ora in Opere, volume I, Einaudi, pagina 188. Primo Levi stava qui rispondendo ad una domanda sul nazismo – in particolare, asserendo la consapevolezza della situazione che aveva la maggioranza dei tedeschi –, includendo nel discorso anche la fine delle libertà individuali,  la censura, il controllo sociale nell’Italia del ventennio fascista.

 

 

In uno Stato autoritario (…) la Verità è una sola, proclamata dall’alto; i giornali sono tutti uguali, tutti ripetono questa stessa unica verità; così pure fanno le radiotrasmittenti, e non puoi ascoltare quelle degli altri paesi, perché in primo luogo, essendo questo un reato, rischi di finire in prigione; in secondo luogo, le trasmittenti del tuo paese emettono sulle lunghezze d’onda appropriate un segnale di disturbo che si sovrappone ai messaggi stranieri e ne impedisce l’ascolto.

 

Quanto ai libri, vengono pubblicati e tradotti solo quelli graditi allo Stato: gli altri, devi andarteli a cercare all’estero, e introdurli nel tuo paese a tuo rischio, perché sono considerati più pericolosi della droga e dell’esplosivo, e se te li trovano alla frontiera ti vengono sequestrati e tu vieni punito. Dei libri non graditi, o non più graditi, di epoche precedenti si fanno pubblici falò sulle piazze. Così era in Italia fra il 1924 e il 1945; così nella Germania nazionalsocialista…

 

(…)

 

In uno Stato autoritario viene considerato lecito alterare la verità, riscrivere retrospettivamente la Storia, distorcere le notizie, sopprimerne di vere, aggiungerne di false: all’informazione si sostituisce la propaganda

In uno Stato autoritario viene considerato lecito alterare la verità, riscrivere retrospettivamente la Storia, distorcere le notizie, sopprimerne di vere, aggiungerne di false: all’informazione si sostituisce la propaganda. Infatti, in tale paese tu non sei un cittadino, detentore di diritti, bensì un suddito, e come tale sei debitore allo Stato (ed al dittatore che lo impersona) di lealtà fanatica e di obbedienza supina.

 

È chiaro che in queste condizioni diventa possibile (anche se non sempre facile: non è mai agevole violentare a fondo la natura umana) cancellare frammenti anche grossi della realtà.

 

(…)

 

Creare ed intrattenere nel paese un’atmosfera di terrore indefinito faceva parte degli scopi del nazismo: era bene che il popolo sapesse che opporsi a Hitler era estremamente pericoloso. Infatti, centinaia di migliaia di tedeschi furono rinchiusi nei Lager fin dai primi mesi del nazismo: comunisti, socialdemocratici, liberali, ebrei, protestanti, cattolici, e tutto il paese lo sapeva, e sapeva che in Lager si soffriva e si moriva.

 

(…)

 

È certamente vero che il terrorismo di Stato è un’arma fortissima, a cui è ben difficile resistere…

 

 

Primo Levi 

 

 

 

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Civiltà

Putin: le élite occidentali si oppongono a tutti i popoli della Russia

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Il presidente russo Vladimir Putin ha messo in guardia dai tentativi occidentali di seminare divisione fra le genti russe e dai tentativi di frammentare il suo territorio secondo linee etniche. Lo riporta il sito governativo RT.

 

Intervenendo alla sessione plenaria del Consiglio internazionale del popolo russo, Putin ha lanciato un appassionato appello alla solidarietà tra i diversi popoli del Paese. Tali sforzi mirano non solo a danneggiare il popolo russo stesso, ma contro tutti i gruppi che compongono il paese, ha dichiarato Putin.

 

«La russofobia e altre forme di razzismo e neonazismo sono diventate quasi l’ideologia ufficiale delle élite dominanti occidentali. Sono diretti non solo contro i russi, ma contro tutti i popoli della Russia: tartari, ceceni, avari, tuvini, baschiri, buriati, yakuti, osseti, ebrei, ingusci, mari, altaiani. Siamo tanti, non li nominerò tutti adesso, ma, ripeto, questo è diretto contro tutti i popoli della Russia», ha dichiarato il Presidente.

 

«L’Occidente non ha bisogno di un Paese così grande e multinazionale come la Russia», ha continuato il presidente, aggiungendo che la diversità e l’unità della Russia «semplicemente non si adattano alla logica dei razzisti e dei colonizzatori occidentali».

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Ecco perché, secondo Putin, l’Occidente ha iniziato a suonare «la vecchia melodia» di chiamare la Russia una «prigione di nazioni», descrivendo il popolo russo come «schiavi» e arrivando addirittura a chiedere la «decolonizzazione» della Russia.

 

«Abbiamo già sentito tutto questo», ha detto, aggiungendo che ciò che gli oppositori della Russia vogliono veramente è smembrare e saccheggiare il paese, se non con la forza, almeno seminando discordia all’interno dei suoi confini.

 

Putin ha continuato avvertendo che qualsiasi interferenza esterna o provocazione volta a provocare conflitti etnici o religiosi nel Paese sarà considerata un «atto aggressivo» e un tentativo di utilizzare ancora una volta il terrorismo e l’estremismo come strumento per combattere la Russia.

 

«Reagiremo di conseguenza», ha dichiarato.

 

Il presidente ha sottolineato che l’attuale lotta della Russia per la sovranità e la giustizia è «senza esagerazione» di «natura di liberazione nazionale» perché è una lotta per la sicurezza e il benessere dei suoi cittadini.

 

Putin ha anche osservato che il popolo russo, come già fatto in passato, è diventato ancora una volta un ostacolo per coloro che lottano per il dominio globale e cercano di portare avanti la loro «eccezionalità».

 

«Oggi lottiamo non solo per la libertà della Russia, ma per la libertà del mondo intero», ha detto il presidente, precisando che Mosca è ora «in prima linea nella creazione di un ordine mondiale più equo» e che «senza un governo sovrano, una Russia forte, non è possibile alcun ordine mondiale duraturo e stabile».

 

Come riportato da Renovatio 21, all’ultima edizione del Club Valdai Putin aveva tenuto un denso discorso dove lasciava intendere una concezione della Russia come Stato-civiltà.

 

Riguardo alle élite occidentali, parlando di forniture di gas, il presidente russo aveva lamentato due mesi fa la mancanza di «persone intelligenti». Considerando le bollette, è davvero difficile dargli qui torto.

 

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 

 

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Pensiero

Che cos’è l’anarco-capitalismo? Da Rothbard a Milei, storia di un’idea mai applicata

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La vittoria presidenziale di Javier Milei in Argentina pone a capo dello stato il primo autoproclamato «anarco-capitalista» della storia moderna – o probabilmente la prima persona ad aver vinto un’elezione a questo livello a identificarsi come tale.   Ma che cos’è l’anarco-capitalismo? Il pensiero, come racconteremo rapidamente qui sotto, va indietro di poco, forse appena duecento anni, ma è stato teorizzato davvero nella seconda metà del XX secolo.   Al centro dell’idea anarco-capitalista è la convinzione che la società possa godere dell’applicazione dei diritti di proprietà, dei contratti e della difesa senza la necessità dell’autorità coercitiva dello Stato. L’unione dei concetti di anarchismo e capitalismo non è vista come un piano per l’ordine sociale, ma piuttosto come una previsione di come una comunità civilizzata potrebbe funzionare in assenza dello Stato.   Va notato che l’anarco capitalismo non è associabile ad ideologie di destra, contrariamente a quanto sostenuto stanno sostenendo le testate del mainstream mondiale inferocite dall’elezione del Milei. L’anarco-capitalismo si discosta nettamente dai tradizionali allineamenti politici di destra, e prova ne è l’apertura totale espressa dal Milei riguardo all’immigrazione – un fenomeno che non riguarda drammaticamente, al momento, il suo Paese.   In questo contesto, l’anarchismo si riferisce all’abolizione dello Stato e alla sua sostituzione con relazioni basate sulla proprietà privata, azione volontaria, diritto privato e applicazione dei contratti, come previsto dal libero mercato.   Coloro che si definiscono «anarco-capitalisti» non rappresentano una scuola di pensiero omogenea. La designazione copre una vasta gamma di applicazioni e opinioni, con diversità di vedute all’interno della stessa ideologia.   Il termine «anarco-capitalismo» trova le sue radici nel lavoro dell’economista americano, e mio amato mentore, Murray Rothbard (1926-1995), il quale fu profondamente influenzato nel suo pensiero libertario dalla scrittrice Ayn Rand negli anni Cinquanta. Uno dei cani clonati di Milei, il Murray, si chiama così in  onore dell’economista e teorico giusnaturalista neoeboraceno, che può essere tranquillamente considerato il principale ideatore dell’anarco-capitalismo, la cui bandiera fu per la prima volta sventolata dal Rothbardo nel 1963 in Colorado – un drappo oro e nero come quella che vedete come immagine di questo articolo, che il Milei ha tirato fuori pure lui per un video.

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Tuttavia, quando Rothbard esaminò attentamente le idee di Rand, iniziarono a sorgere in lui dei dubbi riguardo all’istituzione che Rand insisteva fosse necessaria ed essenziale, ovvero lo Stato stesso. Rothbard pose domande cruciali: se desideriamo avere diritti di proprietà, perché solo lo Stato può violarli? Se puntiamo all’autoproprietà, perché lo Stato è l’unica istituzione autorizzata a costringere, segregare e adottare altre misure invasive nei confronti delle persone? Se cerchiamo la pace, perché dovremmo affidarci a uno Stato che ci porta in guerra la guerra? E così via.   La separazione con la Rand, all’epoca dea dei libertari di Nuova York, fu estremamente drammatica. Rothbard offrì una reinterpretazione ironica degli eventi nel breve testo teatrale intitolato Mozart was a red («Mozart era un rosso»). Dopo che Rothbard e altri abbandonarono il movimento oggettivista da lei fondato, la Rand li etichettò come «libertari hippie che subordinano la ragione ai capricci e sostituiscono il capitalismo con l’anarchismo», invitando i suoi lettori a non associarsi a loro.   Rothbard continuò la sua opera filosofico-politica, fondando nel 1969 la rivista The Libertarian Forum, pubblicata sino al 1984 e anche il Journal of Libertarian Studies, la sua pubblicazione di maggior successo, della quale fu direttore fino alla morte.   Secondo Rothbard, una regola coerente nella società che vieti l’aggressione contro le persone e la proprietà dovrebbe estendersi anche allo Stato stesso, che egli considerava storicamente il violatore più dannoso dei diritti umani dal punto di vista sociale. L’idea è che, nonostante tolleriamo che gli Stati difendano i nostri diritti, spesso scopriamo che lo Stato rappresenta la principale minaccia a tali diritti.   Questo modo di pensare sottolinea anche la difficoltà nel trovare una tecnologia o un sistema efficace per limitare lo Stato una volta che è stato creato. Per una comprensione più approfondita di questo concetto, Rothbard consigliava la lettura del suo saggio Anathomy of the State.   Si tratta di un pensiero piuttosto in linea con la critica fatta negli anni dall’anarchismo socialista, tuttavia la particolarità della prospettiva di Rothbard risiedeva nella sua previsione analitica su cosa avrebbe occupato il posto dello Stato in sua assenza.   Rothbard sosteneva che una società priva di Stato non avrebbe assunto la forma di una comunità governata da una perfetta condivisione delle risorse e da un’uguaglianza egualitaria. Al contrario, respingeva le visioni utopiche della sinistra e delineava un quadro in cui sarebbero emersi concetti come la proprietà, il commercio, la divisione del lavoro, gli investimenti, i tribunali privati, i mercati azionari, la proprietà privata del capitale e così via.   In altre parole, Rothbard prevedeva che in un contesto senza Stato, un’economia libera avrebbe prosperato in modo significativo, portando a un livello massimo di realizzazione della libertà ordinata.

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Questa idea pose Rothbard in contrasto con praticamente tutti, dalle correnti marxiste ai trotskiste, dai seguaci della Rand, ai conservatori e ai liberali classici d’antica scuola, i quali ritenevano che gli stati fossero necessari per garantire tribunali, legge e sicurezza. Questa posizione lo portò addirittura a scontrarsi con il suo mentore, l’economista oriundo austriaco Ludwig von Mises, che degli anarchici aveva una visione europea classica.   Contrariamente a quanto percepiva il suo maestro, l’anarchismo di Rothbard era profondamente radicato nella tradizione americana: influenzato più dal periodo coloniale che dalla guerra civile spagnola. Egli sosteneva che le comunità avrebbero potuto autogestirsi senza un’autorità suprema con il potere di tassare, inflazionare la valuta, arruolare e uccidere.   Rothbard credeva fermamente che i mercati e la creatività derivante dalla cooperazione pacifica umana avrebbero costantemente prodotto risultati superiori rispetto alle istituzioni create dalle élite e imposte attraverso la costrizione. Questa prospettiva si estendeva anche ai tribunali, alla sicurezza e al diritto, i quali, secondo Rothbard, sarebbero stati meglio forniti attraverso le forze di mercato, all’interno di norme universali che regolano la proprietà e l’azione umana.   Come nota un articolo di Epoch Times, in questo contesto, Rothbard stava ripercorrendo un dibattito che ebbe luogo in Francia nel XIX secolo. Frédéric Bastiat (1801–1850), un notevole economista e liberale classico, scrisse alcuni dei saggi più persuasivi per la libertà della sua generazione, dove tuttavia, Bastiat mantenne sempre la convinzione della necessità di uno Stato per mantenere il sistema in funzione e impedire il caos nella società. A contrastarlo su questo punto fu il meno noto intellettuale Gustav de Molinari (1819-1912), il quale affermò che tutte le funzioni necessarie per le operazioni sociali in libertà potevano essere fornite attraverso le forze di mercato. In molti sensi, il Molinari può essere considerato il primo vero «anarco-capitalista», anche se non impiegò mai quel termine.   Milei ora si trova a prendere le teorie della Parigi dell’Ottocento e della Nuova York degli anni Cinquanta e a metterli in pratica a fronte di uno Stato amministrativo enorme e radicato, una valuta collassata più e più volte, dove il cambio con il dollaro sulla strada è assai diverso da quello annunciato del governo, che tutti semplicemente ignorano. Milei avrà contro di lui 100 anni di statalismo parassita ingenerato dal peronismo e l’ostilità di parte del Parlamento e di un’opinione pubblica completamente polarizzata.   «Né Reagan né la Thatcher, per quanto di vasta portata fossero le loro riforme, hanno mai tagliato il bilancio complessivo e tanto meno hanno abolito intere agenzie. Erano riformatori all’interno del quadro» scrive J.A. Tucker su Epoch Times. «Milei è chiamato a fare qualcosa di mai fatto prima, nel mezzo di una grave crisi per la Nazione».   Quello che farà Milei, ad ogni modo è da vedere. Se si farà cavaliere dell’anarco-capitalismo del Rothbardo (cioè del pensatore ebreo-americano, non del cane clone del defunto cane Conan, con cui Milei parla per mezzo di medium e spiritisti) o se semplicemente porterà avanti i dettami del World Economic Forum, dei cui eventi ha fatto parte, è da vedere.   La dottrina del World Economic Forum, ricordiamo, è tuttavia l’esatto contrario di una teoria che va contro lo Stato, anzi: essa è la convergenza, la fusione definitiva tra Stato e mercato, non più nei termini del marxismo (che fallisce nella sua missione di creare l’infrastruttura umana e materiale per la tecnocrazia) ma in quelli dell’ultraliberismo, della libertà assoluta delle multinazionali che divengono esse stesse legittimate dagli Stati.   Il senso di Davos, con i suoi incontri tra capi di Stato e massimi paperoni globali, è tutto qui. Il sistema con i suoi arconti è il vero padrone, e il popolo – una volta retoricamente definito sovrano e teoricamente «padrone» degli Stati – è considerato come una forza da sottomettere, se non già sottomessa quasi del tutto. Guardatevi i video WEF della Mazzuccato che vuole infliggere cambiamenti nella popolazione attraverso crisi idriche, o dell’altro professore che sogna di modificare geneticamente la popolazione per renderla più bassa di statura, per capire a quale livello di delirio spudorato è giunta la managerial class, a quale punto del percorso siamo nel percorso   C’è da capire, ora, quali padroni vuole davvero servire il nuovo presidente. Le voci che girano a suo riguardo, fuori dal circuito del lancio di coriandoli della destra sempre più disorientata, non sono esattamente rassicuranti.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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Le furie femministe e i collaborazionisti del matriarcato: l’accusa di Camillo Langone

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Renovatio 21, in un articolo di qualche giorno fa, si chiedeva come mai si sente parlare così tanto di patriarcato, ora, ma non del suo opposto, cioè del regime che andrebbe ad instaurarsi qualora la cultura patriarcale dovesse finire: la parola «matriarcato» è davvero rara nel dibattito pubblico, e nessuno pare avere davvero il coraggio di tirarla fuori.

 

Lo scrittore Camillo Langone quel coraggio ce lo ha, anzi: in una sua «preghiera»– una rubrica che tiene da anni su Il Foglio – va molto oltre, dando una disamina sintetica e potente di ciò che sta accadendo.

 

«Abramo, patriarca Abramo, padre di popoli, tu che hai la parola “padre” (il semitico “ab“) fin dentro il nome, proteggi noi uomini abramitici. Noi bersagli della caccia al maschio. Le furie femministe, con al fianco gli inevitabili collaborazionisti, ci sono alle calcagna. È una “guerra di potere” (…). È una guerra civile, dunque una guerra senza quartiere» scrive Langone.

 

«Le donne di potere, le neomatriarche, le Meloni-Gruber-Schlein sono tutte sostanzialmente d’accordo (solo i fessacchiotti che credono ancora nella dicotomia destra/sinistra possono farsi ingannare dalle diverse sfumature). Mentre il fronte maschile è frammentato: gli infemminiti sono milioni» continua il grande scrittore italiano.

 

Langone procede quindi a fare quello che nessuno ancora si è impegnato a fare: a immaginare il mondo tornato al matriarcato.

 

«Il neomatriarcato ci garantisce rieducazione, umiliazione, estinzione. Ai più riottosi la castrazione. Agli esemplari più collaborativi una carriera di fuco al servizio delle umane api regine».

 

Ecco le parole che descrivono meglio il progetto in corso: rieducazione, umiliazione, estinzione. Ecco le immagini che ci comprendono di meglio comprendere: le evirazioni, i fuchi umani.

 

«Abramo, patriarca Abramo, ricorda a Dio la sua promessa di darti una progenie inestinguibile: noi siamo figli tuoi, non possiamo sparire così» conclude lo scrittore.

 

La preghiera dovrebbe essere condivisa da tutta l’umanità – che di fatto discende tutta, maschi e femmine, da Abramo.

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Immagine: Giovanni Gasparro, Ritratto di uomo con tabarro, Ritratto di Cammillo Langone, 2015.

 

 

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