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Il generale Flynn: sull’Ucraina Biden può causare centinaia di milioni di morti

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L’ex generale dell’esercito USA Michael Flynn ha scritto un editoriale per il sito Western Journal che accusa il presidente Biden di far rischiare al mondo conseguenze apocalittiche per la sua posizione sull’Ucraina.

 

Nell’indifferenza generale dei connazionale, scrive l’ex consigliere di Trump, c’è stato un «massiccio accumulo militare attorno all’Ucraina nelle ultime settimane», e «la maggior parte degli americani non ha idea di quanto siamo stati portati vicino al conflitto armato con la Federazione Russa».

«Anche quegli americani che hanno cercato notizie sull’Ucraina possono fare poco più che guardare da bordo campo mentre coloro che attualmente guidano la nostra nazione ci avvicinano a una potenziale catastrofe».

 

«Anche quegli americani che hanno cercato notizie sull’Ucraina possono fare poco più che guardare da bordo campo mentre coloro che attualmente guidano la nostra nazione ci avvicinano a una potenziale catastrofe»

Si tratta, secondo Flynn, di una meccanica di potere elitistica già vista, che tende ad escludere la volontà popolare».

 

«Sebbene andare in guerra sia la decisione più piena di conseguenze che una Nazione possa prendere, il popolo raramente viene consultato dalle élite, che sono in gran parte immuni dalle conseguenze delle loro azioni». Se pensiamo ad Iraq ed Afghanistan, due esempi dolorosamente recenti, dobbiamo ammettere che il generale ha ragione.

 

«Se il popolo fosse effettivamente consultato, le guerre sarebbero davvero eventi rari».

 

Flynn quindi attacca le frasi bellicose di Biden e del suo segretario di Stato Anthony Blinken. Soprattutto, trova inconcepibili le parole del senatore del Mississippi Roger Wicker  che ha dichiarato di non escludere un’«azione nucleare di primo uso».

 

«La retorica dell’azione nucleare di primo uso non solo è estremamente pericolosa, ma questo tipo di osservazioni senza senso minacciano anche la stabilità del mondo intero» tuona Flynn.

 

«Se il popolo fosse effettivamente consultato, le guerre sarebbero davvero eventi rari»

Questa prospettiva di guerra nucleare è coperta e propagandata dai media.

 

«Stiamo di nuovo vivendo la massima che “la verità è la prima vittima della guerra”. Se il popolo vuole avere la possibilità di fermare uno scontro, il primo passo è resistere alla raffica di propaganda dei media dell’establishment e conoscere la verità. Solo allora potremo chiedere al nostro governo di smettere di suonare i tamburi di guerra».

 

«L’amministrazione Biden vuole farci credere che la Russia stia cercando di riconquistare la sua antica grandezza rovesciando il governo di Volodymyr Zelensky e sostituendolo con un governo fantoccio che avrebbe il controllo. L’establishment dominato dai neocon in entrambi i nostri partiti politici vuole farci credere che l’Unione Sovietica esiste ancora ed è intrinsecamente espansiva» accusa Flynn.

 

«Proprio come alla nazione è stata venduta la bufala sul fatto che la Russia avesse eletto il presidente Donald Trump nel 2016, ora viene venduta un’altra illusione. Non credete ad una parola!»

 

«Se il presidente John Kennedy era giustificato nel rischiare la guerra per impedire l’installazione di missili nucleari a Cuba nel 1961, allora perché esattamente il presidente russo Vladimir Putin è sconsiderato nel rischiare la guerra per impedire l’installazione di armi della NATO in Ucraina nel 2022?»

La spiegazione di Flynn è semplice, lineare, è la stessa che Putin ha dichiarato pubblicamente: «se l’Ucraina fosse ammessa nella NATO, con la sua posizione strategica, la Russia sa che la NATO e gli Stati Uniti potrebbero piazzare missili letteralmente al suo confine, creando una minaccia esistenziale per la Russia».

 

«Sebbene la preoccupazione della Russia sia ovvia, l’amministrazione Biden non ha mai nemmeno cercato di spiegare l’esistenza di un interesse nazionale vitale degli Stati Uniti in Ucraina che potrebbe giustificare le ostilità. Da parte sua, Blinken ha affermato il principio che l’Ucraina deve avere il diritto di aderire alla NATO e ha affermato che tale principio non potrebbe mai essere compromesso. I russi capiscono che ciò comporterebbe probabilmente la collocazione di armi nucleari alle sue porte, più vicine alla Russia di quanto lo sia Cuba agli Stati Uniti»,

 

Quindi, un paragone storico molto, molto giusto:

 

«Se il presidente John Kennedy era giustificato nel rischiare la guerra per impedire l’installazione di missili nucleari a Cuba nel 1961, allora perché esattamente il presidente russo Vladimir Putin è sconsiderato nel rischiare la guerra per impedire l’installazione di armi della NATO in Ucraina nel 2022? Una grande nazione permetterebbe lo sviluppo di una tale minaccia al suo confine?»

 

«Il mondo avrebbe potuto essere gettato in guerra nell’ottobre 1962 se il premier sovietico Nikita Khrushchev non fosse stato disposto a prendere in considerazione la posizione non negoziabile che Kennedy stava prendendo. Kennedy promise di non invadere Cuba e in seguito ricambiò l’azione di Krusciov rimuovendo i missili Jupiter statunitensi dalla Turchia. Entrambe le grandi nazioni hanno agito in modo responsabile e la crisi dei missili cubani si è conclusa pacificamente».

 

Poi Flynn procede con una spiegazione di diritto internazionale, con una citazione di Emmeric de Vattel (1714-1767), filosofo, giurista, diplomatico elvetico considerato tra i padri del diritto internazionale e della filosofia politica di concezione moderna.
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«Parte della mia formazione come ufficiale dell’esercito consisteva nello studiare Il diritto delle genti di Emer de Vattel. Questo lavoro storico è stato determinante nel guidare i Fondatori della nostra nazione mentre dichiarava l’indipendenza dall’Inghilterra e tracciava il nostro corso nel mondo. Prende i principi del diritto naturale e applica tali principi alle nazioni. È un libro straordinario».

 

«Gli Stati Uniti e la Federazione Russa sono grandi nazioni. Tuttavia, queste grandi nazioni hanno ciascuna migliaia di armi nucleari che potrebbero uccidere centinaia di milioni di persone»

«Due dei principi esposti in quel libro sono di fondamentale importanza in questo momento, ei nostri maestri di politica estera hanno bisogno di ricordarli di tanto in tanto».

 

«Primo, “Ogni Nazione (…) ha (…) il diritto di impedire ad altre Nazioni di ostacolare la sua conservazione (…) cioè di preservarsi da tutte le ferite (…) chiamato diritto alla sicurezza (…) È più sicuro prevenire il male, quando può essere prevenuto”. Questo principio è alla base della Dottrina Monroe ed era esattamente la risposta di Kennedy alla minaccia dei missili russi a Cuba».

 

«Secondo, “Ogni nazione è obbligata a coltivare l’amicizia di altre Nazioni e ad evitare accuratamente tutto ciò che potrebbe accendere la loro inimicizia contro di essa”. De Vattel ha poi aggiunto: “le Nazioni sagge e prudenti spesso perseguono questa linea di condotta da punti di vista di interesse diretto e presente; un interesse più nobile, più generale e meno diretto è troppo raramente la motivazione dei politici”».

 

«Tutte le parti coinvolte devono cercare di re-identificare e applicare quei principi di diritto naturale all’attuale crisi prima che il mondo scivoli nel baratro», conclude il generale americano.

 

«Gli Stati Uniti e la Federazione Russa sono grandi nazioni. Tuttavia, queste grandi nazioni hanno ciascuna migliaia di armi nucleari che potrebbero uccidere centinaia di milioni di persone».

 

 

 

 

Geopolitica

Netanyahu intensifica la guerra a Gaza mentre la Casa Bianca chiede il cessate il fuoco

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Nelle scorse le forze israeliane hanno intensificato il loro attacco su Gaza, causando la morte di almeno 80 palestinesi. Almeno 50 sono morti in un attacco contro un ospedale nel nord di Gaza, tra cui 22 bambini.

 

Mentre il premier israeliano Benjamin Netanyahu lavora per intensificare la sua guerra, il Presidente Donald Trump e il suo staff cercano di porre fine al conflitto.

 

«Continuiamo a lavorare per porre fine a questa guerra il più rapidamente possibile. È una cosa orribile quella che sta accadendo», ha detto Trump martedì.

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Secondo il Times of Israel, Trump «sembra di nuovo rompere con Israele, che ha respinto le richieste di porre fine alla guerra, sostenendo che ciò lascerebbe Hamas al potere».

 

Trump ha recentemente raggiunto un accordo con Hamas per il rilascio degli ostaggi israeliani, sperando che ciò portasse a un cessate il fuoco. Tuttavia ciò sembra aver portato solo a ulteriori uccisioni.

 

Ll’attacco è avvenuto appena un giorno dopo che l’amministrazione Trump, aggirando Israele, aveva raggiunto un accordo con Hamas – da tempo definita un’organizzazione terroristica da Israele e dagli Stati Uniti – per garantire il rilascio dell’ultimo ostaggio americano ancora in vita, trattenuto a Gaza, Edan Alexander.

 

La liberazione dell’Alexander costituiva un gesto che alcuni pensavano potesse gettare le basi per un cessate il fuoco, ma Netanyahu ha chiarito che non fermerà la guerra di Israele a Gaza, anche se Hamas rilasciasse i suoi ostaggi, finché i suoi obiettivi dichiarati non saranno raggiunti, offuscando le speranze di una tregua.

 

 

«Nei prossimi giorni, entreremo con tutte le nostre forze per completare l’operazione. Completare l’operazione significa sconfiggere Hamas. Significa distruggere Hamas», ha detto Netanyahu. «Non ci sarà alcuna situazione in cui fermeremo la guerra. Un cessate il fuoco temporaneo potrebbe verificarsi, ma andremo fino in fondo».

 

Nel frattempo, Trump è volato in Arabia Saudita dove ha incontrato una quantità di leader dei Paesi arabi.

 

L’inviato speciale in Medio Oriente di Trump Steve Witkoff ha dichiarato alla stampa che i stanno facendo progressi «su tutti i fronti».

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Immagine di Jaber Jehad Badwan via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

 

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Continuano gli scontri a Tripoli

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Scontri armati sono scoppiati durante la notte nella capitale libica, Tripoli, meno di 24 ore dopo che il Governo di unità nazionale (GNU) del paese nordafricano, riconosciuto a livello internazionale, ha dichiarato di aver completato le operazioni militari e ripristinato la stabilità nella città.   I combattimenti sono ripresi nella tarda serata di martedì e, secondo quanto riferito, sono proseguiti fino a mercoledì, con spari ed esplosioni udite in diversi quartieri. Testimoni oculari citati dai media locali hanno riferito che le milizie sono state viste mobilitarsi lungo le principali arterie stradali, tra cui l’autostrada Al-Shat, la rotatoria di Fashloum e nei pressi dell’aeroporto di Mitiga, costretto a sospendere le operazioni.   La Libia resta divisa tra fazioni rivali e ha assistito a ripetute esplosioni di violenza dopo la rivolta del 2011, sostenuta dalla NATO, che ha rovesciato Muammar Gheddafi.   Le ultime tensioni sono seguite all’assassinio di Abdulghani al-Kikli, noto come Ghaniwa, capo dell’Apparato di Supporto alla Stabilità (SSA), affiliato al governo.   Secondo quanto riferito, è stato colpito a morte nel sud di Tripoli lunedì. Si dice che fazioni armate alleate con il Primo Ministro Abdulhamid al-Dbeibah abbiano rapidamente invaso le posizioni dell’SSA ad Abu Salim e in altri distretti in seguito all’incidente.      

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Martedì, il ministero della Difesa ha annunciato di aver ripreso il pieno controllo delle aree prese di mira. Ore dopo, tuttavia, sono ripresi gli scontri tra unità filogovernative e forze affiliate al gruppo miliziano Special Deterrence Force (Rada), secondo quanto riportato dal quotidiano locale Libya Herald.   Il ministero della Difesa ha rilasciato una dichiarazione mercoledì, annunciando un «cessate il fuoco in tutti gli assi di tensione all’interno della capitale» volto a «proteggere i civili, preservare le istituzioni statali ed evitare un’ulteriore escalation», affermando che unità neutrali sono state dispiegate per calmare i focolai.   La missione di supporto delle Nazioni Unite in Libia (UNSMIL) aveva in precedenza condannato «l’accelerata escalation della violenza a Tripoli» e le mobilitazioni di truppe segnalate in altre parti del Paese, avvertendo che la situazione «potrebbe rapidamente sfuggire al controllo».   La missione ha espresso «profonda preoccupazione» per le segnalazioni di vittime civili e ha ribadito la sua richiesta di «un cessate il fuoco immediato e incondizionato in tutte le regioni», sollecitando l’apertura di corridoi sicuri per evacuare i civili bloccati nelle aree ad alto conflitto.  

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Geopolitica

Trump sta facendo concessioni all’Iran

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha fatto marcia indietro sul presunto piano di rinominare il Golfo Persico. Lo riporta la CNN, citando una fonte vicina alla questione. La mossa è stata descritta come una concessione all’Iran nel contesto dei colloqui nucleari in corso tra i due Paesi.

 

All’inizio di questo mese, l’Associated Press ha riferito che Trump aveva intenzione di riferirsi alla via d’acqua al largo della costa meridionale dell’Iran come «Golfo Arabico» durante il suo viaggio in Medio Oriente dal 13 al 16 maggio. Tuttavia, Trump ha poi dichiarato ai giornalisti che avrebbe «dovuto prendere una decisione», aggiungendo di non voler «ferire i sentimenti di nessuno».

 

Secondo la fonte, il presidente degli Stati Uniti ha fatto marcia indietro nei giorni scorsi, poiché Teheran ha espresso una forte opposizione al cambio di nome nel corso dei colloqui.

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Washington e Teheran hanno tenuto diversi round di negoziati in Oman sul programma nucleare iraniano. I colloqui, descritti da entrambe le parti come costruttivi, sono stati offuscati dalle crescenti tensioni in Yemen, dove Stati Uniti e Regno Unito hanno intensificato gli attacchi contro i militanti Houthi presumibilmente sostenuti dall’Iran. L’annuncio di Trump di una pausa nei bombardamenti all’inizio di maggio mirava a dare slancio ai colloqui in corso, secondo quanto riferito da fonti alla CNN all’epoca.

 

Intervenendo mercoledì al vertice del Consiglio di cooperazione del Golfo a Riyadh, in Arabia Saudita, Trump ha affermato di voler «fare un accordo» con l’Iran.

 

Trump ha ritirato gli Stati Uniti dall’accordo nucleare del 2015, sostenuto dalle Nazioni Unite, durante il suo primo mandato, accusando l’Iran di violarlo – un’accusa che Teheran nega. La Repubblica Islamica ha iniziato a ridimensionare i suoi impegni dopo l’attacco con drone statunitense del 2020 che ha ucciso il generale iraniano Qasem Soleimani.

 

Regno Unito, Germania e Francia hanno esortato l’Iran ad abbandonare il suo programma nucleare nei prossimi mesi, altrimenti dovrà affrontare nuove sanzioni, ha dichiarato a febbraio l’ambasciatore del Regno Unito in Israele, Simon Walters.

 

L’Iran è stato anche accusato di aver aumentato la produzione di uranio di qualità quasi militare, cosa che l’Iran nega.

 

La denominazione del golfo è da tempo motivo di contesa tra l’Iran e gli stati arabi. Teheran insiste a chiamarlo Golfo Persico, citando prove storiche e antiche mappe che collegano l’area al suo territorio. Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Iraq e altri, tuttavia, lo chiamano Golfo Persico o semplicemente «il Golfo».

 

Il ministro degli Esteri iraniano Seyed Abbas Araghchi ha definito le proposte di modifica del nome «indicative di intenti ostili nei confronti dell’Iran e del suo popolo».

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Trump ha già utilizzato il cambio di nome simbolico in politica estera. A gennaio, ha firmato un ordine esecutivo per rinominare il Golfo del Messico «Golfo d’America». La decisione ha comportato l’esclusione dalla Casa Bianca di testate che rifiutavano di adottare la nuova nomea.

 

Da una parte, Trump sembra voler cambiare il mondo con le parole; dall’altra mette sul piatto vere annessioni (la Groenlandia, financo l’intero Canada) nel discorso dello spazio geopolitico planetario.

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 Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr

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