Internet
Il Cremlino dice che i media occidentali si trovano sotto «censura militare»

Gli Stati Uniti e i loro alleati hanno mobilitato i loro media per una guerra con la Russia e operano sotto una censura militare de facto, ha affermato mercoledì il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov.
In Occidente «ci sono molti media seri, molti giornalisti di talento, intelligenti, professionali, ma ora, da quando hanno scatenato questa guerra contro di noi, vivono assolutamente in uno stato di censura militare», ha dichiarato Peskov.
Il portavoce del presidente Vladimir Putin ha preso parte a una tavola rotonda chiamata «Elementi di ingegneria sociale» in un forum giovanile a Solnechnogorsk, a circa 45 chilometri a nord-ovest di Mosca.
Secondo Peskov, le testate occidentali «ricevono istruzioni e manuali dai loro servizi speciali, ottengono scoop – che sono per lo più, molto spesso, falsità preparate appositamente e professionalmente – e lo fanno 24 ore su 24».
I media più influenti al mondo sono «purtroppo i media anglosassoni, americani e britannici», ha detto il portavoce. La Russia ha deciso di competere con loro «con molta cautela, ma con successo», ha aggiunto.
Peskov aveva accennato qualcosa di simile a maggio, raccontando a una stazione televisiva serbo-bosniaca che l’Occidente «è diventato immediatamente isterico» e ha distrutto il suo impegno ufficiale per la libertà di parola quando la Russia ha cercato di competere con il suo monopolio dei media.
“Hanno strappato subito tutte le maschere e hanno mostrato che laggiù non c’è libertà di stampa», aveva detto all’ATV all’epoca. «Nel momento in cui alcune testate sono diventate “scomode” per loro, nel momento in cui hanno iniziato a presentare punti di vista diversi dal loro mainstream, sono stati banditi».
Peskov ha inoltre osservato che il Cremlino ha rifiutato di rilasciare interviste a qualsiasi media occidentale dall’inizio del 2022, considerandolo inutile fino a quando quei tali testate non inizieranno a mostrare «almeno un certo interesse per la verità».
L’UE e il Canada hanno bandito definitivamente tutti i rami delle testate russe RT e Sputnik bollandole come «propaganda del Cremlino» poco dopo l’escalation del conflitto in Ucraina.
Come riportato da Renovatio 21, il giro di vita contro i media russi in Europa era iniziato settimane prima della guerra, quando il 2 febbraio 2022 l’Autorità Regolatrice dei Media tedesca (Kommission für Lizensierung und Aufsicht) aveva vietato la diffusione in Germania della rete televisiva pubblica Russia Today, sia satellitare sia su internet.
Di lì a poco il sito di RT e quello di Sputnik sarebbero divenuti irraggiungibili anche dall’Italia – un atto che fa pensare ad una vera e propria censura di guerra, quando cioè diventa imperativo far sì che la popolazioni non ascolti la voce del nemico.
Al World Economic Forum dello scorso anno a Davos, l’allora CEO di YouTube Susan Wojcicki ha sostenuto che, poiché «l’informazione può essere utilizzata come arm», la sua azienda ha deciso di estendere il divieto dell’UE su RT e Sputnik a livello globale, pur continuando a operare in Russia in modo che i russi possano ottenere dall’Occidente «notizie indipendenti».
YouTube, ricordiamo, è la piattaforma che ha cancellato dal canale di Renovatio 21, con relativo «strike» di punizione, un’omelia pasquale di un arcivescovo della chiesa cattolica.
La mancanza di libertà di parola nei social media occidentale è stata stigmatizzata persino dai talebani, che tuttavia hanno recentemente elogiato l’assenzadi censura nel nuovo Twitter di Elon Musk.
La censura è divenuta in realtà un argomento mainstream, al punto che, nel mondo invertito che ci tocca di vivere, si fanno appelli a favore di essa: è il caso dei 250 divi di Hollywood che hanno chiesto di censurare chiunque osi criticare la chirurgia transessuale per i bambini.
Civiltà
Charlie Kirk e la barbarie social

Charlie Kirk è stato brutalmente ammazzato durante uno dei suoi comizi in un campus universitario. Le immagini del momento in cui il proiettile gli ha perforato la gola hanno fatto il giro del mondo e sono raccapriccianti.
Questo assassinio porterà con sé implicazioni politiche enormi e imprevedibili. Kirk è uno dei principali artefici della vittoria elettorale di Trump, era in grado di spostare valanghe di voti perché in qualche suo modo calamitava e trascinava i più giovani, era un fenomeno generazionale imponente. Tant’è che la notizia dell’attentato ha colpito in primo luogo i ragazzi: i boomer delle colonie non lo conoscevano nemmeno, era fuori dal loro radar e lambiva solo tangenzialmente le loro stupide bolle algoritmiche.
Al di là di tutte le analisi che ora si ricameranno sul fatto, qui si vuole soltanto mettere in luce una cosa. Preme segnalare il punto di non ritorno a cui è giunta la fu-civiltà occidentale, intesa non nel senso dei Grandi Cattivi accomodati nella cabina di regia a godersi lo spettacolo di cui essi stessi muovono i fili, ma nel senso del resto del mondo: della moltitudine di comparse che quello spettacolo inscenano ogni giorno, per lo più inconsapevoli, obbedienti, passivi, acefali, rimbambiti.
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Tra loro, svettano sì gli scribacchini servi, coi loro inestirpabili automatismi verbali, che si precipitano a descrivere la vittima come putiniano, negazionista climatico, sostenitore della disinformazione sul COVID. Giusto per far intendere al lettore diffuso, già indottrinato a puntino, che quella fatta fuori, in fondo, non era una gran bella persona e dunque pazienza.
E il bravo cittadino progressista, russofobo, superinoculato, raccoglitore differenziato e guidatore di auto elettriche, recepisce la notizia e la archivia senza soverchi traumi.
Ma svettano ancor più quelli che si sentono in dovere di esprimere sui social la propria esultanza, protetti dallo scudo dell’anonimato di qualche nickname improbabile. Sono parecchi gli ellegibittì a fare festa, anche perché guarda caso la pallottola è andata a segno proprio quando Kirk aveva appena finito di rispondere a una domanda sugli stragisti trans.
Subito dietro, i pro-pal pavloviani, che saltellano felici per la morte violenta di un filoisraeliano. Ce ne sono tanti, tantissimi, a commentare in modo indicibile. Da quello che «uno sporco sionista in meno, avanti così«; a quell’altro che si guarderebbe «all’infinito in loop il video dell’attentato». Fino alla maestrina finto-moderata che spiega come Kirk ritenesse che i bambini palestinesi sono massacrati da Hamas e che Israele ha il diritto di difendersi. E dunque – ipertesto – tutto sommato questa morte ci sta, a parziale compensazione della strage della Striscia.
Ecco emergere dall’etere il sottoprodotto deteriore della polarizzazione ideologica indotta. Scatta in automatico la furia disumana e codarda dei tastieranti compulsivi, parassiti attempati con voluttà di orrore praticato per interposta persona. Schiumano rabbia e se ne vantano, sghignazzano e gioiscono alla vista di un giovane uomo che muore. Nessuna differenza dai soldati israeliani che riprendono le torture ai palestinesi e gli spari alla folla, e ridono roboticamente dei propri misfatti.
Tutto questo fa veramente orrore. Vedere i pochi secondi in cui da un ragazzo, padre di famiglia, fluisce via la vita, senza scampo, in un fiotto inarrestabile di sangue, evoca alla mente la morte di Ettore, colpito alla gola, «mortalissima parte», dalla lancia di Achille.
Ma lì c’era il combattimento, il corpo a corpo della battaglia finale tra uomo e uomo narrata dal bardo antico e tramandata ai posteri con la forza didascalica dell’epos: qui, nella confusione ormai piena tra il virtuale e il reale, il vile attacco a una persona inerme schizza in mondovisione come un qualsiasi trailer hollywoodiano.
E, barbarie nella barbarie, quell’atto infame scatena l’esaltazione isterica dei belluini sedentari, pronti ad applaudire la soppressione di un proprio simile che non la pensa come loro. Homo homini lupus, i barbari del terzo millennio vogliono così, sostenuti dalla potenza di fuoco dell’intermediario informatico che sa moltiplicare all’infinito e senza rete l’ebbrezza della ferocia più abietta e sanguinaria.
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La sparata assassina non la fai più al bar, dove qualcuno ti vede in faccia, la butti in pasto al popolo smanettatore e perdigiorno, e ti godi l’approvazione dei compagni d’asilo e del suo gestore, che ti premia perché la violenza tira.
Sarebbero dunque questi, i saggissimi antisistema? Quelli che dovrebbero insegnare alle nuove generazioni a pensare con la propria testa e a vivere da persone libere?
Sono relitti senza pietas, senza onore, senza dignità. Liquidatori delle ultime vestigia di una civiltà.
L’assassinio di Charlie Kirk sta aprendo un altro abisso di male, e di vergogna. Forse era proprio quello l’intento di chi lo ha voluto.
Elisabetta Frezza
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Immagine di Gage Skidmore via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic
Cina
La Cina presenta il primo chip 6G al mondo

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Internet
Metriche pubblicitarie di e-commerce artificialmente gonfiate, afferma un ex dipendente Meta

Meta, la società madre di Facebook e Instagram, è stata accusata di aver gonfiato artificialmente le metriche delle prestazioni del suo prodotto pubblicitario per l’e-commerce, Shops Ads , secondo una denuncia presentata mercoledì da un informatore presso un tribunale del lavoro in Gran Bretagna. Lo riporta il sito ADWEEK.
La denuncia, presentata da Samujjal Purkayastha, ex product manager del team pubblicitario di Meta Shops, sostiene che l’azienda ha tratto in inganno gli inserzionisti sovrastimando il ritorno sulla spesa pubblicitaria (ROAS), facendo apparire la sua nuova offerta pubblicitaria più efficace rispetto ai prodotti della concorrenza, riporta ADWEEK.
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Secondo quanto depositato presso il London Central Employment Tribunal, Meta avrebbe incrementato i numeri delle performance degli annunci Shops: conteggio delle spese di spedizione e delle tasse come parte del fatturato totale; sovvenzionare le offerte nelle aste pubblicitarie per garantire un posizionamento più prominente; applicare sconti non dichiarati per dare l’impressione di risultati più forti; revisioni interne condotte all’inizio del 2024 hanno rivelato che il ROAS degli annunci di Shops era stato gonfiato tra il 17% e il 19%, secondo la denuncia.
Gli altri prodotti pubblicitari di Meta, così come quelli di concorrenti come Google, calcolano il ROAS utilizzando dati netti, escluse spese di spedizione e tasse. Senza le commissioni aggiuntive, sostiene la denuncia, gli annunci di Shops non hanno ottenuto risultati migliori rispetto ai prodotti pubblicitari tradizionali di Meta.
«Questo è stato significativo», si legge nel reclamo. «Oltre al fatto che la metrica di performance del ROAS era sovrastimata di quasi un quinto, significava che, anziché aver superato il nostro obiettivo primario, il team di Shops Ads lo aveva di fatto mancato una volta che il dato era stato ridotto per tenere conto dell’inflazione artificiale».
Il documento collega queste presunte pratiche a un più ampio sforzo interno a Meta per riprendersi dagli effetti della funzionalità App Tracking Transparency (ATT) di Apple, lanciata nel 2021.
La politica di Apple limitava l’accesso ai dati degli utenti iOS, un pilastro dell’attività pubblicitaria di Meta. L’ex CFO di Meta, David Wehner, ha avvertito durante una conference call sui risultati finanziari del 2021 che la modifica potrebbe costare all’azienda «nell’ordine dei 10 miliardi di dollari».
Incoraggiando gli inserzionisti a utilizzare gli annunci Shops, che mantengono le transazioni all’interno delle app di Meta, l’azienda potrebbe raccogliere più dati di acquisto proprietari e ridurre la sua dipendenza dalle autorizzazioni di tracciamento di Apple.
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Secondo il Purkayastha, Meta ha iniziato a sovvenzionare gli annunci di Shops nelle aste, a volte fino al 100%, garantendone la visualizzazione più frequente rispetto ad altri formati pubblicitari. Ciò ha aumentato la visibilità, incrementato artificialmente le conversioni e fatto apparire gli annunci di Shops come un investimento più solido.
Purkayastha è entrato a far parte di Meta nel 2020 come parte del team di ricerca applicata sull’intelligenza artificiale di Facebook, prima di essere riassegnato al team Shops Ads nel marzo 2022. È rimasto in azienda fino al 19 febbraio 2025.
Nella denuncia si afferma che Purkayastha ha ripetutamente sollevato preoccupazioni durante gli incontri con i dirigenti tra il 2022 e il 2024, mettendo in dubbio l’accuratezza dei risultati riportati dagli annunci di Shops. Afferma che l’azienda ha continuato a utilizzare la metodologia contestata nonostante le obiezioni interne.
Il reclamo sottolinea anche che gli strumenti di tracciamento di Meta fanno parte della sua strategia per mantenere le prestazioni pubblicitarie dopo le modifiche alla privacy di Apple.
Aggregated Event Measurement (AEM1), introdotto nell’aprile 2021, ha utilizzato l’apprendimento automatico per stimare le conversioni, rispettando al contempo gli utenti che avevano scelto di non essere monitorati.
AEM2, lanciato poco dopo, avrebbe collegato l’attività in-app alla navigazione e agli acquisti su siti di terze parti utilizzando identificatori personali come nomi, e-mail, numeri di telefono e indirizzi IP.
«Nella denuncia, Purkayastha ha affermato di credere che AEM2 abbia aggirato le restrizioni imposte dal framework sulla privacy di Apple, sebbene abbia mitigato gran parte della perdita di dati derivante dalle modifiche alla privacy» scrive ADWEEK.
Secondo la denuncia, il Purkayastha è stato licenziato da Meta nel febbraio 2025. La sua denuncia al tribunale del lavoro fa parte di una richiesta di provvedimento provvisorio, che chiede il ripristino della sua precedente posizione.
«Sebbene le conseguenze legali siano ancora da definire, queste rivelazioni mettono nuovamente in discussione l’affidabilità dei dati forniti da Meta ai suoi inserzionisti» commente Hdblog.
Non sono le prime accuse rivolte a Meta-Facebook da ex dipendenti.
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Quattro anni il Wall Street Journal cominciò a pubblicare sconvolgenti rivelazioni sulla piattaforma social. In sintesi, scriveva il WSJ «Facebook Inc. sa, nei minimi dettagli, che le sue piattaforme sono piene di difetti che causano danni, spesso in modi che solo l’azienda comprende appieno. Questa è la conclusione centrale (…), basata su una revisione dei documenti interni di Facebook, inclusi rapporti di ricerca, discussioni online dei dipendenti e bozze di presentazioni per il senior management».
Secondo il reportage, Facebook esentava gli utenti di alto profilo da alcune regole, ignorava una ricerca su Instagram (social del gruppo Meta) che mostrava i rischi per la salute mentale degli adolescenti, sapeva che il suo algoritmo premia l’indignazione, era stato lento nell’impedire ai cartelli della droga e ai trafficanti di esseri umani di utilizzare la sua piattaforma.
Due anni fa il WSJ tornò con un reportage in cui affermava che «Meta sta lottando per allontanare pedofili da Facebook e Instagram».
Nel 2023 un ex data-scientist di Facebook, in contenzioso legale con l’azienda, aveva sostenuto che Facebook può scaricare segretamente la batteria dello smartphono degli utenti.
Tre anni fa un ex dipendente aveva detto che il CEO Marco Zuckerberg aveva brandito una katana, cioè una spada samurai, perché irato con dei programmatori.
Come riportato da Renovatio 21, lo Zuckerbergo un mese fa ha dichiarato che Facebook non è più incentrato sulla connessione con gli amici.
Secondo alcuni il prossimo aggiornamento di Instagram eroderà ulteriormente la privacy degli utenti.
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Immagine di Yuri Samoilov via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
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