Epidemie
HIV, ciò che nessuno vuol dirvi: intervista al Dr. Paolo Gulisano
Il 1º dicembre scorso si è celebrata la giornata mondiale contro l’AIDS, indetta ogni anno per sensibilizzare la popolazione alla gravità della trasmissione del virus HIV.
Tanti sono stati gli avvenimenti che, non in modo causale, hanno accompagnato questo evento. È di pochi giorni prima la notizia dello scienziato genetista cinese che ha annunciato, attraverso il suo canale YouTube, la nascita di due sorelle gemelle geneticamente modificate con una tecnica di «taglia e cuci” genetico (il CRISPR-CAS9) attraverso il quale Jiankui He ha «silenziato» il gene che controlla il recettore chiamato CCR5. Il CCR5 si trova sulla superficie delle cellule immunitarie, i linfociti T, porta di ingresso per la quale entra il virus HIV.
A questo esperimento diabolico, fatto a danno di numerosi embrioni per creare i vaccini umanizzati – o potremmo dire uomini geneticamente e artificialmente vaccinati – si è aggiunto l’annuncio di nuovi finanziamenti mondiali per avanzare la ricerca al fine di inventare i vaccini contro il virus HIV, da iniettare già in età pediatrica. Basti pensare che in Italia i fondi sono stati stanziati all’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù di Roma: l’ospedale della Santa Sede.
Un esperimento diabolico, fatto a danno di numerosi embrioni per creare i vaccini umanizzati – o potremmo dire uomini geneticamente e artificialmente vaccinati
Mutazioni genetiche, vaccini: queste le grandi prospettiva della scienza ufficiale per contrastare l’AIDS. L’altra grande sfida lanciata, di anno in anno, dalla «medicina della prevenzione», è quella del sesso protetto. Tante, dicono, sarebbero le trasmissioni del virus attraverso l’atto sessuale cosiddetto «non protetto».
Se il sesso protetto dovrebbe essere la soluzione, dicono, nessuno parla però di un fenomeno largamente diffuso: il bugchasing, un fenomeno che riguarda persone che cercano consapevolmente e volontariamente di contrarre il virus dell’HIV. Il metodo viene utilizzato principalmente dalla comunità gay, è nato negli Stati Uniti e oramai è diffuso in tutto il mondo, compresa, largamente, l’Italia.
Il bugchasing, un fenomeno che riguarda persone che cercano consapevolmente e volontariamente di contrarre il virus dell’HIV
Il bugchasing è composto da due parti complementari: da una parte c’è il bug-chaser, cioè colui che «cerca il parassita», cioè che vuole materialmente contrarre il virus; dall’altra abbiamo il cosiddetto «donatore», il gift-giver, cioè colui che, già consapevole della sieropositività, è disposto ad aver rapporti sessuali non protetti per trasmettere attivamente il virus.
È un fenomeno su cui non esistono dati certi, precisi, giacché chi lo pratica non è solitamente disposto a renderlo pubblico seppur esistano siti in cui si creano gli appuntamenti per lo «scambio».
Vi sono poi gli untori, ovvero quelle persone affette da AIDS che non comunicano la loro sieropositività al proprio partner, continuando ad avere rapporti sessuali non protetti. Un caso eclatante, a questo proposito, è quello di Claudio Pinti, arrestato quest’anno per l’accusa di lesioni aggravate alla ex compagna morta per complicanze causate dall’AIDS. Pinti, sieropositivo consapevole, ha avuto rapporti sessuali non protetti con 228 persone diverse, fra cui molti uomini e transessuali.
Il cosiddetto «donatore», il gift-giver, è colui che, già consapevole della sieropositività, è disposto ad aver rapporti sessuali non protetti per trasmettere attivamente il virus
Tutto tace anche sulla promiscuità sessuale connessa al fenomeno immigratorio, in aumento particolarmente in Itala. L’Africa – e a dirlo è il Ministero della Salute e ogni ente internazionale – è il continente più sieropositivo del mondo.
Di tutte queste cose di cui nessuno vuole raccontarvi, ne abbiamo parlato con il Dott. Paolo Gulisano, medico infettivologo ed epidemiologo.
Dr. Gulisano, anche quest’anno si sono spese tante parole durante la Giornata Mondiale contro l’AIDS, celebrata il 1º dicembre. Oltre alle chiacchiere, quali sono i veri dati epidemiologici, quantomeno in Italia, rispetto a questa malattia?
«Conosci il tuo stato» era lo slogan scelto per la Giornata mondiale di lotta all’Aids 2018. Uno slogan molto generico, che potrebbe andare bene per qualunque campagna di prevenzione, dal diabete ai Pap test. In questo caso invece si trattava di un invito a sottoporsi al test HIV, un esame che permette di individuare un’eventuale infezione e nel caso di positività intraprendere un percorso di cura. Poi naturalmente in occasione di tale giornata non mancano mai le iniziative più folkloristiche, come le distribuzioni pubbliche di preservativi o di materiale informativo.
Comunque è interessante rilevare che quest’anno l’attenzione sia stata rivolta non tanto alla prevenzione primaria (evitare il contagio) ma a quella detta secondaria, cioè la diagnosi precoce della malattia. Una scelta interessante. Ma i dati epidemiologici cosa ci dicono, relativamente all’AIDS? Ci dicono che in Italia, nel 2016, sono state riportate 3451 nuove diagnosi di infezione da HIV, pari a 5,7 nuovi casi per 100 mila residenti. Il numero delle nuove diagnosi è risultato in calo rispetto all’anno precedente (nel 2015 erano 3549), per tutte le modalità di trasmissione (rapporti eterosessuali; uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini – MSM, Men who have sex with men; utilizzatori di droghe per via endovenosa – IDU, Injecting drug users).
Lo riferisce la Relazione Aids 2017 (inviata al Parlamento il 12 settembre 2018) che illustra le attività svolte dal Ministero nell’ambito dell’informazione, della prevenzione, dell’assistenza e dell’attuazione di progetti relativi all’HIV/Aids; le attività realizzate in collaborazione con il Comitato tecnico sanitario (Sezione per la lotta contro l’Aids e Sezione del volontariato per la lotta contro l’Aids) e l’attività svolta dall’Istituto superiore di sanità (ISS), in particolare le iniziative in tema di sorveglianza dell’infezione da Hiv e dell’Aids.
In aumento anche la quota degli stranieri con una nuova diagnosi di HIV
Cosa ci dicono questi dati? Quello che emerge è che l’incidenza maggiore di casi si riscontra nella fascia di età 25-29 anni e che nel 2016 la maggior parte delle nuove diagnosi di HIV è stata tra gli MSM tra i maschi eterosessuali (dal 2010 la proporzione di diagnosi in questi gruppi è in costante crescita).
In aumento anche la quota degli stranieri con una nuova diagnosi di HIV. Importante sottolineare che oltre la metà (56%) delle nuove diagnosi avviene in fase clinica avanzata, quando il livello di immunodepressione è già serio. Spesso, infatti, la mancanza di sintomi negli anni che precedono la manifestazione dell’Aids non induce a fare il test per l’HIV, anche se ci si è esposti a rapporti sessuali occasionali non protetti.
Solo un quarto delle persone con nuova diagnosi ha effettuato il test in seguito a un comportamento a rischio: la maggior parte scopre di essere positivo all’HIV perché ha già dei sintomi che suggeriscono l’insorgenza della malattia o per un controllo fatto per motivi non legati a questa infezione. Questa è dunque la ragione che ha spinto a puntare sulla diagnosi precoce degli infetti più che sulla prevenzione primaria.
Nell’attuale fase storica i vaccini godono di una popolarità e di un sostegno che non hanno mai conosciuto in precedenza. Si sta inducendo nella popolazione una mentalità fortemente Pro Vax, un consenso quasi acritico nei confronti delle pratiche vaccinali. Un tale contesto sembrerebbe quindi assolutamente favorevole all’introduzione sul mercato di vaccini anti-HIV
Per non saper né leggere né scrivere, la novità dell’anno sono i fondi disposti in tre diversi continenti per la ricerca di un vaccino che vorrebbe sconfiggere l’AIDS. Cosa ne pensa?
Nell’attuale fase storica i vaccini godono di una popolarità e di un sostegno che non hanno mai conosciuto in precedenza. Si sta inducendo nella popolazione una mentalità fortemente pro-Vax, un consenso quasi acritico nei confronti delle pratiche vaccinali. Un tale contesto sembrerebbe quindi assolutamente favorevole all’introduzione sul mercato di vaccini anti-HIV.
Questo spiega le ampie sovvenzioni concesse, magari anche a scapito di altri campi di ricerca. Tuttavia, oltre a quelle che possono essere tutte le perplessità rispetto a tali vaccini, alla loro reale efficacia, ai possibili effetti collaterali e reazioni avverse, temo che la richiesta del vaccino anti HIV – del quale peraltro si parla da più di 30 anni senza che si sia arrivati a produrlo – risponda ad una esigenza culturale preoccupante.
Se un individuo infatti fosse vaccinato – magari già da bambino – potrebbe ritenere di essere protetto, sicuro, e questo potrebbe spingere ad una vita sessuale sregolata, disordinata, mettendo a rischio la persona anche per altre malattie sessualmente trasmesse, di cui si parla meno, ma che sono in aumento e rappresentano un rischio per la salute. Un esempio per tutte le Epatiti di tipo A, per le quali le organizzazioni sanitarie hanno lanciato un allarme recentemente a seguito delle epidemie che si verificano ad esempio dopo ogni Gay Pride.
Solitamente, dietro a questi grandi finanziamenti, ci stanno sempre i soliti: Microsoft, Apple, e via discorrendo. Interesse per la salute o interessi personali?
Se un individuo infatti fosse vaccinato – magari già da bambino – potrebbe ritenere di essere protetto, sicuro, e questo potrebbe spingere ad una vita sessuale sregolata, disordinata, mettendo a rischio la persona anche per altre malattie sessualmente trasmesse, di cui si parla meno, ma che sono in aumento e rappresentano un rischio per la salute.
L’Organizzazione Mondiale della Salute per anni ha sostenuto che la lotta all’AIDS la si fa con l’ABC, ovvero le iniziali di Abstinence, Be Faithful, Condom. È chiaro che con i primi due metodi, l’astinenza e la fedeltà coniugale, non ci si guadagna niente, in termini economici, anche se molto in termini di salute, visto che hanno una sicurezza del 100%. Con i preservativi il business è già da tempo ben avviato, evidentemente ora tocca a qualcun altro fare profitto.
Non crede tuttavia che la ricerca di un vaccino per sconfiggere il virus HIV che causa l’AIDS cozzi con il fatto che, la promiscuità sessuale, sia una delle maggiori cause di infezione?
Come dicevo in precedenza, l’illusione di una protezione potrebbe spingere ad una promiscuità sessuale e a comportamenti a rischio ancora maggiore di quella attuale. Un vero boomerang. Promuovere una cultura dell’affettività responsabile è il metodo preventivo più sicuro ed efficace, ma non lo si vuole nemmeno prendere in considerazione.
Così si spinge per il vaccino, anche perché è sempre più evidente il fatto che i preservativi non vengono utilizzati, e non certo perché la Chiesa Cattolica li condanna (o dovremmo dire li condannava un tempo), ma perché fa parte di uno stile «disinvolto» di sessualità pericolosa. Nel 2017 la maggioranza delle nuove diagnosi di infezione da HIV è attribuibile a rapporti sessuali non protetti, che costituiscono l’84,3% di tutte le segnalazioni (eterosessuali 45,8%; MSM, Men who have sex with men 38,5%).
Per le Epatiti di tipo A le organizzazioni sanitarie hanno lanciato un allarme recentemente a seguito delle epidemie che si verificano ad esempio dopo ogni Gay Pride
Soffermiamoci un momento su questo tema del sesso libero e cosiddetto «non protetto». L’Africa ha una percentuale altissima di persone sieropositive. L’immigrazione di massa, specie in Italia, non alza il rischio di infezione da HIV? Per quale motivo?
Diciamo subito che in base ai dati epidemiologici in nostro possesso, risulta che in Italia il 34,3% delle persone diagnosticate come Hiv positive è di nazionalità straniera. Considerato che gli stranieri rappresentano circa il 10% della popolazione italiana, questo dato vuole dire che la diffusione dell’HIV tra gli stranieri è oltre il triplo che negli italiani.
Un dato che fa pensare. Molti immigrati provengono da Paesi dove la diffusione dell’HIV, così come quella della TBC, è molto più alta che in Europa. Basta far parlare i dati. Il numero dei decessi correlati all’AIDS nel 2016 per grandi aree è il seguente: Africa Sud-Orientale: 420 mila; Africa Centro-Orientale: 310 mila; Nord Africa e Medio Oriente: 11 mila; America Latina: 36 mila, più il dato dei soli Caraibi che è di 9400. Europa dell’Est e Asia centrale: 40 mila; Europa Occidentale e Nord America: 18 mila; Asia e Pacifico: 170 mila. Ora, la lettura di questi numeri ci fornisce delle evidenze molto chiare.
Risulta che in Italia il 34,3% delle persone diagnosticate come HIV positive è di nazionalità straniera. Considerato che gli stranieri rappresentano circa il 10% della popolazione italiana, questo dato vuole dire che la diffusione dell’HIV tra gli stranieri è oltre il triplo che negli italiani
L’AIDS è una malattia ormai collegata ad un uso disordinato della sessualità. I casi di infezioni da trasfusioni o da uso di sostanze stupefacenti iniettive sono decisamente rari. È una malattia che nelle zone ricche del pianeta dove c’è accessibilità a farmaci costosi è affrontabile e dove la letalità è scesa molto nel corso degli anni. L’analisi geografica dei casi di morte ci dice che là dove ci sono i cosiddetti «paradisi sessuali» come nei Caraibi o in Oriente, il tasso di morbilità e mortalità è molto più alto.
C’è poi il dramma dell’Africa, che presenta numeri ancora impressionanti. È quindi chiaro quali siano i rischi di una immigrazione di massa, incontrollata anche dal punto di vista sanitario, e i rischi legati al fatto che un numero impressionante di immigrate africane viene gettato nel calderone infernale della prostituzione, che diventa veicolo di diffusione di malattie veneree.
Cosa ci dice del fenomeno del bugchasing? Dove è perché è così diffuso?
C’è il dramma dell’Africa, che presenta numeri ancora impressionanti. È quindi chiaro quali siano i rischi di una immigrazione di massa, incontrollata anche dal punto di vista sanitario, e i rischi legati al fatto che un numero impressionante di immigrate africane viene gettato nel calderone infernale della prostituzione, che diventa veicolo di diffusione di malattie veneree.
Il bugchasing è una pratica sessuale che non si deve avere paura a definire una grave forma di perversione. Si tratta di pratiche sessuali con sconosciuti, con soggetti HIV positivi, fatte senza l’uso di preservativi, nella massima promiscuità. I praticanti di questa sorta di sesso estremo, i cosiddetti bugchasers, dichiarano diverse motivazioni relative alla loro scelta: per alcuni il rischio relativo a contrarre il virus dell’HIV aumenterebbe il desiderio durante l’atto sessuale, anche se questi soggetti dichiarano di non avere necessariamente un vero e proprio desiderio di contrarre il virus.
Alcuni considerano l’essere infettati come qualcosa di estremamente erotico, l’ultimo limite da infrangere, l’ultimo estremo atto sessuale rimasto da compiere.
Cosa spinge secondo lei a questa folle ricerca del rischio?
In primo luogo la noia. L’ipersessualizzazione della società porta ad anticipare sempre più l’inizio dell’attività sessuale, a sperimentare ogni tipo di rapporto, e se non basta la realtà c’è anche il sesso virtuale, le cyber relazioni, la pornografia e così via. Una persona può arrivare a 30 anni in una situazione di saturazione delle emozioni erotiche.
Alcuni considerano l’essere infettati come qualcosa di estremamente erotico, l’ultimo limite da infrangere, l’ultimo estremo atto sessuale rimasto da compiere.
A quel punto si deve andare oltre. È come nelle dipendenze da sostanze: si comincia con le droghe leggere, e poi si finisce per non avere mai abbastanza dalle sostanze psicotrope di cui si diventa schiavi. Oltre a questo, mi sembra che questo tipo di comportamento manifesti un disagio di tipo psichico: una sorta di cupio dissolvi, una tendenza all’autodistruzione. Una specie di emozione estrema, come la roulette russa, che nasce da un disprezzo inconscio per la vita: me la gioco tirando un grilletto, o accoppiandomi al buio con un portatore di HIV. Tanto ne sono il padrone e la posso bruciare come voglio. È il culmine dell’ irresponsabilità.
Perché non esistono dati certi circa questo fenomeno, e perché si tratta di un tema così poco affrontato anche quando si parla di AIDS a livello mondiale?
Perché questo fenomeno smaschera molte falsità diffuse sull’AIDS nel corso degli anni, come quella che sarebbe bastato l’uso del preservativo, osteggiato dagli ambienti religiosi oscurantisti, a sconfiggere la malattia. E smaschera anche le conseguenze dell’edonismo folle della modernità liquida per cui ciò che conta è il divertimento e la ricerca del piacere ad ogni costo.
Smaschera, infine, la pretesa di essere i padroni assoluti della propria vita: basta infatti un piccolo virus cui si consente di agire indisturbato a distruggere una vita. Ogni nostra azione porta a delle conseguenze. È bene averlo sempre presente.
Cristiano Lugli
Epidemie
Solo 1 tedesco su 7 con test PCR positivo aveva l’infezione da COVID
Renovatio 21 traduce questo articolo per gentile concessione di Children’s Health Defense. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Gli autori di un nuovo studio sottoposto a revisione paritaria che ha identificato un tasso di falsi positivi dell’86% per i test PCR per il COVID-19 hanno affermato che i loro risultati suggeriscono un «significativo sovrastima» delle infezioni da COVID-19 durante la pandemia. Entro la fine del 2021, il 92% dei tedeschi aveva già contratto un’infezione naturale, indicando un’immunità pressoché universale nella popolazione.
Secondo un nuovo studio sottoposto a revisione paritaria, solo circa 1 test PCR positivo su 7 in Germania durante la pandemia di COVID-19 ha indicato un’effettiva infezione da coronavirus che ha innescato una risposta anticorpale.
Brian Hooker, Ph.D., direttore scientifico di Children’s Health Defense (CHD), ha definito «sbalorditivi» i risultati dello studio, che hanno evidenziato un tasso di falsi positivi dell’86%.
Lo studio ha inoltre rilevato che alla fine di dicembre 2020, quando sono stati distribuiti i vaccini contro il COVID-19 , circa il 25% dei tedeschi aveva già contratto l’infezione spontaneamente. Entro la fine del 2021, la percentuale è salita al 92%, indicando un’immunità pressoché universale nella popolazione.
Sostieni Renovatio 21
I test PCR hanno portato a un «significativo sovrastima» delle infezioni da COVID
Lo studio condotto da tre ricercatori tedeschi, pubblicato il mese scorso su Frontiers in Epidemiology, ha utilizzato due modelli matematici per analizzare quanto i risultati dei test PCR fossero allineati con i risultati degli esami del sangue per la ricerca degli anticorpi SARS-CoV-2.
I risultati si basano sui dati ottenuti da laboratori accreditati in Germania che hanno gestito circa il 90% dei test PCR nel Paese da marzo 2020 all’inizio del 2023 e che hanno anche eseguito test del sangue per la ricerca di anticorpi (IgG) fino a maggio 2021.
I ricercatori, Michael Günther, Ph.D., Robert Rockenfeller, Ph.D., e Harald Walach, Ph.D., hanno affermato che i loro modelli hanno allineato i dati dei test PCR che rilevano «piccole porzioni di materiale genetico virale nel naso o nella gola» e i test sugli anticorpi che mostrano se il sistema immunitario di una persona «ha risposto a un’infezione reale settimane o mesi prima».
Hanno detto al Defender:
«Quando abbiamo confrontato il numero di positivi alla PCR con i risultati successivi degli anticorpi, solo circa 1 persona su 7 positiva alla PCR ha mostrato il tipo di risposta immunitaria che indica una vera infezione. Con ipotesi conservative, la percentuale potrebbe essere più vicina a 1 su 10».
La loro analisi ha anche mostrato che entro la fine del 2021, «quasi tutti» in Germania erano stati «contagiati, vaccinati o entrambi».
Secondo il modello matematico dello studio, il dato di 1 su 7 relativo al test PCR è «quasi perfettamente» in linea con un tasso di immunità dell’intera popolazione a fine anno del 92%.
I ricercatori hanno spiegato che i test sugli anticorpi «ci dicono che una persona è stata infettata in un momento qualsiasi dell’ultimo anno circa», mentre un risultato positivo al test PCR può indicare un’infezione, o «una breve esposizione senza infezione, frammenti virali residui o un rilevamento a livelli molto bassi che non portano mai alla malattia».
Hanno affermato che il loro studio ha dimostrato che solo circa il 14% dei test PCR positivi corrispondeva a infezioni reali che avevano attivato gli anticorpi IgG, il che suggerisce che i test PCR hanno portato a un «significativo sovrastima» delle infezioni.
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
I test PCR di massa «aumentano la quota relativa di falsi positivi»
I critici delle politiche ufficiali sul COVID-19 hanno spesso citato la dipendenza dai test PCR e le incongruenze nelle soglie virali utilizzate per generare un risultato «positivo» del test.
Karl Jablonowski, Ph.D., ricercatore senior presso il CHD, ha affermato che i test PCR sono uno strumento inaffidabile per rilevare e tracciare le epidemie di malattie infettive. Ha citato un incidente del 2006 al Dartmouth-Hitchcock Medical Center, dove una presunta epidemia di pertosse ha portato a 134 risultati positivi ai test.
«Sono state distribuite oltre 1.300 prescrizioni di antibiotici e 4.500 persone sono state vaccinate profilatticamente», nonostante non ci fossero «casi confermati in laboratorio». L’ uso improprio dei test PCR ha portato le autorità sanitarie a dichiarare falsamente un’epidemia, ha affermato.
Un test PCR «non è un test diagnostico per una popolazione», ha affermato Jablonowski. «È meglio usarlo come test di conferma, essenzialmente per rispondere alla domanda “Quale virus ti ha infettato?” e non “Sei infetto?”».
I ricercatori tedeschi hanno affermato che i loro risultati non indicano che la tecnologia PCR sia «imperfetta come metodo di laboratorio». Tuttavia, lo studio dimostra che il modo in cui i test PCR sono stati utilizzati per i test di massa durante la pandemia «non ha indicato in modo affidabile quante persone siano state effettivamente infettate».
Hanno affermato che i test PCR rilevano in modo affidabile frammenti di DNA virale, anche in «quantità estremamente piccole» che «non rappresentano alcun rischio di infezione», ma non sono in grado di stabilire se il virus si sta replicando nell’organismo.
I risultati positivi non dovrebbero essere utilizzati «come indicatori di infezione», perché i test PCR di massa «aumentano la quota relativa di falsi positivi», hanno concluso i ricercatori.
Aiuta Renovatio 21
I test PCR di massa hanno causato «danni sociali, economici e personali non necessari»
L’affidamento dei governi ai risultati dei test PCR per monitorare i livelli di infezione da COVID-19 ha portato a restrizioni legate alla pandemia che hanno contribuito a «danni sociali, economici e personali non necessari», hanno affermato i ricercatori.
I governi hanno utilizzato i risultati dei test PCR per giustificare rigide restrizioni, nonostante le agenzie sanitarie pubbliche avessero accesso a dati di test sugli anticorpi di qualità superiore.
«Erano disponibili informazioni migliori di quelle comunicate pubblicamente», hanno affermato i ricercatori. Ciò ha sollevato «seri interrogativi sulla trasparenza e sul fatto che le politiche fossero basate sui dati più informativi disponibili».
Jablonowski ha affermato che nei primi giorni della pandemia, i test PCR hanno probabilmente fornito un quadro più accurato della diffusione dell’infezione, poiché i kit per i test erano scarsi e venivano quindi utilizzati su coloro che avevano maggiori probabilità di essere infettati.
Ma man mano che i test diventavano più facilmente disponibili, «venivano utilizzati su persone asintomatiche e obbligatori per i ricoveri ospedalieri, i viaggi aerei, i datori di lavoro e molte altre attività ad accesso controllato», ha affermato Jablonowski.
Gli autori dello studio tedesco hanno affermato che un approccio più scientificamente valido avrebbe incluso dati più accurati sui test PCR che mostravano i risultati in proporzione al numero di test eseguiti, un monitoraggio di routine dei livelli di anticorpi nella popolazione e una «comunicazione trasparente… che indicasse chiaramente cosa la PCR può e non può misurare».
«Questo insieme di pratiche… dovrebbe guidare le future politiche di sanità pubblica», hanno affermato i ricercatori.
Documenti del governo tedesco trapelati lo scorso anno suggerivano che la risposta ufficiale del Paese alla pandemia di COVID-19 si basava su obiettivi politici e che le contromisure e le restrizioni raccomandate dalla Germania spesso contraddicevano le prove scientifiche.
Durante un’intervista del 2022 al podcast «RFK Jr. The Defender Podcast» di Robert F. Kennedy Jr., il matematico Norman Fenton, Ph.D., ha affermato che i funzionari governativi di tutto il mondo hanno manipolato i dati dei test PCR per esagerare l’entità della pandemia.
Jablonowski ha affermato che «l’isteria dei test PCR obbligatori ha preparato la mentalità della popolazione alle vaccinazioni obbligatorie che sarebbero arrivate. I test non avevano nulla a che fare con la salute della popolazione, ma solo con il controllo della popolazione».
I test PCR per il COVID-19 sono molto meno diffusi oggi rispetto al picco della pandemia. Tuttavia, i ricercatori hanno affermato che il loro studio «è importante oggi perché l’errore strutturale che rivela – trattare i positivi alla PCR come infezioni – non è stato corretto».
«Dato che ci troviamo di fronte a nuovi agenti patogeni, come l’influenza aviaria , affidarci solo alla PCR rischia di ripetere gli stessi errori», hanno affermato i ricercatori.
Iscriviti al canale Telegram ![]()
Risposta «polarizzata», poiché i risultati «mettono in discussione le ipotesi che hanno plasmato la politica pandemica»
I ricercatori hanno affermato di aver incontrato «notevoli difficoltà» nel pubblicare il loro articolo. Tra queste, il rifiuto da parte di altre sei riviste, di cui solo due hanno inviato il manoscritto per la revisione paritaria.
Queste riviste hanno cercato di «proteggere la narrativa prevalente, piuttosto che affrontare il nocciolo della nostra analisi», hanno affermato i ricercatori.
I ricercatori hanno affermato che due dei tre revisori originali di Frontiers in Epidemiology «si sono ritirati dai loro incarichi». Ciò ha costretto la redazione a reclutare un quarto revisore, ritardando la pubblicazione dell’articolo.
La risposta all’articolo è stata «polarizzata», hanno affermato. «Alcuni lettori hanno accolto con favore il confronto quantitativo dei dati PCR e IgG, ritenendolo in ritardo, mentre altri hanno messo in dubbio le implicazioni dello studio o hanno tentato di liquidarlo senza approfondire la metodologia di base».
Ciò non sorprende, «dato che i risultati mettono in discussione i presupposti che hanno plasmato la politica pandemica», hanno affermato.
Michael Nevradakis
Ph.D.
© 26 novembre 2025, Children’s Health Defense, Inc. Questo articolo è riprodotto e distribuito con il permesso di Children’s Health Defense, Inc. Vuoi saperne di più dalla Difesa della salute dei bambini? Iscriviti per ricevere gratuitamente notizie e aggiornamenti da Robert F. Kennedy, Jr. e la Difesa della salute dei bambini. La tua donazione ci aiuterà a supportare gli sforzi di CHD.
Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Epidemie
Il CDC chiude i laboratori con scimmie tra i timori della tubercolosi
Sostieni Renovatio 21
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Epidemie
L’Etiopia segnala sei decessi a causa della diffusione del virus Marburg
Il conteggio delle vittime causate dall’epidemia di virus Marburg in Etiopia è giunto a sei, ha reso noto mercoledì il Ministero della Salute nazionale.
In un comunicato, l’ente ha precisato che 73 sospetti sono stati sottoposti a screening dall’Istituto di Sanità Pubblica Etiope (EPHI), con cinque ammalati tuttora in trattamento. Le istituzioni hanno inoltre indicato che 349 contatti sono stati rintracciati, di cui 119 hanno ultimato la fase di sorveglianza.
Il 15 novembre, i Centri africani per il controllo e la prevenzione delle malattie (Africa CDC) hanno reso pubblico che l’Etiopia ha ufficialmente accertato il suo primo episodio di Marburg, a seguito di analisi di laboratorio che ne hanno identificato la presenza nella zona meridionale della nazione.
Le componenti sanitarie hanno riferito di aver predisposto strutture di quarantena nelle zone interessate, di aver schierato team medici specializzati e di aver approntato forniture vitali per potenziare le cure ai colpiti. Sono stati intensificati i controlli negli scali aerei, ai posti di confine e in ulteriori accessi al territorio.
«In aggiunta, l’Etiopia è in sinergia con nazioni che hanno già fronteggiato focolai di Marburg, al fine di condividere know-how, trarre lezioni dal loro vissuto e reperire terapie nonché vaccini», recita il documento.
Scoperto per la prima volta nel 1967 in occasione di focolai in Germania e Serbia, il virus Marburg provoca una febbre emorragica acuta e diffusissima, affine all’Ebola. Tra i segni clinici figurano nausea, conati di vomito, infiammazione alla gola e fitte addominali intense, con forme critiche che sfociano in sanguinamenti interni e decesso. Il contagio si propaga via contatto ravvicinato con liquidi organici infetti o oggetti infetti.
Iscriviti al canale Telegram ![]()
Sul finire della settimana scorsa, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha rilevato che «l’Etiopia sta gestendo crisi sovrapposte e svariati focolai, come colera, morbillo e dengue, che riducono drasticamente le risorse del sistema sanitario».
Tale emergenza si inserisce in un contesto di plurime crisi igienico-sanitarie che attanagliano l’Africa. Lunedì, il Ministero della Salute e dei Servizi Sociali namibiano ha denunciato un’epidemia di febbre emorragica Congo-Crimea (CCHF) nella regione di Khomas. La patologia rappresenta un’infezione virale veicolata da zecche, che induce febbre acuta repentina, dolori muscolari marcati e, nelle fasi terminali, emorragie interne.
Il continente è pure alle prese con la più grave escalation di colera degli ultimi 25 anni, con più di 300.000 episodi sospetti e accertati e oltre 7.000 lutti annotati nel 2025.
Come riportato da Renovatio 21, ad inizio anno la Tanzania aveva negato, nonostante le dichiarazioni OMS, lo scoppio di un focolaio del virus di Marburgo.
Il Ruanda ha confermato di recente che i pipistrelli sono la probabile fonte dei primi casi registrati del virus di Marburgo.
Nel 2023, la Tanzania e la Guinea Equatoriale hanno segnalato casi di malattia, dopo i focolai in Ghana nel 2022 e in Uganda nel 2017.
Come riportato da Renovatio 21, vi era stato allarme alla stazione di Amburgo pochi mesi fa quando due persone provenienti dal Ruanda avevano mostrato dei sintomi mentre erano in treno. La banchina di arrivo del treno era stata quindi isolata dalle autorità tedesche.
Come riportato da Renovatio 21, l’OMS aveva dichiarato il focolaio di Marburg in Ghana, per poi convocare una riunione «urgente» sulla diffusione del virus.
La Russia sta sviluppando un vaccino contro il morbo.
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Immagine di NIAID via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
-



Eutanasia2 settimane faIl vero volto del suicidio Kessler
-



Spirito2 settimane faLangone e le ceneri delle gemelle suicide Kessler «brave post-cristiane»
-



Spirito2 settimane faMons. Viganò: i traditori demoliscono la Chiesa dall’interno e spingono nell’eterna dannazione le anime
-



Scuola1 settimana faScuola: puerocentrismo, tecnocentrismo verso la «società senza contatto». Intervento di Elisabetta Frezza al convegno di Asimmetrie.
-



Eutanasia2 settimane faGemelle Kessler, Necrocultura Dadaumpa
-



Geopolitica1 settimana faCandace Owens afferma che il governo francese ha dato il «via libera» al suo assassinio
-



Spirito6 giorni faGiovane convertita esorta papa Leone a non andare all’inferno
-



Salute1 settimana faIl malori della 47ª settimana 2025











