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Cina

Arabia Saudita e Cina creano un accordo di scambio per il commercio senza dollari

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Continua il connubio saudita cinese che fa tremare il petrodollaro e l’ordine economico-politico mondiale costruito su di esso.

 

Il giornale cinese South China Morning Post ha riferito il 20 novembre che la banca centrale dell’Autorità monetaria dell’Arabia Saudita e la Banca popolare cinese (PBC) avevano annunciato un accordo su uno scambio di valuta di 50 miliardi di yuan per il successivo rimborso di 26 miliardi di riyal – cioè per importi equivalgono a circa 7 miliardi di dollari.

 

Nessuna delle due nazioni ha bisogno di prestiti per la stabilizzazione valutaria; l’accordo dovrà evidentemente essere utilizzato per espandere la quota di commercio tra i paesi nelle rispettive valute nazionali.

 

Ad oggi, questo non ha incluso alcuna vendita di petrolio o prodotti petroliferi, ma la testata di Hong Kong lascia intendere che questo scambio potrebbe dare inizio a tali vendite.

 

L’accordo è il trentesimo scambio di valuta stipulato dalla PBC dal 2014; li ha già con le banche centrali di Egitto, Emirati Arabi Uniti e Qatar.

 

Lo scambio di petrolio senza l’intermediazione del dollaro, iniziata l’anno scorso con le dichiarazioni dei sauditi sulla volontà di vendere il greggio alla Cina facendosi pagare in yuan, porterà alla dedollarizzazione definitiva del commercio globale.

 

A gennaio, il ministro delle finanze dell’Arabia Saudita Mohammed Al-Jadaan ha dichiarato al World Economic Forum che il Regno è aperto a discutere il commercio di valute diverse dal dollaro USA.

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«Non ci sono problemi con la discussione su come stabiliamo i nostri accordi commerciali, se è in dollari USA, se è l’euro, se è il riyal saudita», aveva detto Al-Jadaan in un’intervista a Bloomberg TV durante il WEF di Davos. «Non credo che stiamo respingendo o escludendo qualsiasi discussione che contribuirà a migliorare il commercio in tutto il mondo».

 

Il rapporto tra la Casa Saud e Washington, con gli americani impegnati a difendere la famiglia reale araba in cambio dell’uso del dollaro nel commercio del greggio (come da accordi presi sul Grande Lago Amaro tra Roosevelt e il re saudita Abdulaziz nel 1945) sembra essere arrivato al termine.

 

Nel frattempo, è stato previsto che la Russia supererà l’Arabia Saudita come il più grande produttore di petrolio OPEC+.

 

La de-dollarizzazione  coinvolge da mesi, pur sottotraccia, non solo i Paesi in via di sviluppo, ma anche oramai da più di un anno, le Banche Centrali di Paesi come il Brasile e perfino Israele. L’Argentina aveva annunciato che utilizzerà lo yuan per pagare il FMI e non toccherà le riserve in dollari. Anche la Bolivia ha iniziato a commerciare in yuan, allontanandosi dal dollaro. La recentissima elezione di Saverio Milei, il neopresidente ultraliberista che vuole dollarizzare l’intera economia argentina, va in senso opposto.

 

Il processo della de-dollarizzazione è iniziato con l’avvio delle sanzioni contro la Russia per la sua operazione militare speciale. Victoria Nuland, la grande pupara neocon dietro la guerra in Ucraina, ha definito la de-dollarizzazione «una chiacchiera».

 

Si tratta invece, con ogni evidenza, di uno dei più grandi rivolgimenti sociopolitici e geopolitici dell’ultimo secolo.

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Cina

Un treno di prodotti agricoli dallo Xinjiang a Salerno. Le ONG uigure: frutto di lavoro schiavo

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.   Un viaggio di 10mila chilometri esaltato da Pechino come occasione di sviluppo (e di rivincita sull’uscita dell’Italia dalla Belt and Road Initiative). Ma il cotone e i pomodori dello Xinjang sono al centro della «politica di alleviamento della povertà attraverso il trasferimento di manodopera», che secondo numerosi rapporti è una forma di lavoro forzato.   Un treno carico di prodotti agricoli partito da Urumqi, nella tormentata regione autonoma cinese dello Xinjiang, e destinato dopo 10mila chilometri di viaggio tra binari e trasbordi marittimi a raggiungere Salerno, in Italia.   Il nuovo viaggio bandiera della China-Europe Railway Express è partito il 29 aprile scorso dalla Cina, con ampia copertura mediatica da parte degli organi di stampa ufficiali di Pechino, che ne esaltano i benefici per l’economia dello Xinjiang.   Oltre a rilanciare le «potenzialità» di quella Belt and Road Initiative – la nuova «via della seta» di Xi Jinping – dai cui accordi pure il governo italiano dello scorso anno sarebbe uscito, annullando il memorandum sottoscritto da Roma e Pechino nel 2019 ma senza chiudere ad altre forme di cooperazione commerciale.   A restare sullo sfondo è però la questione del rispetto dei diritti umani nello Xinjiang, regione dove gli abusi nei confronti uiguri hanno spesso anche il volto del lavoro forzato utilizzato proprio nell’agricoltura. Ad evidenziarlo è una presa di posizione pubblica lanciata in queste ore da tre dei gruppi più attivi sulla salvaguardia dei diritti della popolazione musulmana dello Xinjiang: Uyghur Human Rights Project, Uyghur American Association e Safeguard Defenders. Insieme hanno scritto una lettera aperta all’ambasciatrice italiana a Washington, Mariangela Zappia, esprimendo preoccupazione per l’iniziativa e chiedendo un’indagine accurata sull’origine dei prodotti trasportati su quel treno.   «La moderna schiavitù del popolo uiguro e i continui crimini contro l’umanità – si legge nel documento – sono stati ampiamente documentati da organizzazioni internazionali, media indipendenti e organismi governativi. L’uso del lavoro forzato in qualsiasi forma viola i principi fondamentali dei diritti umani, tra cui il diritto alla libertà dalla schiavitù e dal lavoro forzato, come sancito da diverse convenzioni e trattati internazionali di cui l’Italia è parte».   L’iniziativa della China-Europe Railway Express è rilevante anche per il peso della Regione autonoma uigura dello Xinjiang nella produzione agricola cinese: coltiva l’85% del cotone del Paese, oltre il 70% dei pomodori (producendo fino al 90% del concentrato di pomodoro destinato all’esportazione), il 50% delle noci e il 28% dell’uva. Inoltre nella regione vi sono anche coltivazioni significative di grano, mais e altri cereali.   «Prove significative – scrivono Uyghur Human Rights Project, Uyghur American Association e Safeguard Defenders, citando rapporti specifici sull’agricoltura nello Xinjiang – rivelano che i trasferimenti di manodopera nella regione uigura avvengono in un contesto di coercizione senza precedenti, con la costante minaccia di rieducazione e internamento. Molti lavoratori indigeni non sono in grado di rifiutare o abbandonare volontariamente il lavoro nel settore agricolo, e quindi i programmi equivalgono al trasferimento forzato di popolazioni, al lavoro forzato, al traffico di esseri umani e alla riduzione in schiavitù».   Uno dei volti di questo sfruttamento oggi è anche quella che Pechino chiama la «politica di alleviamento della povertà attraverso il trasferimento di manodopera» (转移就业脱贫). Concretamente: migliaia di persone vengono formate e trasferite verso lavori agricoli stagionali, come appunto la raccolta di cotone o pomodori. Inserito nel quadro del più ampio programma di Xi Jinping per la riduzione mirata della povertà, è un sistema costruito su misura di contesti sociali pervasivamente coercitivi, caratterizzati dalla mancanza di libertà civiche, come è appunto quello dello Xinjiang.   «Come membro della comunità internazionale – concludono il loro appello Uyghur Human Rights Project, Uyghur American Association e Safeguard Defenders – l’Italia ha la responsabilità di garantire che le sue pratiche commerciali siano in linea con il suo impegno per i diritti umani e gli standard etici. Permettere che merci prodotte attraverso il lavoro forzato entrino nei suoi confini non solo condona queste gravi violazioni dei diritti umani, ma mina anche la credibilità della posizione dell’Italia sulla promozione e l’applicazione dei diritti umani. Esortiamo il governo italiano ad agire immediatamente per indagare sull’origine delle merci arrivate a Salerno e a mettere in atto misure per prevenire l’importazione di prodotti ottenuti con il lavoro forzato».   Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne. Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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Cina

Xi ricorda il 25° anniversario delle atrocità NATO in Serbia. Noi rammentiamo altri misteri della globalizzazione anni ’90

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Il presidente cinese Xi Jinping è arrivato martedì in Serbia per una visita di due giorni, in occasione del 25° anniversario del mortale attacco aereo americano contro l’ambasciata cinese a Belgrado.

 

L’attacco, avvenuto durante la guerra aerea della NATO del 1999 a sostegno dei separatisti di etnia albanese in Kosovo, uccise tre cittadini cinesi e ne ferì altri 20. Pechino non ha mai accettato del tutto le scuse di Washington secondo cui l’attacco era stato un errore causato da «vecchie mappe».

 

La Cina «non dovrebbe mai dimenticare» le bombe che hanno causato la morte di Shao Yunhuan, Xu Xinghu e Zhu Ying, ha scritto Xi in un articolo pubblicato martedì dal più antico quotidiano serbo, Politika.

 

«Il popolo cinese ha a cuore la pace, ma non permetteremo mai che una storia così tragica si ripeta», ha aggiunto il presidente.

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I caccia serbi MiG-29, acquistati dalla Russia diversi anni fa per sostituire le perdite inflitte dalla NATO, avrebbero dovuto fornire una guardia d’onore all’aereo di Xi mentre entrava nello spazio aereo serbo.

 

Dall’ultima visita di Xi nel 2016, Pechino è emersa come il più grande investitore straniero di Belgrado e il secondo partner commerciale dopo Bruxelles. La Cina ha anche sostenuto l’integrità territoriale della Serbia nei confronti del Kosovo, il cui governo provvisorio ha dichiarato l’indipendenza nel 2008 con il sostegno degli Stati Uniti e della NATO. L’UE ha recentemente indicato il riconoscimento del Kosovo come condizione per l’eventuale adesione della Serbia.

 

«Sosteniamo gli sforzi della Serbia per sostenere la sua sovranità e integrità territoriale e ci opponiamo a qualsiasi tentativo da parte di qualsiasi forza di interferire negli affari interni della Serbia», ha scritto Xi nel suo articolo per Politika.

 

Cina e Serbia «mantengono posizioni simili su molte importanti questioni internazionali e regionali», ha osservato lo Xi, aggiungendo che i due paesi dovrebbero cooperare per realizzare «un mondo multipolare equo e ordinato e una globalizzazione economica universalmente vantaggiosa e inclusiva».

 

Sia Pechino che Belgrado hanno rifiutato di unirsi agli Stati Uniti e ai loro alleati nell’imporre un embargo alla Russia sul conflitto in Ucraina, nonostante le ripetute richieste in tal senso da parte dell’Occidente. Lunedì, visitando la Francia, Xi ha detto al presidente Emmanuel Macron di respingere i tentativi occidentali di fare pressione sulla Cina sull’Ucraina e di «incitare una nuova guerra fredda».

 

Xi ha descritto la Serbia come «una terra di bellezza e leggende» e ha affermato che la sua amicizia con la Cina, «forgiata con il sangue dei nostri compatrioti», ispirerà le due nazioni «a marciare avanti a grandi passi».

 

Nei due giorni di visita la delegazione cinese, composta da circa 400 persone, firmerà con i padroni di casa serbi circa 30 accordi. Dopo Belgrado, Xi visiterà la vicina Ungheria, un altro importante partner commerciale cinese in Europa sebbene sia membro dell’UE.

 

Come riportato da Renovatio 21, la Serbia, memore dei bombardamenti del 1999, ha fatto capire che mai vorrà entrare nella NATO, che pure per coincidenza ha sede proprio a Bruxelles. Vucic ha dichiarato in questi mesi che il Kosovo starebbe operando per iniziare, ancora una volta, «una guerra NATO-Serbia».

 

La Repubblica Popolare Cinese, che un anno fa ha operato una grande e misteriosa consegna militare a Belgrado, ha detto di ritenere che ci sia la NATO dietro alle tensioni in Kosovo.

 

L’incidente diplomatico scaturito nel 1999 fu poi ricordato, appena dopo le elezioni USA 2020, in un controverso video pubblico cinese uscito subito dopo le elezioni americane 2020, un importante professore pechinese, Di Dongsheng, spiegava che Cina e USA fino a Trump avevano sempre goduto di solidi canali riservati che permettevano loro di risolvere qualsiasi problema con rapidità: l’esempio specifico che faceva era proprio quello del bombardamento dell’ambasciata di Belgrado.

 

«Aggiustavamo tutto in due mesi. Qual è la ragione? Dirò qualcosa di esplosivo: è perché abbiamo persone al vertice. Al vertice del nucleo delle cerchie più interiori del potere e dell’influenza in America, Noi abbiamo i nostri vecchi amici».

 

Nello stesso discorso, il professor  Di accennava sornione al fondo del figlio depravato di Biden, Hunternoto per i suoi numerosi affari con la Cina e con i suoi vertici. «Trump ha detto che il figlio di Biden ha una sorta di fondo globale. Lo avete sentito? Chi lo ha aiutato a mettere in piedi il fondo?»

 

 

Due anni fa divenne virale nell’internet cinese un video di una riunione del 1998 della Commissione Relazioni Estere del Senato USA dove il senatore del Delaware Joe Biden rivendica le sue proposte di bombardamento della Yugoslavia, dettagliando anche gli obbiettivi da colpire come ponti e depositi di carburante.

 

«Io ho proposto di bombardare Belgrado. Io ho proposto di mandarci i piloti americani a distruggere tutti i ponti sul fiume Drina», rivendica orgoglioso il Biden.

 

 

Il bombardamento dell’ambasciata yugoslava della Repubblica Popolare avvenne sotto l’amministrazione Clinton, quella che sfruttò il crollo dell’URSS per ridisegnare il mondo secondo lo schema mondialista delle élite anglosassoni, dall’Ucraina al Kosovo alla Cina indotta a divenire la «fabbrica del pianeta» con conseguente deindustrializzazione occidentale.

 

A quei tempi, oltre a trattare l’ingresso di Pechino nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) che avrebbe dato lo start definitivo alla cosiddetta globalizzazione, tra il Dragone e Washington era scoppiato uno specioso episodio di spionaggio di segreti nucleari captati dai cinesi, contro cui, apparentemente, gli uomini di Clinton fecero non molto.

 

Uno degli operativi politici legato alle questioni cinesi dell’epoca era Mark Middleton, poi ritenuto come uomo di collegamento tra Clinton e l’oscuro finanziere pedofilo Jeffrey Epstein. Negli anni ’90, Middleton ha servito da filo conduttore tra Clinton e l’Epstein, avendo organizzato almeno 7 delle 17 visite che Epstein fece alla Casa Bianca, e ha volato lui stesso più volte sul Lolita Express, secondo il Daily Mail.

 

Come riportato da Renovatio 21, Middleton fu trovato legato a Epstein trovato impiccato con un colpo di fucile al petto in un ranch in Arkansas nel 2022. Una delle plurime morti sospette attorno al caso Epstein che, più genericamente, viene ascritta al cosiddetto «Clinton Body Count», una lista di decessi che alcuni osservatori riconducono alla cerchia di Bill e Hillary.

 

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Cina

Storie di utero in affitto in Cina

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Renovatio 21 traduce questo articolo di Bioedge.   Questa storia nasce dall’intersezione tra la politica cinese del figlio unico, l’assenza volontaria di figli, la maternità surrogata e le norme tradizionali di pietà filiale.   Come riportato dal South China Morning News, un uomo di Yiyang, nella provincia di Hunan, nella Cina centrale, desiderava disperatamente un nipote. Ma sua figlia, 29 anni, ha rifiutato di avere figli o di sposarsi. Così, all’insaputa della moglie, ha organizzato tramite un’agenzia una studentessa universitaria come madre surrogata. Era impregnata del suo stesso sperma.   Sua moglie è tornato a casa un giorno nel 2022 e trovò una tata con un bambino. Lo sconosciuto disse alla moglie che la bambina apparteneva a lei e a suo marito. E infatti, poiché il marito aveva rubato la carta d’identità della moglie, lei e il marito erano stati registrati come genitori del bambino.   La moglie infuriata ha detto ai media: «Mio marito ha detto [a mia figlia]: “La tua scelta significa che non sarò mai nonno. Che senso ha crescerti? Non avere un bambino significa non essere filiale, secondo la cultura tradizionale cinese”». Ora minaccia di divorziare da lui.   Anche la figlia è sconvolta. Lei sostiene che suo padre è del tutto incapace di allevare un figlio da solo. Teme di essere legalmente obbligata ad allevare lei stessa il bambino se i suoi genitori procedessero con il divorzio.   L’orgoglioso padre è ignaro dell’opposizione della sua famiglia. Il suo commento è stato che, poiché la bambina era così carina e sana, la prossima volta avrebbe potuto chiedere all’agenzia di maternità surrogata un maschio.   Michael Cook   Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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