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Economia

Dedollarizzazione, India ed Emirati Arabi completano la prima vendita di petrolio in rupie

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La compagnia petrolifera Indian Oil Corp. ha acquistato un milione di barili di petrolio dalla Abu Dhabi National Oil Company in una transazione senza dollari.

 

La vendita di petrolio è stata la prima dopo che i due paesi hanno sottoscritto un Memorandum of Understanding (MoU) a luglio.

 

L’accordo ha istituito il sistema di regolamento in valuta locale (LCS), facilitato dalla Reserve Bank of India e dalla Banca centrale degli Emirati Arabi Uniti. Il sistema consente ai due Paesi di impegnarsi nel commercio bilaterale utilizzando la rupia e il dirham. Secondo una dichiarazione della Reserve Bank of India, l’accordo faciliterà «transazioni e pagamenti transfrontalieri senza soluzione di continuità e promuoverà una maggiore cooperazione economica».

 

Il primo test dell’LCS ha comportato la vendita di 25 chilogrammi di oro da un esportatore d’oro degli Emirati Arabi Uniti a un acquirente in India per circa 128,4 milioni di rupie (1,42 milioni di euro).

 

Secondo la testata indiana WIONews, il sistema LCS ridurrà i costi e accelererà le transazioni tra i due Paesi: «si prevede che la dipendenza dalle valute nazionali rafforzerà la resilienza economica e rafforzerà le relazioni bilaterali. Inoltre, eventuali saldi in eccesso nelle valute locali possono essere investiti in varie attività locali, tra cui obbligazioni societarie, titoli di Stato e mercati azionari», dice WIO.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’India – che è il terzo importatore di petrolio al mondo – ha già acquistato petrolio dalla Russia utilizzando yuan cinesi. Lo stesso ha fatto il vicino Pakistan, considerato storicamente un alleato di ferro di Washington.

 

Lo scambio di petrolio senza l’intermediazione del dollaro, iniziata l’anno scorso con le dichiarazioni dei sauditi sulla volontà di vendere il greggio alla Cina facendosi pagare in yuan, porterà alla dedollarizzazione definitiva del commercio globale.

 

Allo stato attuale, la maggior parte delle vendite globali di petrolio ha un prezzo in dollari. Ciò garantisce una domanda costante di valuta americana poiché ogni paese ha bisogno di dollari per acquistare petrolio. Questo aiuta a sostenere le politiche di prestito e di spesa del governo degli Stati Uniti e i suoi enormi deficit.

 

Finché il mondo ha bisogno di dollari per il petrolio, garantisce la domanda della moneta di Washington è garantita. Ciò significa che la Federal Reserve può continuare a stampare dollari per monetizzare il debito.

 

Per decenni, il petrodollaro era ciò che sosteneva lo status di riserva del dollaro: questo era un mondo in cui i produttori di petrolio avrebbero venduto i loro prodotti agli Stati Uniti (e il resto del mondo) per dollari, che poi reinvestono i proventi in attività e in mercati conteggiati in dollari, assegnando agli USA la posizione di indiscussa superpotenza finanziaria mondiale».

 

La dedollarizzazione ridurrebbe drasticamente il potere economico degli Stati Uniti e distruggerebbe l’economia del Paese – una prospettiva, che, ad un certo punto, potrebbe perfino programmata dalle élite americane stesse.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’India non è l’unico paese che si sta allontanando dal dollaro. Come l’India, l’Indonesia, il Bangladeshla Malesialo Sri Lankail Pakistan la Bolivial’Argentina e altre Nazioni del Sud del mondo (con timidi accenni perfino in Isvizzera) stanno seguendo si stanno sganciando dal dollaro. A inizio anno la Banca Centrale Irachena ha annunciato che consentirà scambi con la Cina direttamente in yuan cinesi, senza passare dal dollaro, mentre il Ghana si è rivolto non alla moneta statunitense, ma all’oro per stabilizzare la propria valuta nazionale.

 

A gennaio, il ministro delle finanze dell’Arabia Saudita Mohammed Al-Jadaan ha dichiarato che il Regno è aperto a discutere il commercio di valute diverse dal dollaro USA.

 

«Non ci sono problemi con la discussione su come stabiliamo i nostri accordi commerciali, se è in dollari USA, se è l’euro, se è il riyal saudita», aveva detto Al-Jadaan in un’intervista a Bloomberg TV durante il World Economic Forum di Davos. «Non credo che stiamo respingendo o escludendo qualsiasi discussione che contribuirà a migliorare il commercio in tutto il mondo».

 

L’Arabia Saudita ha venduto petrolio esclusivamente per dollari dal 1974 in base a un accordo con l’amministrazione Nixon. Se i sauditi si allontanassero dal dollaro e vendessero petrolio in altre valute, altri Paesi probabilmente seguirebbero l’esempio a causa dell’influenza del paese sul mercato petrolifero globale.

 

Se la domanda di dollari dovesse crollare in modo significativo, i tassi di interesse sui buoni del Tesoro USA aumenterebbero. Questa sarebbe una situazione insostenibile per un governo che serve più di 32 trilioni di dollari di debito.

 

 

 

 

 

Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

 

 

 

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Economia

Trump firma un ordine esecutivo che vieta le valute digitali delle Banche Centrali

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Il presidente Trump ha appena firmato un ordine esecutivo che mette al bando le valute digitali delle banche centrali (CBDC).

 

Secondo Fox Business, l’ordine di Trump «proibisce alle agenzie di istituire, emettere o promuovere valute digitali delle banche centrali e ordina ad altre agenzie e dipartimenti federali di fornire al gruppo raccomandazioni sulle normative sulle risorse digitali che dovrebbero essere revocate o modificate».

 

Intitolato «Rafforzare la leadership americana nella tecnologia finanziaria digitale», l’ampio Executive Order (EO) afferma esplicitamente che le CBDC «minacciano la stabilità del sistema finanziario, la privacy individuale e la sovranità degli Stati Uniti».

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Inoltre, l’ordinanza di giovedì definisce le CBDC come «una forma di moneta digitale o valore monetario, denominato nell’unità di conto nazionale, che costituisce una passività diretta della Banca Centrale».

 

Secondo Fox Business, l’ordine di Trump fornisce uno schema completo per l’adozione di risorse digitali da parte degli Stati Uniti.

 

L’ordine di Trump istituisce il Presidential Working Group on Digital Asset Markets, che svilupperà un quadro normativo federale per gli asset digitali, comprese le stablecoin, e valuterà la creazione di una riserva nazionale strategica di asset digitali. Sarà presieduto dal White House AI e crypto zar e includerà il segretario al Tesoro, il presidente della Securities and Exchange Commission (SEC), nonché altri responsabili di dipartimenti e agenzie competenti.

 

«Il presidente Trump contribuirà a fare degli Stati Uniti il ​​centro della tecnologia finanziaria digitale, fermando le aggressive azioni di controllo e l’eccesso di regolamentazione che hanno soffocato l’innovazione crittografica sotto le precedenti amministrazioni», si legge nell’annuncio della Casa Bianca.

 

Questa notizia arriva subito dopo che Trump si è rivolto pubblicamente ai globalisti durante l’incontro annuale di Davos del World Economic Forum, dicendo loro che l’America è «di nuovo una nazione libera» e che farà degli Stati Uniti la «Capitale mondiale dell’intelligenza artificiale e delle criptovalute».

 

Trump ha anche graziato nelle scorse ore, sempre come promesso, Ross Ulbricht, il fondatore della piattaforma del Dark Web Silk Road, considerato uno dei padri de facto dell’utilizzo in rete del Bitcoino.

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Immagine di Gage Skidmore via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic

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Economia

Il capo di BlackRock prevede Bitcoin a 700.000 dollari

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Il Bitcoin potrebbe raggiungere la sorprendente cifra di 700.000 dollari se gli investitori istituzionali destineranno tra il 2% e il 5% dei loro portafogli alla criptovaluta. Lo prevede Secondo Larry Fink, capo di BlackRock, la più grande società di gestione patrimoniale al mondo con 10 trilioni di assett gestiti.   La moneta digitale ha visto un’impennata del suo valore negli ultimi mesi. Nel 2024, il suo prezzo è balzato del 121%, raggiungendo il picco di 108.135 dollari a dicembre. Lunedì, dopo l’insediamento del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, Bitcoin ha raggiunto il record di dollari 109.225.   Trump aveva precedentemente annunciato l’intenzione di fare degli Stati Uniti la «capitale mondiale delle criptovalute» e di istituire una riserva nazionale di Bitcoin.

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Mercoledì, durante un dibattito a Davos, Fink ha dichiarato di essere un «grande sostenitore» della più grande criptovaluta al mondo come strumento, sottolineandone il potenziale come copertura finanziaria.   «Se hai paura della svalutazione della tua valuta, o della stabilità economica o politica del tuo Paese, puoi avere uno strumento basato a livello internazionale chiamato Bitcoin che supererà quelle paure locali», ha affermato Fink.   L’investitore ha parlato di un impulso verso l’adozione istituzionale della criptovaluta. «Ero con un fondo sovrano questa settimana e c’è stata una conversazione, dovremmo avere un’allocazione del 2%? Dovremmo avere un’allocazione del 5%? Se tutti adottassero quella conversazione, sarebbero 500.000, 600.000, 700.000 dollari per bitcoin», ha sostenuto Fink. L’investitore ha osservato che non stava promuovendo la cripotovaluta.   L’anno scorso, BlackRock ha lanciato Bitcoin Trust ed Ethereum Trust, fondi negoziati in borsa che investono direttamente nei due token crittografici.   Fink era scettico nei confronti degli asset digitali. Nel 2018, ha dichiarato a Bloomberg che i clienti di BlackRock non avevano alcun interesse per le criptovalute.   Nonostante l’ampio utilizzo per l’acquisto di beni e servizi, non esistono leggi internazionali uniformi che regolano Bitcoin. Il token è stato adottato come valuta ufficiale in El Salvador nel 2021.   Secondo un articolo di opinione dell’analista finanziaria Susie Violet Ward, pubblicato da Forbes lunedì, l’istituzionalizzazione di Bitcoin comprometterebbe il suo ethos originale di «denaro libero», con il controllo normativo ed economico che eroderebbe la decentralizzazione del token.   Come riportato da Renovatio 21, uno strano legame è emerso tra BlackRock e l’attentatore di Trump Thomas Crooks, che è ripreso in un video pubblicitario del megafondo di investimento.   BlackRock, è la più grande società di investimento nel mondo con in gestione un patrimonio totale di circa 10 trilioni di dollari. Tuttavia di tale colosso il pubblico non sa moltissimo, ma la cui influenza arriva ad essere, per alcuni critici, piuttosto controversa.

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Nel 2022 il CEO di BlackRock Larry Fink dichiarò che la guerra ucraina poteva essere un fattore di accelerazione del processo di sparizione del contante. Il Fink due mesi fa in Arabia Saudita aveva elogiato la depopolazione e la sostituzione degli esseri umani con le macchine.   BlackRock è considerata al centro della crisi energetica mondiale. Secondo Robert F. Kennedy jr., il megagruppo finanziario è causa della cancellazione della classe media in America.   Come riportato da Renovatio 21, poche settimane fa BlackRock avrebbe condotto negoziati con le autorità ucraine facendo capire che potrebbe uscire dal Paese. Negli scorsi mesi il gruppo avrebbe fatto parte dell’operazione di pressing sui reali sauditi al fine che il loro Regno non aderisca ai BRICS.   Un anno fa, durante le proteste francesi per la riforma delle pensioni lanciata da Macron, i manifestanti occuparono la sede francese di BlackRock. Secondo alcuni il mega-gruppo sarebbe coinvolto anche alla tempesta finanziaria sulle obbligazioni britanniche che due anni fa travolse la neopremier di Londra Liz Truss.   Alcuni Stati americani nel 2022 annunciarono il boicottaggio di banche anti-combustibili fossili come BlackRock, Goldman Sachs e JP Morgan. L’ex direttore del reparto «investimento sostenibile» di BlackRock, Brian Deese, poi passato a dirigere il National Economic Council di Biden, interrogato sull’aumento dei prezzi della benzina, aveva parlato di sacrifici per l’«Ordine Mondiale Liberale».   Biden si è avvalso del consiglio di BlackRock anche per la politica estera verso la Cina, Paese dove il colosso finanziario combatte una faida che lo contrappone a George Soros.

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Economia

La Nigeria è diventata Paese partner dei BRICS

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La Nigeria è diventata ufficialmente un Paese partner dei BRICS dallo scorso 17 gennaio.

 

Il ministero degli Esteri del Brasile, che detiene la presidenza di turno dei BRICS quest’anno, ha fatto l’annuncio ieri, accogliendo con favore la decisione del governo nigeriano di unirsi al gruppo e sottolineando cosa l’adesione della Nigeria porta al tavolo dei BRICS: «con la sesta popolazione più grande al mondo, e la più grande in Africa, oltre a essere una delle principali economie del continente, la Nigeria condivide interessi convergenti con gli altri membri dei BRICS. Svolge un ruolo attivo nel rafforzamento della cooperazione Sud-Sud e nella riforma della governance globale, questioni che sono le massime priorità durante l’attuale presidenza del Brasile».

 

Con l’adesione dell’Indonesia come membro a pieno titolo il 6 gennaio, ci sono ora dieci membri a pieno titolo dei BRICS: Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, più Egitto, Etiopia, Indonesia, Iran ed Emirati Arabi Uniti. I membri a pieno titolo prendono tutte le decisioni per consenso.

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La nuova categoria di appartenenza delle nazioni partner è stata istituita all’ultimo vertice BRICS a Kazan, in Russia, nell’ottobre 2024, al fine di incorporare nazioni rappresentative delle diverse regioni del mondo desiderose di unirsi per partecipare alle sue deliberazioni, ma senza concedere loro potere di veto sulle decisioni finali.

 

Con l’adesione della Nigeria, ci sono ora nove paesi partner BRICS: Bielorussia, Bolivia, Cuba, Kazakistan, Malesia, Nigeria, Tailandia, Uganda e Uzbekistan. Altre tre nazioni invitate a unirsi come nazioni partner devono ancora accettare: Algeria, Turchia e Vietnam.

 

L’Arabia Saudita non ha né accettato né rifiutato l’invito dei BRICS del 2023 ad unirsi come membro a pieno titolo, ma i suoi rappresentanti continuano a partecipare alle sue riunioni. Tuttavia, una grande campagna di pressione fatta dalla politica e dell’alta finanza americana hanno cercato di scoraggiare Ryadh dall’adesione.

 

Come riportato da Renovatio 21, anche Serbia, Cuba, Bolivia e Turchia, tra gli altri, hanno manifestato interessa ad unirsi ai BRICS. Il Messico ha annunziato un anno fa, quando era presidente Lopez Obrador, che non avrebbe aderito ai BRICS. L’unico caso di Paese che opta per uscire, dopo esservisi avvicinato, è l’Argentina di Milei.

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)

 

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