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Economia

Distributisti e capitalisti: la differenza c’è, e si vede

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Peter Kwasniewski, esperto docente statunitense di Dottrina sociale della Chiesa, ha affrontato recentemente anche il tema del disaccordo tra distributisti e capitalisti, offrendo una serie di spunti di riflessione di estremo interesse.

 

Per accostare in modo corretto quanto esposto da Kwasnieswski, ritengo opportuno evidenziare almeno due premesse necessarie: 1) il panorama statunitense, diverso da quello italiano, entro cui collocare il dibattito tra liberal-capitalismo e proposta distributista; 2) la peculiarità del sorgere del distributismo classico (in particolare le opere di Gilbert Keith Chesterton, Hilaire Belloc e Padre Vincent McNabb) in seno alla società industriale inglese di fine XIX secolo e di inizi ‘900 e la ricezione da parte dei cattolici inglesi dell’enciclica Rerum novarum di Leone XIII del 1891.

 

In Inghilterra e negli Stati Uniti si è accesa una grossa disputa, in quanto si sono riscontrati maggiormente i conflitti e le lacerazioni politico, sociali, morali ed economiche determinati dal capitalismo e dall’ideologia liberal-illuministica di riferimento. Kwasnieswski cita autori contemporanei come Thomas Storck (intervistato e pubblicato dall’Osservatorio Van Thuan nel Bollettino Attualità del distributismo) e John Medaille, docente presso l’Università di Dallas, Stati Uniti e manager di grandi corporation e piccole aziende per più di 30 anni.

 

Le origini del distributismo sono tutt’altro che campate in aria, ma affondano invece nella riscoperta delle radici dell’ordine economico, per renderlo operativo e applicabile anche alle situazioni nuove e reali

In particolare Medaille ha contrastato una delle accuse che il capitalismo ha sempre rivolto ai distributisti, ossia la mancanza di «scienza economica» e la conseguente caduta della proposta distributista nel regno dell’utopia e dell’astrattezza.

 

Accuse rivolte fin dagli albori del distributismo, a cui Medaille ha efficacemente controbattuto, ribadendo come l’ordine economico proposto dal distributismo sia fondato sull’equità e sull’equilibrio, ponendosi come alternativa reale e pratica all’assenza di equità del capitalismo, che ha reso l’equilibrio impossibile e l’inefficienza inevitabile. Pertanto le origini del distributismo sono tutt’altro che campate in aria, ma affondano invece nella riscoperta delle radici dell’ordine economico, per renderlo operativo e applicabile anche alle situazioni nuove e reali. Contrastando il liberismo del laissez-faire come principio autoregolatore del mercato, Medaille ha evidenziato il differente modello economico che vede la famiglia protagonista, che aggiunge veramente ricchezza all’economia.

 

Medaille ha difeso il «capitale» dall’aggressione ideologica capitalistica, dimostrando come, ad esempio, un contadino che desideri avere un raccolto il prossimo anno, abbisogni di salvare qualcosa di quello che ha prodotto (il «capitale»).

 

Questo sano concetto di «capitale» che proviene dal lavoro contrasta con il sistema dell’usura capitalistica moderna che è basato sulla ricchezza senza lavoro.

 

Un sistema bancario che avvantaggi l’avarizia e perda la fonte originaria del lavoro umano, inverte l’ordine naturale producendo quei mostri finanziari che sovvertono a loro volta un proprio ordine, diventando padroni della produzione anziché aiuti all’economia reale

Anche un sistema bancario, ha denunciato Medaille, che avvantaggi l’avarizia e perda la fonte originaria del lavoro umano, inverte l’ordine naturale producendo quei mostri finanziari che sovvertono a loro volta un proprio ordine, diventando padroni della produzione anziché aiuti all’economia reale.

 

Citando il volume di Hilaire Belloc La restaurazione della proprietà, Medaille ha sottolineato gli errori che si possono compiere nel trasferire potere d’acquisto da un gruppo (pochi capitalisti) ad un altro (molti indigenti). Gli sbagli possono essere sintetizzati in tre punti: 1) la carità (soprattutto nella forma assistenzialistica); 2) la spesa statale; 3) il credito al consumatore (o l’usura).

 

Questi falsi rimedi alle disfunzioni del capitalismo hanno portato ad un’economia di plastica, basata su aperture di credito e sintetizzata dal proliferare delle carte di credito, costituendo un castello di carte instabile e fluttuante.

 

L’instabilità, appunto, e l’iniquità profonda del capitalismo sono sempre stati i bersagli critici da parte dei distributisti, sia quelli classici sia quelli contemporanei. La tutela della piccola proprietà largamente diffusa invitava alla responsabilità e all’assunzione di diritti e di doveri finalizzati al bene comune.

 

Giustamente Kwasniewski ha difeso il sistema delle gilde e delle corporazioni medievali, a cui faceva riferimento il lamento accorato di Leone XIII nell’introduzione alla Rerum novarum o che, come Chesterton, mirabilmente esplicava nel manifesto distributista Il profilo della ragionevolezza del 1926:

Questi falsi rimedi alle disfunzioni del capitalismo hanno portato ad un’economia di plastica, basata su aperture di credito e sintetizzata dal proliferare delle carte di credito, costituendo un castello di carte instabile e fluttuante

 

«Il principio dell’arco è umano, applicabile a tutta l’umanità e da essa utilizzabile. Lo stesso vale per la corretta distribuzione della proprietà privata. Qual è il principio dell’arco? Secondo il principio dell’arco, unendo in un certo modo delle pietre di forma particolare, la loro stessa tendenza a cadere impedirà che cadano. A sorreggere l’arco è l’uguaglianza della pressione che le singole pietre esercitano l’una sull’altra. L’uguaglianza è al tempo stesso mutuo soccorso e mutuo impedimento. Non è difficile dimostrare che in una società sana la pressione morale di diverse proprietà private agisce esattamente allo stesso modo».

 

Quello che l’uomo moderno fatica oggi a capire delle corporazioni di arti e mestieri è il contesto cattolico, eucaristico e mariano menzionato da Kwasniewski, che in una cultura individualistica e liberal-capitalista diventa incomprensibile, tutt’al più da rinchiudersi in categorie denominate «astratte, cripto-socialiste o addirittura stataliste».

 

«Il principio dell’arco è umano, applicabile a tutta l’umanità e da essa utilizzabile. Lo stesso vale per la corretta distribuzione della proprietà privata. Qual è il principio dell’arco? Secondo il principio dell’arco, unendo in un certo modo delle pietre di forma particolare, la loro stessa tendenza a cadere impedirà che cadano»

Pur non idealizzandole o vagheggiandole utopisticamente, le corporazioni medievali erano tuttavia rinvenibili all’interno di una società cristiana, come afferma Kwasnieswski: «erano realtà genuinamente cattoliche, intrinsecamente sociali e di successo modesto…».

 

Quest’ultima considerazione mi ha fatto ricordare una delle frasi paradossali di Chesterton, che contrastava efficacemente il significato della competitività e del successo nel sistema capitalistico:

 

«Non c’è nulla che porti al fallimento come il successo!».

 

I distributisti hanno da sempre visto e proclamato il fallimento del sistema liberal-capitalistico, così come quello social-comunista, come attestano queste parole di Chesterton molto attuali: «E all’ultimo minuto, quando il futuro sarà più cupo e più chiara apparirà la fine, la maggioranza degli uomini forse capirà d’un tratto in che vicolo cieco il vostro progresso li ha condotti”».

 

I distributisti hanno da sempre visto e proclamato il fallimento del sistema liberal-capitalistico, così come quello social-comunista, come attestano queste parole di Chesterton molto attuali: «E all’ultimo minuto, quando il futuro sarà più cupo e più chiara apparirà la fine, la maggioranza degli uomini forse capirà d’un tratto in che vicolo cieco il vostro progresso li ha condotti”»

La parte finale delle riflessioni di Kwasniewski, che riguarda l’opposizione tra l’Amore di Dio e l’amore del mondo, lo spirito di possessività, fino alla proposta di un esame di coscienza fondato sull’elaborazione della prima delle Beatitudini annunciate da Nostro Signore: «Beati i poveri in spirito: perché di essi è il regno dei cieli», si può collegare alla missione evangelico-distributista di Padre McNabb, frate domenicano, padre spirituale degli stessi Belloc e Chesterton.

 

Come Kwasnieswski ha elaborato otto suggerimenti, alla stregua delle otto beatitudini di Cristo, così Padre McNabb ha enunciato nel suo La Chiesa e la terra del 1925 il Credo distributista cristiano.

 

Kwasnieswki ha citato il Card. Ratzinger, che ne Il sale della terra scriveva: «Noi cristiani dovremmo sforzarci di uscire da questo mondo sovra-arredato e stipato per raggiungere una autentica e vigile libertà interiore».

 

Il distacco dalla possessività dei beni materiali comporta non solo una critica alla società opulenta e consumistica, ma un ordinare lo spirito ai beni interiori e spirituali, alla presenza di Dio anche sociale:

 

Padre McNabb scriveva nel suo Credo: «Credo che nel nostro mondo economico “il desiderio di denaro è la radice di ogni male” e che la vita umana, essendo un dono divino, non è adeguatamente ripagata da nessun dividendo umano, ma solo dalla retribuzione divina»

«Il nostro sforzo dev’essere, costantemente, quello di non addomesticarci, e possiamo far ciò rendendo più semplice l’ambiente che ci circonda, stando sempre attenti a evitare l’accumulo di beni e comfort eccessivi».

 

Allo stesso modo, circa un secolo precedente, Padre McNabb scriveva nel suo Credo: «Credo che nel nostro mondo economico “il desiderio di denaro è la radice di ogni male” e che la vita umana, essendo un dono divino, non è adeguatamente ripagata da nessun dividendo umano, ma solo dalla retribuzione divina».

 

Si può rimanere perplessi sulle indicazioni etico-spirituali rilanciate da Kwasnieswski sulla scia di Padre McNabb, ma esse hanno a che fare, volenti o nolenti, con la proposta distributista, laddove entra in gioco la «povertà in spirito». Kwasnieswski annuncia questo pensiero distributista profondamente cristiano chiamandolo «incarnazionalismo economico» o «economia dell’Incarnazione».

 

Riguardo a questo sano realismo cristiano che si può rilevare nella proposta distributista, così scriveva Chesterton nel saggio Ciò che non va nel mondo del 1910:

 

Nel distributismo quindi sono inseparabili i diversi aspetti della vita dell’uomo e della società, siano essi morali, economici, spirituali. Entrano in gioco le virtù, i beni naturali e soprannaturali, i dogmi (quello del peccato originale adombrato nel abbiamo tutti il mal di mare), il realismo dell’Incarnazione

«Ogni anima umana deve compiere quel gigantesco atto di umiltà che è l’Incarnazione. Ogni uomo deve farsi carne per incontrare i suoi simili…nessun uomo deve essere superiore a ciò che gli uomini hanno in comune. Non soltanto siamo tutti nella stessa barca, ma abbiamo tutti il mal di mare».

 

Nel distributismo quindi sono inseparabili i diversi aspetti della vita dell’uomo e della società, siano essi morali, economici, spirituali. Entrano in gioco le virtù, i beni naturali e soprannaturali, i dogmi (quello del peccato originale adombrato nel abbiamo tutti il mal di mare), il realismo dell’Incarnazione.

 

La proposta distributista riguarda ancora la proprietà e il suo corretto uso, la famiglia e il bene comune. Si tratta di una visione organica, equilibrata e armonica, la cui origine rimane cattolica, centrata sull’insegnamento della Dottrina sociale della Chiesa, che Kwanieswski ha ribadito.

 

 

Fabio Trevisan

 

 

Articolo precedentemente apparso su Ricognizioni

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Economia

La Turchia sospende ogni commercio con Israele

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Il governo turco ha sospeso tutti gli scambi con Israele in risposta alla guerra di Gaza, ha dichiarato il Ministero del Commercio di Ankara in una dichiarazione pubblicata giovedì sui social media.

 

La Turchia è stato uno dei critici più feroci di Israele da quando è scoppiato il conflitto con Hamas in ottobre. La sospensione di tutte le operazioni di esportazione e importazione è stata introdotta in risposta all’«aggressione dello Stato ebraico contro la Palestina in violazione del diritto internazionale e dei diritti umani», si legge nella dichiarazione.

 

Ankara attuerà rigorosamente le nuove misure finché Israele non consentirà un flusso ininterrotto e sufficiente di aiuti umanitari a Gaza, aggiunge il documento.

 

Israele è stato accusato dalle Nazioni Unite e dai gruppi per i diritti umani di ostacolare la consegna degli aiuti nell’enclave. I funzionari turchi si coordineranno con l’Autorità Palestinese per garantire che i palestinesi non siano colpiti dalla sospensione del commercio, ha affermato il ministero.

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La sospensione totale fa seguito alle restrizioni imposte il mese scorso da Ankara sulle esportazioni verso Israele di 54 categorie di prodotti tra cui materiali da costruzione, macchinari e vari prodotti chimici. La Turchia aveva precedentemente smesso di inviare a Israele qualsiasi merce che potesse essere utilizzata per scopi militari.

 

Come riportato da Renovatio 21, il mese scorso il governo turco ha imposto restrizioni alle esportazioni verso Israele per 54 categorie di prodotti.

 

In risposta alle ultime restrizioni, il ministero degli Esteri israeliano ha accusato la leadership turca di «ignorare gli accordi commerciali internazionali». Giovedì il ministro degli Esteri Israel Katz ha scritto su X che «bloccando i porti per le importazioni e le esportazioni israeliane», il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si stava comportando come un «dittatore». Israele cercherà di «creare alternative» per il commercio con la Turchia, concentrandosi sulla «produzione locale e sulle importazioni da altri Paesi», ha aggiunto il Katz.

 

 

Come riportato da Renovatio 21 il leader turco ha effettuato in questi mesi molteplici attacchi con «reductio ad Hitlerum» dei vertici israeliani, paragonando più volte il primo ministro Beniamino Netanyahu ad Adolfo Hitler e ha condannato l’operazione militare a Gaza, arrivando a dichiarare che Israele è uno «Stato terrorista» che sta commettendo un «genocidio» a Gaza, apostrofando il Netanyahu come «il macellaio di Gaza».

 

Il presidente lo scorso novembre aveva accusato lo Stato Ebraico di «crimini di guerra» per poi attaccare l’intero mondo Occidentale (di cui Erdogan sarebbe di fatto parte, essendo la Turchia aderente alla NATO e aspirante alla UEa Gaza «ha fallito ancora una volta la prova dell’umanità».

 

Un ulteriore nodo arrivato al pettine di Erdogan è quello relativo alle bombe atomiche dello Stato Ebraico. Parlando ai giornalisti durante il suo volo di ritorno dalla Germania, il vertice dello Stato turco ha osservato che Israele è tra i pochi Paesi che non hanno aderito al Trattato di non proliferazione delle armi nucleari del 1968.

 

Il mese scorso Erdogan ha accusato lo Stato Ebraico di aver superato il leader nazista uccidendo 14.000 bambini a Gaza.

 

Israele, nel frattempo, ha affermato che il presidente turco è tra i peggiori antisemiti della storia, a causa della sua posizione sul conflitto e del suo sostegno a Hamas.

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Immagine di Haim Zach / Government Press Office of Israel via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported 

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Economia

La Republic First Bank fallisce: la crisi bancaria USA non è finita

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La Republic First Bank (RFB), una piccola banca regionale con sede a Filadelfia, che aveva un patrimonio di 6 miliardi di dollari, è fallita il 26 aprile. Loriporta EIRN.   La Federal Deposit Insurance Corporation, che aveva rilevato la Republic First Bank (da Republic Bank), ha venduto la banca alla Fulton Bank con sede a Lancaster, Pennsylvania.   La Fulton Bank ha acquisito 4 miliardi di dollari di depositi della Republic First Bank e 2,9 miliardi di dollari di prestiti. Come parte dei termini della transazione, la FDIC fornirà 1 miliardo di dollari alla Fulton Bank, il che significa che la FDIC, di fatto una filiale del governo statunitense, assorbirà una parte di 1 miliardo di dollari delle perdite, una buona quota.   La Fulton Bank ora si vanta di essere una banca con un patrimonio di 32,8 miliardi di dollari. Ciò che non dice è che ora il 43% dei suoi prestiti – ovvero 14,1 miliardi di dollari – sono prestiti al mercato immobiliare commerciale statunitense da 23mila miliardi di dollari, che sta crollando di mese in mese.   Non si tratta di un caso isolato.

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A marzo, la New York Community Bank (NYCB) con un patrimonio di 114 miliardi di dollari, è fallita, anche se non è stato definito un fallimento, dal momento che un gruppo di investimento guidato dal segretario al Tesoro dell’ex presidente Trump Steve Mnuchin, ha acquistato la NYCB, con importanti finanziamenti governativi. assistenza. L’acquisizione della Republic Bank da parte della Fulton Bank e la acquisizione della NYCB da parte del gruppo Mnuchin dimostrano che la crisi bancaria statunitense è in atto e che i problemi vengono semplicemente riciclati, non risolti.   Secondo quanto riportato, Republic First Bancorp è una delle banche che è stata sotto crescente pressione a causa di tassi di interesse persistentemente elevati e di valori in rapida diminuzione sui prestiti immobiliari commerciali. PNC Financial (l’ottava più grande d’America) e M&T Bank (la 21ª più grande d’America) hanno recentemente riportato cali di profitto a due cifre nei primi tre mesi di quest’anno poiché i tassi di interesse più alti intaccano i loro profitti.   «Il collasso della banca regionale degli Stati Uniti solleva bandiera rossa per grandi shock» gongola il quotidiano del Partito Comunista Cinese in lingua inglese Global Times. I cinesi riportano, a differenza di tanti giornali occidentali, la notizia di questa ulteriore crepa del sistema bancario e immobiliare USA – tuttavia, come noto, anche il Dragone ha i suoi problemi con palazzi e banche.   Come riportato da Renovatio 21, la crisi bancaria, che non è ancora manifestata nella sua vera forma, può avere come fine l’introduzione definitiva della moneta virtuale da Banca Centrale, cioè il bitcoin di Stato, che non tollererà come concorrente né il contante né le criptovalute, e che renderà obsolete ed inutili le banche: ogni transazione, ogni danaro del sistema apparterrà ad una piattaforma di Stato (o, nel caso dell’euro digitale, Super-Stato) che verrà usata anche per controllarvi, sorvegliando ed impedendo i vostri acquisti nelle modalità previste dal danaro programmabile (limitazioni di tempo, spazio, qualità dell’oggetto acquistato, etc.).

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Economia

BlackRock si unisce al pressing sull’Arabia Saudita: deve uscire dai BRICS

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L’Arabia Saudita è oggetto di una pressione da parte di tutta la corte progettata per tirarla fuori dai BRICS e riallinearla con Londra e Washington.

 

Nello stesso momento in cui il Segretario di Stato americano Tony Blinken era in Arabia Saudita questa settimana per lavorare sulla «normalizzazione delle relazioni» tra Israele e Arabia Saudita – vale a dire, affinché i Sauditi riconoscano Israele in cambio di un patto militare con gli Stati Uniti – erano presenti nel regno wahabita anche Larry Fink e altri alti dirigenti di BlackRock per firmare un accordo con il governo saudita per il lancio della società BlackRock Riyadh Investment Management.

 

La nuova entità, detta anche BRIM, sarà una nuova «società di investimento multi-class» a Riyadh, con 5 miliardi di dollari di capitale iniziale di origine saudita, che dovrà «gestire fondi che investono principalmente in Arabia Saudita ma anche nel resto del Medio Oriente e del Nord Africa», ha riferito il Financial Times.

 

«L’obiettivo è attrarre ulteriori capitali esteri in Arabia Saudita e rafforzare i suoi mercati dei capitali attraverso una gamma di fondi di investimento gestiti da BlackRock», che ha in gestione una bella somma di 10,5 trilioni di dollari. Il CEO di BlackRock Larry Fink ha dichiarato in una nota che «l’Arabia Saudita è diventata una destinazione sempre più attraente per gli investimenti internazionali… e siamo lieti di offrire agli investitori di tutto il mondo l’opportunità di parteciparvi».

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L’Arabia Saudita aveva segnalato il suo interesse ad entrare nei BRICS ancora due anni fa.

 

Come riportato da Renovatio 21, pare che il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman – capo de facto del regno islamico – cinque mesi fa abbia snobbato i britannici per incontrare il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin. Negli stessi mesi il Regno aveva stipulato con la Cina un accordo di scambio per il commercio senza dollari.

 

Lo scambio di petrolio senza l’intermediazione del dollaro, iniziata nel 2022 con le dichiarazioni dei sauditi sulla volontà di vendere il greggio alla Cina facendosi pagare in yuan, porterà alla dedollarizzazione definitiva del commercio globale.

 

A gennaio 2023, il ministro delle finanze dell’Arabia Saudita Mohammed Al-Jadaan ha dichiarato al World Economic Forum che il Regno è aperto a discutere il commercio di valute diverse dal dollaro USA.

 

«Non ci sono problemi con la discussione su come stabiliamo i nostri accordi commerciali, se è in dollari USA, se è l’euro, se è il riyal saudita», aveva detto Al-Jadaan in un’intervista a Bloomberg TV durante il WEF di Davos. «Non credo che stiamo respingendo o escludendo qualsiasi discussione che contribuirà a migliorare il commercio in tutto il mondo».

 

Il rapporto tra la Casa Saud e Washington, con gli americani impegnati a difendere la famiglia reale araba in cambio dell’uso del dollaro nel commercio del greggio (come da accordi presi sul Grande Lago Amaro tra Roosevelt e il re saudita Abdulaziz nel 1945) sembra essere arrivato al termine.

 

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