Cina
Pechino cerca l’eliminazione di Taiwan: parla il nuovo presidente di Taipei

Il presidente taiwanese Lai Ching-te ha avvertito i futuri ufficiali militari che Pechino non si fermerà davanti a nulla pur di prendere il controllo dell’isola.
Parlando domenica alla massima accademia militare di Taiwan a Kaohsiung, Lai ha affermato che i cadetti devono comprendere le minacce che devono affrontare da parte delle forze della terraferma. Taiwan è riconosciuta come nazione sovrana solo da 12 dei 193 paesi del mondo. I funzionari di Pechino hanno promesso di riunificare l’isola con la Cina continentale, se necessario con la forza.
«La sfida più grande è affrontare la potente ascesa della Cina, che sta distruggendo lo status quo nello Stretto di Taiwan e considera l’annessione di Taiwan e l’eliminazione della Repubblica di Cina (Taiwan) come la grande causa di ringiovanimento del suo popolo» ha detto il Lai.
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Pechino ha denunciato Lai come un «pericoloso separatista». Dopo il suo insediamento come presidente il mese scorso, Pechino ha lanciato esercitazioni militari intorno a Taiwan che sono state pubblicizzate come una punizione per gli «atti separatisti» dell’isola.
In risposta, l’esercito di Taiwan ha fatto decollare gli aerei da combattimento e messo in massima allerta le sue forze navali e di terra.
Lai ha sostenuto nel discorso di domenica che solo il popolo taiwanese può decidere il futuro dell’isola. «Dobbiamo davvero essere in grado di distinguere tra noi stessi e i nostri nemici e tra amici e nemici». Ha aggiunto che le forze taiwanesi non devono accettare l’atteggiamento disfattista secondo cui «la prima battaglia è l’ultima battaglia», riferendosi all’idea che Taipei crollerebbe rapidamente in caso di attacco.
Pechino ha sempre più protestato contro i contatti di Washington con Taipei e gli aiuti militari statunitensi all’isola, sostenendo che tali pratiche violano il principio della «Cina unica».
«La Cina resta impegnata nella riunificazione pacifica; tuttavia, questa prospettiva viene sempre più compromessa dai separatisti per l’indipendenza di Taiwan e dalle forze straniere», ha avvertito il mese scorso il ministro della Difesa cinese Dong Jun.
Le forze nazionaliste fuggirono a Taiwan nel 1949, dopo aver perso una guerra civile contro i rivoluzionari comunisti di Mao Zedong. Le Nazioni Unite riconobbero ufficialmente il governo di Pechino come legittima autorità governativa della Cina nel 1971, e gli Stati Uniti stabilirono relazioni diplomatiche con la terraferma nel 1979. Quest’ultimo accordo seguì il riconoscimento da parte di Washington del principio «Una sola Cina» e l’annullamento del riconoscimento della sovranità taiwanese.
Come riportato da Renovatio 21, tre settimane fa la Cina comunista ha concluso l’ultima esercitazione militare (chiamata Joint Sword 2024A) per la conquista di Formosa.
Sinora, lo status quo nella questione tra Pechino e Taipei è stato assicurato dal cosiddetto «scudo dei microchip» di cui gode Taiwano, ossia la deterrenza di questa produzione industriale rispetto agli appetiti cinesi, che ancora non hanno capito come replicare le capacità tecnologiche di Taipei.
La Cina, tuttavia, sta da tempo accelerando per arrivare all’autonomia tecnologica sui semiconduttori, così da dissolvere una volta per tutte lo scudo dei microchip taiwanese. La collaborazione tra Taiwan e UE riguardo ai microchip, nonostante la volontà espressa da Bruxelles, non è mai davvero decollata.
Come riportato da Renovatio 21, durante il suo discorso per la celebrazione del centenario del Partito Comunista Cinese nel 2021 lo Xi, mostrandosi in un’inconfondibile camicia à la Mao, parlò della riunificazione con Taipei come fase di un «rinnovamento nazionale» e della prontezza della Cina a «schiacciare la testa» di chi proverà ad intimidirla.
Alcuni mesi fa il presidente cinese Xi Jinping ha dichiarato che la riunificazione di Taiwan e della Cina continentale è una «inevitabilità storica», mentre a novembre il Chen Binhua, appena nominato nuovo portavoce dell’Ufficio per gli affari di Taiwano del Consiglio di Stato cinese, aveva avvertito che «l’indipendenza di Taiwan significa guerra».
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Oggi come allora, il Paese è un punto di tensione internazionale, tra le aperte minacce di invasione da parte della Repubblica Popolare Cinese e le manovre della flotta militare americana nell’area.
Come riportato da Renovatio 21, la tensione nella regione era salita quando a inizio anno il cacciatorpediniere lanciamissili USS John Finn della 7ª flotta USA ha annunciato il transito da sud a nord dello Stretto di Taiwano.
Taipei aveva vissuto una enigmatica falsa emergenza invasione, propalato dai media, pochi mesi fa.
Nel frattempo, come visto in settimana a seguito dell’insediamento del nuovo governo di Taipei, nel Parlamento taiwanese sono botte ed episodi di rugby legislativo.
Come riportato da Renovatio 21, il colosso del microchip TSMC ha dichiarato l’anno scorso che la produzione dei microchip si arresterebbe in caso di invasione cinese di Formosa.
In uno sviluppo recente, l’azienda olandese ASML, che vende a TSMC immense macchine di ultra-precisione a tecnologia ultravioletta per la produzione di chip, ha affermato di essere in grado di fermarle in caso di invasione da parte della Cina comunista.
I microchip taiwanesi sono un argomento centrale nella attuale tensione tra Washington e Pechino, che qualcuno sta definendo come una vera guerra economica mossa dall’amministrazione Biden contro il Dragone, che riprendono politiche della precedente amministrazione Trump.
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Immagine di Wang Yu Ching / Office of the President via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
Cina
Xi Jinping in Vietnam: firmati quasi 40 accordi contro i dazi USA

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Cina
Cina, altra Pasqua agli arresti per mons. Shao

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Anche quest’anno il presule che si rifiuta di aderire all’Associazione patriottica è stato portato via alla vigilia della Settimana Santa. Già a Natale aveva subito gravi ritorsioni per la celebrazione con cui aveva inaugurato il Giubileo nella diocesi dello Zhejiang che per le autorità di Pechino è guidata da un sacerdote «fedele» al Partito.
L’hanno arrestato anche quest’anno. Alla vigilia della Settimana Santa, nella provincia cinese dello Zhejiang, è arrivato l’arresto di mons. Pietro Shao Zhumin, 61 anni, vescovo sotterraneo di Wenzhou.
Il presule, insieme al suo più stretto collaboratore padre Jiang Xu Nian, sono stati nuovamente prelevati ieri pomeriggio dalle autorità dell’Ufficio per la Sicurezza nazionale e non si sa dove si trovino. Il fatto è avvenuto poco più di un mese dall’ultimo episodio analogo avvenuto il 7 marzo, quando il vescovo Shao fu trattenuto per una settimana.
L’intento è sempre lo stesso: impedire al presule di presiedere le imminenti celebrazioni liturgiche solenni della Settimana Santa a Wenzhou dove oltre a mons. Shao anche numerosi sacerdoti si rifiutano di registrarsi agli organismi «ufficiali» dei cattolici cinesi controllati dall’Associazione patriottica.
Anche a Natale le autorità locali avevano reagito duramente alla celebrazione con cui mons. Shao aveva aperto il Giubileo nella diocesi di Wenzhou, alla quale avevano partecipato 200 fedeli. Negli ultimi anni, agenti in borghese dell’Ufficio per gli Affari religiosi e dell’Ufficio per la Sicurezza nazionale, hanno spesso visitato le chiese di domenica e nei giorni feriali per indagare, proibire ai sacerdoti non registrati di celebrare la Messa e vietare a bambini e adolescenti di entrare nelle chiese.
Mons. Shao fu nominato nel 2007 da Benedetto XVI come vescovo coadiutore per succedere a mons. Vincenzo Zhu Wei-Fang, che è poi morto nel settembre 2016. Per il suo rifiuto di aderire all’Associazione patriottica le autorità considerano la sede «vacante» e sostengono come guida della locale comunità cattolica p. Ma Xianshi, un sacerdote «patriottico».
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Immagine da AsiaNews
Cina
Pechino: nuovi divieti sulle attività religiose degli stranieri

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