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Cina

Il blocco del silicio contro la Cina è un atto di guerra economica USA

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L’attuale politica commerciale di Washington contro la Cina sarebbe assimilabile ad un atto di guerra economica. Lo scrive il New York Times Magazine nell’articolo «“An Act of War”: Inside America’s Silicon Blockade Against China» («”Un atto di guerra”: all’interno del blocco del silicio americano contro la Cina»).

 

«Il governo degli Stati Uniti ha annunciato la sua intenzione di paralizzare la capacità della Cina di produrre, o addirittura acquistare, i chip di fascia più alta» scrive la prestigiosa rivista di Nuova York.

 

La guerra dei chip «prende di mira un obiettivo molto più ampio dello Stato di sicurezza cinese».

 

«La chiave qui è capire che gli Stati Uniti volevano avere un impatto sull’industria cinese dell’IA. La roba dei semiconduttori è il mezzo per raggiungere questo scopo» dice, citato da NYT Magazine Gregory Allen del Centro per gli studi strategici e internazionali (CSIS).

 

«Anche se consegnati nella forma senza pretese di regole di esportazione aggiornate, i controlli del 7 ottobre cercano essenzialmente di sradicare, radicare e ramificarsi, l’intero ecosistema cinese di tecnologia avanzata» aggiunge il giornale, che cita quindi ancora Allen: «la nuova politica incarnata nel 7 ottobre è: non solo non permetteremo alla Cina di progredire ulteriormente tecnologicamente, ma invertiremo attivamente il loro attuale stato dell’arte».

 

«Se i controlli avranno successo, potrebbero ostacolare la Cina per una generazione; se falliscono, potrebbero ritorcersi contro in modo spettacolare, accelerando proprio il futuro che gli Stati Uniti stanno cercando disperatamente di evitare. Il risultato probabilmente plasmerà la competizione USA-Cina e il futuro dell’ordine globale, per i decenni a venire» sostiene il Times.

 

«Abbiamo detto che ci sono aree tecnologiche chiave in cui la Cina non dovrebbe avanzare», afferma Emily Kilcrease, membro anziano del Center for a New American Security ed ex funzionario commerciale statunitense, «e quelle sono le aree che alimenteranno la futura crescita economica e lo sviluppo».

 

Tre aziende, tutte situate negli Stati Uniti, dominano il mercato del software per la progettazione di chip, che viene utilizzato per organizzare i miliardi di transistor che si adattano a un nuovo chip.

 

Il mercato degli strumenti avanzati per la produzione di chip è altrettanto concentrato, con una manciata di aziende in grado di rivendicare effettivi monopoli su macchine o processi essenziali, e quasi tutte queste aziende sono americane o dipendono da componenti americani.

 

Ad ogni passo, la catena di approvvigionamento attraversa gli Stati Uniti, gli alleati del Trattato degli Stati Uniti o Taiwan, tutti operanti in un ecosistema dominato dagli Stati Uniti.

 

L’attacco di Trump del maggio 2020 a Huawei viene indicato come l’inizio di questa guerra, «rendendo Huawei soggetta a una disposizione precedentemente oscura della legge sul controllo delle esportazioni chiamata regola del prodotto straniero diretto. Ai sensi del FDPR, gli articoli fabbricati all’estero sono soggetti a controlli americani se sono stati prodotti utilizzando tecnologia o software americani».

 

«È un’affermazione radicale di potere extraterritoriale: anche se un articolo viene realizzato e spedito al di fuori degli Stati Uniti, mai una volta attraversando i confini del paese, e non contiene componenti o tecnologia di origine statunitense nel prodotto finale, può comunque essere considerato un prodotto americano».

 

«Dopo il 7 ottobre, le persone statunitensi non sono più autorizzate a intraprendere alcuna attività che supporti la produzione di semiconduttori avanzati in Cina, sia mantenendo o riparando apparecchiature in una fabbrica cinese, offrendo consulenza o persino autorizzando consegne a un produttore cinese di semiconduttori».

 

Alla fine di gennaio, l’amministrazione Biden ha raggiunto un accordo con Giappone e Paesi Bassi, in base al quale avrebbero implementato controlli simili sui semiconduttori o sulle apparecchiature per la produzione di semiconduttori, un accordo che Taiwan, l’altro grande produttore di chip con Giappone e Paesi Bassi, aveva già accettato.

 

Il Times ammette che la Cina è ora costretta a far progredire in modo massiccio le proprie capacità interne, che è quello che, in effetti, sta facendo.

 

«Se un’ampia quota dei 400 miliardi di dollari di importazioni annuali di chip della Cina dovesse essere destinata all’interno, le società di chip nazionali potrebbero finalmente avere i mezzi e la motivazione per recuperare il ritardo (…) Huawei rimane uno dei maggiori investitori al mondo in ricerca e sviluppo, con un budget di circa 24 miliardi di dollari l’anno scorso e un gruppo di ricerca di oltre 100.000 dipendenti».

 

Le crescenti capacità di ricerca tecnologica della Repubblica Popolare sono al centro di uno studio di un think tank australiano di pochi mesi fa che parlava di «incredibile superiorità tecnologica della Cina nell’R&D».

 

Finora, lo status quo nella regione è stato assicurato dal cosiddetto «scudo dei microchip» di cui gode Taiwan, ossia la deterrenza di questa produzione industriale rispetto agli appetiti cinesi, che ancora non hanno capito come replicare le capacità tecnologiche di Taipei.

 

Tuttavia, la guerra in Europa Orientale, facendo mancare materie prime necessarie alla produzione di chip come palladio e neon (che provengono da Russia e Ucraina), potrebbe mettere in discussione tale scudo.

 

La Cina, tuttavia, sta da tempo accelerando per arrivare all’autonomia tecnologica sui semiconduttori, così da dissolvere una volta per tutte lo scudo dei microchip taiwanese.

 

 

 

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Cina

La Cina accusa: la NATO trae profitto dal conflitto in Ucraina

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I Paesi della NATO stanno traendo profitto dal conflitto in Ucraina, ha dichiarato giovedì ai giornalisti il ​​portavoce del ministero della Difesa cinese Zhang Xiaogang.

 

A Zhang è stato chiesto di commentare la dichiarazione adottata all’inizio di questo mese in un summit della NATO a Washington, che ha etichettato Pechino come «un decisivo facilitatore della guerra della Russia contro l’Ucraina», liquidando il documento come «pieno di bugie e pregiudizi».

 

«Gli alleati della NATO guidati dagli USA continuano ad alimentare il fuoco e a trarre profitto dalla guerra. La NATO deve riflettere su se stessa, invece di scaricare la colpa sulla Cina», ha detto il Zhang, che ha continuato accusando il blocco atlantico di istigare conflitti in tutto il mondo.

 

«Dall’Ucraina all’Afghanistan, dall’Iraq alla Libia, ha portato guerra e disastri in queste regioni e nei loro popoli», ha affermato il Zhango, ribadendo che Pechino «promuove attivamente i colloqui di pace» tra Mosca e Kiev.

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Pechino ha ripetutamente respinto le accuse secondo cui sta aiutando Mosca a eludere le sanzioni e sta aiutando l’industria della difesa russa. Nel febbraio 2023, la Cina ha proposto una tabella di marcia in 12 punti per la pace e da allora ha compiuto sforzi per mediare il conflitto durante i successivi incontri con funzionari russi e ucraini.

 

La Russia ha citato la continua espansione della NATO verso est e la sua cooperazione militare con Kiev come una delle cause profonde del conflitto. Il presidente russo Vladimir Putin ha sottolineato che l’Ucraina deve diventare un paese neutrale e abbandonare il suo piano di entrare nella NATO affinché qualsiasi potenziale negoziato di pace abbia successo.

 

Il Cremlino ha anche affermato che «inondare» l’Ucraina di armi occidentali porterà solo a un’ulteriore escalation, ma alla fine non fermerà l’esercito russo.

 

Già poche settimane fa il portavoce del Ministero degli Esteri cinese Lin Jian aveva ribadito che NATO è una minaccia per la pace e la stabilità globali a causa della sua «radicata mentalità da Guerra Fredda e dei suoi pregiudizi ideologici», affermando che la NATO è un «prodotto della Guerra Fredda e la più grande alleanza militare del mondo».

 

Nonostante sostenga  di essere un’organizzazione regionale e difensiva, il blocco ha continuato a «espandere il suo potere oltre i confini, sfondare le zone di difesa e provocare scontri», aveva quindi aggiunto il Lin in un incontro con la stampa.

 

Come riportato da Renovatio 21, la NATO per bocca del suo segretario Jens Stoltenberg aveva dichiarato la Cina come il futuro nemico principale dell’Alleanza Atlantica in quanto minaccia alla sua sicurezza e ai suoi valori, qualsiasi cosa queste parole significhino.

 

La Cina ha ricambiato attaccando apertis verbis la NATO come fonte delle tensioni in Kosovo e mostrando insofferenza per l’inclusione di Giappone e Corea del Sud nella Difesa Cibernetica NATO.

 

Come riportato da Renovatio 21, la Cina di recente ha attaccato anche il G7, trasformato, secondo il portavoce degli Esteri cinesi Lin, in uno strumento dell’egemonia globale USA.

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Cina

Pechino dà più autonomia fiscale agli enti locali in piena crisi finanziaria

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.   Tra le decisioni adottate del terzo Plenum del Partito tenutosi nei giorni scorsi, il via libera a una «maggiore capacità fiscale autonoma» per far fronte al pesante squilibrio tra entrate e uscite. Su prefetture e contee gravano debiti ingenti che l’esplosione della bolla immobiliare in Cina ha reso ancora più insostenibili. Intanto la Banca centrale ha ritoccato nuovamente al ribasso i tassi per stimolare la crescita al di sotto delle attese.   Di fronte all’ammontare del debito delle amministrazioni locali in Cina – che secondi i dati ufficiali (da molti analisti indipendenti ritenuti addirittura sottostimati) ammonta a ben 5.600 miliardi dollari – il Partito Comunista Cinese intende dare più poteri ai governi locali nell’imposizione e nella gestione delle entrate fiscali.   È la decisone più significativa che compare tra le risoluzioni adottate dall’atteso terzo Plenum del Comitato centrale del Partito comunista cinese, tenutosi la scorsa settimana e ce aveva al centro proprio il rallentamento della crescita economica cinese che continua anche ormai finita la fase della pandemia.   Nelle oltre quaranta pagine del comunicato pubblicato domenica 21 luglio dall’agenzia statale Xinhua – nel quadro di una «chiara divisione delle responsabilità», si dice verrà concessa ai governi locali una maggiore «capacità fiscale autonoma», consentendo loro di aumentare le fonti fiscali e di espandere «in modo appropriato» la loro autorità di gestione in materia di tasse.

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La crisi finanziaria degli enti locali è uno dei problemi principali che gravano oggi sull’economia cinese. Da questi enti dipendono i servizi pubblici ai cittadini, come l’istruzione e la sanità, e dunque le loro difficoltà finanziarie possono portare a tagli che indirettamente riducono la capacità di spesa delle famiglie, rallentando così anche i consumi interni.   Da quando Pechino ha avviato le riforme del mercato, oltre quarant’anni fa, la tassazione e le riforme dei rapporti tra centro e territori sono state costantemente uno degli elementi più spinosi.   La riforma della ripartizione fiscale del 1994, lanciata dall’allora premier Zhu Rongji, ha alleviato il deficit di entrate del governo centrale, ma è stata accusata di aver causato l’aumento degli oneri per i governi locali. Di conseguenza, le amministrazioni locali si sono rivolte alla vendita all’asta dei diritti di utilizzo dei terreni per ottenere maggiori entrate. Ma l’esplosione della bolla immobiliare in questi ultimi anni gli si è ritorta contro.   Secondo i dati ufficiali del ministero delle Finanze, l’anno scorso le entrate fiscali dei governi locali hanno rappresentato il 54% del totale nazionale, a fronte di una spesa che è pari all’86% del totale. Uno squilibrio dovuto al rallentamento economico post-pandemia che ha aumentato le preoccupazioni per i rischi di stabilità finanziaria delle oltre 300 prefetture e delle circa 3.000 contee della Cina, alcune delle quali si trovano impantanate in un debito gravoso.   In questo quadro il Plenum del Partito ha deciso di istituire un «meccanismo a lungo termine» per disinnescare il rischio di debito nascosto e un’espansione «ragionevole» del denaro raccolto attraverso obbligazioni speciali emesse dai governi locali. Tra le misure in cantiere figurano anche l’aumento dei trasferimenti generali dal governo centrale alle autorità locali, il passaggio della riscossione dell’imposta sui consumi ai governi locali e il miglioramento della ripartizione delle entrate fiscali condivise, come l’imposta sul valore aggiunto.   Nel frattempo oggi la banca centrale cinese ha nuovamente ritoccato oggi due tassi di interesse di riferimento che erano già ai minimi storici per il Paese, nel tentativo di rilanciare la crescita economica che resta al di sotto del 5% indicato come obiettivo.   Il tasso prime sui prestiti a un anno, che costituisce il parametro di riferimento per i tassi più vantaggiosi che le banche possono offrire a imprese e famiglie, è stato ridotto dal 3,45% al 3,35%, dopo essere stato abbassato l’ultima volta in agosto.   Il tasso a cinque anni, il parametro di riferimento per i prestiti ipotecari, è stato ridotto dal 3,95% al 3,85%, dopo la riduzione di febbraio.   Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne. Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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Immagine di edward stojakovic via Flickr pubblicata su licenza CC BY 2.0  
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Cina

Test di gravidanza obbligatori nelle aziende cinesi

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Più di una dozzina di aziende in Cina sono state citate in giudizio per aver presumibilmente obbligato le candidate a sottoporsi a test di gravidanza, un’azione illegale secondo la legge cinese, ha riferito lunedì il Procuratorate Daily, un organo di informazione ufficiale del Paese.

 

Secondo il rapporto, la procura distrettuale di Tongzhou a Nantong, nella provincia orientale di Jiangsu, ha avviato un’indagine sulla questione a gennaio, dopo aver ricevuto la segnalazione da un gruppo locale di volontari dell’assistenza pubblica.

 

Dopo aver esaminato i registri di due importanti ospedali pubblici e di un centro di esami medici, gli investigatori hanno scoperto che 168 donne in cerca di lavoro presso 16 diverse aziende avevano effettuato test di gravidanza come parte dei loro controlli sanitari pre-assunzione. Hanno anche affermato che i registri di reclutamento e assicurazione del personale delle aziende indicavano che alle donne era stato chiesto di effettuare questi test, sebbene nella maggior parte dei casi le richieste non facessero parte dei requisiti ufficialmente documentati, ma fossero fornite verbalmente durante i colloqui di lavoro.

 

Il motivo addotto dai potenziali datori di lavoro per questa pratica e la loro riluttanza ad assumere donne incinte era l’indennità di maternità eccessivamente elevata che avrebbero dovuto versare dopo che la nuova dipendente avesse iniziato il congedo di maternità.

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L’indagine ha rivelato che almeno una donna che è stata trovata incinta al momento del controllo sanitario non è stata assunta. In seguito all’indagine, i procuratori hanno intentato una causa ufficiale contro le aziende, affermando che la pratica «aveva violato i diritti delle donne alle pari opportunità di lavoro».

 

Il rapporto non ha nominato nessuna delle aziende citate in giudizio, né ha detto se qualcuna di loro abbia affrontato misure punitive per le proprie azioni. Secondo la legge cinese, le aziende che violano le normative sulla parità di genere possono essere multate fino a 50.000 yuan (6.330 euro circa).

 

Il rapporto ha tuttavia rilevato che a quattro delle 16 aziende indagate era stato ordinato ufficialmente di rettificare le violazioni, mentre alle tre istituzioni mediche collegate al caso era stato «raccomandato» di rifiutarsi di includere test di gravidanza negli esami sanitari pre-assunzione quando richiesto dai potenziali datori di lavoro.

 

La donna che non era stata assunta dopo essere risultata positiva alla gravidanza ha poi ottenuto il lavoro e le è stato offerto un compenso.

 

La legge cinese proibisce ai datori di lavoro di includere test di gravidanza nei controlli fisici pre-assunzione, insieme ad altre forme di discriminazione di genere, come chiedere alle candidate donne informazioni sul loro stato civile o sui piani di avere figli.

 

Tuttavia, secondo una ricerca condotta lo scorso anno dall’Inspection Squad for Workplace Gender Discrimination watchdog, i candidati uomini hanno ancora un vantaggio sulle donne in alcuni ambiti, compresi i lavori governativi.

 

La ricerca ha scoperto che su quasi 40.000 lavori nel servizio civile nazionale, 10.981 erano contrassegnati come riservati agli uomini rispetto ai 7.550 riservati alle donne.

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