Geopolitica
L’opposizione ucraina all’UE: a Kiev «repressione», «autoritarismo» e mancanza di «libertà di parola»
Il partito dell’ex presidente ucraino Petro Poroshenko ha lanciato un appello alla leadership dell’UE, chiedendo il «ripristino della libertà di parola» e del pluralismo politico nel paese, condannando «l’autoritarismo» di Kiev. Lo riporta il sito governativo russo Russia Today.
Le autorità ucraine hanno recentemente impedito all’ex presidente, che guida il partito Solidarietà Europea (che conta 27 deputati su un parlamento di 450 seggi), di lasciare l’Ucraina per partecipare alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco a causa di presunte minacce alla sua vita – che ha definito un «offesa alla democrazia».
All’inizio di questa settimana, Oliver Varhelyi, commissario UE per l’allargamento e la politica di vicinato, ha condiviso la lettera di Poroshenko, in cui l’ex presidente chiedeva a Bruxelles di fare pressione su Kiev affinché fermasse le sue pratiche «discriminatorie».
«Secondo la logica del governo, a danneggiare l’integrazione europea non sono le azioni dei funzionari che violano i diritti e le libertà degli ucraini, ma coloro che, ad esempio, chiedono la tutela dei diritti, ad esempio alla CEDU o ad altre istituzioni internazionali», ha affermato il partito in una dichiarazione pubblicata venerdì sul sito ufficiale, denunciando la reazione «emotiva e inadeguata» di Kiev alla lettera.
Il partito di opposizione ha lamentato «l’assolutismo» del governo, sostenendo che le autorità agiscono con «impunità» e sono «abituate al monologo e agli applausi» piuttosto che al dialogo, mentre reagiscono nervosamente alle critiche, riporta RT.
Secondo la dichiarazione, il governo ucraino rimane «sordo» nei confronti della società, il che si traduce in «molteplici errori», rendendo impossibile per l’opposizione rimanere in silenzio mentre «l’autoritarismo» si diffonde in Ucraina.
«Perché un Paese democratico ha bisogno di un’opposizione silenziosa?» ha affermato il partito, chiedendo «un dialogo aperto tra le autorità con la società e l’opposizione», l’eliminazione delle restrizioni sui viaggi internazionali per Poroshenko, così come «il ripristino della libertà di parola, il ripristino dei canali televisivi ucraini» e «il ritorno dei giornalisti nella sala delle riunioni del Parlamento e la trasmissione delle riunioni sul canale Rada», cioè della camera unica ucraina.
Il partito del Poroshenko ha inoltre insistito affinché le forze di sicurezza si astengano dall’esercitare pressioni «sui mass media, sulle imprese, sugli attivisti pubblici e sull’opposizione» e ha chiesto il ripristino del controllo parlamentare sul Gabinetto dei Ministri dell’Ucraina.
Poroshenko ha perso le elezioni del 2019 in maniera schiacciante contro l’attuale presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelenskyj, che aveva fatto campagna con la promessa di una pacificazione nel Donbass, solo per poi invertire la rotta di 180° e cercare il sostegno della NATO nel suo confronto con la Russia.
Come riportato da Renovatio 21, il Poroshenko, potente industriale cioccolataio, lo scorso giugno si era vantato in una intervista rivelatrice sul Corriere della Sera del suo ruolo nella ricostruzione dell’esercito del suo Paese sotto la copertura degli accordi di Minsk, che, almeno all’apparenza, servivano a riconciliare Kiev con Donbass e regioni orientali che si erano dissociate dal colpo di Stato di Maidan a Kiev nel 2014.
«Con gli accordi di Kiev abbiamo guadagnato tempo. Sapete quanti battaglioni avevo a Nord di Kiev quando sono diventato presidente? Zero. E il budget statale? Sotto zero. Ed i carri armati funzionanti? Una miseria», ha dichiarato l’ex presidente descrivendo lo stato dell’Ucraina nove anni fa in un’intervista al Corriere della Sera.
La versione di Poroshenko era già stata sostanzialmente confermata dagli ex presidenti tedesco e francese Angela Merkel e François Hollande, che avevano a poca distanza l’una dall’altro affermato pubblicamente che gli accordi avevano lo scopo di guadagnare tempo per Kiev.
Ricordiamo Poroshenko anche per un divertente video dei primi giorni del conflitto. Mentre era collegato con TV straniere, dove si mostrava armato e pronto al combattimento, ad un combattente dietro di lui, forse non preparatissimo, cascava il caricatore dal Kalashnikov, e quindi cercava di dissimulare l’imbarazzo, in una scenetta che pareva uscita da Una pallottola spuntata.
Poroshenko è stato tra coloro che hanno inizialmente detto che la storia del «fantasma di Kiev» (un asso dell’aviazione ucraina che avrebbe distrutto 10 e passa MiG russi nel giro di poche ore) corrispondeva a verità.
Come riportato da Renovatio 21, anche un’altra figura di spicco della politica ucraina, l’ex campione mondiale di pugilato ora sindaco di Kiev Vitalyj Klitschiko ha parlato di una svolta autoritaria nel governo attuale ucraino. Sull’ex pugile, fondatore del partito politico UDAR, in queste settimane piovono accuse su lussuose ville milionarie in Germania, Paese nel quale ha vissuto a lungo durante la sua carriera sportiva.
Nel 2020 si era candidata con il partito di Klitscho, di cui è stata consigliere, Marianna Budanova la moglie del capo del servizio segreto militare ucraino GUR Kyrylo Budanov, recentemente finita nelle cronache perché vittima di un avvelenamento. Il marito ha enigmaticamente dichiarato di sapere perfettamente chi è l’autore dell’attentato.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
Geopolitica
Missili Hezbollah contro basi israeliane
⚡️⭕️#LEBANON, Hezbollah :
The Israeli Meron air base and its surroundings are being subjected to the strongest targeting operation so far. Iron dome seems to be absent, rockets are landing and there are reports of precise targeting on the base (probably ATGMS). pic.twitter.com/EvnavJ6BZP — Middle East Observer (@ME_Observer_) April 27, 2024
⚡️ #Hezbollah statement :
In response to the #Israeli enemy’s attacks on the steadfast southern villages and civilian homes, especially the towns of Al-Qozah, Markaba, and Serbin, the Mujahideen of the Islamic Resistance bombed the Meron settlement and the surrounding… pic.twitter.com/om5HpMkXPQ — Middle East Observer (@ME_Observer_) April 27, 2024
Ieri l’aeronautica israeliana ha condotto una serie di attacchi aerei nei villaggi di Al-Quzah, Markaba e Sarbin, nel Libano meridionale, presumibilmente prendendo di mira le «infrastrutture terroristiche e militari» di Hezbollah. Venerdì l’IDF ha colpito anche diverse strutture a Kfarkela e Kfarchouba. Secondo quanto riferito, gli attacchi israeliani hanno ucciso almeno tre persone, tra cui due combattenti di Hezbollah. I media libanesi hanno riferito che altre 11 persone, tra cui cittadini siriani, sono rimaste ferite negli attacchi. Il gruppo armato sciita ha ripetutamente bombardato il suo vicino meridionale da quando è scoppiato il conflitto militare tra Israele e Hamas lo scorso ottobre. Anche la fondamentale base israeliana di sorveglianza aerea sul Monte Meron è stata attaccata in diverse occasioni. Hezbollah aveva precedentemente descritto la base come «l’unico centro amministrativo, di monitoraggio e di controllo aereo nel nord dell’entità usurpatrice [Israele]», senza il quale Israele non ha «alcuna alternativa praticabile».🔴 And then Hezbollah rockets hit Israel pic.twitter.com/bm0Fsrna6A
— S p r i n t e r F a c t o r y (@Sprinterfactory) April 27, 2024
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Geopolitica
Hamas deporrà le armi se uno Stato di Palestina verrà riconosciuto in una soluzione a due Stati
Il funzionario di Hamas Khalil al-Hayya ha dichiarato il 24 aprile che Hamas deporrà le armi se ci fosse uno Stato palestinese in una soluzione a due Stati al conflitto.
In un’intervista di ieri con l’agenzia Associated Press, al-Hayya ha detto che sono disposti ad accettare una tregua di cinque anni o più con Israele e che Hamas si convertirebbe in un partito politico, se si creasse uno Stato palestinese indipendente «in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza e vi fosse un ritorno dei profughi palestinesi in conformità con le risoluzioni internazionali».
Al-Hayya è considerato un funzionario di alto rango di Hamas e ha rappresentato Hamas nei negoziati per il cessate il fuoco e lo scambio di ostaggi.
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Nonostante l’importanza di una simile concessione da parte di Hamas, si ritiene improbabile che Israele prenda in considerazione uno scenario del genere, almeno sotto l’attuale governo del primo ministro Benajmin Netanyahu.
Al-Hayya ha dichiarato ad AP che Hamas vuole unirsi all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, guidata dalla fazione rivale di Fatah, per formare un governo unificato per Gaza e la Cisgiordania, spiegando che Hamas accetterebbe «uno Stato palestinese pienamente sovrano in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza e il ritorno dei profughi palestinesi in conformità con le risoluzioni internazionali», lungo i confini di Israele pre-1967.
L’ala militare del gruppo, quindi si scioglierebbe.
«Tutte le esperienze delle persone che hanno combattuto contro gli occupanti, quando sono diventate indipendenti e hanno ottenuto i loro diritti e il loro Stato, cosa hanno fatto queste forze? Si sono trasformati in partiti politici e le loro forze combattenti in difesa si sono trasformate nell’esercito nazionale».
Il funzionario di Hamas ha anche detto che un’offensiva a Rafah non riuscirebbe a distruggere Hamas, sottolineando che le forze israeliane «non hanno distrutto più del 20% delle capacità [di Hamas], né umane né sul campo. Se non riescono a sconfiggere [Hamas], qual è la soluzione? La soluzione è andare al consenso».
Per il resto ha confermato che Hamas non si tirerà indietro rispetto alle sue richieste di cessate il fuoco permanente e di ritiro completo delle truppe israeliane.
«Se non abbiamo la certezza che la guerra finirà, perché dovrei consegnare i prigionieri?» ha detto il leader di Hamas riguardo ai restanti ostaggi nelle mani degli islamisti palestinesi.
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«Rifiutiamo categoricamente qualsiasi presenza non palestinese a Gaza, sia in mare che via terra, e tratteremo qualsiasi forza militare presente in questi luoghi, israeliana o meno… come una potenza occupante», ha continuato
Hamas e l’OLP hanno discusso in varie capitali, tra cui Mosca, nel tentativo di raggiungere l’unità, scrive EIRN. Non è noto quale sia lo stato di questi colloqui.
L’intervista di AP è stata registrata a Istanbul, dove Al-Hayya e altri leader di Hamas si sono uniti al leader politico di Hamas Ismail Haniyeh, che ha incontrato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan il 20 aprile. Non c’è stata alcuna reazione immediata da parte di Israele o dell’autore palestinese.
Nel mondo alcune voci filo-israeliane hanno detto che le parole del funzionario di Hamas sarebbero un bluff.
Come riportato da Renovatio 21, in molti negli ultimi mesi hanno ricordato che ai suoi inizi Hamas è stata protetta e nutrita da Israele e in particolare da Netanyahu proprio come antidoto alla prospettiva della soluzione a due Stati.
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Immagine di Al Jazeera English via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic
Geopolitica
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