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Epidemie

Cos’è questa nuova influenza che sta attaccando i nostri figli?

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In pratica me lo ha ripetuto anche il fattorino che mi ha portato il pacco ieri.

 

Gli avevo detto che mi dispiaceva se non c’ero stato al mattino, quando era passato, ma del resto avevo la bambina ammalata. L’uomo, che dall’aspetto e dalla parlata avrei detto maghrebino, mi ha risposto che capiva benissimo, perché anche a lui era capitato.

 

«Due settimane di influenza, prima una settimana intera di febbre alta di un bambino, poi la settimana dopo stessa cosa con l’altro» ha esclamato con accento forte.

 

È la stessa medesima storia che sto sentendo ovunque. Febbre alta, 39°C, financo ai limiti del 40°C. Invece che durare quei tre giorni scarsi, con il saliscendi che ben conosciamo, temperature e sintomi (tosse forte, mal di gola) rimangono tenaci a lungo, fino preoccupare i genitori. Poi, dopo circa sette giorni o perfino qualcosa di più, il male sparisce, anche se il bambino è lasciato un po’ pallido e indebolito – ma niente di che.

 

L’idea che ci sia in giro questa influenza nuova, durevole e coriacea, è rafforzata dal fatto che vi sono classi delle elementari dimezzate (o più che), attività sportive che addirittura stanno saltando le lezioni perché i bambini non sono abbastanza per l’allenamento.

 

Poi, l’altro fatto enigmatico: il contagio sembra, come dire, rallentato. L’influenza ha di solito un’incubazione breve, 1 o 2 giorni. Qui invece si sentono storie di fratellini (o mamme, papà, nonne, etc.) che si ammalano dopo circa una settimana che si è ammalato il primo.

 

Quanto scrivo sopra è pura osservazione personale. Aneddotica, o neanche quello. Del resto, mica ci sono alternative: nessuno, davvero nessuno sta cercando di raccontare cosa sta succedendo.

 

Da niuna parte qualcuno sta cercando di fare mezza spiegazione: cos’è questa influenza di quest’anno, così atipica per resistenza, intensità, durata? Cos’è questa cosa dei contagi lenti?

 

I virologi e i ministri non sembrano interessati alla cosa. Quindi, potrebbero far spallucce e dire che sono solo idee campate in aria, magari qualche statistica disposta a spiegarlo pure si trova. Anche se qualcuno si è già fatto scappare che l’influenza quest’anno è arrivata con un mese di anticipo. Bizzarro. Tuttavia, si raccomanda l’esperto, mascherina in classe: «potrebbe aiutare e proteggersi dal contagio, come abbiamo già visto con il COVID».

 

Agli esperti chiediamo: scusate, e quelli che avevano fatto la vaccinazione influenzare? Era già uscita l’edizione per il ceppo 2022, no? L’assessore al Welfare della Regione Lombardia Guido Bertolaso ha presentato proprio oggi uno spot per la campagna di vaccinazione antinfluenzale, con testimonial (purtroppo) il genio del panettone Iginio Massari.

 

Quindi vuol dire che le 1,4 milioni di dosi somministrate tra il 12 ottobre e il 13 novembre di un siero che impedirà alle persone di prendere il malanno che sta flagellando le nostre famiglie? Il ceppo su cui è tarata la siringa è quello giusto?

 

Scusate, so bene che sono domande sciocche. Del resto, leggiamo su Repubblica di un medico di famiglia, segretario di un’associazione di categoria, che dichiara tranquillo che «il virus dell’influenza tende a colpire di più chi non si è vaccinato». Eh sì: «Chi ha fatto la vaccinazione anti influenzale negli anni passati, in un certo modo mantiene una memoria immunitaria, ha un patrimonio anticorpale. Chi invece in passato non si è vaccinato, e al contempo non ha contratto l’influenza grazie all’utilizzo della mascherina, è scoperto dal punto di vista immunitario».

 

Capito? I vaccini antinfluenzali stagionali passati aiutano, perché c’è una memoria immunitaria, «in un certo modo». Non sappiamo dire, noi inesperti, se chi si è beccato l’influenza tutti gli anni invece questa «memoria immunitaria» l’abbia o meno. Del resto abbiamo visto l’OMS cambiare i testi del suo sito, per cui l’immunità di gregge avverrebbe solo grazie alla vaccinazione della popolazione, mica per la presenza di anticorpi, naturali o meno che siano.

 

Vabbè, ma del resto, cosa stiamo a perdere tempo co’questi?

 

Nessuno, dico nessuno, ha delle risposte da dare. Questo dai virologi dovremmo averlo imparato. In teoria.

 

Ricordate, per esempio, la sparizione dell’influenza nel 2020? In pratica, c’era COVID dappertutto, casi di influenza, invece, pochissimi. Il problema è che sembra proprio non sia una distorsione pubblicitario/statistica con cui ci hanno narcotizzato in pandemia: una farmacista quest’anno me lo ha confermato, dicendo che ha visto per l’annata COVID un crollo di vendite di sciroppi e prodotti affini.

 

In pratica, il COVID scacciava il virus influenzale? Virus che si sostituiscono? Possibile?

 

Beh, anche qui, è dura trovare un virologo che abbia voglia di parlarne. A dire il vero, uno celo. Florian Krammer, professore di vaccinologia presso il Dipartimento di Microbiologia della Icahn School of Medicine del Mount Sinai Hospital (prestigioso ospedale di Nuova York) e condirettore del Center for Vaccine Research and Pandemic Preparedness si è lasciato andare ad una ammissione sincera sul New York Times.

 

«Gli scienziati hanno ‌osservato in passate pandemie che un nuovo virus può ‌‌influenzare la circolazione di quelli esistenti. Un esempio è il virus dell’influenza. Durante le ultime tre pandemie influenzali, nel 1957, 1968 e‌ 2009, i virus dell’influenza A che erano nuovi per l’uomo hanno sostituito alcuni dei virus influenzali che circolavano già all’epoca, provocando l’estinzione di alcuni dei virus più vecchi» spiega il dottor Krammer.

 

Tuttavia, ammette il vaccinologo, «gli scienziati non comprendono appieno perché ciò accada». Scusate, è il caso di ripeterlo: «gli scienziati non comprendono appieno perché ciò accada». Rileggete.

 

Ecco, sarebbe da andare in cerca del dottor Krammer per stringerli la mano, anche senza guanti, anche se nella frase dopo dice che la colpa potrebbe essere del cambiamento del comportamento delle persone, qualsiasi cosa voglia significare.

 

«Sebbene sia difficile prevedere esattamente cosa accadrà questo inverno, probabilmente ci saranno molte persone che si ammaleranno di virus respiratori. I bambini potrebbero contrarre più malattie per i prossimi uno o due anni, prima che le cose si stabilizzino in un ritmo più regolare». Insomma anche il superprofessore ipervaccinista alza bandiera bianca. Certo non perdendo occasione, da buon virologo, di cassandrare un bel futuro tetro per i bimbi nei prossimi mesi. On connait la chanson.

 

Insomma, c’è un’influenza nuova, o almeno sembra così a tutte le famiglie che conosco. Fermiamo pure i pensieri che ci porterebbero a pensare ad altri esperimenti Gain of Function, perché a Wuhano (o in Ucraina, o a Boston, o a Londra, o ovunque) si annoiavano. L’idea che i virus escono dai laboratori, nonostante i progressi, dobbiamo dire che ancora deve rimanere proibita. No?

 

Il fatto è che non hanno nemmeno provato a iniziare a raccontarci cosa è, anche se in alcuni casi sembrerebbe proprio che i sintomi possono essere più duri di quelli del COVID: il bambino che magari con il COVID ha tossicchiato qualche giorno con 37,5°C, ora ci ha 39,5°C costanti e dei rombi tonitruanti che salgono su violenti per la gola.

 

Bertolaso l’ha ammesso: «L’influenza al momento ci preoccupa più del COVID». Ha ragione. Del resto, ci ricordiamo bene le campagne terroristiche degli anni scorsi sulle decine di migliaia di morti mietuti dal virus influenzale. Ci ricordiamo anche, a dire il vero, qualche storia di persone rimaste danneggiate totalmente, di lotti ritirati… col morto.

 

Resta questa sensazione beffarda di abbandono: nessuno sa cosa stia succedendo. Dobbiamo dire, che, in fondo, la cosa può dare compiacimento: in un mondo dove sembrava che sapessero tutto, e ti davano ordini di conseguenza (anche se nemmeno sapevano se il vaccino era testato per fermare il contagio) questo momento di vuoto, con il fischiettamento di dottori e politici che si ode lontano, fornisce come un singolo raggio di una luce che avevamo dimenticato.

Ecco, riassaporate la libertà di ammalarvi senza che ne dipenda il vostro lavoro, il vostro sostentamento, la libertà di esprimervi e di deambulare e di riunirvi, e il rapporto con parenti e conoscenti e con la massa vaccina tutta, certo compresa della notoria «casta degli stronzi» ( © 2020 Renovatio 21).

 

Fatelo subito, però. Perché potrebbe durare poco.

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

 

 

 

Epidemie

Il CDC: gli ucraini portano infezioni antibiotico-resistenti in Europa occidentale

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Secondo un recente documento dei Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC), i soldati ucraini feriti e i civili in fuga stanno trasportando nuovi ceppi di batteri resistenti agli antibiotici nell’Europa occidentale. Anche prima dello scoppio del conflitto, gli scienziati avevano avvertito dell’incapacità dell’Ucraina di monitorare e limitare la diffusione di queste infezioni.

 

Il rapporto del CDC, pubblicato il mese scorso, rilevava che sei diverse infezioni resistenti agli antibiotici erano state trovate nel corpo di un soldato ucraino ferito in un ospedale militare in Germania. Il soldato ha riportato gravi ustioni nell’incendio di un veicolo ed è stato trasportato negli ospedali di Dnipropetrovsk e Kiev prima della sua evacuazione in Germania.

 

Ricercatori tedeschi hanno scoperto che alcune di queste infezioni erano state riscontrate nelle ferite degli ucraini che combattevano nelle regioni del Donbass dal 2014 e probabilmente si erano sviluppate negli ospedali ucraini.

 

«Di conseguenza, le reti sanitarie in Europa ora considerano il ricovero ospedaliero in Ucraina un fattore di rischio critico» per i cosiddetti organismi multiresistenti, avverte il documento.

 

Queste infezioni, che circolano in Ucraina da quasi un decennio, vengono trasportate anche nell’Europa occidentale da rifugiati civili, ha riferito lunedì il Financial Times, citando numerosi articoli scientifici.

 

Monitorare e affrontare le infezioni resistenti ai farmaci rappresenta una sfida anche per i sistemi sanitari più sviluppati, con il Financial Times che osserva che un «prestigioso ospedale di New York» prescrive antibiotici senza effettuare test sufficienti e non smaltisce le pillole inutilizzate – entrambi i fattori nella diffusione di questi organismi.

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Non tutti i governi hanno piani adeguati per rispondere alle epidemie di infezioni resistenti ai farmaci. Una recente analisi di 114 paesi ha valutato questi piani su una scala da 0 a 100, assegnando all’Ucraina un punteggio di 29, rispetto a 45 e 54 rispettivamente per le vicine Polonia e Russia.

 

L’analisi è stata condotta nel 2021 e il successivo conflitto ha probabilmente abbassato ulteriormente il punteggio dell’Ucraina, scrive RT.

 

Il Financial Times osserva che le diffuse ferite da combattimento, la prescrizione indiscriminata di antibiotici e i danni alle infrastrutture ospedaliere facilitano la diffusione della malattia.

 

Renovatio 21 ci tiene a ricordare, en passant, quando nel marzo 2022, allo scoppiare della guerra, il governo Draghi permise ai quasi 50 mila profughi ucraini allora giunti in Italia di circolare senza super green pass, che era invece inflitto a tutti i cittadini contribuenti italiani.

 

«Per i quasi 50 mila ucraini arrivati non c’è obbligo di super green pass» scriveva il quotidiano La Verità. «Abbiamo visto profughi alloggiati in hotel, che affermavano di non essere vaccinati e di non avere il super green pass».

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La CIA e Wuhan: una storia tutta da scrivere

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La settimana scorsa al Congresso degli Stati Uniti è apparso un rapporto secondo cui il plenipotenziario pandemico dottor Anthony Fauci sarebbe stato introdotto di nascosto nel quartier generale della CIA «senza una registrazione di ingresso» dove avrebbe «partecipato all’analisi per» influenzare «l’indagine sul COVID-19 dell’Agenzia».   Affermazioni simili sono state fatte in passato da Andrew Huff, un ex scienziato di EcoHealth Alliance – la ONG che finanziava gli esperimenti genetici all’Istituto di Virologia di Wuhan – che ha parlato in passato presunti collegamenti della CIA con EcoHealth e con il COVID-19.   EcoHealth aveva ricevuto contratti redditizi per eseguire esperimenti sul COVID dei pipistrelli a Wuhan, in Cina, dopo che l’amministrazione Obama aveva vietato la ricerca sul guadagno di funzione nel 2014. Quattro mesi prima del divieto, l’ente sanitario nazionale americano (NIH) aveva effettivamente spostato questa ricerca su EcoHealth, guidata dal famigerato Peter Daszak.   La ricerca è stata protetta dalla supervisione del governo da parte del NIAID, l’ente di Fauci, il quale incalzato dalle domande del senatore Rand Paul ha negato davanti al Congresso USA di aver finanziato esperimenti di Guadagno di Funzione, tuttavia sembra proprio che gli esperimenti genetici sui coronavirus dei chirotteri fossero esattamente quello.   «Come virologo, personalmente penso che creare chimere di coronavirus di pipistrello legati alla SARS che si ritiene rappresentino un alto rischio per gli esseri umani comporti rischi inaccettabili», ha detto il virologo Jesse Bloom al sito di giornalismo investigativo The Intercept.   Dopo che il SARS-CoV-2 è scoppiato nella stessa città in cui Daszak stava finanziando manipolazioni il coronavirus da pipistrello, la (un tempo) prestigiosissima rivista scientifica The Lancet aveva pubblicato un documento firmato dallo stesso Daszak con oltre due dozzine di scienziati, in cui insisteva che il virus avrebbe potuto provenire solo da un evento di spillover naturale, probabilmente da un mercato di animali vivi e che gli scienziati «stanno uniti per condannare fermamente le teorie del complotto che suggeriscono che il COVID-19 non ha un’origine naturale». Solo più tardi Lancet avrebbe  notato gli evidentissimi conflitti di interessi di Daszak.

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In un thread su Twitter del gennaio 2022, Andrew Huff, che ha lavorato presso EcoHealth dal 2014 al 2016, scrive: «sapevo nel dicembre del 2019 che il COVID era probabilmente una fuga di dati di laboratorio».   Huff afferma che «non è solo che EcoHealth Alliance è un’organizzazione di copertura della CIA, ma i principali responsabili del COVID sono gli Stati Uniti d’America, non la Cina».     Sono accuse di gravità incalcolabile, tuttavia Huff lo aveva anche dichiarato a Fox Business a gennaio: «questa è stata in realtà un’operazione di Intelligence fallita. In realtà stavamo scambiando biotecnologie avanzate con la Cina per accedere e raccogliere informazioni sul loro laboratorio di armi biologiche. Credo. Non posso provarlo, ma un certo numero di agenzie lo sostengono. Ne parlo nel libro, incluso il dottor Peter Daszak che mi dice che aveva lavorato con la CIA».   Huff sulla questione ha infatti pubblicato un libro, The Truth about Wuhan («La verità su Wuhan»)   «Queste discussioni hanno portato a pubblicazioni che indicano che il dottor Peter Daszak, presidente di EcoHealth Alliance, stava lavorando con la CIA e che l’agente biologico comunemente noto come COVID-19 (SARS-CoV-2) era in fase di sviluppo presso EcoHealth Alliance da allora 2012 e altre prove suggeriscono che la SARS-CoV-2 sia iniziata prima del 2012» si legge nel libro di Huff.   «Lo sviluppo della SARS-CoV-2 ha coinvolto diversi eminenti scienziati e istituzioni accademiche statunitensi che hanno ricevuto finanziamenti da numerose agenzie governative federali e organizzazioni private non governative per completare il lavoro di guadagno funzionale su SARS-CoV-2».

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Huff ha anche pubblicato un documento ottenuto da Project Veritas e pubblicato nel gennaio 2022, presumibilmente scritto (e non smentito) dal maggiore Joseph Murphy (USMC), in cui si afferma che il «SARS-CoV-2 è un vaccino ricombinante per pipistrelli creato in America» ​​che è stato «creato da un programma EcoHealth Alliance presso il Wuhan Institute of Virology (WIV)».     Project Veritas scrive di aver «ottenuto un rapporto separato per l’ispettore generale del Dipartimento della Difesa scritto dal maggiore dei Marines degli Stati Uniti, Joseph Murphy, ex membro della DARPA».   «Il rapporto afferma che EcoHealth Alliance si è rivolta alla DARPA nel marzo 2018, cercando finanziamenti per condurre ricerche sul guadagno funzionale dei coronavirus trasmessi dai pipistrelli. La proposta, denominata Project Defuse, è stata respinta dalla DARPA per motivi di sicurezza e per l’idea che viola il guadagno di base della moratoria sulla ricerca funzionale».

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Secondo i documenti, il NIAD, sotto la direzione del dottor Fauci, ha portato avanti la ricerca a Wuhan, in Cina e in diversi siti negli Stati Uniti» continua Project Veritas   Huff ha anche fornito un rapporto al Congresso, sotto giuramento, in cui si afferma che 1. IlSARS-COV2 è stato creato nel laboratorio di Wuhan, in Cina; 2. Anthony Fauci ha finanziato la creazione della SARS-COV2 e ha mentito al Congresso riguardo al finanziamento del lavoro sul guadagno di funzione; 3. La comunità dell’intelligence statunitense era a conoscenza e sembrava essere stata coinvolta nel finanziamento di detto lavoro di Gain-of-Function; 4. Numerosi partner pubblici e privati ​​ben collegati sono stati coinvolti nel lavoro Gain-of-Function che ha portato alla creazione e al rilascio di SARS-COV2; 5. Anthony Fauci e altri si sono coordinati per nascondere il finanziamento del lavoro di guadagno di funzione che ha portato alla SARS-COV2.   EcoHealth ha confutato le affermazioni di Huff, scrivendo nel dicembre 2022 – quasi un anno dopo che Huff era diventato informatore – che le affermazioni sulla ricerca sul guadagno di funzione non sono vere, che la fuga dal laboratorio «non è vera», e che le sue affermazioni sulla «natura della collaborazione tra EcoHealth Alliance e l’Istituto di Virologia di Wuhan» sono analogamente «non vere».   Tuttavia, come nota Zerohedge, Ecohealth non pare confutare nello specifico le affermazioni di Huff sulla collaborazione con o per la CIA.   Come riportato da Renovatio 21, del ruolo della CIA nella gestione pandemica ha accennato in vari discorsi, compreso quello tenuto all’Arco della Pace di Milano, Robert F. Kennedy jr., che ha ricordato alle masse che i servizi americani abbiano fatto almeno 20 esercitazioni pandemiche negli anni 2000, e che la specialità della CIA non è la sanità pubblica, ma l’attuazione di colpi di Stato.   La CIA e Wuhan: una storia di cui piano piano stanno emergendo vari pezzi, e che qualcuno prima o poi potrebbe addirittura riuscire a scrivere in maniera completa.

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Epidemie

L’RNA virale può persistere per 2 anni dopo il COVID-19: studio

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Un nuovo studio potrebbe spiegare perché alcune persone che contraggono il COVID-19 non tornano mai alla normalità e sperimentano invece nuove condizioni mediche come malattie cardiovascolari, disfunzioni della coagulazione, attivazione di virus latenti, diabete mellito o quello che è noto come «Long COVID» dopo l’infezione di  SARS-CoV-2. Lo riporta Epoch Times.

 

In un recente studio preliminare pubblicato su medRxiv, i ricercatori hanno condotto il primo studio di imaging con tomografia a emissione di positroni (PET) sull’attivazione delle cellule T in individui che in precedenza si erano ripresi da COVID-19 e hanno scoperto che l’infezione da SARS-CoV-2 può provocare un’attivazione persistente delle cellule T in una varietà di tessuti corporei per anni dopo i sintomi iniziali.

 

Anche nei casi clinicamente lievi di COVID-19, questo fenomeno potrebbe spiegare i cambiamenti sistemici osservati nel sistema immunitario e in quelli con sintomi COVID di lunga durata.

 

Va segnalato, ad ogni modo, la maggior parte dei partecipanti era stata vaccinata e lo studio non ha indagato il legame tra l’esistenza dell’RNA virale e la vaccinazione.

 

Per effettuare lo studio, i ricercatori hanno condotto scansioni PET di tutto il corpo di 24 partecipanti che erano stati precedentemente infettati da SARS-CoV-2 e guariti dall’infezione acuta in momenti che vanno da 27 a 910 giorni dopo l’insorgenza dei sintomi di COVID-19.

 

Una scansione PET è un test di imaging che utilizza un farmaco radioattivo chiamato tracciante per valutare la funzione metabolica o biochimica di tessuti e organi e può rivelare un’attività metabolica sia normale che anormale. Il tracciante viene solitamente iniettato nella mano o nella vena del braccio e si raccoglie in aree del corpo con livelli più elevati di attività metabolica o biochimica, che possono rivelare la sede della malattia.

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Utilizzando un nuovo agente radiofarmaceutico che rileva molecole specifiche associate a un tipo di globuli bianchi chiamati linfociti T, i ricercatori hanno scoperto che l’assorbimento del tracciante era significativamente più elevato nei partecipanti alla fase post-acuta di COVID-19 rispetto ai controlli pre-pandemia nel tronco cerebrale, nella colonna vertebrale midollo osseo, tessuto linfoide nasofaringeo e ilare, tessuti cardiopolmonari e parete intestinale.

 

Tra maschi e femmine, i partecipanti maschi tendevano ad avere un assorbimento maggiore nelle tonsille faringee, nella parete rettale e nel tessuto linfoide ilare rispetto ai partecipanti femmine.

 

I ricercatori hanno specificatamente identificato l’RNA cellulare del SARS-CoV-2 nei tessuti intestinali di tutti i partecipanti con sintomi da Long COVID che si erano sottoposti a biopsia in assenza di reinfenzione, con un range da 158 a 676 giorni dopo essersi inizialmente ammalati di COVID.

 

Ciò suggerisce che la persistenza del virus nel tessuto potrebbe essere associata a problemi immunologici a lungo termine.

 

Sebbene l’assorbimento del tracciante in alcuni tessuti sembrasse diminuire con il tempo, i livelli rimanevano comunque elevati rispetto al gruppo di controllo di volontari sani pre-pandemia.

 

«Questi dati estendono in modo significativo le osservazioni precedenti di una risposta immunitaria cellulare duratura e disfunzionale alla SARS-CoV-2 e suggeriscono che l’infezione da SARS-CoV-2 potrebbe portare a un nuovo stato stazionario immunologico negli anni successivi a COVID-19», scrivono i ricercatori.

 

I risultati hanno mostrato un «assorbimento leggermente più elevato» dell’agente nel midollo spinale, nei linfonodi ilari e nella parete del colon/retto nei soggetti con sintomi COVID prolungati.

 

Nei partecipanti con COVID lungo che hanno riportato cinque o più sintomi al momento dell’imaging, i ricercatori hanno osservato livelli più elevati di marcatori infiammatori, «comprese le proteine ​​coinvolte nelle risposte immunitarie, nella segnalazione delle chemochine, nelle risposte infiammatorie e nello sviluppo del sistema nervoso».

 

Rispetto sia ai controlli pre-pandemia che ai partecipanti che avevano avuto il COVID-19 e si erano completamente ripresi, le persone con Long COVID hanno mostrato una maggiore attivazione delle cellule T nel midollo spinale e nella parete intestinale.

I ricercatori attribuiscono i loro risultati all’infezione da SARS-CoV-2, sebbene tutti i partecipanti tranne uno avessero ricevuto almeno una vaccinazione COVID-19 prima dell’imaging PET.

 

Per ridurre al minimo l’impatto della vaccinazione sull’attivazione delle cellule T, l’imaging PET è stato eseguito a più di 60 giorni da qualsiasi dose di vaccino, ad eccezione di un partecipante che ha ricevuto una dose di vaccino di richiamo sei giorni prima dell’imaging. Sono stati esclusi gli altri che avevano fatto un vaccino COVID-19 entro quattro settimane dall’imaging, scrive Epoch Times.

 

I ricercatori hanno affermato che il loro studio presentava diversi altri limiti, tra cui dimensioni ridotte del campione, studi correlati limitati, varianti in evoluzione, lancio rapido e incoerente dei vaccini COVID-19, che hanno richiesto loro di modificare i protocolli di imaging, utilizzando individui pre-pandemici come controlli e l’estrema difficoltà di trovare persone che non fossero mai state infettate dal SARS-CoV-2.

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«In sintesi, i nostri risultati forniscono prove provocatorie dell’attivazione del sistema immunitario a lungo termine in diversi tessuti specifici in seguito all’infezione da SARS-CoV-2, compresi quelli che presentano sintomi COVID lunghi», concludono i ricercatori. «Abbiamo identificato che la persistenza del SARS-CoV-2 è un potenziale motore di questo stato immunitario attivato e mostriamo che l’RNA del SARS-CoV-2 può persistere nel tessuto intestinale per quasi 2 anni dopo l’infezione iniziale».

 

Come riportato da Renovatio 21, già un anno fa la stampa mainstream aveva cominciato ad ammettere che forse «i vaccini potrebbero non prevenire molti sintomi del Long COVID, come ha scritto il Washington Post.

 

Nella primavere 2022 il professor Harald Matthes dell’ospedale di Berlino Charité aveva dichiarato di aver registrato 40 volte più «effetti collaterali gravi» delle vaccinazioni contro il COVID -19 rispetto a quanto riconosciuto da fonti ufficiali tedesche.

 

Matthes aveva delle strutture che sarebbero chiamate a curare i pazienti con complicazioni vaccinali: «Abbiamo già diversi ambulatori speciali per il trattamento delle conseguenze a lungo termine della malattia COVID», spiega il prof. Matthes. «Molti quadri clinici noti da “Long COVID” corrispondono a quelli che si verificano come effetti collaterali della vaccinazione».

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