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Meta censura dei contenuti pro-Palestina: l’accusa di Human Right Watch
Meta, il colosso dei social media che gestisce Facebook, Instagram e WhatsApp, sta censurando sistematicamente i contenuti filo-palestinesi nel contesto del conflitto in corso tra Israele e Hamas, ha affermato Human Rights Watch (HRW).
In un rapporto pubblicato mercoledì, il gruppo ha affermato che la società guidata da Mark Zuckerberg ha rimosso o soppresso un gran numero di post filo-palestinesi per una serie di ragioni. Questi includono un «eccessivo affidamento» agli strumenti automatizzati di moderazione dei contenuti e ciò che viene definito «indebita influenza del governo».
«La censura di Meta dei contenuti a sostegno della Palestina aggiunge la beffa al danno in un momento di indicibili atrocità e repressione che già soffocano l’espressione dei palestinesi», ha osservato nel rapporto Deborah Brown, direttrice ad interim di HRW per la tecnologia e i diritti umani.
«I social media sono una piattaforma essenziale affinché le persone possano testimoniare e denunciare gli abusi mentre la censura di Meta sta favorendo la cancellazione della sofferenza dei palestinesi», ha affermato Brown.
HRW ha esaminato oltre 1.000 casi di censura di Meta in 60 paesi, afferma il rapporto, e ha riscontrato un «modello di indebita rimozione e soppressione del discorso protetto», che includeva «l’espressione pacifica a sostegno della Palestina».
L’ONG aggiunge che in dozzine di casi l’azienda di social media ha rimosso i post che documentavano la crisi di Gaza, giustificando queste rimozioni facendo riferimento alle politiche della piattaforma su «contenuti violenti ed espliciti, violenza e incitamento e incitamento all’odio».
In altri casi di post rimossi, il rapporto HRW afferma che Meta ha citato una politica che mira a limitare «organizzazioni o individui che proclamano una missione violenta» dall’influenza sulle sue piattaforme. Tuttavia, secondo HRW, questa politica è stata utilizzata per «limitare la legittima libertà di parola».
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Gli errori nel sistema di interazione con gli utenti di Meta hanno fatto sì che circa un terzo dei post censurati o rimossi non potesse essere formalmente presentato ricorso.
All’inizio di questa settimana, il comitato di supervisione indipendente di Meta ha criticato l’azienda per aver rimosso contenuti che mostravano l’entità della sofferenza a Gaza. Il copresidente del consiglio, Michael McConnell, ha affermato che post come questi forniscono «tempo e informazioni diversificate su eventi rivoluzionari».
L’anno scorso, Meta ha affermato che intendeva adeguare i propri sistemi di moderazione dei contenuti in risposta alle raccomandazioni del suo comitato di vigilanza, ma HRW ha affermato nel rapporto che tale azione non era stata intrapresa.
«Invece di stanche scuse e promesse vuote, Meta dovrebbe dimostrare che è seriamente intenzionato ad affrontare la censura legata alla Palestina una volta per tutte», ha insistito la Brown.
Secondo quanto emerso di recente in articoli ed audizioni del Senato USA, Meta starebbe «lottando per allontanare i pedofili da Facebook e Instagram».
A inizio anno Meta, aveva invertito la sua precedente politica di etichettare il famigerato battaglione neonazista Azov come «organizzazione pericolosa». L’impegno a cambiare la politica, si scrisse, era stato presumibilmente fatto ai funzionari ucraini da Nick Clegg e Monika Bickert, capo della gestione delle politiche globali di Facebook, durante il World Economic Forum di Davos.
Come riportato da Renovatio 21, un documento trapelato di Facebook a inizio conflitto mostrava come vi fosse stata per gli utenti ucraini una modifica per permettere loro di inneggiare al Battaglione Azov e chiedere la morte dei russi – comportamenti che si ritenevano proibiti sui social, che nel biennio pandemico hanno bannato migliaia se non milioni di persone per molto meno.
Il portavoce della società è stato inserito nella lista dei ricercati della Federazione Russa.
Come riportato da Renovatio 21, la censura della piattaforma zuckerberghiana si è abbattuta su dissidenti o anche semplici conservatori (ma non sui pedofili di Instagram o i donatori di sperma su Facebook), con accuse che spaziano dalla collusione con lo Stato profondo americano e le sue agenzie, alla volontà di chiudere gli account di organizzazioni, partiti premier e presidenti, alla raccolta massiva di dati anche biometrici (con il riconoscimento facciale che ha generato denunce di Stati come il Texas) nonché alla possibilità di agire sul vostro telefono perfino scaricandone la batteria.
C’è da domandarsi cosa la potente Intelligenza Artificiale su cui Meta sta lavorando possa fare alla vostra vita.
Negli anni si sono accumulate accuse e rivelazioni su Facebook, tra cui accuse di uso della piattaforma da parte del traffico sessuale, fatte sui giornali ma anche nelle audizioni della Camera USA.
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Immagine di Sikander Iqbal via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
Internet
Zuckerberg voleva comprare l’Associated Press
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Giovane maggiorata di Onlyfans afferma di essere stata pagata per fare «propaganda politica totale» per Biden
Un’influencer famosa sulla controversa piattaforma parapornografica OnlyFans ha affermato che l’amministrazione Biden voleva assumerla per diffondere contenuti, specificando tuttavia che facesse in modo che non si capisse che era una pubblicità a pagamento.
La giovane Farha Khalidi, nota come tante altre per il seno prorompente, ha descritto il contenuto che le è stato chiesto di promuovere come «propaganda politica totale».
La ragazza, cresciuta in una famiglia musulmana e bisessuale dichiarata, ha anche dichiarato che la multinazionale dell’aborto Planned Parenthood la stava pagando.
Durante un’intervista podcast, la curvacea fanciulla– che evidentemente nella prospettiva neorazzista della sinistra americana deve etichettarsi come non-bianca – ha affermato che la Casa Bianca le ha chiesto di dire ai suoi seguaci che si sentiva rappresentata dall’allora giudice Ketanji Brown Jackson dopo che Biden l’aveva nominata alla Corte Suprema degli Stati Uniti. La Jackson, nera con le treccine, rimane alla storia per non aver saputo rispondere, durante le udienze di conferma della nomina, alla semplice domanda «che cos’è una donna». La donna replicò oscuramente che non era una biologa.
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La Khalidi, che ha anche milioni di follower su TikTok, ha osservato: «la cosa divertente è che dicono, “non rivelare che questa è una pubblicità” perché, sai, dicono, “tecnicamente non è un prodotto, quindi tu non c’è bisogno di rivelare che si tratta di un annuncio”».
An OnlyFans influencer claims that the Biden Administration wanted to pay her to spread ‘political propaganda,’ asking her to say that as a ‘person of color’ she ‘felt reflected.’ She says they wanted her to hide the fact it was a paid for ad. Full report: https://t.co/jWdDfDhmNc pic.twitter.com/8C85ms3UHY
— m o d e r n i t y (@ModernityNews) April 30, 2024
«Penso che volessero solo che una ragazza di colore d’avanguardia lo dicesse alla gente – quando hanno nominato Ketanji Brown Jackson, hanno detto, “puoi dire come persona di colore, che ti senti rappresentata?”», ha aggiunto la popputa ragazzina dell’internetto, apparentemente realizzando gli intenti razzisti della situazione.
Notando che l’amministrazione aveva impiegato una società di media di terze parti per contattarla, Khalidi ha detto di non averlo fatto perché non si sentiva rappresentata.
«Ed è una donna bianca che mi ha mandato un’e-mail e mi sta dando questa sceneggiatura. E io dico, no, mi piacerà parlare delle novità a riguardo. Ma non permetterò che una persona bianca mi dica di dire: “Sai, è così che mi sento come persona di colore”». A quanto sembra, il complesso neorazzista è installato anche nella mente della tettonica ragazzetta che lo lamenta.
«Il fatto che gli assistenti di Biden sappiano anche chi è Farha Khalidi la dice lunga di per sé» nota Modernity News.
Come riportato da Renovatio 21, l’alleanza combinata tra Biden e influencer – per lo più trans, fluidi, o giù di lì – di TikTok e social vari ha già prodotto esiti allucinanti e fortemente lesivi per la reputazione della Casa Bianca: pensiamo alle clip con influencer LGBTQ che, dal palazzo presidenziale, invitavano alla vaccinazione.
In alcuni casi, si è scoperto che dietro i gruppi di produttori di contenuti filo-Biden vi erano i finanziamenti di Giorgio Soros.
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