Economia
Drastico declino dell’auto tedesca
Le principali case automobilistiche tedesche – Volkswagen, Audi, BMW e Mercedes 2 hanno prodotto circa mezzo milione di auto in meno tra gennaio e maggio, rispetto allo stesso periodo del 2019, con un calo di circa il 20%.
Dopo la pandemia di tre anni, con le chiusure del settore e le interruzioni della catena di approvvigionamento, l’industria ha continuato ad aspettare una ripresa che non arriva. I nuovi ordini di auto in arrivo sarebbero quindi dal 30 al 50% in meno rispetto agli anni precedenti.
Anche gli ordini di auto elettriche sono molto al di sotto delle aspettative – del resto la crisi energetica che investe la Germania a causa della fine del gas russo non rende economica nemmeno la ricarica della macchina senza motore endotermico.
In Germania, la produzione ad alta intensità energetica è diminuita del -12,9% ad aprile, mentre la produzione industriale totale è stata ancora positiva, dell’1,6%. Otto mesi fa si parlava di un’industria tedesca con un totale di esportazioni praticamente dimezzato.
I leader aziendali stanno lanciando l’allarme: il direttore operativo della Volkswagen Thomas Schäfer ha recentemente dichiarato in una video chat interna che «è in gioco il futuro del marchio VW».
Con le principali case automobilistiche che sono una roccaforte della produzione tedesca, è possibile dire che tutta l’industria è colpita dal declino.
Un anno fa il governo tedesco produsse un taglio del prezzo della benzina, ma il suo effetto è svanito in pochissimo tempo. Mentre il Paese riapriva le centrali a carbone – comunque importato dalla Russia! – per le famiglie tedesche nel 2022 si prospettò bollette energetiche fino a 3000 euro.
Nel frattempo, Deutsche Bank – istituto che ad alcuni nella recente crisi bancaria internazionale è sembrato sull’orlo del collasso – cominciava a prevedere la legna da ardere come bene di consumo per i cittadini tedeschi.
Il tema della deindustrializzazione è oramai in Germania discusso apertamente sui giornali, con tanto di domande retoriche delle grandi testate come il Financial Times che si chiede se per caso la crisi energetica (causata anche dal terrorismo di Stato contro i gasdotti) distruggerà l’industria europea, mentre la recessione tedesca è stata definita «inevitabile». Uno studio dell’Istituto dell’Economia Tedesca (IW) aveva calcolato che la carestia di gas distruggerà in Germania 330 mila posti di lavoro.
Sindaci tedeschi stanno domandando a gran voce l’apertura del gasdotto dalla Russia Nord Stream 2, la cui inaugurazione doveva avvenire nei giorni in cui è partita la guerra in Ucraina. Poi si è visto cosa è successo: i Nord Stream sono stati fatti saltare da mano (ufficialmente) ignota. La CIA, a dire la verità, poco tempo prima aveva avvertito i tedeschi.
Anche le grandi industrie tedesche chiedono di rivedere la questione energetica; si moltiplicano nel frattempo le voci che suggeriscono di ritardare il phase-out dell’energia nucleare programmato dalla Merkel, infrantosi contro la triste realtà delle rinnovabili non affidabili.
Come riportato da Renovatio 21, la scorsa estate la BASF e il grande produttore di acciaio tedesco ThyssenKrupp avevano avvertito che senza una fornitura sufficiente di gas naturale, le loro fabbriche potrebbero essere costrette a rimanere inattive o chiudere completamente e potrebbero anche subire danni tecnici. A novembre 2021 la BASF aveva annunciato la chiusura della produzione di fertilizzanti con ammoniaca in Belgio e Germania, a tempo indeterminato. Ciò è andato ad influire anche sulla produzione di additivo per carburante diesel a base di ammoniaca, AdBlue.
Lo scorso luglio, la BASF dichiarava la riduzione della la produzione di prodotti a base di gas naturale come materia prima. Ciò includeva l’ammoniaca, che è importante per i fertilizzanti, nonché per la plastica e altri beni, in particolare il diesel detto DEF, un altro prodotto necessario alle Nazioni (il trasporto merci avviene per lo più con questo tipo di combustibile) colpito in modo totale dalle sanzioni antirusse. Questo febbraio BASF ha tagliato 2.600 posti di lavoro.
In totale, la produzione industriale tedesca è caduta di almeno vista la riduzione del 14% nel consumo di gas – che per quasi la metà veniva importato da Mosca – Le esportazioni tedesche verso la Russia solo sei mesi fa erano dimezzate.
Il taglio del gas russo potrebbe portare problemi anche alle forze armate USA di stanza in Germania.
È l’harakiri energetico-economico dei Paesi NATO-UE attualmente in corso, la cui possibile spiegazione è piuttosto spaventosa.
Come riportato da Renovatio 21, pochi mesi fa gli stabilimenti Mercedes sono stati anche teatro di una sparatoria fra immigrati.
Immagine di qwesy qwesy via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported (CC BY 3.0)
Cina
La Cina supera il trilione di dollari di surplus commerciale
Per la prima volta, il surplus commerciale della Cina ha superato i mille miliardi di dollari nei primi 11 mesi del 2025. Mentre le esportazioni verso gli Stati Uniti sono diminuite di circa un terzo a causa dei dazi, le esportazioni verso Europa, Australia e Sud-est asiatico sono aumentate.
Gran parte di questa impennata è stata trainata dalla forte crescita dei beni high-tech, che ha superato del 5,4% l’aumento delle esportazioni complessive. Le esportazioni di automobili hanno registrato un boom, sostituendo Giappone e Germania in termini di quota di mercato. Le esportazioni di semiconduttori sono aumentate del 24,7% nello stesso periodo e le esportazioni di cantieristica navale sono aumentate del 26,8%.
Il canale all-news cinese CGTN ha pubblicato un articolo che attacca le narrative occidentali di «sovracapacità» o «dumping» come spiegazioni del boom delle esportazioni cinesi.
«Per i politici e i leader dell’industria occidentali, la questione non è come presentare la Cina come un rivale, ma come riconoscere le realtà strutturali che rappresenta. Comprendendo il surplus come parte del panorama economico globale, si apre l’opportunità di adattare le strategie, esplorare le complementarietà, promuovere la collaborazione e ricercare miglioramenti dell’efficienza che vadano a vantaggio di entrambe le parti».
Vari allarmi sulla tenuta dell’economia cinese erano stati lanciati negli ultimi anni.
Come riportato da Renovatio 21, la Cina, dopo la guerra dei dazi di Trump, è ancora impegnata in un conflitto con gli USA e i satelliti occidentali per i chip.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Economia
Hollywood al capolinea: Netflix vuole comprare Warner Bros
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Economia
L’ex proprietario di Pornhub vuole acquistare le attività del gigante petrolifero russo
Bernd Bergmair, l’ex proprietario di Pornhub, starebbe valutando l’acquisto delle attività internazionali del gigante petrolifero russo sanzionato Lukoil. Lo riporta l’agenzia Reuters, citando fonti riservate.
A ottobre, gli Stati Uniti hanno colpito Lukoil con sanzioni che hanno costretto la compagnia a dismettere le proprie partecipazioni estere, stimate in circa 22 miliardi di dollari. Lukoil aveva inizialmente accettato un’offerta del trader energetico Gunvor per l’intera controllata estera, ma l’operazione è saltata dopo che il Tesoro americano ha accusato Gunvor di legami con il Cremlino.
Secondo Reuters, Bergmair avrebbe già sondato il dipartimento del Tesoro statunitense per una possibile acquisizione. Interpellato tramite un legale, ha né confermato né smentito, limitandosi a dichiarare: «Lukoil International GmbH rappresenterebbe ovviamente un investimento eccellente; chiunque sarebbe fortunato a possedere asset del genere», senza precisare quali porzioni gli interessino o se abbia già contattato l’azienda. Un portavoce del Tesoro ha declinato ogni commento.
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Il finanziere austriaco è l’ex azionista di maggioranza di MindGeek, la casa madre di Pornhub, la cui identità è emersa solo nel 2021 dopo anni di strutture offshore. Il Bergmair ha ceduto la propria partecipazione nel 2023, quando la società è stata rilevata da un fondo canadese di private equity chiamato «Ethic Capital», nella cui compagine spicca un rabbino. Il patrimonio dell’uomo è stimato intorno a 1,4 miliardi di euro, investiti principalmente in immobili, terreni agricoli e altre operazioni private.
Il mese scorso, il Tesoro statunitense ha autorizzato le parti interessate a intavolare negoziati per gli asset esteri di Lukoil; l’approvazione è indispensabile poiché, senza licenza, ogni transazione resterebbe congelata. La finestra concessa scade il 13 dicembre.
Fonti giornalistiche indicano che diversi player, tra cui Exxon Mobil e Chevron, avrebbero manifestato interesse, ma Lukoil preferirebbe cedere il pacchetto in blocco, complicando le trattative per chi punta su singoli asset. L’azienda ha reso noto di essere in contatto con più potenziali acquirenti.
Mosca continua a condannare le sanzioni occidentali come «politiche e illegittime», avvertendo che finiranno per danneggiare chi le ha imposte». Il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha definito il caso Lukoil la prova che le «restrizioni commerciali illegali» americane sono «inaccettabili e ledono il commercio globale».
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Immagine di Marco Verch via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)
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