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«Ricostruire l’Italia», con i draghi della distruzione

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«Questo è l’orizzonte che abbiamo davanti. Dobbiamo disegnare e iniziare a costruire, in questi prossimi anni, l’Italia del dopo emergenza». È una delle frasi salienti del discorso di Mattarella per la sua rielezione, quello interrotto dal record repubblicano di applausi scroscianti.

 

C’è da dire che parla ad un Paese che la ricostruzione dopo il disastro, in qualche modo, la ricorda ancora. L’Italia subì i bombardamenti a tappeto angloamericani, i disastri militari, il tradimento dei suoi sovrani, il veleno della guerra civile, la fame, la disperazione, la sconfitta. Eppure, ce la fece. Ne uscì un Paese che rapidamente scalò le classifiche del PIL, divenendo una delle nazioni più prospere della Terra.

 

Dove erano rovine, furono fatte case. Dove erano acquitrini, sorsero industrie. Dove c’era la lacerazione, arrivò l’unità. Dov’era dolore, venne la pace. La ricostruzione post-bellica, in Italia, fu potente e indimenticabile.

 

La «ricostruzione» che abbiamo davanti non pare in nulla simile a quella del dopoguerra. Soprattutto, perché non è una vera ricostruzione. Essa è, innanzitutto, e sempre più dichiaratamente, distruzione

Ora, la «ricostruzione» che abbiamo davanti non pare in nulla simile a quella del dopoguerra. Soprattutto, perché non è una vera ricostruzione. Essa è, innanzitutto, e sempre più dichiaratamente, distruzione.

 

Non costruiranno case o industrie. Basta ricordare come, un anno fa, era ripartito il Recovery Fund: alle infrastrutture 27,7 miliardi, alla «digitalizzazione», 48,7 miliardi: il doppio. In breve, non si costruisce niente, fuori da qualche spettro digitale, immateriale e inutile a fini del benessere umano.

 

L’unità fra le genti della «ricostruzione» non ci sarà mai: perché, programmaticamente, si è scelta la lacerazione, la divisione sociale spinta sino all’apartheid, alla discriminazione biomolecolare, la meccanica del capro espiatorio per schiacciare la minoranza che può diventare – la storia dai Balcani al Ruanda ci dice: d’improvviso – pulizia etnica.

 

Cosa si può costruire, con un Paese così diviso?

 

Cosa si può costruire, se si pensa, prima che alla carne e alla materia, ai computer?

 

Come si può costruire, poi, con chi predica apertamente la distruzione?

 

L’unità fra le genti della «ricostruzione» non ci sarà mai: perché, programmaticamente, si è scelta la lacerazione, la divisione sociale spinta sino all’apartheid, alla discriminazione biomolecolare, la meccanica del capro espiatorio per schiacciare la minoranza che può diventare – la storia dai Balcani al Ruanda ci dice: d’improvviso – pulizia etnica

Poco sotto il presidente, durante il suo discorso da applausometro, c’era il vero vincitore di questa elezione presidenziale: Mario Draghi. Egli, compreso che i partiti in questo momento non riuscivano a convergere su di lui (l’attuale inutilità della democrazia rappresentativa deve pure essere posta sotto dei limiti di pudore), ha probabilmente solo saltato un giro, cioè mezzo giro. Il testimone gli sarà passato più avanti.

 

Draghi è uno che la distruzione la conosce: anzi, possiamo dire che la teorizza, la invoca. Almeno, leggendo quanto va pubblicando.

 

Draghi è membro senior del Group of Thirty, il «Gruppo dei 30», talvolta abbreviato in G30, è un organismo internazionale di finanzieri e accademici che vogliono «approfondire la comprensione delle questioni economiche e finanziarie e ad esaminare le conseguenze delle decisioni prese nel settore pubblico e privato».

 

È qualcosa di più di una lobby (anche se ha indirizzo a Washington in K Street, la celebre via dei lobbisti), di un think tank, di un club di ricconi laureati. Il G30 raccoglie il livello più alto dei decisori economici del pianeta.

 

Il consorzio elitista fu creato decenni fa dalla Rockefeller Foundation, uno dei veicoli di una delle famiglie che in questo ultimo secolo e mezzo ha fatto di più per la diffusione della Cultura della Morte. Non è il solo ente creato dalla famiglia: un altro, per esempio, è la Commissione Trilaterale, ad una riunione plenaria della quale nell’aprile 2016 Mattarella portò il suo saluto presidenziale, elogiando il ruolo di David Rockefeller (il sito del Quirinale lo riporta tuttora senza la prima «e»)

 

I Rockefeller iniziarono gli incontri dei G30 nel 1963 a Villa Serbelloni a Bellagio, tanto che battezzarono l’operazione Bellagio Group. In quegli anni, va ricordato, i Rockefeller partecipavano attivamente ad un altro consesso di potenti miliardari e potenti internazionali raccolti in Italia, il Club di Roma di Aurelio Peccei, il cui fine era (ed è) la riduzione della popolazione terrestre.

 

Draghi è uno che la distruzione la conosce: anzi, possiamo dire che la teorizza, la invoca. Almeno, leggendo quanto va pubblicando.

Dal 1978 il Bellagio Group prese il nome di Group of Thirty. Il suo primo presidente fu Johannes Witteveen, l’ex amministratore delegato del Fondo Monetario Internazionale.

 

Mario Draghi ne è parte. È segnato come membro senior. Nel gennaio 2018, l’Ombudsman («Mediatore europeo») Emily O’Reilly chiese che Draghi, allora presidente della BCE, si dimettesse dal gruppo perché la sua appartenenza all’organizzazione poteva essere interpretata come un’influenza indebita.

 

Il gruppo dei 30 è ancora pienamente attivo. Nel 2011 fece uscire uno studio sulle cause della crisi finanziaria globale del 2008. Nel dicembre 2020 stampò un altro saggio di analisi che riguardava i cambiamenti economici del mondo post-COVID. Il testo, Reviving and Restructuring the Corporate Sector Post-COVID, segna il nome di Mario Draghi come co-presidente del comitato direttivo. Nelle prime pagine del volume Draghi scrive, con tanto di firma autografa, anche alcuni ringraziamenti «per conto del Gruppo dei Trenta».

 

È in questo scritto che compare la formula della «distruzione creativa». Si tratta di un famoso concetto elaborato nel secolo scorso dall’economista austriaco Joseph Schumpeter (1883-1950). Egli nel 1919, cioè a pochi mesi dalla disfatta dell’Impero asburgico, fu nominato ministro delle finanze della Prima Repubblica d’Austria. Durò poco, passò a dirigere una banca, e poi tornò all’insegnamento, per poi emigrare oltreoceano nel 1932 ed approdare alla prestigiosa università di Harvard, dove insegnò fino alla morte.

 

Nel celebre trattato economico Capitalismo, socialismo e democrazia (1942), Schumpeter scrive che la distruzione creatrice (schöpferische Zerstörung) è il «processo di mutazione industriale che rivoluziona incessantemente la struttura economica dall’interno, distruggendo senza sosta quella vecchia e creando sempre una nuova».

 

La distruzione di interi comparti professionali è per l’economista austriaco la condizione ideale per l’economia e la sua necessaria evoluzione. Colpisce che questo inno alla distruzione fu scritto – negli USA – quando la distruzione era più che un concetto, era la realtà dell’Europa devastata dalla guerra. In quel momento la distruzione non era un’astrazione. La distruzione non creava: uccideva milioni di uomini. Eppure, Schumpeter, trovava consono scrivere e pubblicare l’idea della distruzione come via all’innovazione.

 

Schumpeter, nel documento 2020 del Gruppo dei 30 del dicembre 2020, è citato appena una volta. Ma tutto il testo è imperniato sul suo concetto di distruzione creatrice.

 

In sintesi, nel testo dell’ensemble di Draghi si dice che nella prima fase della crisi pandemica il problema era la liquidità, la prossima crisi sarà quella delle insolvenze. I governi non potranno salvare tutte le attività e quindi devono scegliere chi deve vivere e chi deve morire. Una sorta di dilemma del triage – i dottori che, anche in tempi COVID, decidono chi vive e chi muore – dove però si è sicuri che si deve lasciare che si compia la strage.

 

«Il settore delle imprese che emerge da questa crisi non dovrebbe apparire esattamente come quello precedente a causa degli effetti permanenti della crisi e dell’accelerazione delle tendenze esistenti come la digitalizzazione da parte della pandemia» scrive il testo.

«I governi dovrebbero incoraggiare le trasformazioni e gli adeguamenti aziendali necessari o desiderabili nell’occupazione. Ciò potrebbe richiedere una certa quantità di “distruzione creativa”»

 

«I governi dovrebbero incoraggiare le trasformazioni e gli adeguamenti aziendali necessari o desiderabili nell’occupazione. Ciò potrebbe richiedere una certa quantità di “distruzione creativa” poiché alcune aziende si restringono o chiudono e ne aprono di nuove e poiché alcuni lavoratori devono spostarsi tra aziende e settori, con un’adeguata riqualificazione e assistenza transitoria. Tuttavia, anche i governi che sostengono tale adattamento in linea di principio potrebbero dover adottare misure per gestire i tempi della distruzione creativa per tenere conto degli effetti a catena di cambiamenti eccessivamente rapidi, come i regimi di insolvenza che potrebbero essere sopraffatti».

 

In un paragrafo intitolato «Apocalisse Zombie» è scritto si parla di «zombie-firms», aziende-zombie create dalla crisi finanziaria, viene posta, per bocca di un banchiere singaporese, la domanda finale: «Continuerete (…) ad usare le finanze pubbliche per sostenere le aziende o lascerete che la distruzione creativa accada  à la Schumpeter?».

 

In pratica, stanno dicendo: volenti o nolenti, ricostruiremo l’intero sistema economico come vogliamo noi: o meglio, lo resetteremo. Gli Stati daranno una mano, ammortizzeranno il cambiamento, conterranno gli effetti spiacevoli della disoccupazione, con milioni di lavoratori che andranno «riqualificati». Le aziende che boccheggeranno stremate dai lockdown imposti, saranno definite «zombie», e come tali trattate: morti viventi, creature inutili e non più umane, buone, appunto, per dei massacri che garantiscono l’assenza del senso di colpa, come nei film e serie TV sui morti viventi.

 

Assomiglia un po’ ai discorsi sul Grande Reset, sì – del resto, Draghi e Schwab alle volte si incontrano, come pochi mesi fa.

 

Assomiglia a un grande piano che, più che ricostruire, al momento sembra interessato a distruggere. O meglio: può ricostruire solo se distrugge, e distrugge perché vuole ricostruire secondo un suo preciso disegno.

Assomiglia a un grande piano che, più che ricostruire, al momento sembra interessato a distruggere. O meglio: può ricostruire solo se distrugge, e distrugge perché vuole ricostruire secondo un suo preciso disegno. Solve et coagula

 

Solve et coagula. Il principio della trasformazione secondo l’alchimia, un’idea poi passata a certe importanti società segrete ancora ben rappresentate in Italia.

 

Siamo anni luce dalle gioie e dai sudori della ricostruzione postbellica. Siamo infinitamente lontani dall’Italia che costruisce le autostrade, dalle famiglie che risparmiano e comprano l’auto, da Enrico Mattei, dall’Inter del Mago Herrera.

 

È chiaro quale sia il motivo profondo, metafisico, metapolitico, metastorico, di tutto questo. È la grande inversione realizzata: la Civiltà, da latrice dell’Essere, è divenuta barbarie del Niente.

 

È chiaro quale sia il motivo profondo, metafisico, metapolitico, metastorico, di tutto questo. È la grande inversione realizzata: la Civiltà, da latrice dell’Essere, è divenuta barbarie del Niente. Laddove il mondo viveva secondo un concetto di espansione – cosa vero perfino nel mondo marxista-leninista – ora vi è stata innestata una contrazione

Laddove il mondo viveva secondo un concetto di espansione – cosa vero perfino nel mondo marxista-leninista – ora vi è stata innestata una contrazione.

 

Siamo troppi, dobbiamo ridurre il numero degli esseri umani sulla terra – magari non figliando, o uccidendo subito la prossima generazione di esseri umani. Inquiniamo troppo, dobbiamo ridurre i consumi, o ridurre perfino la quantità di luce solare – partendo sempre dall’idea di diminuire subito la popolazione.

 

Questi concetti dei «limiti dello sviluppo» furono di fatto escogitati da Peccei e dal suo Club di Roma emanato dai Rockefeller (famiglia dove l’antinatalismo è trasmesso geneticamente). Peccei commissionò al politecnico bostoniano MIT uno studio che dimostrasse che l’espansione della Civiltà, nell’industria e nella popolazione, era finita: gli scienziati obbedirono, e consegnarono uno studio che prevedeva l’imminente esaurirsi delle risorse, e il collasso del pianeta, tra guerre e carestie, a causa della sovrappopolazione.

 

Erano tutte previsioni false, ovviamente: tuttavia, da queste menzogne scaturì l’ecologia moderna, che, come il Gruppo dei 30, ha in mente costantemente la distruzione dell’opera dell’uomo, parassita del pianeta.

 

Tale processo di contrazione dell’universo umano possiamo chiamarlo Necrocultura, o Cultura della Morte. Essa è la forza di gravità del mondo nuovo: ogni cosa tende naturalmente verso l’uccisione o la degradazione dell’essere umano.

 

Vuoi far l’amore? Solo con la contraccezione. Sei incinta? Puoi abortire. Sei malato? Puoi chiedere di suicidarti con l’eutanasia. Hai fatto un incidente di macchina? Ti espianteranno gli organi quando il tuo cuore ancora batte.

 

La Necrocultura è più che un concetto, una lettura del reale: essa è il fondamento di intere istituzioni, politiche e – ce ne rendiamo conto soprattutto ora – sanitarie. Essa è la base ideologica, latente o patente, di interi partiti, di interi Paesi

La Necrocultura è più che un concetto, una lettura del reale: essa è il fondamento di intere istituzioni, politiche e – ce ne rendiamo conto soprattutto ora – sanitarie. Essa è la base ideologica, latente o patente, di interi partiti, di interi Paesi.

 

La Necrocultura è distruzione creatrice – anche se non crea nulla e uccide tanto, lo scopo del resto è quello. È la guerra senza pietà all’Imago Dei.

 

Pensate al legame, sempre più sincrono nel mondo moderno, tra distruzione e riproduzione. Se vuoi avere in braccio un bambino fatto in provetta, devi uccidere almeno qualche decina di embrioni.  Distruzione creativa, distruzione procreativa: devi ammazzare per far nascere un bambino. Devi fare, per quanto invisibili nei loro vetrini in laboratorio, veri sacrifici umani per portarti a casa il bebè che corona il tuo sogno di famigliuola borghese arredata a dovere.

 

Il lettore può capire ora anche il legame che esiste tra la distruzione creatrice del bambino in provetta e la pandemia COVID. I cinesi, grazie alla bioingegneria CRISPR, hanno già creato (almeno) due gemelle immuni all’HIV. Quanto ci vorrà perché proporranno bambini geneticamente programmati per l’immunità al SARS-nCoV-2? Quanto ci vorrà prima che il bambino bioingegnerizzato anti-COVID (o anti-Ebola, Marburg, etc.) divenga obbligatorio? Perché, ricordatelo, «sarà come vaccinarli»…

 

Quindi, quale ecatombe di embrioni sacrificheremo alla distruzione procreatrice?

 

Milioni.

 

Come possiamo ricostruire le nostre città, se sono liberi i draghi della distruzione?

E questo massacro non servirà a «costruire l’Italia», ma a maledire la Civiltà.

 

Accettiamo la morte di oceani di embrioni. Accettiamo la morte di migliaia di aziende. Accettiamo la morte di ogni nostro diritto, perfino di quello di respirare. Accettiamo il nostro stesso massacro.

 

Come è possibile che, quindi, crediamo ad una qualche «ricostruzione»?

 

Come possiamo ricostruire le nostre città, se sono liberi i draghi della distruzione?

 

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

Immagine di LazyRemnant via Deviantart pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 3.0 Unported (CC BY-NC-ND 3.0)

Civiltà

Tutti contro lo spot con l’Eucarestia sostituita da una patatina. Ma il vero scandalo è il Concilio e la caduta della civiltà cristiana

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Circola da ieri in rete l’indignazione per il nuovo spot pubblicitario di un noto marchio di patatine.

 

La storia è raccontata con il linguaggio tipico della pubblicità TV: mentre sullo sfondo odiamo la melodia dell’Ave Maria di Schubert, vediamo un gruppo di novizie di un convento che si allinea per ricevere la comunione dalle mani del parroco. Tuttavia, la prima a ricevere l’ostia consacrata si ritrova a masticare una patatina. Scopriamo quindi una suora ai margini del gruppo fa lo stesso direttamente dalla busta.

 

In pratica, una suora ha sostituito la Santa Eucarestia con delle patatine fritte prodotto industrialmente. La voce fuori capo è di una femmina che con voce languida dice «Il divino quotidiano».

 

 

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Il canale YouTube della casa di produzione specializzata in pubblicità, che sul sito dice di essere il marchio di una società a responsabilità limitata con sede in una località termale austriaca, ha caricato il video ieri. Al momento è ancora visibile.

 

È segnato il nome del regista, Dario Piana, che spiega il linguaggio classico, qualcuno direbbe un po’ antiquato, del filmato: si tratta di uno dei più grandi nomi della pubblicità TV italiana, certo forse conosciuto poco oltre la cerchia dei pubblicitari milanesi e della loro filiera, uno specialista ultrasettantenne con decenni di esperienza fatti negli anni d’oro dell’ascesa delle réclame nelle TV berlusconiane, una firma-garanzia vista per qualche ragione come il pinnacolo cui aspirare per chi vuole fare uno spottone per un’aziendona.

 

La pubblicità, scrivono i giornali, sarebbe visibile nei canali social dell’azienda, che ricordiamo è nota per aver fatto in passato spot con l’attore pornografico Rocco Siffredi, e polemiche per lo slogan scelto per la campagna pubblicitaria – «la patata tira».

 

Era inevitabile che i cattolici si incazzassero. Ha chiesto l’immediata sospensione dello spot che «offende la sensibilità religiosa di milioni di cattolici praticanti» una sigla chiamata AIART (Associazione Italiana Ascoltatori Radio e Televisione), che mai avevamo sentito prima e che dicono sia di ispirazione cattolica.

 

Secondo l’associazione dei catto-ascoltatori cui sarebbe oltraggioso «banalizzare l’accostamento tra la patatina e la particola consacrata», e si potrebbe parlare di un vero ricorso alla blasfemia: «strappare un applauso ad un pubblico compiacente con riferimenti blasfemi, è degradante per chi fa, o pretende di fare, pubblicità», dicono.

 

«Ci si appella al politically correct e alla cancel culture, ma solo contro la religione cristiana (ma solo quella) ci si sente autorizzati a qualsiasi obbrobrio?».

 

Notiamo che siamo davanti ad una posizione moderata. Quanto mostrato è gravissimo: perché la Santa Eucarestia è il centro della religione cristiana, o meglio è Cristo stesso, è Dio stesso.

 

L’Eucarestia è il miracolo fondamentale della fede cattolica. Insultare la Santa Comunione è offendere la Fede, e direttamente Dio in persona. Quei cattolici che credono si tratti di un atto perfettamente equivalente alla bestemmia, ragionano con logica basica, inevitabile.

Non per scandalizzarci, tuttavia, che scriviamo, aggiungendosi a quanti ora si battono il petto. Ricordiamo che qualche anno fa un gruppo di avvocati denunciò un cantante del concerto dei sindacati – quello del 1° maggio, dove ora si tifa per armi ucraine e vaccini – per aver simulato l’atto di consacrazione dell’Eucarestia con un preservativo – grande provocazione, davvero… se poi un giorno ci spiegano pure perché uno deve rivendicare felice di coprirsi la parte più sensibile del suo corpo con un pezzo di gomma sintetica che per soprammercato lo sterilizza). Non sappiamo quanta strada abbia fatto quella denunzia…

 

Non è la blasfemia ad essere rilevante qui, ma il come possa, contro ogni logica, essere prodotta. Perché c’è un grosso problema in tutta la storiella dello spot raccontato.

 

La trama è palesemente incongrua ed irreale, per il motivo semplice che prima di venire data ai fedeli, l’eucarestia viene consacrata. Che vuol dire, perfino nel rito postconciliare, innalzata dal sacerdote che pronuncia le formule necessarie a che avvenga la transustanziazione. Cioè: il prete della finzione pubblicitaria, avrebbe dovuto accorgersi che stava consacrando delle patatine. E nel caso il sacerdote fosse orbo od ubriaco, se ne sarebbero accorti i chierichetti, i fedeli, tutti.

 

In pratica: chi ha scritto e girato e mandato in giro lo spot, sembra ignorare come funziona una Messa, come funziona la Comunione. Ciò potrebbe includere una discreta quantità di persone che vanno dai geniali pubblicitari che l’hanno pensata, ai committenti che l’hanno accettata, ai produttori, al regista, alle maestranze presenti, agli attori, ai montatori, all’ufficio marketing dell’azienda, etc. Tanta gente. Nessuno a cui sia venuto il dubbio: ma non è che questa storia della pisside piena di patatine non tiene? Non è che qualcuno si può accorgere di questo errore narrativo gigantesco – quello che in gergo cinematografico è chiamato «buco di sceneggiatura»?

 

Qui, secondo noi, sta il vero scandalo. La società è talmente decristianizzata che pure nella blasfemia non c’è conoscenza della tradizione cattolica che si va a negare, o deridere, o anche solo a criticare. Non hanno idea di come sia fatta, eppure vogliono usare la chiesa cattolica e le sue forme, ci si avvicinano appena possono – un fenomeno che appare chiaro anche nel mondo LGBT, dove alla prima fessura che si apre gli attivisti omotransessualisti si ficcano nelle cattedrali, come visto nel caso di San Patrizio a Nuova York usato per le celebrazioni blasfeme di un transessuale argentino.

 

Va detto che gli LGBT, tuttavia, hanno in qualche modo presente cosa sia la chiesa, e questo spiega perché ne sono ossessionati. I pubblicitari, invece, non è detto che lo sappiano.

 

Quindi se non sanno quello che fanno, ci si chiede se si può parlare davvero di intenzioni blasfeme. Ma di questo non ci importa. Rileva realizzare come blasfema sia l’intera società post-cristiana dove, in mancanza di fede e pure di conoscenza basilare, cose come questa posson saltar fuori.

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La causa dell’abisso di bestemmia, sciatteria ed ignoranza in cui è caduta la società umana ha un nome ed un cognome: si chiama Concilio Vaticano II, la più grande catastrofe vissuta dall’umanità negli ultimi secoli, l’alterazione profonda del sistema operativo spirituale e personale di miliardi di persone, con conseguente sabotaggio dell’intera civiltà.

 

Prima del Concilio, lo scandalo dello spottino patatino era impensabile: non solo perché la gente non avrebbe mai accettato un’offesa del genere, non solo perché non gli sceneggiatori nemmeno l’avrebbero concepita, ma perché quasi tutti erano stati almeno una volta a Messa, e sapevano che l’Ostia, prima di essere distribuita, va consacrata pubblicamente (cosa perfino evidente nel nuovo rito, dove si fa ad populum, cioè rivolti ai fedeli).

 

Lo scandalo vero, dunque, non è la pubblicità blasfema, ma il Concilio che ci ha portato dove siamo ora, dove l’attacco a Dio pare scritto nel codice stesso dello Stato moderno.

 

E quindi: cari cattolici, cari telespettatori, cari cittadini sincero-democratici, cari democristiani, cari post-cristiani, avete voluto il Paese laico, adesso beccatevi la patatina ignorante, e tutta la sua filiera di lavoratori intellettuali strapagati.

 

Avete voluto detronizzare Cristo al punto da accostare il suo corpo ad una patata fritta, al punto da dimenticare perfino il rito centrale degli ultimi millenni; adesso proseguite pure con la cancellazione delle statue con donne che allattano e le vacanze scolastiche pel Ramadan.

 

Blasfemie a parte, lo scandalo è qui: nella decadenza del consorzio umano, nella caduta della civiltà cristiana.

 

Roberto Dal Bosco

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«Vediamo i sommi sacerdoti prostrarsi dinanzi agli idoli infernali del Nuovo Ordine Mondiale»: omelia di mons. Viganò nella Domenica di Pasqua

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Renovatio 21 pubblica l’omelia di monsignor Carlo Maria Viganò per la domenica di Pasqua 2024.  

ADHUC TECUM SUM

Omelia nella Domenica di Pasqua

 

Resurrexi, et adhuc tecum sum. Sono risorto, e sono ancora con te.

Salmo 138

  Hæc dies, quam fecit dominus. Questo è il giorno che ha fatto il Signore. Sono le parole che la divina Liturgia ripeterà durante tutta l’Ottava di Pasqua, per celebrare la Resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo, trionfatore della morte. Permettetemi tuttavia di fare un passo indietro, al Sabato Santo, ossia al momento in cui le spoglie del Salvatore giacciono nel Sepolcro senza vita e la Sua anima scende negl’inferi per liberare dal Limbo coloro che morirono sotto l’Antica Legge aspettando il Messia promesso.    Una settimana fa il Signore era acclamato Re d’Israele ed entrava trionfalmente in Gerusalemme. Pochi giorni dopo, appena celebrata la Pasqua ebraica, le guardie del tempio Lo arrestavano e con un processo farsa convincevano l’autorità imperiale a metterLo a morte per esserSi proclamato Dio.   Abbiamo accompagnato il Signore nel pretorio; abbiamo assistito alla fuga dei Discepoli, alla latitanza degli Apostoli, al rinnegamento di Pietro; Lo abbiamo visto flagellare e coronare di spine; Lo abbiamo visto esposto agli insulti e agli sputi della folla sobillata dal Sinedrio; Lo abbiamo seguito lungo la via che porta al Calvario; abbiamo contemplato la Sua crocifissione, ascoltato le Sue parole sulla Croce, udito il grido con cui spirava; abbiamo visto oscurarsi il cielo, tremare la terra, strapparsi il velo del Tempio; abbiamo pianto con le Pie Donne e San Giovanni la Sua Morte e la deposizione dalla Croce; abbiamo infine osservato la pietra sepolcrale chiudere la Sua tomba e la guarnigione delle guardie del tempio sorvegliare che nessuno vi si avvicinasse per rubarne il corpo e dire che Egli era risorto dai morti. Tutto era già scritto, profetato, annunciato.

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Le parole dei Profeti non erano bastate, nonostante esse annunciassero – insieme alla dolorosissima Passione del Salvatore – anche la Sua gloriosa Resurrezione. Sembrava tutto finito, tutto vano: le speranze di tre anni di ministero pubblico, di miracoli, di guarigioni sembravano dissolversi dinanzi alla cruda realtà di una morte tremenda e infame, con cui veniva a chiudersi definitivamente la vita del figlio di un falegname della Galilea.    Questo è ciò che abbiamo dinanzi in questa fase cruciale della Storia dell’umanità: un mondo che per secoli ha costruito una civiltà – anzi: la civiltà – sulle parole di Cristo, riconoscendoLo Re come fece il popolo di Gerusalemme, e che nell’arco di qualche generazione Lo rinnega, Lo tortura, Lo uccide con il più infame dei supplizi e Lo vuole seppellire per sempre.   E se non siamo ancora giunti alla fine di questa passio Ecclesiæ – ossia al completamento della Passione di Cristo nelle Sue membra, il Corpo Mistico – sappiamo che questo è comunque ciò che presto accadrà, perché il servo non è superiore al padrone.   Il mondo contemporaneo ha assistito alle manovre del Sinedrio, che in tre secoli ha compiuto sulla Santa Chiesa ciò che in tre giorni aveva fatto al suo Fondatore; in quel Sinedrio abbiamo potuto annoverare non solo re e principi, ma anche sacerdoti e scribi, per i quali la Redenzione minacciava un’usurpazione ai danni di un popolo ingannato dai suoi stessi capi. Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia (Mt 27, 18).    Noi stiamo osservando: increduli che tutto questo possa accadere di nuovo, questa volta coinvolgendo l’intero corpo ecclesiale e non solo il suo Capo divino.   Alcuni con il timore di vedere fallito un programma politico di rivolta, altri sgomenti e incapaci di comprendere come le parole del Signore possano realizzarsi, quando tutto lascia temere il peggio.   Alcuni si svelano nel loro considerare il Signore come un’opportunità per trarne un vantaggio personale e quindi pronti a tradirLo, altri continuano a credere, apparentemente contro ogni ragionevolezza.    Vediamo i sommi sacerdoti inchinarsi al potere temporale, prostrarsi dinanzi agli idoli del globalismo e della Madre Terra – infernale simulacro del Nuovo Ordine Mondiale – per quello stesso terrore di vedersi sottrarre un potere usurpato, di essere scoperti nelle loro menzogne, nei loro inganni. Tradimenti, fornicazioni, perversioni, omicidi, corruzione mettono a nudo un’intera classe politica e religiosa indegna e traditrice. E quello che gli scandali portano alla luce è ancora nulla rispetto a ciò che presto verremo a conoscere: l’orrore di un mondo sommerso, in cui coloro che dovrebbero esercitare l’autorità di Cristo Re nella sfera civile e di Cristo Pontefice in quella religiosa sono in realtà adoratori e servi del Nemico, né più né meno di ciò che erano i sacerdoti mostrati dal Signore al profeta Ezechiele (Ez 8), nascosti nei penetrali del Tempio e intenti ad adorare Baal.   Su di loro la collera di Dio si scatena mediante l’azione punitrice dei nemici: ieri Nabucodonosor o Antioco Epifane, Diocleziano o Giuliano l’Apostata; oggi le orde dell’Islam invasore, i Black Lives Matter, i seguaci dell’ideologia LGBTQ, i tiranni del Nuovo Ordine Mondiale e dell’OMS. E come i precursori dell’Anticristo hanno creduto di poter vincere Cristo e sono morti, così moriranno anche i servi dell’Anticristo e l’Anticristo stesso, sterminati dalla destra di Dio.    Quanto sangue sparso! Quante vite innocenti stroncate, quante anime perdute per sempre, quanti Santi strappati al Cielo! Ma quanti Martiri silenziosi, quante conversioni sconosciute, quanto eroismo in tante persone senza nome. E tra costoro non possiamo non annoverare i Dottori della Chiesa – ossia quei Vescovi rimasti fedeli all’insegnamento del Signore – e i dottori del popolo, ossia quei campioni della Verità cattolica contro l’Anticristo. Sì, cari amici e fratelli, perché ci saranno anche loro: E i dottori del popolo illumineranno molta gente, e correranno incontro alla spada, e alle fiamme, e alla schiavitù, e allo spogliamento delle sostanze per molti giorni (Dan XI, 33).   Questo titolo di dottore, giusta ricompensa dell’ingegno unito al lavoro, lo Spirito Santo lo attribuisce egualmente, e con infinita giustizia, a poveri popolani che la grandezza della loro Fede ha trasformati in apostoli. Apostoli intrepidi delle Verità cristiane, essi le faranno risuonare nelle officine, nelle botteghe, nelle strade, per le campagne, su internet.   Anche l’Anticristo li avrà in odio, considerandoli come uno dei più grandi ostacoli all’instaurazione del suo regno tirannico e li perseguiterà ferocemente; perché proprio quando egli crederà di aver sotto controllo i pulpiti e i parlamenti, sarà anche grazie ad essi se la fiamma della Fede non si spegnerà e se il fuoco della Carità accenderà tanti cuori sino ad allora tiepidi.   Guardiamoci attorno: la furia montante di tanti crimini esecrandi e di tante menzogne sta svegliando molte anime, scuotendole dal loro torpore per farne anime eroiche pronte a combattere per il Signore.   E quanto più nelle ultime fasi, la battaglia si farà feroce e spietata, tanto più determinata e coraggiosa sarà la testimonianza di persone sconosciute e umili. 

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In questa grande Parasceve dell’umanità, che volge ormai al termine e prelude alla vittoria della Resurrezione, le grida oscene e le vili crudeltà della folla ci atterriscono e ci fanno pensare che tutto sia perduto, specialmente nel contemplare quanti Hosanna si sono mutati in Crucifige.   Ma così non è, cari fratelli!   Al contrario: se siamo giunti al Venerdì di Passione, sappiamo che è imminente il silenzio del Sabato, che presto sarà squarciato dal suono non più delle campane a festa, ma dalle trombe del Giudizio, dal ritorno trionfale del Signore glorioso.    A chi per primo si mostra il Salvatore risorto?   Non si mostra a Erode, né a Caifa, né a Pilato, ai quali pure avrebbe potuto dare una bella lezione apparendo sfolgorante nella Sua veste candida come la neve.   Non si mostra agli Apostoli, fuggiti e ancora nascosti nel Cenacolo.   Non si mostra a Pietro, che ancora piange amaramente il suo rinnegamento.   Si mostra invece alla Maddalena, che inizialmente crede si tratti di un ortolano: a colei che la mentalità del mondo di allora avrebbe considerato insignificante, ma che era stata – con la Maria Santissima e le Pie Donne – ad accompagnare il Signore al Calvario, e che ora si preoccupava di lavarne e imbalsamarne il corpo.   Questa delicatezza del Redentore verso la Maddalena sia dunque una promessa per il giorno glorioso del Suo ritorno, quando saranno altri Cattolici senza nome, rimasti fedeli nell’ora della Passione, a meritare di veder sorgere ad Oriente il Sole di Giustizia che non conoscerà tramonto.   E così sia.   + Carlo Maria Viganò, Arcivescovo 31 Marzo 2024 Dominica Paschatis, in Resurrectione Domini SOSTIENI RENOVATIO 21
Immagine: Jacopo Robusti detto Tintoretto (1518-1594), La resurrezione, Gallerie dell’Accademia, Venezia  Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia   
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Civiltà

Putin: le élite occidentali si oppongono a tutti i popoli della Russia

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Il presidente russo Vladimir Putin ha messo in guardia dai tentativi occidentali di seminare divisione fra le genti russe e dai tentativi di frammentare il suo territorio secondo linee etniche. Lo riporta il sito governativo RT.

 

Intervenendo alla sessione plenaria del Consiglio internazionale del popolo russo, Putin ha lanciato un appassionato appello alla solidarietà tra i diversi popoli del Paese. Tali sforzi mirano non solo a danneggiare il popolo russo stesso, ma contro tutti i gruppi che compongono il paese, ha dichiarato Putin.

 

«La russofobia e altre forme di razzismo e neonazismo sono diventate quasi l’ideologia ufficiale delle élite dominanti occidentali. Sono diretti non solo contro i russi, ma contro tutti i popoli della Russia: tartari, ceceni, avari, tuvini, baschiri, buriati, yakuti, osseti, ebrei, ingusci, mari, altaiani. Siamo tanti, non li nominerò tutti adesso, ma, ripeto, questo è diretto contro tutti i popoli della Russia», ha dichiarato il Presidente.

 

«L’Occidente non ha bisogno di un Paese così grande e multinazionale come la Russia», ha continuato il presidente, aggiungendo che la diversità e l’unità della Russia «semplicemente non si adattano alla logica dei razzisti e dei colonizzatori occidentali».

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Ecco perché, secondo Putin, l’Occidente ha iniziato a suonare «la vecchia melodia» di chiamare la Russia una «prigione di nazioni», descrivendo il popolo russo come «schiavi» e arrivando addirittura a chiedere la «decolonizzazione» della Russia.

 

«Abbiamo già sentito tutto questo», ha detto, aggiungendo che ciò che gli oppositori della Russia vogliono veramente è smembrare e saccheggiare il paese, se non con la forza, almeno seminando discordia all’interno dei suoi confini.

 

Putin ha continuato avvertendo che qualsiasi interferenza esterna o provocazione volta a provocare conflitti etnici o religiosi nel Paese sarà considerata un «atto aggressivo» e un tentativo di utilizzare ancora una volta il terrorismo e l’estremismo come strumento per combattere la Russia.

 

«Reagiremo di conseguenza», ha dichiarato.

 

Il presidente ha sottolineato che l’attuale lotta della Russia per la sovranità e la giustizia è «senza esagerazione» di «natura di liberazione nazionale» perché è una lotta per la sicurezza e il benessere dei suoi cittadini.

 

Putin ha anche osservato che il popolo russo, come già fatto in passato, è diventato ancora una volta un ostacolo per coloro che lottano per il dominio globale e cercano di portare avanti la loro «eccezionalità».

 

«Oggi lottiamo non solo per la libertà della Russia, ma per la libertà del mondo intero», ha detto il presidente, precisando che Mosca è ora «in prima linea nella creazione di un ordine mondiale più equo» e che «senza un governo sovrano, una Russia forte, non è possibile alcun ordine mondiale duraturo e stabile».

 

Come riportato da Renovatio 21, all’ultima edizione del Club Valdai Putin aveva tenuto un denso discorso dove lasciava intendere una concezione della Russia come Stato-civiltà.

 

Riguardo alle élite occidentali, parlando di forniture di gas, il presidente russo aveva lamentato due mesi fa la mancanza di «persone intelligenti». Considerando le bollette, è davvero difficile dargli qui torto.

 

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 

 

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