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Geopolitica

Zelens’kyj pubblica un’altra foto di soldato con mostrine naziste

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Il presidente ucraino Vladimir Zelens’kyj ha pubblicato una foto di un soldato che sfoggia un simbolo utilizzato da una famigerata unità tedesca che ha ucciso civili durante la Seconda Guerra Mondiale. Lo riporta il sito russo RT.

 

Non si tratta purtroppo della prima volta che soldati e paramilitari ucraini vengono fotografati mentre mostrano insegne e tatuaggi associati al nazismo, finendo poi pubblicati inavvertitamente (sì?) anche su social media e testate occidentali.

 

Domenica, Zelens’kyj ha pubblicato diverse foto sul suo account Instagram. Tra di esse vi era l’immagine di un soldato ucraino che riposa in una trincea.

 


La mostrina sulla spalla sinistra del soldato è simile alle insegne «totenkopf» (la «testa di morto) usate dalla 3ª divisione carri armati delle SS, un’unità d’élite famigerata per il massacro di civili in Francia e sul fronte orientale, tra cui ebrei polacchi. Il primo comandante dell’unità, Theodor Eicke, aveva gestito il campo di concentramento di Dachau prima della guerra.

 

«Se non fermiamo la lotta, prima o poi si ripristinerà uno stato unito e indipendente. Se non si raggiunge la vera unità, si perderà l’indipendenza», ha scritto Zelensky, lui stesso di origine ebraica, in un post che accompagnava le foto.

 

A maggio, lo Zelens’kyj ha condiviso l’immagine di un altro soldato con la toppa con il teschio, che è stata poi cancellata. A ottobre, il presidente ucraino è stato fotografato mentre visitava la linea del fronte ed era affiancato da una guardia di sicurezza che indossava la stessa mostrina.

 

Il Battiglione Azov è noto per accogliere combattenti con opinioni apertamente nazionaliste e neonaziste. Il reggimento, che fa parte della Guardia Nazionale ucraina, utilizza come simbolo ufficiale il wolfsangel (uncino del lupo), la runa utilizzata anche da due unità delle SS. L’Anti-Defamation League, controverso ente americano che dovrebbe combattere i discorsi antisemiti, elenca il totenkopf e il wolfsangel come simboli di odio.

 

Come riportato da Renovatio 21, «inviati» del Battaglione Azov hanno appena terminato un viaggio in Israele, invitati dall’organizzazione di un oligarca fuggito dalla Russia e riparato, grazie alle sue origini, nello Stato Ebraico.

 

Un altro simbolo nazista popolare riemerso con l’Azov (al punto di fare parte del logo prima del restyling pro-occidentale) è il Sonnenrad, detto anche «Sole nero» un simbolo esoterico amato dall’élite delle SS di Himmler. Il Sonnenrad in questi mesi è saltato fuori in ogni parte del mondo: era tatuato sul braccio dell’attentatore dell’ex presidente argentino Cristina Kirchner così come stampato nello zibaldone lasciato da un recente stragista statunitense.

 

Alla vigilia dell’operazione militare speciale, il presidente russo Vladimir Putin aveva affermato che la «denazificazione» è uno dei motivi per cui Mosca ha lanciato un’operazione militare in Ucraina quasi un anno fa. Il pensiero era stato ribadito in un discorso sul regime di Kiev definito come un insieme di «nazisti e di drogati».

 

Tuttavia, la palma dell’orrore orwelliano riguardo ai nazisti, ai loro simboli e ai loro crimini – crimini del presente – la vince l’operazione di risciacquo fatto dai giornali occidentali, arrivati a dimenticare o perfino a cancellare loro articoli pubblicati pochi anni prima che indicavano le milizie nazionaliste come apertamente «naziste».

 

Anche i  social media sono, come sempre negli ultimi anni, allineati: dopo aver (ad inizio conflitto) permesso ai suoi utenti di inneggiare ad Azov e chiedere la morte dei russi anche andando contro quelli che si penserebbero essere gli «Standard della comunità», Facebook lo scorso mese ha dichiarato che il Battaglione Azov non è più pericoloso. A Mark Zuckerberg e alla sua azienda ad un certo punto era arrivata gratitudine direttamente dal presidente Zelens’kyj, che ringraziò per l’aiuto nello «spazio informativo» della guerra: un riconoscimento neanche tanto implicito dell’uso fondamentale dei social come arma bellica.

 

Riguardo alla storia delle origini ebraiche di Zelens’kyj, cosa che gli darebbe una sorta di infallibile lasciapassare morale per lavorare con amanti della svastica, vi fu poi lo scandalo «italiano» del ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, che a Rete 4 parlò del possibile antisemitismo di alcuni ebrei. Un tema che ha una sua letteratura cui Renovatio 21 ha dedicato un lungo articolo di analisi.

 

 

 

 

 

Immagine screenshot da Instagram, modificata

 

 

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Geopolitica

Macron capitola alle richieste del Niger

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La Francia ritirerà i suoi militari e diplomatici dal Niger dopo un colpo di Stato riuscito da parte delle forze antifrancesi, ha detto il presidente Emmanuel Macron domenica 24 settembre.

 

La decisione comporterà la partenza di circa 1.500 soldati entro la fine dell’anno.

 

«La Francia ha deciso di ritirare il suo ambasciatore. Nelle prossime ore il nostro ambasciatore e diversi diplomatici torneranno in Francia», ha detto domenica Macron alla televisione France 2.

 

«Metteremo fine alla nostra cooperazione militare con le autorità del Niger», ha continuato, aggiungendo che le truppe francesi torneranno a casa «nei mesi a venire».

 

La giunta golpista aveva chiesto in agosto che l’ambasciatore francese Sylvain Itté se ne andasse e aveva revocato la sua immunità diplomatica quando Parigi si era rifiutata.

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La settimana scorsa, Macron aveva  affermato che l’esercito nigerino teneva Itté «in ostaggio» bloccando le consegne di cibo all’ambasciata francese.

Inizialmente Parigi aveva respinto  anche il ritiro delle truppe francesi, dichiarandosi anche pronta a sostenere un’azione militare dell’ECOWAS. Il Niger aveva accusato la Francia di pianificare un’aggressione.

 

La giunta di Niamey ha inoltre sospeso le vendite di uranio ai francesi, che utilizzano il minerale estratto in Niger per coprire il 30% del fabbisogno per la produzione di energia atomica, che viene peraltro venduta anche all’Italia, che ne è dipendente per il 6%.

 

Come riportato da Renovatio 21, anche gli USA avevano deciso di chiudere le basi militari, una delle quali per droni, sul territorio nigerino, tuttavia pare che negli ultimi giorni sia arrivato un contrordine, e gli americani resteranno.

 

Il Niger e altri Paesi del Sahel stanno subendo in queste settimane attacchi da parte del terrorismo jihadista, d’improvviso riapparso.

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Immagine di US Africa Command via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)

 

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Geopolitica

Le forze di pace NATO hanno dato al Kosovo «carta bianca» per uccidere i serbi: parla il presidente serbo Vucic

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La forza di pace della NATO dispiegata in Kosovo avrebbe chiuso un occhio di fronte alla repressione della polizia nei confronti dei serbi locali: lo dichiara il presidente Aleksandar Vucic all’indomani di una schermaglia mortale nella regione separatista domenica mattina presto. Lo riporta RT.   Il leader serbo, parlando nella conferenza stampa più tardi lo stesso giorno, ha parlato del caos scoppiato nel villaggio di Banjska, nel nord del Kosovo. Secondo Vucic, un gruppo di serbi ha eretto una barricata nell’insediamento, provocando scontri con la polizia del Kosovo che hanno provocato la morte di un agente.   Durante lo scontro, un totale di tre serbi locali sono stati uccisi e altri due feriti, mentre si teme che un’altra persona sia morta, ha detto.   Tuttavia, le autorità del Kosovo hanno affermato che circa 30 uomini armati pesantemente hanno teso un’imboscata alla polizia locale, per poi fuggire in un vicino monastero. Dopo una sparatoria durata diverse ore, le forze dell’ordine sono riuscite a sgombrare la chiesa. Ha confermato la morte di tre serbi, aggiungendo che altri cinque sono stati arrestati.   Il primo ministro del Kosovo Albin Kurti ha affermato che i presunti colpevoli erano «le truppe serbe appoggiate dallo Stato» che hanno compiuto «atti terroristici», un’accusa categoricamente smentita da Vucic.   Il leader serbo ha dichiarato che «Kurti è l’unico responsabile» dell’alterco fatale, aggiungendo che «il suo unico desiderio è trascinarci in una guerra con la NATO e non fa altro tutto il giorno».   Vucic ha quindi accusato la KFOR, la forza del Kosovo guidata dalla NATO (KFOR), che è di stanza nella regione separatista da più di due decenni, di sostenere Pristina.

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Vucic ha dichiarato che i serbi a Banjska «sono stati completamente circondati in un’ora e 20 minuti», sostenendo che ciò è stato «evidentemente fatto in collaborazione con le forze internazionali». «Su di loro è stato effettuato un attacco brutale. Ci siamo chiesti perché la KFOR non lo ha fatto, ci sarebbero state molte meno vittime, ma hanno dato a Kurti carta bianca, come si suol dire, per affrontare i terroristi e uccidere quante più persone possibile», ha detto il leader serbo.   Come riportato da Renovatio 21, le tensioni avevano portato Belgrado a muovere le truppe verso il confine. Cinque mesi fa in alcuni scontri la polizia kosovara aveva sparato sulla protesta serba. In un momento di tensione i poliziotti di etnia albanese avevano strappato bandiere, mostrato le armi e occupato una diga.   «Il Kosovo vuole iniziare una guerra NATO-Serbia» aveva detto in seguito il presidente serbo Vucic.   Sebbene l’UE abbia inizialmente dichiarato legittime le elezioni, da allora ha chiesto a Kurti di indire un nuovo voto e di ritirare le sue forze dalle città a maggioranza serba. Stano ha detto ai giornalisti mercoledì che Kurti ha finora ignorato queste richieste. Si tratta di lieve un cambiamento di rotto, apparentemente: l’anno scorso il cancelliere tedesco Scholz aveva minacciato il presidente serbo: o riconosceva il Kosovo o doveva dimenticarsi l’adesione all’UE.   Il rifiuto di Kurti di allentare la tensione ha anche minacciato le relazioni del Kosovo con l’Albania. Kurti avrebbe dovuto incontrare il primo ministro albanese Edi Rama in Kosovo mercoledì, ma l’incontro è stato annullato da Rama martedì. A causa del «peggioramento delle relazioni del Kosovo con l’intera comunità euro-atlantica, questo incontro non può essere tenuto nel formato previsto», ha detto il Rama in una nota.   Il Kosovo è essenzialmente una creazione dei Clinton, che si appoggiavano al cosiddetto «Ulivo mondiale»: Blair a Londra e l’ex comunista Massimo D’Alema a Roma, che fornì aiuto politico, materiale, militare dal nostro Paese. Lo «Stato» kosovaro fu creato grazie a massicci bombardamenti NATO della Serbia voluti dall’amministrazione americana a fine anni Novanta, in primis il senatore Joe Biden, che, amico personale di Tito, rivendica addirittura di aver indicato ai militari le zone da colpire.   Secondo il New York Times il Kosovo è percentualmente il più grande fornitore di foreign fighter ISIS in rapporto alla popolazione.   L’ex presidente kosovaro Hashim Thaci, pupillo del segretario di Stato clintoniano Madeleine Albright a lungo al vertice del Paese, è stato accusato di crimini tra cui il traffico di organi.   Negli scontri di quattro mesi tra polizia, manifestanti serbi e truppe NATO fa furono feriti, tra gli altri, alcuni militari italiani, suscitando una reazione rabbiosa da parte del premier Meloni.   Riguardo la posizione del primo ministro rispetto al conflitto serbo-albanese è forse possibile trarre qualche idea dal misterioso viaggio fatto in piena estata per andare a trovare il presidente albanese Edi Rama, uomo di Soros e fratello di un uomo che i serbi sospettano di aver ordito una provocazione durante una partita di calcio della nazionale dove un drone portò sul campo una bandiera che recava la mappa della «grande Albania», che comprendeva ovviamente anche il Kosovo come territorio di Tirana.

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 Immagine di NATO North Atlantic Treaty Organization via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic (CC BY-NC-ND 2.0)    
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Geopolitica

Hillary Clinton: Putin ci odia. Spieghiamo invece il vero motivo per cui lei odia Putin

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L’ex candidata presidenziale americana Hillary Clinton ha detto all’ex portavoce della Casa Bianca Jennifer Psaki che il presidente russo Vladimir Putin «odia» gli Stati Uniti. L’ex candidata presidente battuta da Donald Trump ha inoltre affermato che Mosca interferirà nelle elezioni del 2024, ripetendo accuse mai provate del 2016 e del 2020.

 

«I russi hanno dimostrato di essere piuttosto abili nell’interferire e se [Putin] avrà una possibilità, lo farà di nuovo», ha insistito Clinton durante l’intervista di domenica alla MSNBC, sottolineando che il leader russo, che la sua campagna ha notoriamente accusato di sostenere il suo rivale repubblicano, Donald Trump, nel 2016, «odia la democrazia».

 

«Odia particolarmente l’Occidente, e odia soprattutto noi», ha detto, sostenendo che Putin era dietro una strategia deliberata per «danneggiare e dividere» gli Stati Uniti. Il candidato, due volte bocciato, ha invitato gli americani a resistere alla presunta tirannia del «dittatore autoritario» della Russia, così come ai suoi «apologisti e facilitatori».

 

«Dobbiamo respingere una sorta di fascismo strisciante di persone che sono veramente pronte a cedere il loro pensiero, i loro voti ad aspiranti dittatori», ha aggiunto Clinton.

 

Psaki, conduttore di MSNBC da quando ha lasciato la Casa Bianca l’anno scorso, ha rivelato tristemente al pubblico che l’amministrazione del presidente Joe Biden stava tentando di controllare la narrativa del COVID-19 sui social media nel 2021, ammettendo che il governo stava «segnalando i post problematici per Facebook». Successivamente è emerso che diversi enti governativi avevano rappresentanti che si incontravano regolarmente con le piattaforme di social media per richiedere la rimozione dei contenuti, il divieto degli utenti e la promozione di contenuti considerati più favorevoli a Washington.

 

All’Eastern Economic Forum all’inizio di questo mese, Putin ha denunciato l’amministrazione Biden come irrimediabilmente corrotta e impegnata nella persecuzione politica del predecessore repubblicano del presidente, sostenendo che la campagna legale contro Trump ha messo in luce «il marciume del sistema politico americano, che non può pretendere di insegnare altri democrazia», scrive RT.

 

Il presidente russo ha ricordato al pubblico che le accuse di collusione russa mosse contro Trump da Clinton e altri – in seguito rivelate essere basate su mandati di sorveglianza illegali, informazioni fasulle e prove falsificate – erano «assolute sciocchezze».

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Il procuratore speciale del Dipartimento di Giustizia John Durham ha ritenuto che le indagini dell’FBI sui presunti legami di Trump con la Russia fossero enormemente viziate, concludendo in un rapporto pubblicato all’inizio di quest’anno che l’agenzia «non è riuscita a sostenere la propria missione di rigorosa fedeltà alla legge» basandosi su informazioni di dubbia provenienza.

 

Le agenzie di Intelligence statunitensi hanno ribadito le loro accuse di ingerenza elettorale del 2016 con un rapporto in cui insistevano sul fatto che Mosca aveva manipolato il voto del 2020 a favore di Trump. Tuttavia, non è mai stata condotta alcuna indagine ufficiale su tali accuse e lo stesso rapporto alla fine ha ammesso che non era stato effettivamente fatto alcuno sforzo per interferire con i totali dei voti.

 

La ruggine fra la Clinton e Putin è antica, e più profonda di quanto non si creda, perché non riguarda la sola Hillary ma la matrice di potere da cui proviene.

 

L’insulto più noto risale ad anni fa. La Clinton, in un incontro pubblico, se la prese con George W. Bush – un teatrino di facciata, certo, perché sappiamo come lui la consideri un membro della famiglia Bush, e abbia operato appena eletto a elargire grazie ai collaboratori di Clinton che potevano scoperchiare certi vasetti di Pandora lasciati dal Bill – accusandolo di  ingenuità. Quest’ultimo aveva dichiarato che aveva guardato negli occhi di Putin, dicendo poi di averne visto l’anima e quindi di potersene fidare. La Clinton disse, facendo ridere il suo pubblico idiota, che era impossibile, perché Putin è una spia del KGB, quindi «Putin non ha un’anima». (La Clinton, ricordiamo, è moglie del grande amico di Jeffrey Epstein Bill Clinton; la coppia è omonima di quel Clinton Body Count che è sicuramente una teoria cospirazionista per malati di mente diffusori di fake news).

 

Putin di suo nel 2014 aveva affermato in un’intervista che Hillary è «debole», aggiungendo che l’ex segretario di Stato «non è mai stata troppo aggraziata nelle sue dichiarazioni».

 

La realtà è che la Clinton non può che essere una continuazione del mondo da cui proviene il marito Bill, che è quello descritto dal professor Carrol Quigley, che di Bill fu professore a Georgetown, nel suo libro Tragedy and Hope, un libro volume di oltre 1000 pagine che per anni fu tolto dal commercio.

 

Quigley aveva ottenuto il permesso di lavorare agli archivi del Council for Foreign Relations, think tank rockefelleriano che dirige le scelte di politica estera (e quindi di guerra) degli USA. L’accademico se ne era uscito con questo enorme saggio sulla storia del gruppo che, a suo dire, davvero controlla la storia, che lui chiama «l’establishment anglo-americano». Tale gruppo di potere, che rappresenta una continuazione della strategia dell’impero britannico, vorrebbe sottomettere l’intero globo al dominio anglo-americano e del suo oligarcato – e quindi del neoliberismo, e più avanti, di un socialismo capitalista («fabiano») di cui vediamo i prodromi in Cina e nelle allucinazioni del World Economic Forum.

 

Di qui la necessità di eliminare chiunque, difendendo sovranità di qualsiasi tipo davanti al progetto mondialista, possa rappresentare un ostacolo all’attuazione del piano di omogeneizzazione mondiale dell’establishment di cui parla Quigley, il quale vedeva pure il fenomeno sotto una luce positiva.

 

È noto che Clinton citò almeno una volta direttamente Quigley in un suo discorso.

 

Questa storia che vi stiamo raccontando è in qualche modo specchiata nel libro di Robert Harris, poi divenuto film di Roman Polansky, Ghost Writer (), che si pensa sia ispirato a Tony Blair e a suoi moglie (secondo la finzione, il vero collegamento con il gruppo dell’establishment) ma che si può trasporre anche al caso dell’omologo americano Bill Clinton, protagonista con lo scozzese del cosiddetto «Ulivo mondiale» di fine anni Novanta che ha devastato i Balcani, di fatto iniziando a far retrocedere gli alleati di Mosca e avanzare la NATO.

 

La creazione stessa dell’Ucraina, una realizzazione dei Clinton, va in questa direzione.

 

L’odio di Hillary per Putin non è quindi una questione ideologica, né personale: è molto di più, è un odio metapolitico, metastorico, legato ad antichi progetti di immane portata per il destino del mondo.

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)

 

 

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