Economia
Dilma Rousseff presto dirigerà la nuova banca di sviluppo dei BRICS

Su richiesta dei Lula da Silva, l’ex presidente brasiliano Dilma Rousseff dovrebbe diventare il nuovo presidente della nuova banca di sviluppo BRICS (New Development Bank, o NDB), riportano i media brasiliani.
Secondo il principale quotidiano di San Paolo O Estado gli altri paesi BRICS avrebbero già approvato la sua nomina; la sua approvazione da parte dei cinque governatori del consiglio di amministrazione dell’NDB (ciascuno nominato da un membro BRICS) è tutto ciò che manca alla conferma ufficiale.
La Rousseff dovrebbe accompagnare Lula durante la sua visita in Cina, alla fine di marzo, negli ultimi due anni, ha sostenuto di recente che lo sviluppo della Cina è un modello di gran lunga migliore della «decadenza occidentale» in cui i paesi vengono deindustrializzati sotto la «finanziarizzazione dell’economia» del neoliberismo.
La Rousseff è stata altresì esplicita contro la «guerra ibrida» della NATO contro la Russia che ha creato il conflitto Ucraina-Russia.
Come riportato da Renovatio 21, significativamente la ex presidente ha fatto dichiarazione riguardanti la de-dollarizzazione, ossia la fine dell’egemonia della moneta americana sul mercato mondiale. La Roussef si era spinta a dichiarare pubblicamente che le sanzioni USA saranno la causa della fine della supremazia della valuta statunitense, finora usata, ha detto durante una sua presentazione il 20 marzo ad un evento di «Amici della Cina socialista», come arma contro altri Paesi.
Al gruppo dei BRICS in questi mesi sono arrivate le richieste di adesione da parte di Argentina, Algeria e, incredibilmente, perfino Arabia Saudita, il Paese che con il petrodollaro ha garantito la supremazia della valuta americana nel commercio globale.
Secondo quanto si evince dai recenti discorsi del presidente della Federazione Russa Vladimir Putin, BRICS si stanno preparando a valute alternative per gli scambi tra Paesi, menzionando, al BRICS Business Forum 2002, la possibilità di una nuova valuta di riserva per il commercio internazionale.
Immagine di Valter Campanato/ABr via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Brazil (CC BY 3.0 BR)
Economia
Il conflitto tra Israele e Iran potrebbe interrompere le catene di approvvigionamento del commercio globale

L’associazione tedesca per il commercio estero (BGA) ha messo in guardia dalle conseguenze di vasta portata dell’ultima escalation tra Israele e Iran per l’economia globale.
«Possiamo già vedere gli effetti del conflitto sul prezzo del petrolio, che sta aumentando», ha dichiarato il responsabile del commercio estero Dirk Jandura ai quotidiani di Funke Mediengruppe il 14 giugno.
La BGA sottolineato che gran parte delle forniture di petrolio passa attraverso lo Stretto di Hormuz, attraverso il quale viene trasportato circa un quinto della produzione mondiale di petrolio.
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Se l’Iran volesse aumentare la pressione sulla comunità internazionale, potrebbe bloccarla, ha avvertito lo Jandura. A suo avviso, ciò avrebbe un «impatto immediato sulle nazioni industrializzate occidentali» e gli effetti sulla regione potrebbero avere gravi conseguenze anche per l’intera economia globale, in particolare per la Germania in quanto nazione esportatrice.
Un blocco dello Stretto di Hormuz colpirebbe gravemente anche la Cina, cui gli iraniani vendono una cifra vicina ai 3/4 del petrolio estratto nella Repubblica Islamica. Una crisi energetica cinese porterebbe ad un aumento verticale dei prezzi della manifattura cinese, divenuta con la globalizzazione il cardine del Nuovo Ordine instauratosi nell’ultimo quarto di secolo.
La somma della crisi energetica ucraina sommata ad una nuova crisi energetica iraniana potrebbe portare ad una paralisi totale dell’economia mondiale. E quindi, ancora instabilità, violenza, guerra, morte.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Economia
L’Austria chiede la revisione del divieto europeo sul gas russo

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Economia
Il Vietnam diventa partner BRICS

Il Vietnam è entrato a far parte dei BRICS come decimo paese partner, segnando un passo significativo nell’espansione del blocco, ha annunciato sabato il ministero degli Esteri brasiliano.
I BRICS sono stati fondati nel 2009 da Brasile, Russia, India e Cina, a cui si è aggiunto il Sudafrica nel 2010. Il blocco si è poi ampliato includendo Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia, Indonesia e Iran. I BRICS rappresentano circa il 40% del PIL globale in termini di parità di potere d’acquisto, superando il peso economico combinato del G7, secondo quanto annunciato dal ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov.
«Con una popolazione di quasi 100 milioni di persone e un’economia dinamica profondamente integrata nelle catene del valore globali, il Vietnam si distingue come un attore rilevante in Asia», ha affermato il ministero degli Affari Esteri brasiliano.
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Il ministero ha aggiunto che Hanoi «condivide con i membri e i partner dei BRICS l’impegno per un ordine internazionale più inclusivo e rappresentativo».
Gli altri nove paesi partner del gruppo sono Bielorussia, Bolivia, Kazakistan, Cuba, Malesia, Nigeria, Tailandia, Uganda e Uzbekistan.
L’inclusione di Hanoi come Paese partner gli garantisce l’accesso a iniziative economiche chiave senza diritto di voto formale.
Come riportato da Renovatio 21, negli scorsi mesi sono entrate nei brics Nigeria, Tailandia, Indonesia. Cuba ha segnalato il suo interesse. La Serbia si sta muovendo verso un referendum per l’adesione. L’Algeria si è unita alla Nuova Banca per lo Sviluppo BRICS, che già ha prestato centinaia di milioni di dollari al Bangladesh. Il Pakistan ha chiesto di entrare ancora due anni fa. La Bolivia ha partecipato a vari vertici, dai quali è stato escluso il presidente francese Emanuele Macron, che aveva chiesto se poteva esserci anche lui.
Più spinosa la richiesta di adesione turca elaborata negli scorsi mesi: la Turchia, come noto, è un Paese NATO. Forti pressioni sono state rivelate sull’Arabia Saudita per uscire dalla scena BRICS. Arrivato al potere, il presidente dell’Argentina Saverio Milei ha immediatamente fatto uscire Buenos Aires dall’alleanza. Il Messico pure ha annunciato la volontà di rimanere fuori.
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Immagine di Aerra Carnicom via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
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