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Ormoni

La «Rabbia di Roid» di Putin: i giornali non hanno idea di quello che scrivono

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Ovunque sta rimbalzando la notizia che il presidente russo sarebbe malato. «Faccia gonfia e scatti d’ira». La diagnosi implacabile viene dai servizi segreti: la CIA magari, ma va benissimo anche un’Intelligence internazionale a caso.

 

Quindi, vi sarà capitato di leggere un titolo come quello di Libero Quotidiano:  «Vladimir Putin malato, gli 007 inglesi: “Rabbia di Roid, capacità cerebrali danneggiate”».

 

L’espressione «rabbia di Roid» finisce su Dagospia, e da lì tracima in ogni giornale italiano possibile. Ripetuta infinite volte.

 

«Roid», parola che il lettore può non aver veduto prima, è maiuscolo. Si tratta del nome di uno scienziato? La  «rabbia di Roid» è come la sindrome di Down, la corea di Huntington, il morbo di Crohn, la malattia di Kawasaki?

 

Spieghiamo la storia di questa espressione inedita: essa è la traduzione, probabilmente automatica (lo speriamo), dell’espressione inglese «roid rage». Dove «roid» non è un dottor Roid sul punto di vincere il Nobel, ma la comune abbreviazione gergale dell’inglese steroid, steroide.

 

Su YouTube, dove i bodybuilder non nascondono praticamente più il tema dell’assunzione di ormoni sintetici, il termine roid rage è comune: descrive semplicemente il temperamento acceso di chi assume anabolizzanti, la «rabbia da steroidi» che prenderebbe alcuni utilizzatori.

 

Non tutti però: alcuni sostengono che sia un falso mito, non vi siano basi scientifiche per sostenere una correlazione diretta e infallibile tra l’assunzione di doping e aggressività.

 

Si tratta, quindi, di una patologia sulla quale non c’è ancora consenso scientifico, vi è solo materiale aneddotico.

 

E vi sono invece anche prove di senso contrario: alcuni esperimenti scientifici hanno notato che dosi di testosterone rendono gli uomini… più generosi.

 

In un esperimento sorprendente, ricercatori del Trinity College di Dublino avevano somministrato a 40 uomini un’iniezione di testosterone o un placebo prima di partecipare a una serie di esperimenti finanziari. Ai partecipanti era stato chiesto di dividere una somma di denaro e di accettare o rifiutare in base ai termini. Potevano anche fornire bonus o sanzioni finanziarie a seconda dell’equità percepita dell’accordo.

 

Come previsto, gli uomini che avevano ricevuto il testosterone davano punizioni più dure in risposta a cattivi affari. L’ormone della «roid rage» li aveva resi più aggressivi ma, sorprendentemente, questo si traduceva anche in una maggiore generosità. Più testosterone avevano gli uomini, più era probabile che ricompensassero accordi equi con bonus.

 

La demonizzazione del testosterone – se assunto da maschi eterosessuali, e non da transessuali femmine che vogliono maschilizzarsi – non è una novità. Qui si incrocia con la demonizzazione del nemico geopolitico, che, appunto, è da sempre definito troppo maschile (la pesca a petto nudo, la caccia alla tigre, il judo, etc.), troppo testosteronico, quindi, in una società femminizzata, «patologico».

 

La psicopatologizzazione del nemico non è qualcosa di inedito: è una tecnica di propaganda vetusta e poco fantasiosa. L’abbiamo vista mica solo in guerra: pensate a quante se ne sono dette di Berlusconi e (con buona pace della Goldwater Rule) di Trump.

 

Il tema qui è un altro: come fidarsi di una stampa che copia e incolla quello che gli viene passato (va bene, con il traduttore automatico Google magari) senza verificare nemmeno le espressioni con cui fa i titoli?

 

Sono i professionisti dell’informazione. Eccerto. Bisogna fidarsi di loro: hanno fatto un ottimo lavoro durante il COVID, e ora stanno continuando così anche a Kiev.

 

Di fatto, l’Ucraina sta vincendo la guerra contro la Russia, sorpresa, fiaccata, senza risorse e con un presidente pazzo. E Hillary Clinton è incontrovertibilmente ancora prima nei sondaggi.

 

 

 

Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 

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WADA versus USADA: è guerra tra l’antidoping mondiale e quello statunitense

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L’agenzia internazionale antidoping e la sua controparte nazionale negli Stati Uniti si sono accusate a vicenda di proteggere gli atleti che imbrogliano dalle punizioni.

 

L’escalation di questa settimana è stata innescata da un’inchiesta pubblicata mercoledì dall’agenzia di stampa Reuters. Si è concentrata sulle affermazioni della World Anti-Doping Agency (WADA) secondo cui l’US Anti-Doping Agency (USADA) avrebbe scoperto diversi atleti in violazioni di farmaci per migliorare le prestazioni, ma non avrebbe fatto rispettare le regole, trasformandoli invece in informatori.

 

Le due agenzie sono attualmente in disaccordo sulle affermazioni americane secondo cui la WADA non avrebbe punito 23 nuotatori cinesi per aver presumibilmente assunto uno steroide vietato durante le competizioni nazionali. L’organismo internazionale ha accusato la USADA di aver oltrepassato il suo mandato e di aver fatto affermazioni che il presidente della WADA Witold Banka ha descritto come «politicamente motivate».

 

Quando l’agenzia di stampa gli ha chiesto delle accuse a suo carico, il direttore generale dell’USADA Travis Tygart ha definito la trasformazione dei trasgressori in informatori «un modo efficace per arrivare a questi problemi sistemici più grandi».

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«Se ci sono agenti o altri che sfruttano gli atleti e trafficano, penso che sia del tutto appropriato», ha affermato il funzionario statunitense.

 

Le norme internazionali consentono agli imbroglioni di ottenere una riduzione della sospensione se collaborano alle indagini su altri sospettati di doping, ma non dicono nulla riguardo alla possibilità di risparmiarli da un’azione penale e di consentire loro di competere, si legge nel rapporto.

 

La WADA ha dichiarato alla Reuters di aver ordinato alla USADA di sospendere la pratica, quando ne è stata informata nel 2011, rifiutando di identificare le tre persone utilizzate come informatori dall’agenzia statunitense. I loro risultati non sono mai stati screditati, anche se uno dei trasgressori aveva un profilo relativamente alto nello sport, ha aggiunto. La WADA ha scelto di non perseguirli per preoccupazione per la loro sicurezza, ha affermato.

 

In una dichiarazione rilasciata dopo la pubblicazione del rapporto, l’agenzia internazionale ha accusato l’USADA di una «chiara violazione» e ha aggiunto ulteriori informazioni sull’informatore di alto profilo, affermando che era «un atleta di livello d’élite, che ha gareggiato in qualificazioni olimpiche ed eventi internazionali negli Stati Uniti».

 

«Come devono sentirsi gli altri atleti sapendo di aver gareggiato in buona fede contro coloro che, secondo l’USADA, avevano imbrogliato?», si chiedeva, accusando l’organismo americano di ipocrisia nel criticare la WADA per il caso cinese.

 

La WADA ha concordato con le spiegazioni dell’agenzia antidoping cinese, secondo cui i test positivi erano dovuti alla contaminazione della cucina, e ha rifiutato di punire gli atleti.

 

L’USADA ha risposto affermando che il suo critico internazionale stava mettendo in atto «tentativi disperati e pericolosi di diffamare altri, compresi gli informatori, invece di rispondere a domande fondamentali» sui cinesi.

 

La guerra del doping ha evidenti radici geopolitiche, divenute con le Olimpiadi di Sochi nel 2014, trionfo della Russia putiniana punita con da una parte il colpo di Stato di Maidan a Kiev e dall’altro da una gragnuola di accuse di dopingo contro gli atleti di Mosca, come testimonia il film distribuito da Netflix Icarus, che fa parlare una gola profonda della medicina sportiva russa esfiltrato in USA.

 

A seguire un clamoroso caso di dopingo, quello a carico del nuotatore Sun Yang, era stato il defunto Franco Frattini, che però fu attaccato dai cinesi nel suo ruolo di presidente al Tribunale di Arbitrato Sportivo Internazionale (TAS) di Losanna per aver insultato il popolo del Regno di Mezzo in un post sui social media dove egli sfogava tutto il suo animalismo.

 

Frattini aveva scritto su Twitter «inferno perenne per i sadici bastardi cinesi che uccidono brutalmente cani e gatti nello Yulin, con la complicità delle autorità cinesi». In altri post sulla questione dei cani in Cina avrebbe usato uno insulto pesante: «musi gialli».

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Nella vera guerra occulta della geopolitica del doping, un hackeraggio ai danni della stessa WADA aveva mostrato le sospette «esenzioni» farmaceutiche (il cosiddetto «uso terapeutico» che scuda l’uso di certune sostanze) degli atleti americani, rivelando che il prodigio della ginnastica Simone Biles, in una disciplina dove la concentrazione è tutto, avrebbe fatto uso di anfetamine e psicofarmaci.

 

«Simone Biles potrebbe passare alla storia dello sport come la prima atleta narcolettica a vincere quattro medaglie d’oro in una sola olimpiade», scherzarono all’epoca alcuni dei massimi esperti di antidoping italiani.

 

La Biles si ritirò precipitosamente da alcune gare delle Olimpiadi di Tokyo, accusando a destra e a manca. Alcuni hanno sospettato che potrebbe essere un problema psicofarmaceutico: pasticche perfettamente legali in USA sono completamente illegali in Giappone.

 

Ad ogni modo, pochi giorni fa, alle controverse Olimpiadi di Parigi, alla trave, la Biles è stata battuta alla trave dalla ginnasta italiana Alice D’Amato, che ha preso l’oro, mentre la statunitense è finita senza medaglia, penalizzata anche per non aver salutato la giuria. Il bronzo è andato ad un’altra italiana, Manila Esposito.

 

Mentre avanzano progetti vagamente transumanisti di Olimpiadi per soli dopati, la battaglia geopolitica delle droghe sportive continua.

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Il problema degli USA col doping: parla il capo dell’agenzia antidoping mondiale WADA

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Gli Stati Uniti dovrebbero assicurarsi che le proprie organizzazioni sportive rispettino i codici internazionali sul doping prima di accusare altri paesi di potenziare illegalmente i propri atleti, ha affermato il presidente dell’Agenzia mondiale antidoping (WADA), Witold Banka.   Intervenendo mercoledì a una riunione del Comitato Olimpico Internazionale (CIO) a Parigi, Banka ha difeso la decisione della sua agenzia di autorizzare 23 nuotatori cinesi a competere alle Olimpiadi di Tokyo del 2021, mesi dopo essere risultati positivi a tracce di sostanze dopanti.   Con 11 di questi nuotatori pronti a gareggiare ai giochi di Parigi questo mese, l’Agenzia antidoping statunitense (USADA) ha accusato la WADA di aver nascosto lo scandalo «sotto il tappeto», mentre il Dipartimento di Giustizia statunitense ha avviato un’indagine penale sulla gestione del caso da parte dell’agenzia.

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Le accuse dell’USADA sono «politicamente motivate» e fondate su un pregiudizio anti-Cina, ha detto Witold al CIO.   «Se le autorità statunitensi affermano la giurisdizione su casi che non hanno nulla a che fare con loro, allora rischiano di mettere gli Stati Uniti fuori dal sistema antidoping globale», ha aggiunto, sottolineando che gli Stati Uniti hanno già tentato di darsi questa giurisdizione con l’approvazione del Rodchenkov Act nel 2020.   Questa legislazione consente agli Stati Uniti di perseguire i cittadini di altri paesi sospettati di doping, a condizione che competano insieme agli americani o in eventi sportivi con legami finanziari con gli Stati Uniti.   «L’USADA cerca di porsi al di sopra del resto del mondo, forse persino di sostituire la WADA», ha dichiarato Banka, aggiungendo che «questo non può essere permesso».   «La scomoda verità per l’USADA è che non riesce ad affrontare un problema significativo, ovvero che il 90% degli atleti americani gareggia al di fuori della protezione del codice» della WADA, ha continuato il Banka.   Le organizzazioni sportive professionistiche e universitarie negli Stati Uniti stabiliscono i propri standard antidoping, con i sindacati degli atleti autorizzati a negoziare protocolli di test e sanzioni per l’uso di droghe. Ciò ha portato a regole antidoping molto diverse tra le organizzazioni, con la National Football League (NFL) che distribuisce sospensioni di sei partite per l’uso di steroidi anabolizzanti e la Major League Baseball (MLB) che sospende per 25 partite i trasgressori delle regole per la prima volta.   USADA in genere non sottopone a test gli atleti delle leghe professionistiche o universitarie, ma sottopone a test gli atleti amatoriali statunitensi che sperano di competere alle Olimpiadi. Secondo Banka, tre quarti di questi atleti iniziano la loro carriera nel sistema universitario, il che significa che «la maggior parte degli atleti d’élite statunitensi proviene inizialmente da un sistema che opera al di fuori dello standard sportivo pulito riconosciuto a livello mondiale. USADA non sta facendo nulla per affrontare questo grave problema».   Banka non ha accusato apertamente gli atleti statunitensi di doping. Tuttavia, ha affermato che le agenzie di polizia di tutto il mondo hanno detto alla WADA che «gli Stati Uniti sono un enorme mercato per la vendita e la distribuzione di farmaci per migliorare le prestazioni».   «Se gli USA continuano a minacciare» l’armonizzazione delle regole antidoping, «si isoleranno dalla comunità sportiva globale e avranno conseguenze significative per lo sport americano», ha avvertito il Banka.   L’ex capo della WADA Dick Pound ha già avvertito che il Rodchenkov Act potrebbe essere ritenuto incompatibile con il codice WADA, uno sviluppo che potrebbe vedere Los Angeles perdere il diritto di ospitare le Olimpiadi estive del 2028.   La guerra sul doping va avanti da più di un decennio. Gli USA avevano accusato la Russia di aver dopato gli atleti e truccato gli esami dell’antidoping alle Olimpiadi mondiali di Sochi, come esposto nel documentario Netflix Icarus. Si trattava, con ogni evidenza, di un’arma geopolitica lanciata contro Putin, che negli ultimi anni dell’era Obama lo aveva surclassato in ogni modo, Crimea e Siria in primis. Ricordiamo che la rivolta di Maidan arriva proprio quando le Olimpiadi russe sembravano concludersi con grande successo.   Intorno al 2016, la WADA fu hackerata, e si pensò subito ai famigerati «hacker russi». Tuttavia, saltarono fuori fuori elenchi di atleti olimpici statunitensi possibilmente dopati.   La questione, tuttavia è che tutti gli atleti USA avrebbero assunto sostanze proibite grazie allo scudo dell’uso terapeutico: se prendi quel farmaco perché hai una malattia, non è esattamente doping. La chiamano TUE, «Therapeutic Use exemption». Basta dire che hai quella malattia.   Nella lista si trovava la campionessa americana di ginnastica artistica Simon Biles, che avrebbe fatto uso di anfetamine e psicofarmaci – in una disciplina dove la concentrazione è tutto, ci si chiede se sia possibile considerarlo doping. «Simone Biles potrebbe passare alla storia dello sport come la prima atleta narcolettica a vincere quattro medaglie d’oro in una sola olimpiade», scherzavano alcuni dei massimi esperti di antidoping italiani. A riportarlo era Repubblica del 14 ottobre 2016.

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Come riportato da Renovatio 21, la Biles alle Olimpiadi di Tokyo si ritirò parlando di «demoni nella mente», poi le accuse vennero dirette verso le storie di abusi subiti dalle atlete americane ad opera di un allenatore poi arrestato nell’ignominia.   Il doping è un fenomeno ineniminabile nello sport, al punto che sono state proposte le «Olimpiadi dei dopati», pare pure con il finanziamento del miliardario tecnologico americano Peter Thiel, fiancheggiatore della carriera del candidato vicepresidente di Trump JD Vance.   Possiamo dire che il doping ha raggiunto anche il mondo degli scacchi: a inizio anno uno scacchista cinese è stato accusato di barare tramite vibratore anale wireless connesso al computer, che gli suggeriva le mosse da fare tramite vibrazioni indotte nel suo retto.   Renovatio 21 ha parlato anche del caso dell’ultramaratoneta usa a prendere passaggi in auto.   Fuori dal grottesco, Renovatio 21 ha parlato anche di recente del fenomeno più inquietante nello sport, quello dell’aborto-doping, con atlete che si prendono incinte solo per il beneficio fisico per poi sbarazzarsi del bambino.

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Contraccezione

Ragazza si toglie dalla pillola anticoncezionale e dichiara: sto benissimo, avrei dovuto fare le mie ricerche prima

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Elon Musk ha recentemente ripubblicato un post su X di una giovane ragazza texana, Mary Tiles Texas.

 

Apparentemente la classica ragazza acqua e sapone, la Mary, che dice di lavorare nel settore costruzioni e sembra apprezzare grandemente i meme sulla vicenda Gamestop, rivela i dettagli della sua situazione psicofisica a mezzo anno da quando ha rinunziato all’ormone steroideo che sterilizza le donne con conseguenti, poco dibattuti ma certi, effetti collaterali.

 

«Sono passati quasi 6 mesi da quando ho smesso di prendere gli ormoni anticoncezionali [cioè la pillola, ndr]» dichiara la bionda del Texas. «Sei mesi senza attacchi di panico. Sei mesi senza sbalzi d’umore. Mezzo anno senza depressione».

 


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«Questo ha cambiato la mia vita e vorrei aver studiato quale impatto negativo potrebbe avere sul mio corpo, pensavo che ci fossero così tante cose che non andavano in me, ogni tanto provo un po’ di ansia e penso che avrò un attacco di panico e non si è più verificato da quando ho smesso di prenderli».

 

«Lo ripeterò, mi ha CAMBIATO la vita. Se il mio post aiuta UNA donna, ne vale la pena. Condividi se pensi che possa aiutare qualcuno che conosci o semplicemente per diffondere consapevolezza. Non sto dicendo che questo sia per tutti, ma se qualcuno soffre come me, merita di sapere che può fare la ricerca proprio come me».

 

La questione della pillola anticoncenzionale e i suoi effetti devastanti sulle donne sta sempre più tenendo banco nella discussione pubblica e nella ricerca scientifica.

 

L’uso della pillola influenza «la struttura e la funzione del cervello», secondo uno studio di quattro anni fa.

 

Come riportato da Renovatio 21, nel 2023 un team di ricercatori in Canada ha studiato gli effetti attuali e duraturi dell’uso della pillola e degli ormoni sulle regioni cerebrali legate alla paura, i circuiti neurali attraverso i quali la paura viene elaborata nel cervello. «Nel nostro studio, dimostriamo che le donne sane che attualmente utilizzano COC [contraccettivi orali combinati] avevano una corteccia prefrontale ventromediale più sottile rispetto agli uomini» scrivono i ricercatori, facendoci chiedere se la pillola non renda le donne più paurose ed ansiose.

 

Secondo uno studio pubblicato l’anno passato, la pillola aumenta del 130% il rischio di depressione sulle giovani donne.

 

Una ricerca svedese parla invece di «qualità della vita significativamente inferiore» nelle donne che assumono contraccettivi orali. Studiosi hanno cominciato a dibattere di veri «danni antropologici».

 

Uno studio di Oxford ha connesso invece l’anticoncezionale steroideo con il cancro al seno.

 

Durante la pandemia, quando scattò l’allarme per i coaguli generati dai vaccini genici, qualcuno arrivò a tentare di rassicurare il pubblico dicendo che «la pillola anticoncezionale è centinaia di volte più pericolosa del vaccino».

 

È noto che l’uso massivo della pillola produce anche danni ambientali, con danni alla fauna dei fiumi e del mare, con pesci e creature varie esposti agli steroidi escreti dalle donne sotto pillola attraverso l’orina.

 

Come riportato da Renovatio 21, ancora nello scorso decennio si era cominciato a notare che le ragazze millennial avevano preso a rifiutare la pillola.

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