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«Madre intenzionale»: ecco la Corte della creatività costituzionale

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In epoca di darwinismo spinto, per cui anche ai bambini dell’asilo è vietato parlare di Dio creatore, la creatività profana imperversa, dopo essere stata promossa a virtù teologale e materia di insegnamento per ogni psicopedagogo che si rispetti.

 

Non per nulla dopo quelli della moda e delle stelle cinematografiche, sono venuti i creatori di rivoluzioni a colori e in bianco e nero, di guerre per procura e di bolle speculative, di arte contemporanea e di balle televisive, di pubbliche opinioni, e di false notizie, di falsi scrittori e falsi scienziati, di falsi canterini e di falsi politici, persino di falsi papi e di falsi preti, di idioti travestiti da ministri e da capi di Stato, di falsi attentati e di falsi incidenti.

 

Non per nulla viviamo nell’era della realtà virtuale in cui la stupidità vera si affida a quella artificiale, per mancanza di fiducia in se stessa.

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Ma, inaspettatamente, in questo quadro complesso e affollato si è fatta largo con successo, dopo quella dei giudici ordinari, la creatività delle magistrature superiori, e della Corte Costituzionale in particolare, la cui verve creativa si va raffinando e potenziando nel tempo.

 

Per la collezione primavera estate, la Corte è riuscita ad elaborare addirittura un nuovo modello antropologico a riprova della vitalità e vivacità intellettuale di un organismo che da custode di una Costituzione ormai in disarmo, si impegna nel costruirne una «più grande e più bella che pria», come Giulio secondo eresse la nuova San Pietro sulla progressiva demolizione controllata della basilica costantiniana, che pure, qualche nostalgico storico malato di estetismo continua a rimpiangere.

 

La Corte, ha affrontato e deciso con la sentenza n. 68 di pochi giorni or sono, il difficile problema della impossibilità per la signora, legata lesbianamente ad un’altra signora che, grazie alla più aggiornata scienza e coscienza, ha potuto fabbricarsi un essere umano di padre inconoscibile, di potere fare le veci della genitrice in tutte quelle difficili circostanze in cui questa deve firmare una giustificazione, prendere il bambino a scuola, richiedere una vaccinazione, consentire una gita scolastica etc.

 

Come è noto, in questi casi anche un nonno munito di delega, può sostituire il genitore in senso tecnico. Ma la posta in gioco non è la gita scolastica ma la promozione a ruolo genitoriale della signora che, non si può chiamare padre, ancorché putativo, per la contraddizione che nol consente. Allora, nell’epoca della creatività in cui le parole non descrivono la realtà ma la creano, basta chiamare madre quella che non possiamo chiamare padre, che tra l’altro sarebbe anche offensivo, e allora la chiamiamo «madre». In fondo ogni nave prevede un capitano «in seconda».

 

Tuttavia anche il capitano in seconda deve avere «le carte», deve avere il titolo che ne legalizza il ruolo. L’uomo, l’unico che biologicamente può essere anche «padre», se ne attribuisce il ruolo in concreto col «riconoscimento», che può corrispondere o meno alla realtà di fatto e la cui incertezza non rileva a fronte dell’interesse famigliare complessivo.

 

Ora, a fronte della incertezza ipotetica della paternità c’è la certezza inequivocabile della maternità. Mater semper certa per ovvie e indisponibili ragioni. Il che esclude la possibilità anche fittizia di una pluralità di madri.

 

In altre parole la certezza e unicità biologica della madre, non può essere infranta dallo sforzo linguistico ancorché titanico di creare la seconda madre, o anche a pari merito per grazia di parola ripetuta. Anche se, nel tempo della truffa creativa si è creato anche il matrimonio omosessuale in barba alle etimologie che qualche pudore avrebbero potuto attivarlo se non il senso dell’umorismo.

 

Ma se non badiamo alla realtà figuriamoci se possiamo badare alle etimologie e alle definizioni che, come diceva il giurista antico, sono sempre pericolose.

 

Dunque, anche se questo è il tempo delle parole, rigorosamente senza base di pensiero, vale anche il detto: non dire gatto se non ce l’hai nel sacco. E siccome qui si parla ex lege e bene o male si fa il mestiere del giurista di alto lignaggio, i custodi della Costituzione in fieri hanno capito che non bastava dire «madre» per fare una tizia giuridicamente capace di attività similgenitoriali.

 

 

Per creare in via linguistica una madre occorreva fornire alla parola anche la parola anche un qualche supporto di presunta maternità intellettiva. Insomma ci vuole qualcosa in più della parola nuda che parla di una unicità irripetibile, ora che non si usa più chiamare «madre» neppure la suora, scesa più modestamente al ruolo di «sorella».

 

Insomma, persino i giudici della Corte Costituzionale, notoriamente permeabili alle sollecitazioni linguistiche di avanguardia, hanno pensato che una tizia orgogliosamente lesbica non procreante potesse non avere requisiti sufficienti a giustificare la qualifica materna. Ecco allora il colpo di genio esibito gratuitamente dalla creatività costituzionale. Un’altra madre, oltre quella fisiologicamente certa, è possibile, se la sua forma linguistica viene riempita da una sostanza «spirituale» in senso lato. E dal cappello esce il coniglio costituzionale: la madre intenzionale.

 

Nessuno ci aveva pensato prima. Basta l’intenzione a conferire la maternità. Del resto, si parva licet componere magnis, Atena è nata dal cervello di Zeus, deve avere pensato il dottor Amoroso, che qualche convinzione nella forza propulsiva dell’amore similmaterno deve averla anche per motivi onomastici. Quanto basta per mandare in scena la nuova sacra rappresentazione di una nuova vita «di coppia», anche se la coppia è spuria come una «coppia» di scarpe dello stesso piede.

 

Ma al di là delle facili ironie, è doveroso riconoscere che dietro questa trovata, solo apparentemente semplicistica e quasi un po’ goliardica, è sottesa tutta la sostanza di una solida cultura giuridica che di certo non può mancare in chi ha meritato di salire gli alti scranni della Consulta. E a tal proposito nomi di illustri ex presidenti quali quello della Sciarra, per dirne uno, tornano prepotenti alla memoria.

 

Dunque si tocca con mano tutta la solidità di una cultura giuridica esemplare anche se forse non tutti hanno la fortuna di coglierla in pieno, è evidente infatti, come nel termine «intenzionale» riecheggi l’interesse che l’ordinamento ha riservato alle intenzioni soggettive, forse anche prima che ad esse avesse dato spazio la teologia e la devozione cattolica.

 

Un elemento soggettivo che assume rilievo sia nelle contrattazioni, sia, e in modo articolato, nella trattazione normativa del reato. Infatti come è noto accanto al delitto doloso, che viene realizzato secondo l’intenzione, abbiamo quello preterintenzionale, e quello colposo. Tutte fattispecie che debbono avere suggerito alla Corte anche la possibilità di classificare i diversi gradi di partecipazione emotiva e volitiva alle attività procreative e similprocreative.

 

In questo senso è notoria la incidenza statistica della paternità preterintenzionale, quella che per secoli ha tenuto vivo anche il capitolo del riconoscimento, e forse anche aiutato la demografia. Ma anche la maternità intenzionale, preterintenzionale e colposa ha avuto e mantiene tuttora un proprio considerevole spazio sociale.

 

Tuttavia, per vero, queste categorie giuridiche hanno fornito alla Corte soltanto lo spunto iniziale per la creazione della nuova figura giuridica della «madre intenzionale», quella che si guadagna il titolo per via di autosuggestione, come Suor Letizia (1956), la monaca impersonata da Anna Magnani che arriva ad immedesimarsi per autosuggestione in un ruolo di madre che non le spetta, dati gli evidenti motivi oggettivi.

 

Invece qui, la immedesimazione ipotizzata dalla Corte, diventa titolo giuridico e le parole creano il soggetto giuridico. Era il quid qualificativo che dà sostanza alla parola astratta. Del resto se la volontà muove le montagne, possiamo immaginare cosa possa fare l’intenzione. Essa crea dal nulla il soggetto giuridico, il nuovo soggetto di diritti capace di riconoscere ciò che è irriconoscibile.

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Nel tempo in cui la moneta viene creata dal nulla e non come corrispettivo di un valore oggettivamente misurabile, le parole creano anche diritto e diritti perché il diritto non disciplina l’esistente ma l’esistente si trasforma per imposizione linguistica in normative cogenti. Come, per rimanere in argomento, ai tempi della Cirinnà, la signora che giurava sui propri cani, quando le cosiddette coppie omosessuali hanno potuto esigere un riconoscimento normativo per il solo fatto di esistere e senza quella base di valore sociale che deve giustificare ogni pretesa di tutela giuridica.

 

Un altro insigne ex presidente della Corte, si è affrettato a bacchettare i critici della sedicente sentenza perché incapaci di comprendere che essa risponde alle esigenze umanitarie già citate, cioè tolgono dall’imbarazzo i «figli» che non avrebbero il «genitore» di riserva, o alla pari, per essere prelevato da scuola o esibire il consenso per la gita scolastica. Cose grosse che rafforzeranno in Borrell la convinzione di vivere in un giardino fiorito.

 

Da questo quadro altamente umanitario manca solo un dettaglio: la coscienza della fabbricazione di esseri umani del cui sviluppo morale, intellettuale, emotivo, della cui equilibrata maturazione, della cui salute psichica, nessuno si pone il problema. Questa sono «quisquiglie», avrebbe detto Totò, nel tempo in cui i cani d’appartamento col cappottino mostrano tutta la evoluzione creativa di un mondo felice, e appena un po’ infastidito dalla macelleria israeliana.

 

Patrizia Fermani

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Se la realtà esiste, fino ad un certo punto

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I genitori si accorgono improvvisamente che la biblioteca scolastica mette a disposizione degli alunni strani libri «a fumetti» dove si illustra amabilmente il bello della liaison omoerotica.   L’intento degli autori è inequivocabile, quello di presentare un modello antropologico indispensabile per una adeguata formazione dell’individuo in crescita… Meno chiaro appare nell’immediato se la scuola, nel senso dei suoi responsabili vicini o remoti, di questa trovata educativa abbiano coscienza e conoscenza.   Di istinto, i genitori dell’incolpevole alunno si chiedono se tutto ciò sia proprio indispensabile per uno sviluppo armonico della psicologia infantile, magari in sintonia con i suggerimenti più elementari della natura e della fisiologia.   Tuttavia, poiché anche lo zeitgeist ha una sua potenza suggestiva, a frenare un po’ il comprensibile sconcerto, in essi affiora anche qualche dubbio sulla adeguatezza culturale dei propri scrupoli educativi, tanto che sono indotti a porsi il dubbio circa una loro eventuale inadeguatezza culturale rispetto ai tempi, votati come è noto, a sicure sorti progressive.   Ma il caso riassume bene tutto il paradosso di un fenomeno che ha segnato questo quarto di secolo e soltanto incombenti tragedie planetarie, mettono un po’ in sordina, finché dagli inciampi della vita quotidiana esso non riemerge con tutta la sua inaspettata consistenza.   Infatti la domanda sensata che si dovrebbero porre questi genitori, è come e perché una anomalia privata abbia potuto meritare prima una tutela speciale nel recinto sacro dei valori repubblicani, per poi ottenere il crisma della normalità e quindi quello di un modello virtuoso di vita; il tutto dopo essersi insinuata tanto in profondità da avere disattivato anche quella reazione di rigetto con cui tutti gli organismi viventi si difendono una volta attaccati nei propri gangli vitali da corpi estranei capaci di distruggerli.   Eppure, per quanto giovani possano essere questi genitori allarmati, non possono non avere avvertito l’insistenza con cui questa merce sia stata immessa di prepotenza sul mercato delle idee, quale valore riconosciuto, dopo l’adeguata santificazione dei cultori della materia ottenuta col falso martirio per una supposta discriminazione. Quella che già il dettato costituzionale impediva ex lege.

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Ma tutta l’impalcatura messa in piedi intorno a questo teatro dell’assurdo in cui i maschi prendono marito, le femmine si ammogliano nelle sontuose regge sabaude come nelle case comunali di remote province sicule, non avrebbe retto comunque all’urto della ragione naturale e dell’evidenza senza la gioiosa macchina da guerra attivata nel retrobottega politico con il supporto della comunicazione pubblica e lasciata scorrazzare senza freni in un mortificato panorama culturale e partitico.   Nella sconfessione della politica come servizio prestato alla comunità, secondo il criterio antico del bene comune, mentre proprio lo spazio politico è in concreto affollato da grandi burattinai e innumerevoli piccoli burattini, particelle di un caos capace di tenere in scacco «il popolo sovrano». Una parte cospicua del quale si sente tuttavia compensato dalla abolizione dei pronomi indefiniti, per cui tutte e tutti possono toccare con mano tutta la persistenza dei valori democratici.   Non per nulla proprio in omaggio a questi valori è installato nella anticamera della presidenza del Consiglio, da anni funziona a pieno regime un governo ombra, quello terzogenderista dell’UNAR. Un ufficio che ha lavorato con impegno instancabile, e indubbia coerenza personale, alla attuazione del «Piano» (sic) elaborato già sotto i fasti renziani e boschiani, per la imposizione capillare nella società in generale e nella scuola in particolare, di tutto l’armamentario omosessista.   Il cavallo di battaglia di questa benemerita entità governativa è la difesa dei «diritti delle coppie dello stesso sesso», dove sia il «diritto», che la «coppia» hanno lo stesso senso dei famosi cavoli a merenda.   Ecco dunque un esempio significativo ed eccellente di quella desertificazione della politica per cui il governo ombra guidato da interessi particolari in collaborazione e in sintonia con centri di potere radicati in istituzioni sovranazionali, possa resistere ad ogni cambio di governo istituzionale senza che ne vengano disinnescati potere e funzioni.   I partiti, dismessi gli apparati ideologici, e omogeneizzati nella sostanza, sono ridotti a «parti», alla moda di quelle fiorentine che pure un qualche ideale di fondo ce l’avevano, anche se tutte si assestavano su un gioco di potere.   Qui prevale il gioco dei quattro cantoni, dove tutti sono guidati dall’utile di parte che coincide a seconda dei casi con l’utile politico personale o ritenuto tale. Un utile calcolato tra l’altro senza vera intelligenza politica ovvero senza intelligenza tout court. Anche chi si è abbigliato di principi non negoziabili, alla bisogna può negoziare tutto, perché secondo il noto Principio della Dinamica Politica, «Tutto vale fino ad un certo punto».   Tajani, insieme a Rossella O’Hara ci ha offerto il compendio di tutta la filosofia occidentale contemporanea. Quindi dobbiamo stare sereni. Ma i genitori attoniti devono comprendere che quei libretti e questa scuola non sono caduti dal cielo. Sono il frutto di una politica diventata capace di tutto perché incapace a tutto sotto ogni bandiera.   Patrizia Fermani

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Putin: il futuro risiede nella «visione sovrana del mondo»

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Le nazioni devono basarsi sulle proprie tradizioni storiche e spirituali, oltre che su una «visione sovrana del mondo», mentre plasmano il loro avvenire, ha dichiarato il presidente russo Vladimir Putin in un messaggio scritto ai partecipanti del II Simposio Internazionale «Inventare il Futuro» a Mosca. L’evento, in programma il 7 e 8 ottobre, accoglierà oltre 7.000 partecipanti provenienti da quasi 80 Paesi.

 

Discussioni aperte e innovative sul futuro dell’umanità supportano i governi nel rispondere adeguatamente alle nuove sfide, ha osservato il presidente russo. «Le conclusioni e i risultati di un dialogo così profondo e sostanziale sono di grande valore», ha aggiunto Putin. «Sono fiducioso che dobbiamo creare il nostro futuro sulla base di una visione del mondo sovrana».

 

Promosso su iniziativa del presidente russo, il simposio comprende circa 50 eventi, organizzati in tre aree tematiche: società, tecnologia e cooperazione globale. Il forum ospiterà oltre 200 relatori provenienti da Russia, Cina, Stati Uniti, Italia e da Paesi di Africa, America Latina, Medio Oriente e Sud-est asiatico, che discuteranno di temi che spaziano dalle sfide demografiche all’intelligenza artificiale (IA) e all’esplorazione spaziale.

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Nel primo giorno del simposio si è svolta una tavola rotonda incentrata sul futuro delle tecnologie di intelligenza artificiale e sul loro potenziale di diventare non solo uno strumento professionale di nicchia, ma una base per un’infrastruttura globale e un nuovo «linguaggio della realtà» per governi e imprese private.

 

Un altro dibattito tenutosi martedì si è concentrato sulle prospettive di collaborazione tra Russia e Africa nei prossimi decenni, fino al 2063. Mosca mira a rafforzare i legami con il continente, promuovendo attivamente la condivisione di tecnologie con le nazioni africane, contribuendo a garantire la sicurezza regionale e sostenendo la sovranità degli attori locali, oltre a favorire un approccio più equo nelle relazioni internazionali.

 

Al forum del Club Valdai, a Sochi, giorni prima Putin aveva parlato dei «valori tradizionali» anche in merito alla «disgustosa atrocità» dell’assassinio di Charlie Kirk.

 

«Sapete, questa disgustosa atrocità, e ancora di più, dal vivo», ha detto Putin a un forum organizzato dal Valdai Discussion Club a Sochi, in Russia. «In effetti, l’abbiamo vista tutti, ma non so, è davvero disgustoso. Era orribile». «Prima di tutto, naturalmente, porgo le mie condoglianze alla famiglia del signor Kirk e a tutti i suoi cari», ha continuato il leader russo. «Siamo solidali e solidali, soprattutto perché ha difeso quei valori tradizionali».

 

Putina aveva aggiunto che la sparatoria mortale è il segno di una «profonda frattura nella società», secondo Reuters. «Negli Stati Uniti, non credo ci sia bisogno di aggravare la situazione all’esterno, perché la leadership politica del Paese sta cercando di ristabilire l’ordine a livello nazionale», ha affermato Putin.

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La questione di Heidegger

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Negli scorsi mesi è scoppiata sul quotidiano La Verità una bizzarra diatriba riguardo ad un pensatore finito purtroppo per essere centrale nel nostro panorama filosofico accademico, Martin Heidegger (1889-1976), già noto per la collaborazione con il nazismo e per l’adulterio consumato con la celebre ebrea Hannah Arendt, all’epoca sua studentessa, e da alcuni, per qualche ragione, considerato come un filosofo «cattolico».   Un articolista con fotina antica a nome Boni Castellane (supponiamo si chiami Bonifazio, ma lo si trova scritto così, con il diminutivo, immaginiamo) ha cominciato, con un pezzo importante, a magnificare le qualità dell’Heidegger lo scorso 17 agosto:«Omologati e schiavi della Tecnologia – Heidegger ci aveva visti in anticipo».   Giorni dopo, aveva risposto un duo di autori, tra cui Massimo Gandolfini, noto, oltre che la fotina con il sigaro, per aver guidato (per ragioni a noi sconosciute) eventi cattolici di odore vescovile, che come da programma non sono andati da nessuna parte, se non verso la narcosi della dissidenza rimasta e il compromesso cattolico. Sono seguite altri botta e risposta sul ruolo del «sacro» secondo l’Heideggerro e la sua incompatibilità con il cristianesimo.   Il Gandolfini e il suo sodale scrivono, non senza ragione, che «il dio a cui si riferisce Heidegger non è il nostro». Una verità non nota agli intellettuali cattolici che, in costante complesso di inferiorità nei confronti del mondo, hanno iniziato ad importare il pensatore tedesco dalle Università italiane – dove ha tracimato, dopo un progetto di inoculo sintetico non differente da quello avutosi con Nietzsche – per finire addirittura nei seminari.

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Il progetto, spiegava anni fa Gianni Collu al direttore di Renovatio 21, era del tutto identico a quello visto con Nietzsche, recuperato dall’ambito della cultura nazista, purgato nell’edizione Adelphi di Giorgio Colli e Mazzino Montinari – la cura dell’opera omnia nicciana arriva prima in italiano che in tedesco! – e servito alla massa del ceto medio riflessivo italiota, e mondiale, per distoglierlo dal marxismo e introdurre elementi di irrazionalismo e individualismo nichilista nella vita del popolo – di lì all’esoterismo di massa, il passo diventa brevissimo.   Con Heidegger si è tentato un lavoro simile, ma Collu aveva profetizzato allo scrivente che stavolta non avrebbe avuto successo, perché era troppo il peso del suo legame con l’hitlerismo, e troppa pure la cifra improponibile del suo pensiero. Di lì a poco, vi fu lo scandalo dei cosiddetti «Quaderni neri», scritti ritenuti inaccettabili che improvvisamente sarebbero riemersi – in verità, molti sapevano, ma il programma di heidegerizzare la cultura (compresa quella cattolica) imponeva di chiudere un occhio, si vede. Fu ad ogni modo divertente vedere lo stupore di autori e autrici che avevano dedicato una buona porzione della carriera allo Heidegger – specie se di origini ebraiche.   L’incompatibilità di Heidegger – portatore di una filosofia oscura e disperata – con il cattolicesimo è, comunque, totale. Di Heidegger non vanno solo segnalati i pericoli, va combattuto interamente il suo pensiero, che altro non è se non un ulteriore sforzo per eliminare la metafisica, e quindi ogni prospettiva non materiale – cioè spirituale – per l’uomo.   Molto vi sarebbe da dire sul personaggio, anche a partire dal suo dramma biografico. Lasciamo qui la parola al professor Matteo D’Amico, che ha trattato il tema dell’influenza di Heidegger nel mondo cattolico, e la difformità di questo personaggio e del suo pensiero, in un intervento al Convegno di studi di Rimini della Fraternità San Pio X nel 2017.    

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  Immagine di Landesarchiv Baden-Württemberg, Staatsarchiv Freiburg W 134 Nr. 060680b / Fotograf: Willy Pragher via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International  
 
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