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Legge anti-conversioni in Israele: proselitismo cristiano in pericolo nei luoghi stessi di Gesù

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Due eminenti membri della Knesset (il Parlamento israeliano) hanno depositato una proposta di legge che punisce chi tenta di sollecitare una conversione tra i cittadini dello Stato ebraico.

 

La legislazione, riporta il quotidiano israeliano Times of Israel, introdotta dai parlamentari dell’alleanza partitica Ebraismo della Torah Unito Moshe Gafni e Yaakov Asher. Tale legge si applicherebbe a chiunque tenti di persuadere qualcuno a cambiare le proprie convinzioni religiose. La normativa, però, rileva espressamente che «sono aumentati i tentativi di gruppi missionari, soprattutto cristiani, di sollecitare la conversione religiosa».

 

L’alleanza parlamentare dell’Ebraismo della Torah Unito è composta da due partiti politici che costituiscono una proiezione politica di gruppi di ebrei haredim (cioè, «ortodossi») aschenaziti («cioè, di provenienza nordeuropea») alla Knesset, l’Agudat Yisrael e il Degel Ha Torah.

 

Il disegno di legge del blocco parlamentare vieterebbe «la condivisione della teologia del Nuovo Testamento tramite video online, articoli online, social media, letteratura scritta e altre forme di media», scrive il giornale di Tel Aviv. Inoltre, stabilirebbe «un anno di reclusione per aver spiegato la fede in Gesù a un adulto e due anni di reclusione se ne ha discusso con un minore».

 

Il progetto di legge è stato per la prima volta presentato al pubblico da un sito di cristiani evangelici americani, All Israel News. Come noto, parte del fondamentalismo protestante americano organizzato vede nella difesa di Israele un precetto religioso, in quanto la presenza degli ebrei in Terra Santa sarebbe una componente necessaria per far scaturire l’Apocalisse, e di lì, conseguentemente, vedere la Seconda Venuta di Gesù Cristo.

 

«Il sostegno evangelico per Israele è guidato dalle credenze (…) radicate nella teologia cristiana evangelica sull’escatologia e sul letteralismo biblico» scrivono tre studiosi in Why Do Evangelicals Support Israel?, uno studio di sociologia politica pubblicato da Cambridge University Press. (Politics and Religion, Volume 14, Numero 1, Marzo 2021, pp. 1 – 36)

 

«Pertanto, le affermazioni ideologiche più significative che sono state trovate nella ricerca sono state che lo “Stato di Israele è la prova dell’adempimento della profezia sull’avvicinarsi della seconda venuta di Gesù” e che “gli ebrei sono il popolo eletto di Dio”».

 

La rabbia degli evangelical è quindi patente.

 

«Con l’avvicinarsi della Domenica delle Palme e della Pasqua æ i due giorni più sacri del calendario per coloro che seguono Gesù sia come Dio che come Messia – due membri della Knesset (il parlamento israeliano) la scorsa settimana hanno presentato un disegno di legge che vieterebbe qualsiasi tentativo di dire alla gente su Gesù» scrive indignato All Israel News.

 

«Questo disegno di legge si applicherebbe alle persone che hanno conversazioni spirituali con israeliani di qualsiasi religione» continua il sito, tuttavia «L’obiettivo principale del disegno di legge, quindi, sembra essere quello di rendere illegale per i seguaci di Gesù (“Yeshua” in ebraico) spiegare perché credono che Gesù sia il Messia che Dio con la speranza che gli israeliani possano considerare di seguirlo».

 

Il sito nota che «produrre e pubblicare online video che spiegano il Vangelo agli ebrei o ai musulmani in Israele – e a quelli di qualsiasi altra fede religiosa – diventerebbe improvvisamente illegale».

 

Netanyahu si trova ora tra l’incudine e il martello: da una parte le richieste degli ebrei ortodossi alla Knesset, dall’altra il ruolo degli evangelici americani, il cui supporto è per Tel Aviv fondamentale.

 

L’ex presidente della Southern Baptist Convention, Jack Graham – la più grande denominazione protestante negli Stati Uniti – ha dichiarato al sito evangelico che «data l’amicizia e l’alleanza di lunga data del primo ministro Netanyahu con i cristiani e il solido impegno per la libertà religiosa e la libertà di parola, prego che lui chiarirà presto che questo disegno di legge inquietante non diventerà mai legge sotto il suo controllo».

 

Anche la presidente di Concerned Women for America Penny Nance, la più grande organizzazione di donne cristiane conservatrici negli Stati Uniti, ha detto a Rosenberg che «In qualità di leader evangelico che ama profondamente, sostiene pubblicamente e sostiene con forza la relazione USA-Israele, sono sconvolta all’idea di cristiani perseguiti per aver condiviso la loro fede».

 

«I cristiani negli Stati Uniti contano sul primo ministro Netanyahu e sui membri della Knesset per respingere questo disegno di legge, che è una violazione dei diritti umani dei nostri fratelli e sorelle in Israele», ha detto la Nance a All Israel News, aggiungendo che «questo tipo di politica oppressiva sarebbe più indicativo di regimi musulmani intransigenti rispetto allo stato ebraico democratico».

 

Con una simile legge, Israele si avvicinerebbe anche all’India, dove in molti Stati vigono severissime leggi anti-conversione. Come riportato, tali leggi nel contesto indiano divengono spesso la base per soprusi e pogrom, cioè per l’instaurarsi di vere e proprie  persecuzioni.

 

Come riportato da Renovatio 21, Donald Trump un anno fa aveva attaccato Netanyahu suscitando l’ira dei protestanti USA – che ora raccolgono quanto hanno seminato.

 

 

 

 

 

Immagine Mark Neyman / Government Press Office via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0 Unported (CC BY-SA 3.0)

 

 

 

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Spagna, l’islamo-sinistra non riesce a imprigionare un prete

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In Spagna, un processo senza precedenti mette in luce le crescenti tensioni tra le libertà della Chiesa e l’amministrazione catalana. Padre Custodio Ballester, un sacerdote cattolico di 61 anni di Barcellona, ​​che rischiava tre anni di carcere e otto anni di interdizione dall’insegnamento per dichiarazioni critiche nei confronti dell’Islam pronunciate nel 2016 e nel 2017, è stato appena assolto.

 

Non tutte le verità sono belle da dire: padre Ballester, sacerdote dell’arcidiocesi di Barcellona e attualmente coadiutore della parrocchia di San Sebastián de Badalona, ​​lo ha imparato a sue spese. Noto per il suo impegno nelle cause pro-life e per una visione piuttosto tradizionalista della Chiesa, il sacerdote è già stato oggetto di denunce per omelie anti-aborto, tutte respinte.

 

Fu una pubblicazione del dicembre 2016 ad accendere la miccia: un articolo intitolato «Il dialogo impossibile con l’Islam», pubblicato sulla rivista cattolica Germinans Germinabit. Questo testo rispondeva a una lettera pastorale dell’arcivescovo di Barcellona, ​​il cardinale Juan José Omella, intitolata «Il dialogo necessario con l’Islam», in cui l’autore invitava i cattolici a promuovere la comprensione reciproca di fronte all’aumento delle migrazioni: un’eco religiosa di papa Francesco.

 

Nel suo saggio, padre Ballester sostiene ad hominem che un vero dialogo interreligioso è impossibile con la dottrina islamica. Cita esempi storici e contemporanei di persecuzione contro i non musulmani in Paesi a maggioranza islamica come Pakistan, Nigeria e Siria.

 

«L’Islam non ammette il dialogo. O credi, o sei un infedele che deve essere soggiogato in un modo o nell’altro», ha scritto, riferendosi ai versetti del Corano che legittimano la violenza contro i non credenti. Ha chiesto al cardinale Omella: «di quale dialogo stiamo parlando quando ci sono Paesi in cui coloro che non professano l’Islam vengono assassinati?»

 

Nel 2017, padre Ballester ha ribadito i suoi commenti durante un’intervista online al programma La Ratonera . Accompagnato da Padre Jesús Calvo, un sacerdote ottantenne, il dibattito ha affrontato le minacce che il jihadismo rappresenta per l’Europa. Questi scambi, insieme all’articolo iniziale, sono stati inseriti nel fascicolo dai procuratori di Malaga, dove si trova la piattaforma che ospita il dibattito online.

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Nel marzo 2017 è stata presentata una denuncia dall’associazione di Barcellona Musulmani contro l’Islamofobia, legata ad ambienti di sinistra. Finanziata dal governo regionale catalano, l’organizzazione ha accusato Ballester di promuovere la discriminazione e l’incitamento all’odio contro l’Islam. La procura di Malaga, guidata da una donna che dirige anche un Osservatorio per l’Uguaglianza, ha chiesto una pena esemplare: tre anni di carcere e otto anni di interdizione dall’insegnamento.

 

Il processo, inizialmente previsto per settembre 2024, si è finalmente tenuto il 1° ottobre 2025 presso il Tribunale provinciale di Malaga, in udienza pubblica. Dopo circa due settimane, la sentenza è stata emessa: il Tribunale ha stabilito che non sussistevano gli elementi oggettivi del reato, «per quanto spregevole e perverso potesse essere il messaggio», hanno aggiunto i magistrati.

 

Padre Ballester denuncia un «clima di terrore» progettato per mettere a tacere i dissidenti. «Vogliono dare l’esempio affinché altri si autocensurino», ha confidato a El Debate. Aggiunge di essere fortunato nella sua sfortuna perché, in Pakistan, i suoi commenti potrebbero costargli la pena di morte. Parlando alla Catholic News Agency, ha chiarito: «le mie dichiarazioni non sono mai state discriminatorie o odiose e avevano lo scopo di allertare i fedeli sulle minacce al cristianesimo, senza prendere di mira singoli individui».

 

I media di destra denunciano la persecuzione ideologica, sottolineando le presunte simpatie dell’associazione querelante per gruppi come i talebani o il regime iraniano, e notano anche che le richieste dell’accusa contrastano con la clemenza nei confronti dei discorsi anticristiani: i giudici si sono recentemente rifiutati di incriminare un comico per commenti che chiedevano di lapidare i sacerdoti o di bombardare la Valle dei Caduti, definendoli «umoristici».

 

Personaggi come l’eurodeputato Juan Carlos Girauta del partito di destra nazionale Vox sostengono padre Ballester, sottolineando che il suo articolo riecheggia la conferenza di Benedetto XVI del 2006 a Ratisbona su fede e ragione. Una petizione online ha persino raccolto oltre 25.000 firme chiedendo l’archiviazione delle accuse, affermando: «è surreale: gli attacchi alle chiese restano impuniti, ma un sacerdote rischia il carcere per aver messo in guardia contro l’estremismo».

 

Mentre Vox ha reagito, la gerarchia cattolica spagnola rimane in silenzio. La Conferenza Episcopale Spagnola non ha rilasciato alcuna dichiarazione e l’arcidiocesi di Barcellona ha optato per un «silenzio discreto». A magra consolazione, il cardinale Omella, la cui lettera aveva spinto il sacerdote a rispondere nel 2016, lo avrebbe «rassicurato» in privato: «se finisci in prigione, verrò a trovarti…». Ma padre Ballester è stato infine assolto.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.News

 

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Ciad, lo spettro dell’islamizzazione strisciante

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Diverse associazioni cristiane in Ciad lanciano l’allarme per la crescente monopolizzazione delle istituzioni pubbliche da parte dell’Islam, un fenomeno che sta esercitando una pressione sempre maggiore sul cristianesimo in questo Paese dell’Africa centrale, la cui popolazione è composta per circa il 55% da musulmani e per il 40-45% da cristiani, per una popolazione totale stimata in 19 milioni di persone.   In una lettera aperta indirizzata al presidente Mahamat Idriss Déby Itno nel settembre 2025, i rappresentanti di diverse associazioni cristiane – l’Unione delle donne cattoliche, l’ Associazione cristiana dei giovani, i Giovani studenti cristiani e numerose parrocchie cattoliche – hanno denunciato quella che hanno definito «la crescente influenza di una singola confessione religiosa nelle istituzioni della Repubblica».   E per evidenziare alcuni fatti che sostengono questa tendenza all’islamizzazione del Paese: la costruzione di moschee all’interno di istituzioni pubbliche, il crescente coinvolgimento del governo nell’organizzazione dell’Hajj, il pellegrinaggio alla Mecca che costituisce uno dei cinque pilastri dell’Islam, la limitazione dei discorsi ufficiali alle sole festività religiose musulmane.

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Secondo i firmatari cristiani dell’articolo, questo crescente peso dell’Islam nella sfera pubblica viola l’articolo 1 della Costituzione ciadiana, che sancisce la neutralità religiosa come principio fondamentale dello Stato .   I firmatari sottolineano anche decenni di attacchi ai leader della Chiesa cattolica e ai simboli cristiani, spesso perpetrati, a loro dire, «con la massima indifferenza da parte delle autorità». Tra gli incidenti citati c’è un attacco del 2021 da parte delle forze di sicurezza alla parrocchia del Beato Isidoro Bakanja a N’Djamena , la capitale del Paese.   La chiesa è stata profanata e il parroco, padre Simon-Pierre Madou, è stato molestato verbalmente mentre cercava di filmare l’ incidente. L’ arcivescovo di N’Djamena , monsignor Goethe Edmond Djitangar, ha denunciato la violazione della Costituzione e ha deplorato la mancanza di arresti o procedimenti giudiziari contro i responsabili.   In modo meno spettacolare, ma altrettanto preoccupante, gli osservatori segnalano che il vandalismo delle chiese, le minacce contro vescovi e sacerdoti e persino gli assassinii di cristiani sono diventati, nel corso degli anni, eventi frequenti e all’ordine del giorno.   Le associazioni cristiane deplorano inoltre «la progressiva scomparsa dei cristiani dalla sfera pubblica», ricordando che i cristiani sono raramente nominati a posizioni di autorità , che beneficiano poco di borse di studio o di appalti pubblici e che subiscono discriminazioni nel commercio e nell’accesso alla terra.   La vicinanza del Ciad a stati che si scontrano con gruppi jihadisti radicali è un fattore aggravante: l’ascesa dell’organizzazione terroristica Boko Haram nei paesi vicini, con il suo obiettivo dichiarato di sradicare il cristianesimo nel Sahel a favore di un califfato islamico, espone i cristiani ciadiani agli attacchi di questa organizzazione.   Secondo la ONG Open Doors, i convertiti al cristianesimo dall’Islam sono particolarmente vulnerabili alla persecuzione, soprattutto nelle aree in cui sono attivi leader religiosi musulmani estremisti. L’ organizzazione segnala inoltre che i cristiani che vivono nelle aree colpite dagli attacchi di Boko Haram sono i più esposti alla violenza.

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Cita un incidente del 12 maggio 2023, in cui un pastore e almeno 12 cristiani sono stati uccisi in attacchi da parte di pastori musulmani contro un villaggio a maggioranza cristiana. Nell’agosto 2022, più di 50 abitanti del villaggio sono stati uccisi in attacchi terroristici in sette villaggi a Leo. Gli aggressori hanno bruciato centinaia di case, depositi di grano e cinque edifici ecclesiastici.   Per la Chiesa, il governo rimane in gran parte responsabile della situazione, da qui le nove raccomandazioni rivolte alle autorità per allentare le tensioni. Tra queste: un controllo della rappresentanza religiosa nell’amministrazione , il rigoroso rispetto della neutralità religiosa dello Stato , la garanzia della sicurezza dei luoghi di culto e l’attuazione di un cosiddetto programma di «riconciliazione e coesistenza».   Ma con Mahamat Idriss Déby che apre la strada a una presidenza a vita ed elimina con successo tutti i suoi potenziali concorrenti politici, è difficile immaginare che la situazione possa evolversi in una direzione positiva per i cattolici del Ciad.   Articolo previamente apparso su FSSPX.News  

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  Immagine di Foreign, Commonwealth & Development Office via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
 
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Terra Santa, il Patriarca latino di Gerusalemme vuole credere al piano di Trump

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Dopo l’intercettazione da parte di Israele della flottiglia internazionale islamo-sinistra partita da Barcellona, ​​in Spagna, per bloccare il blocco di Gaza, il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, discute delle speranze di pace in Terra Santa, riaccese dal piano di pace proposto da Donald Trump.

 

Il giornalista italiano Mario Calabresi cede la parola a un alto prelato lucido e moderatamente ottimista: «L’abbordaggio della flottiglia era inevitabile. Avevo però parlato con gli organizzatori per dissuaderli dal giungere allo scontro con le autorità israeliane. (…) Tanto più che questa flottiglia non porta nulla agli abitanti di Gaza e non cambia in alcun modo la situazione», spiega il Patriarca latino della Città Santa.

 

Un giudizio finale che contrasta con la beata ingenuità dei media progressisti occidentali, che vorrebbero dipingere gli agitatori islamo-goscisti della flottiglia in rotta verso la Striscia di Gaza come chierichetti animati da uno spirito di pace e fratellanza.

 

Tornando alla situazione dei cristiani nella regione, il cardinale Pizzaballa ricorda che nei suoi trentacinque anni a Gerusalemme non ha mai vissuto un periodo così doloroso e tragico. «C’è stato il tempo della guerra, il tempo della speranza, il tempo della faticosa costruzione di un processo di pace, poi il tempo del crepuscolo di ogni possibile convivenza, segnato dalla vittoria degli estremisti e del radicalismo. E oggi stiamo attraversando l’era delle rovine», ritiene.

 

E a sostegno delle sue affermazioni: «La situazione è drammatica. Le immagini rendono solo in parte giustizia a ciò che si sta vivendo sul campo. La distruzione è colossale. Oltre l’ottanta per cento delle infrastrutture è ridotto in macerie e centinaia di migliaia di persone hanno dovuto essere sfollate ed evacuate tre, quattro, cinque, persino sette volte. Famiglie che hanno perso tutto».

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La sua descrizione della vita a Gaza evoca la fame «reale» provata dagli abitanti, anche se evita di usare il termine carestia, spesso utilizzato a fini propagandistici: «Non è solo una questione di quantità, ma anche di qualità: non arrivano né frutta, né verdura, né carne; due anni senza vitamine né proteine. Un disastro assoluto», spiega l’alto prelato.

 

A questo si aggiunge «la quasi totale assenza di ospedali, che rende impossibile curare i feriti, i mutilati, ma anche le malattie comuni che non possono più essere monitorate. Penso alla dialisi, che è scomparsa; al cancro, dove l’oncologia non esiste più». I bisogni non si limitano a quelli materiali: «Penso ancora che stiamo entrando nel terzo anno senza scuola per bambini e adolescenti. È molto difficile parlare di speranza se non forniamo una scuola, se l’istruzione diventa impossibile».

 

La comunità di rifugiati della parrocchia della Sacra Famiglia a Gaza ha scelto di rimanere. Una decisione rischiosa ma inevitabile: «In parrocchia ci sono musulmani gravemente disabili che non hanno modo di muoversi, assistiti dalle suore. E anziani molto fragili per i quali andarsene significherebbe la morte. Devono rimanere, e i nostri sacerdoti e le nostre suore hanno deciso di rimanere con loro. È la scelta della Chiesa, che decide di rimanere come presenza attiva e pacifica», sottolinea Pizzaballa.

 

Riguardo al piano di pace imposto alle parti dall’inquilino della Casa Bianca, il patriarca vuole credere che una soluzione pacifica sia ancora possibile: «Il piano di Trump ha molti difetti, ma è vero che nessun piano sarà mai perfetto. Tutti sono stanchi, esausti e devastati da questa guerra, e ormai sembra chiaro che ci stiamo muovendo verso una conclusione».

 

Tuttavia, anche se le armi tacessero e Hamas accettasse di consegnare gli ostaggi e disarmare, ciò non significherebbe la fine del conflitto: «Il conflitto continuerà a lungo, perché le cause profonde di questa guerra non sono ancora state affrontate. Il conflitto israelo-palestinese non finirà finché al popolo palestinese non verrà offerta una prospettiva chiara, evidente e reale. Le conseguenze e le ripercussioni di questa guerra su entrambe le popolazioni, israeliana e palestinese, dureranno per molti anni», conclude il Patriarca di Gerusalemme.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.News

 

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Immagine di Catholic Church England and Wales via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic (CC BY-NC-ND 2.0)

 

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