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Persecuzioni

India, arresti anche nel Venerdì Santo con l’accusa di conversioni

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di Asianews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

Nel distretto di di Fatehpur fermate 26 persone durante una liturgia di una comunità evangelica. L’accusa di «conversioni illegali dall’induismo». Il vescovo di Lucknow mons. Mathias ad AsiaNews: «I fondamentalisti indù sono sempre più incoraggiati a comportarsi come vigilantes. Ci si chiede dove sia fina la libertà religiosa garantita dalla Costituzione indiana».

 

 

Anche la Pasqua in India è stata segnata dagli arresti nella campagna dei fondamentalisti indù contro i cristiani sulle accuse di conversioni forzate. Proprio nel giorno del Venerdì Santo nel distretto di Fatehpur dell’Uttar Pradesh ben 55 persone sono state denunciate ai sensi della legge anti-conversione, la polizia ne ha fermato 26 poi rilasciati.

 

I fermi sono avvenuti dopo che un portavoce del Vishwa Hindu Parishad (VHP), Himanshu Dixit, ha informato la polizia che circa 90 indù sarebbero stati convertiti illegalmente al cristianesimo dalla «Chiesa Evangelica dell’India» nella zona di Hariharganj.

 

Il sovrintendente di polizia Rajesh Singh ha detto che una denuncia è stata depositata alla stazione di polizia di Kotwali contro 55 persone, comprese 10 donne.

 

Il vescovo di Lucknow mons. Gerald Mathias ha commentato questa notizia ad AsiaNews:

 

«L’arresto dei cristiani a Fatehpur è illegale e del tutto condannabile. Partecipavano a una liturgia e non era in corso alcuna conversione. L’accusa di conversione illegale è assolutamente priva di fondamento ed è stata fabbricata ad arte dai fondamentalisti Hindutva. Tutti sono stati poi rilasciati proprio perché l’accusa era manifestamente falsa».

 

«I fondamentalisti dell’Hinduvta – continua il presule – sono sempre più incoraggiati e vanno in giro come vigilantes, prendendo la legge nelle loro mani. La polizia è spesso spettatrice muta e addirittura li incoraggia. Purtroppo questi incidenti sono in aumento e ci si chiede se la libertà di religione garantita dalla Costituzione sia davvero rispettata e da tutti».

 

 

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Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

 

Immagine di Aleksandr Zykov via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-SA 2.0)

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India, ancora un raid contro un ostello cattolico

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Il presidente della Commissione Nazionale per la Tutela dell’Infanzia continua indisturbato la sua campagna persecutoria contro le istituzioni educative cristiane. Dopo aver minacciato di arresto il vescovo di Jabalpur adesso nel mirino è una struttura per ragazzi di Katni. In uno Stato governato dal BJP dove a novembre si andrà alle urne i più piccoli utilizzati come arma politica da chi dovrebbe difenderli.

 

 

In India non si ferma la battaglia personale che da mesi ormai il presidente della Commissione nazionale per i diritti dell’infanzia (NCPCR) Priyank Kanoongo porta avanti contro le strutture educative cattoliche nel Madhya Pradesh, lo Stato indiano di cui originario questo esponente del BJP, il partito nazionalista indù del premier Narendra Modi.

 

L’ultima istituzione a finire nel mirino in queste ore è l’Asha Kiran Children’s Care Institute, un ostello della Congregazione della Madre del Carmelo, un istituto di suore siro-malabaresi, nella città di Katni che si trova nella diocesi di Jabalpur, la stessa dove qualche settimana fa il vescovo stesso mons. Gerald Almeida era finito nel mirino con una minaccia di arresto.

 

Lo schema è sempre lo stesso: Kanoongo decreta un’ispezione a sorpresa presso una struttura per ragazzi di ispirazione cristiana. E – immancabilmente – dopo interrogatori e perquisizioni sbandierano «prove» di frodi e conversioni forzate dei ragazzi.

 

Accuse che spesso poi si sgonfiano quando arrivano in tribunale, ma solo dopo aver fatto crescere nel frattempo la sensazione di minaccia nei confronti degli indù e l’ostilità verso i cristiani in uno Stato guidato dal BJP dove a novembre sono in calendario le elezioni locali.

 

A Katni è stato personalmente Kanoongo a guidare l’operazione e a dare tutti gli aggiornamenti in diretta sui suoi profili social, gridando alla conversione forzata dei ragazzi indù che – a suo dire – verrebbero costretti a partecipare alle preghiere dei cristiani. Per questo motivo ha presentato una denuncia all’autorità di polizia ai sensi della draconiana legge anti-conversioni che vige nel Madhya Pradesh.

 

Le suore in una nota rigettano le accuse spiegando che i cinque ragazzi in questione, in realtà, sono gli stessi che da tempo stanno creando problemi disciplinari e solo per non rimandarli nel contesto difficile da cui provengono non sono stati espulsi dall’ostello. Il presidente della Commissione nazionale per i diritti dell’infanzia, in pratica, anziché farsi carico di una situazione delicata strumentalizza i ragazzi per finalità politiche.

 

Le suore raccontano anche la storia di quell’ostello: venne aperto a Katni nel 2005 su richiesta delle ferrovie indiane in un edificio di proprietà dell’ente per dare una risposta alle necessità delle famiglie bisognose che spesso in India vivono nei pressi dei binari. In seguito, per fornire strutture migliori ai bambini, è stato trasferito in una sede ad hoc realizzata dalla diocesi di Jabalpur con proprie risorse.

 

La Congregazione della Madre del Carmelo ricorda inoltre che da 80 anni gestisce ostelli per i bambini e che nella zona la collaborazione con l’amministrazione distrettuale, il dipartimento di assistenza all’infanzia, la polizia e altri enti è sempre stata buona: «ci hanno dato correzioni e indicazioni tempestive che ci sono state molto utili», scrivono le suore.

 

Infine svelano l’ennesima contraddizione profonda di tutta la vicenda: «i ragazzi sono stati prelevati alle 18 e riportati alle 21. Il personale ha ricevuto l’ordine di non parlare con questi bambini e di non intraprendere alcuna azione contro di loro perché se si fossero lamentati, la direzione e il personale sarebbero stati mandati in prigione. Se le cose stanno così, perché hanno rimandato i ragazzi al nostro Centro? Se il nostro istituto è della natura denunciata dal presidente, avrebbero dovuto trasferirli immediatamente. Invece li hanno portati di nuovo qui».

 

 

 

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Immagine di Superfast1111 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0 Unported (CC BY-SA 3.0)

 

 

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Nigeria, i rapimenti di sacerdoti fanno parte di un fenomeno più ampio

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La piaga dei rapimenti di preti e religiosi in Nigeria è nota da tempo e si inserisce in un più ampio fenomeno di rapimenti che ha come bersaglio stranieri, uomini d’affari, politici, funzionari pubblici, diplomatici e capi tradizionali, ma anche comuni cittadini, tra cui studenti e scolaresche, che sono spesso vittime di rapimenti di massa.

 

Dal 2006 al 2023 nel Paese sono stati rapiti 53 sacerdoti, 12 aggrediti e 16 uccisi. In diciassette anni, 81 sacerdoti sono stati vittime di attacchi in Nigeria. Sono i dati comunicati all’Agenzia Fides dalla Conferenza Episcopale nigeriana.

 

Il nord del Paese è la regione dove il problema dei rapimenti è da tempo legato alla presenza di formazioni terroristiche, a cominciare da Boko Haram, le cui scissioni hanno dato vita ad altri gruppi, il più importante dei quali è la provincia dello Stato Islamico in Africa Occidentale (ISWAP).

 

Negli ultimi anni il fenomeno si è diffuso in diverse regioni della Nigeria, in particolare nel Sud, dove la piaga è legata alle rivendicazioni secessioniste.

 

In ogni caso, non è facile distinguere tra sequestri commessi da formazioni terroristiche o da gruppi criminali che cercano solo un guadagno economico. Terroristi e banditi hanno in realtà un modus operandi simile.

 

I terroristi attaccano i villaggi, saccheggiando proprietà, cercando cibo e bestiame e rapendo civili; i banditi ordinari commettono azioni simili, ma non le rivendicano apertamente per ragioni ideologiche.

 

Che siano commesse da terroristi o banditi, sono state elencate una serie di forme di rapimento:

 

  • rapimenti pianificati di persone specifiche, identificate da prima;
  • sequestri casuali, prelevando vittime a caso, senza escludere una selezione per garantire un riscatto più elevato;
  • rapimenti di massa, razzie nei villaggi, luoghi di culto tra cui chiese e moschee, scuole, treni e stazioni ferroviarie.

 

Nel caso di rapimenti di vittime scelte con precisione, si sono verificati sia rapimenti lungo l’itinerario abituale del soggetto da rapire, aggressioni notturne nell’abitazione, sia trappole sentimentali (Honey Trap), per attirare la vittima nel luogo dove dovrà essere rapito.

 

La maggior parte dei sacerdoti rapiti è stata rapita per strada o durante gli attacchi alle loro case.

 

Nel primo caso, si potrebbe pensare che i sacerdoti siano stati vittime di rapimenti casuali, ma ci sono anche esempi di sacerdoti specificamente presi di mira e rapiti per strada, spesso sulla via per la messa o tornando da una funzione.

 

 

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

 

 

 

 

Immagine di pubblico dominio CCO via Wikimedia.

 

 

 

 

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Cristiani nord-coreani arrestati per una funzione di preghiera

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I cinque, fra loro parenti, si erano riuniti in una casa colonica per leggere la Bibbia e pregare. Un informatore ha avvertito la polizia, che li ha arrestati destinandoli ai campi di lavoro come accaduto in vicende analoghe in passato. Pyongyang si professa una nazione atea ma utilizza il termine «Giuda» per identificare informatori e traditori.

 

 

Le autorità nord-coreane hanno arrestato cinque cristiani, con l’accusa di aver promosso una funzione di preghiera sotterranea. Un capo di imputazione che in una nazione in cui le religioni sono vietate, vige una dittatura ferrea di impronta comunista ed è ammesso il solo culto della famiglia Kim da decenni al potere (e adorati come divinità), comporta l’invio nei campi di lavoro.

 

La vicenda risale al 30 aprile scorso nel villaggio di Tongam, alla periferia di Sunchin, nella provincia di Pyongan, nel centro del Paese, ma è emersa solo in queste ultime ore.

 

Secondo quanto riferisce Radio Free Asia (RFA), i cinque appartenenti ad un’unica famiglia si sono incontrati la domenica mattina – come erano soliti fare ogni fine settimana – in una casa colonica per pregare e approfondire la lettura di alcuni passi della Bibbia. Tuttavia, ad attenderli vi erano alcuni agenti di polizia che li hanno arrestati, dietro segnalazione di un informatore.

 

«Nel luogo in cui si teneva il servizio di culto, la polizia – racconta una fonte anonima – ha sequestrato dozzine di opuscoli biblici e ha arrestato tutti i presenti». I cinque «stavano pregando e leggendo la Bibbia fra loro», prosegue la fonte, si erano «riuniti fra parenti» e stavano invocando Gesù, poi «sono stati arrestati».

 

In vicende analoghe accadute in passato, le persone fermate sono state inviate nei campi di rieducazione attraverso il lavoro, in realtà dei lager durissimi.

 

Raid simili erano già avvenuti in passato nel villaggio di Tongam, in particolare nel 2005 e, prima ancora, nel 1997 durante la dittatura di Kim Jong-il, padre dell’attuale leader Kim Jong-un e succeduto alla morte del fondatore, il «presidente eterno» Kim Il-sung.

 

L’area peraltro ha da sempre profondi legami con il cristianesimo ed era un tempo sito di un grande edificio ecclesiastico sopravvissuto anche all’invasione giapponese nei primi anni del secolo scorso, con l’introduzione dello scintoismo come religione di Stato.

 

La Corea del Nord è nota per giustiziare, torturare e abusare fisicamente le persone per la loro fede o per attività religiose ed è uno dei 17 Paesi coinvolti in «sistematiche, continue e gravi» violazioni alla pratica del culto secondo il rapporto 2023 della Commissione USA per la libertà religiosa. Le Bibbie o altri materiali religiosi vengono contrabbandati di nascosto attraverso il confine cinese e distribuiti alle chiese sotterranee mediante una rete segreta. «Le persone fermate – conclude la fonte – nonostante le pressioni si sono rifiutate di rinunciare alla loro fede».

 

Sempre dalla Corea del Nord giunge notizia di un uso diffuso della parola «giuda» per identificare informatore e traditori. In una nazione sulla carta atea e contraria alle religioni desta curiosità il riferimento al discepolo che ha tradito Gesù con un bacio, consegnandolo ai sommi sacerdoti.

 

Prova ne è la storia di una ragazza che, nelle fasi più buie della pandemia di COVID-19, aveva confidato a un amico di voler fuggire in Cina alla riapertura delle frontiere. Il giovane l’ha tradita raccontando il progetto alle autorità che hanno fermato e punito la ragazza. In seguito i vicini di casa e gli abitanti dell’area hanno preso a chiamare la traditrice con l’appellativo di «Giuda dei tempi moderni».

 

Un uomo di Pyongsong, nella provincia di Pyongan, a nord della capitale, spiega: «le persone che mancano di lealtà o che pugnalano alle spalle i loro amici sono etichettate come “Giuda” e disprezzate dagli altri».

 

Anche quanti riferiscono «di spostamenti o attività – conclude – finanche le parolacce, sono bollati come “Giuda” dai compagni».

 

 

 

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Immagine di Stephan via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-SA 2.0)

 

 

 

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