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La vera ragione della «guerra civile» in Israele: collasso e sacrificio mondiale

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Non è un refuso nel titolo, ma il vero significato di questa ultima vampata di morte e distruzione in Terra Santa: forse non si tratta di una guerra – la solita – tra gli ebrei e i palestinesi (e gli iraniani, e i libanesi, e i siriani, e chiunque si voglia mettere dietro ai Palestinesi).

 

Si tratterebbe, si potrebbe dire, di un affare interno, che usa guerre sanguinarie esterne per risolversi – cioè, in questo caso, cancellare una parte della popolazione.

 

Ci potrebbe essere alla base di questa ondata di sangue un ragionamento politico, infranazionale e pure globale, molto più orrendo

Sulla stampa internazionale fioccano ricostruzioni di come sarebbe partita l’escalation, ma la verità è che nessuno neppure se lo ricorda. Ha importanza, ora, una schermaglia sulla spianata dello Moschee tra soldati e ragazzi? Davvero, c’è qualcuno che crede che la causa sia questa, più qualche missiletto fai-da-te che consente peraltro a Tel Aviv di fare una bella réclame ad un suo orgoglioso prodotto da export, il sistema Iron Dome, che stanno vendendo proprio a quei Paesi che fino a ieri erano dietro ai Palestinesi?

 

Svegliamoci: è molto più facile cercare le cause di una guerra nella politica interna di un Paese. Israele ha avuto quattro elezioni in due anni; praticamente un record, nemmeno in Italia, forse una cosa così può succedere in qualche Paese del Terzo Mondo. Il mega-programma di totalitarismo vaccinale di Netanyahu, quello per cui ora vi sono denunce di massive violazioni di diritti umani, non è bastato a dare a Bibi la spinta necessaria a stare in sella oltre al dodicesimo anno consecutivo.

 

Il mega-programma di totalitarismo vaccinale di Netanyahu, quello per cui ora vi sono denunce di massive violazioni di diritti umani, non è bastato a dare a Bibi la spinta necessaria a stare in sella oltre al dodicesimo anno consecutivo.

Uno dice, quindi: ma allora la guerra è stata lanciata da Bibi per ricompattare la politica dietro di sé? Del resto accade sempre così, in Israele e altrove: scoppia un conflitto, tutti diventano patriottici e si fanno andar bene il governo, qualunque esso sia. Perfino Freud, con una certa onestà, notava l’effetto elettrizzante delle notizie dal fronte della Prima Guerra Mondiale che lo rendevano filogovernativo e anti-italiano: lui che in Italia ci aveva passato tanto tempo, ricavandone l’ispirazione per alcuni suoi saggi.

 

In parte, potrebbe essere così, anche se Yair Lapid, il principale oppositore di Netanyahu, ha già detto pubblicamente che Netanyahu, guerra o non guerra, va rimosso, punto e basta.

 

Ci potrebbe tuttavia essere alla base di questa ondata di sangue un ragionamento politico, infranazionale e pure globale, molto più orrendo.

 

Ne ha scritto il fondatore di Renovatio 21 Roberto Dal Bosco sul sito EFFEDIEFFE.

 

In pratica, la politica ebraica oggi la deciderebbe un partito… musulmano? Possibile?

«Netanyahu, al potere per 12 anni consecutivi, è sulla graticola per le ennesime accuse di corruzione. Lapid sta cercando di sbatterlo fuori con una coalizione multiforme di progressisti e di ortodossi – la violenza sta ovviamente mettendo una contro l’altra le anime del possibile arco parlamentare anti-Netanyahu, e di conseguenza sta inficiando il disegno della sua defenestrazione progettato da Lapid».

 

«Una delle chiavi per una possibile coalizione anti-Netanyahu è costituita da Mansour Abbas, il leader di un piccolo partito arabo islamico noto come Raam che attualmente detiene l’equilibrio in Parlamento».

 

In pratica, la politica ebraica oggi la deciderebbe un partito… musulmano? Possibile?

 

Non i palestinesi, ma gli arabi israeliani sarebbero l’obbiettivo. Un gruppo sociale formato da cittadini, per quanto speciali, dello Stato Ebraico, ora divenuti decisivi. Nel momento in cui essi possono minacciare la tenuta del sistema di potere israeliano, è il caso di mettere a nudo questa insopportabile contraddizione: possono dei musulmani essere parte di uno Stato che si dice «ebraico» e che è, al pari dell’Iran e dell’Arabia Saudita, uno Stato confessionale? Tenete a mente la domanda: perché a breve toccherà farla anche per i cristiani d’Israele e per i loro partitelli da riserva indiana clientelare

Sì, se la vita parlamentare israeliana è diventata così pazzesca e così indecisa (quattro elezioni in due anni, ricordiamo) che i partitini-mangiatoia rifilati ad arabi e cristiani israeliani (gruppi, come dire, «addomesticati») cominciano a contare qualcosa, al punto che potrebbero significare la fine del regno di Netanyahu, l’uomo che ha in tasca – a destra e a sinistra – decenni di contatti con gli uomini più potenti degli USA (dove è cresciuto) e con lo Stato profondo, e poi con Putin, e ancora, grazie agli «Accordi di Abramo» di Trump, ora anche con emiratini e financo con i sauditi. Chi può voler vedere un simile re deposto sull’altare di una democrazia attaccata ai decimali?».

 

Quindi: non i palestinesi, ma gli arabi israeliani sarebbero l’obbiettivo. Un gruppo sociale formato da cittadini, per quanto speciali, dello Stato Ebraico, ora divenuti decisivi. Nel momento in cui essi possono minacciare la tenuta del sistema di potere israeliano, è il caso di mettere a nudo questa insopportabile contraddizione: possono dei musulmani essere parte di uno Stato che si dice «ebraico» e che è, al pari dell’Iran e dell’Arabia Saudita, uno Stato confessionale? Tenete a mente la domanda: perché a breve toccherà farla anche per i cristiani d’Israele e per i loro partitelli da riserva indiana clientelare.

 

Il progetto di cui stiamo parlando ha lasciato in circolazione qualche traccia ufficiale:

 

«Significativamente, è possibile notare, per esempio sul Corriere della Sera (di cui parliamo anche un po’ più sotto), come in realtà questa crisi serva, più che a demonizzare Hamas e vari gruppi islamici (sai che novità) gli stessi arabi israeliani, quelli che vivono tranquilli nello Stato Ebraico con tanto di loro partitini (come i cristiani…) con seggi garantiti alla Knesset, il parlamento di Tel Aviv» ricorda Dal Bosco citando un’intervista del Corsera della scorsa settimana al diplomatico israeliano numero uno a Roma.

 

«La giornalista del Corriere intervista direttamente l’ambasciatore israeliano in Italia Dror Eydar, e gli chiede se manderanno le truppe di terra. “Tutte le opzioni sono sul tavolo – risponde il diplomatico – Israele vede le azioni di Hamas come dichiarazione di guerra. L’incitamento di Hamas ha coinvolto cittadini arabi di Israele”».

Israele, per interesse parlamentare e governativo, sta finalmente cercando di liquidare questa strana anomalia di musulmani (e cristiani) presenti nella loro politica? Si sta servendo di una guerra «esterna» per liquidare una parte della sua popolazione?

 

In pratica, l’ambasciatore d’Israele se la sta prendendo direttamente contro dei cittadini che, in teoria, dovrebbe rappresentare – gli arabi israeliani. Si comincia a stendere un’equazione nuova: Arabi israeliani uguale Hamas – quindi, nemici. I fatti a Lod, le rivolte popolari di cui parlano i TG in varie città israeliane non fanno che confermare quest’idea: Tel Aviv combatte un fronte interno, quei cittadini sono diventati ostili allo Stato.

 

A questo punto, la questione diventa: Israele, per interesse parlamentare e governativo, sta finalmente cercando di liquidare questa strana anomalia di musulmani (e cristiani) presenti nella loro politica? Si sta servendo di una guerra «esterna» per liquidare una parte della sua popolazione?

 

Se sì, confessiamo, non saremmo più di tanto sconvolti. Perché questa è la logica che avanza in tutto il mondo, e non solo per la geopolitica.

Un’intera fetta della popolazione, quindi, è ora ritenuta dal potere come sacrificabile. Il suo stesso diritto ad esistere può essere messo in discussione per il bene del sistema. È il trionfo dell’utilitarismo, la filosofia del sacrificio delle minoranze per il maggior godimento di un altra parte della popolazione

 

Renovatio 21 lo ha scritto davanti all’ennesimo ban di Facebook (in seguito ne ha avuto pure un altro): l’idea calcolata del sacrificio di una parte della popolazione è alla base delle stesse azioni dei social network:

 

«Un tempo si facevano prodotti mass-market: doveva andare bene a tutti, si sceglieva una via di mezzo nelle cose, le aziende (e i partiti…) non ci tenevano a insultare o molestare chi non comprava il loro prodotto, anzi, questi andavano blanditi, sedotti, strappati alla concorrenza… convertiti, è la parola giusta».

 

«No, qui si va in cerca dell’annientamento dell’altro. Il perché è semplice: fanno il calcolo, e hanno tutti i dati per farlo (hanno, grazie ai Big Data e agli algoritmi, la profilazione psico-sociale ed economica perfetta di ognuno di voi) e capiscono che possono andare avanti anche senza la minoranza di facinorosi che mettono in dubbio la narrazione principale». Lo scrivevamo in merito a quei facinoroso come noi bannati ogni tre per due. Tra di noi vi è pure un ex presidente USA, a sua volta bannato mentre era ancora presidente. Ricordiamo, en passant, che Facebook potrebbe avere, come riportato da Renovatio 21, origini militari.

L’utilitarismo è divenuto oramai l’unico sistema operativo dello Stato moderno, il codice sorgente del potere sugli uomini del XXI secolo.  Un effetto secondario del dominio della Necrocultura sul mondo

 

Insomma: un’intera fetta della popolazione, quindi, è ora ritenuta dal potere come sacrificabile. Il suo stesso diritto ad esistere può essere messo in discussione per il bene del sistema. È il trionfo dell’utilitarismo, la filosofia del sacrificio delle minoranze per il maggior godimento di un altra parte della popolazione. Ve ne parliamo sempre: esso è divenuto oramai l’unico sistema operativo dello Stato moderno, il codice sorgente del potere sugli uomini del XXI secolo.  Un effetto secondario del dominio della Necrocultura sul mondo.

 

La liquidazione di una parte della popolazione da parte di un ente quindi non vi deve sorprendere. Dovete solo realizzare, tuttavia, cosa esso significa: quando uno Stato comincia a considerare sacrificabile una porzione del suo popolo, la reazione può essere qualcosa che non sia qualcosa che assomiglia ad una guerra civile?

 

Rifletteteci: la questione è comune a molti enti della Terra ora, tutti sull’orlo più o meno visibile del collasso sociopolitico, economico, biologico.  Gli eventi dell’epifania di Washington era esattamente questo: un preludio alla rivolta del popolo che si sente dimenticato e perfino tradito dal sistema elettorale. Di «guerra civile» hanno cominciato a parlare, sul serio, i militari francesi. Le immani manifestazioni contro i lockdown che si sono viste in Germania e in Inghilterra – ovviamente mai apparse sui TG italiani – sono l’effetto del medesimo fenomeno mondiale.

 

E vedete qualche differenza con quegli enti che ora stanno dando battaglia ai lavoratori renitenti al vaccino? La stessa cosa: istituzioni pronte a disintegrare una percentuale a due cifre della propria forza lavoro.

Collasso o sacrificio umano: la scelta dell’establishment, su qualsiasi parte del pianeta, è la stessa di quella che sta compiendo Israele con le sue bombe

 

Lo Stato moderno lo ha capito: non potrà sedere  a lungo il dissenso sul dissenso e l’instabilità prima di collassare. Quindi, la «guerra civile» è qualcosa per la quale il potere si sta preparando – o forse qualcosa che lavora per ottenere.

 

Collasso o sacrificio umano: la scelta dell’establishment, su qualsiasi parte del pianeta, è la stessa di quella che sta compiendo Israele con le sue bombe.

 

 

 

 

 

 

 

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Geopolitica

398° giorno di guerra

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– Gli stranieri possono ora prestare servizio nell’aeronautica militare ucraina, ce ne sarà bisogno quando i moderni caccia occidentali inizieranno ad arrivare in Ucraina, ha affermato il portavoce dell’esercito ucraino, Yuriy Ignat.

 

– L’Ucraina spende ogni mese 3,5 miliardi di dollari per la guerra, mentre le sue entrate mensili sono solo di circa 2,1 miliardi, ha detto il ministro delle finanze dell’Ucraina Sergej Marchenko in un incontro con la European Business Association.

 

– Solo Brasile Russia e Cina al Consiglio di Sicurezza votano a favore della proposta di risoluzione russa che prevedeva l’istituzione di una commissione di inchiesta su nordstream. Gli altri 12 membri si astengono. Proposta respinta.

 

– Fazil Mustafa, deputato del Parlamento dell’Azerbaigian è stato ricoverato in ospedale a seguito di un attentato con armi da fuoco. Le sue condizioni sono giudicate soddisfacenti, la vita non è in pericolo. L’Azerbaigian accusa l’Iran dell’accaduto

 

Wall Street Journal: i leader occidentali sperano che la guerra possa finire con l’offensiva primaverile di Kiev. Ma (scrive il quotidiano) la prospettiva più probabile è una lunga guerra di logoramento.

 

– Il petrodollaro sta perdendo terreno: il Kenya acquisterà il petrolio dall’Arabia Saudita in valuta locale. Il presidente keniota William Ruto ha firmato un accordo con l’Arabia Saudita per acquisto del petrolio in scellini kenioti invece che in dollari, riferisce Sputnik. Il Kenya importa il petrolio e i prodotti petroloferi da paesi come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti e lo paga in dollari.

 

– Le Nazioni Unite chiedono di garantire la libertà di religione in Ucraina. Secondo l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Volker Turk, le perquisizioni negli edifici della Chiesa canonica ortodossa ucraina possono essere discriminatorie. L’Ucraina, però, non è d’accordo con il parere delle Nazioni Unite. Il portavoce del ministero degli Esteri del Paese, Oleg Nikolenko, ha definito il rapporto «squilibrato», e ha anche affermato che la libertà di religione è garantita ma «non è identica al diritto di impegnarsi in attività che minano la sicurezza nazionale».

 

– Gli Stati Uniti sono pronti a combattere la Russia non solo fino all’ultimo ucraino, ma anche fino all’ultimo europeo, ritiene il segretario del Consiglio di sicurezza russo Patrushev. Ha osservato che Washington è direttamente interessata alla disintegrazione della UE per eliminare il suo concorrente economico. Inoltre, Patrushev non ha escluso che gli Stati Uniti possano essere dietro gli attacchi terroristici degli ultimi anni in Europa per destabilizzare la situazione nel continente.

 

– MRAP americano distrutto dagli uomini del gruppo Wagner.


 

– Tutti i tipi di avvisi tra Russia e Stati Uniti nell’ambito del trattato START sono stati sospesi, compresi quelli relativi ai lanci di prova, ha affermato il viceministro degli Esteri Rjabkov.

 

– L’Iran sta trasferendo attrezzature pesanti al confine con l’Azerbaigian, compresi i sistemi di lancio multiplo di grosso calibro nell’ambito delle esercitazioni e come segnale a Baku sull’inammissibilità di una nuova operazione militare nella regione.

 

– Bakhmut.

 

 

– Il ministero degli Esteri cinese non ha commentato l’ invito di Zelens’kyj a Xi Jinping a visitare l’Ucraina: «per quanto riguarda la questione ucraina, la Cina mantiene i contatti con tutte le parti interessate, compresa l’Ucraina. Riguardo alla vostra domanda, non abbiamo informazioni che potremmo fornire».

 

– È terminato l’addestramento sui carri armati Challenger 2 dei primi equipaggi ucraini recatisi a tal fine nel Regno Unito.

 

– Lavrov: la leadership ucraina dimostra la volontà di intervenire nella situazione in Transnistria, anche con l’uso della forza. La Russia seguirà il suo mandato per garantire la sicurezza

 

– Il Colonnello Generale Muradov, comandante del Distretto Militare Orientale, è in ferie. L’annuncio, sensazionale alla vigilia dell’annunciata offensiva ucraina, equivale ad un siluramento. Muradov era entrato in carica il 17 febbraio.

 

Guardian: Uno dei maggiori produttori di munizioni in Europa ha avuto difficoltà ad espandere la produzione per l’Ucraina: un nuovo data center di TikTok sta consumando tutta l’elettricità disponibile nella Zona Industriale. Vicino allo stabilimento Nammo a Raufoss in Norvegia è sorto il terzo data center TikTok. L’azienda elettrica locale avrebbe fornito loro l’energia in eccesso su base prioritaria. Secondo il CEO di Nammo, Morten Brandtzag, non si può escludere che sia intenzionale.
Ha affermato che la domanda di munizioni è aumentata di oltre 15 volte.

 

– In questi giorni Gazprom invia in Europa occidentale con il transito ucraino circa 40 miloni di m3 giorno. Si tratterebbe, mal contati di 14 miliardi di m3 su scala annuale. Poco, ma più dei mesi scorsi.

 

– L’Algeria si unirà ai BRICS al prossimo vertice in Sudafrica. Tutti i membri dell’organizzazione sostengono la sua adesione

 

– Artiglieria a Bakhmut.

 

Wall Street Journal: la Russia aiuta l’Iran con armi informatiche in cambio di droni. Secondo i giornalisti del WSJ, Mosca sta fornendo a Teheran apparecchiature di sorveglianza delle comunicazioni, dispositivi di ascolto, attrezzature fotografiche avanzate e poligrafi.

 

– Mosca ritiene assolutamente inaccettabili i piani di Yerevan di aderire allo statuto di Roma della Corte penale internazionale, ha riferito a RIA Novosti una fonte del Ministero degli Esteri russo. L’Armenia è stata avvertita delle conseguenze estremamente negative di questi possibili passi per le relazioni bilaterali. La Corte Costituzionale armena ha riconosciuto gli obblighi sanciti dallo Statuto di Roma come coerenti con la costituzione. Il prossimo passo dovrebbe essere la ratifica in Parlamento.

 

– Il Segretario di Stato americano Blinken ha definito le proposte di cessate il fuoco in Ucraina una possibile «trappola cinica» che congelerebbe il conflitto.

 

– L’ex presidente moldavo Igor Dodon: «nel marzo 2020, durante una visita ufficiale in Cina, avremmo dovuto firmare tre importanti documenti con Xi Jinping: un accordo sul partenariato strategico, un accordo su commercio e servizi e un accordo sulla liberalizzazione dei visti per moldavi e cinesi. Tuttavia, la visita non ha avuto luogo, è stata silurata dalle parti interessate sia all’interno del Paese (Maia Sandu e il Partito Azione e Solidarietà) che dall’esterno. Gli americani erano categoricamente contrari alla firma di questi documenti».

 

– L’Arabia Saudita aderisce alla Shanghai Cooperation Organization (SCO) come partner di dialogo, che è considerato il primo passo verso la piena adesione.

 

– Video ucraino da Bakhmut.


Euractiv: La Bulgaria molto probabilmente venderà un’enorme quantità di munizioni all’Ucraina attraverso intermediari, che potrebbero avere un impatto significativo sulla guerra, ha detto in un’intervista a bTV l’ex ministro della difesa Boyko Noev. Il Ministero della Difesa trasferirà vecchie munizioni per un valore di quasi 175 milioni di euro all’impianto militare statale VMZ e, in cambio, riceverà nuove munizioni.

 

Financial Times: la Russia è al quarto posto nel mondo in termini di pagamenti in yuan con una quota del 2,25% a marzo. Ai primi tre ci sono Regno Unito, Singapore e Stati Uniti. Prima dell’inizio del conflitto in Ucraina, la Russia non era nemmeno tra i primi 15.

 

– In una intervista alla Associated Press Zelens’kyj dice che in caso di sconfitta a Bakhmut «la nostra società si sentirà stanca e mi spingerà a scendere а compromessi con loro».

 

–  New York Times: Il Pentagono ha stampato una serie di carte da gioco per l’esercito ucraino con immagini di armi della NATO. Le carte da gioco rendono più facile ricordare il nome dell’attrezzatura, conoscere il paese di produzione, i tipi di munizioni con cui è equipaggiato e i paesi in cui vengono esportati.

 

– L’FSB ha chiesto al governo russo un decreto che le consenta di avere accesso al database dei servizi di Taxi online senza autorizzazione dei giudici.

 

 

 

 

 

Rassegna tratta dal canale Telegram La mia Russia e Intel Slava Z.

 

 

 

 

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Geopolitica

Delhi a caccia di Amritpal Singh, leader del movimento per il Khalistan

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

In fuga da quasi una settimana, il predicatore sikh guida un gruppo separatista nello Stato indiano del Punjab. L’indipendentismo Khalistani risale all’epoca della partizione tra India e Pakistan. Una storia di scontri con il governo centrale. Il ruolo della diaspora.

 

Ha usato cinque diversi veicoli in 12 ore per eludere la cattura da parte della polizia dello Stato indiano del Punjab, mentre davanti alle sedi diplomatiche di Londra e San Francisco sono scoppiati disordini in segno di protesta contro gli arresti di massa dei suoi sostenitori e la sospensione di internet in tutto il territorio punjabi.

 

Amritpal Singh, sedicente predicatore sikh a capo di un movimento che chiede l’indipendenza per il Khalistan, è in fuga da quasi una settimana. Ma non è tanto la sua figura a godere di appoggio in Patria e all’estero, quanto il movimento Khalistani, che dai tempi dell’indipendenza è sopravvissuto in varie forme e oggi pare aver ripreso nuovo vigore, dopo aver raggiunto l’apice negli anni ‘80, prima di subire la violenta repressione da parte delle autorità di Delhi.

 

Chiamato «Bhindranwale 2.0», in onore di Jarnail Singh Bhindranwale, militante sikh a cui il predicatore ha detto di ispirarsi, Amritpal Singh si era trasferito a Dubai per seguire le attività di famiglia nel mondo dei trasporti ed è tornato in Punjab lo scorso anno per prendere le redini di un’organizzazione chiamata Waris Punjab De (Eredi del Punjab) a seguito della morte in un incidente stradale del suo fondatore, Deep Sidhu.

 

«Il nostro obiettivo per il Khalistan non dovrebbe essere visto come un male e un tabù. È un’ideologia e l’ideologia non muore mai. Non lo chiediamo a Delhi», aveva dichiarato Singh il 24 febbraio. Il giorno prima centinaia dei suoi seguaci si erano scontrati con le Forze dell’ordine chiedendo il rilascio di un membro del movimento arrestato per un presunto caso di rapimento.

 

Il movimento per il Khalistan negli anni ha assunto diverse forme, ma ha sempre rivendicato la creazione di uno Stato indipendente nell’attuale Punjab, una regione divisa tra India e Pakistan e che oggi ospita in maggioranza persone di fede sikh.

 

La lotta politica per l’autonomia ha avuto inizio con l’indipendenza dell’India nel 1947: durante la partizione con il Pakistan il Punjab è stato teatro di feroci scontri settari. Lahore e altri importanti siti di culto sikh, tra cui Nankana Sahib, il luogo di nascita di Guru Nanak, il fondatore del sikhismo, sono andati al Pakistan. Verso il nuovo Stato si sono riversati migliaia di musulmani rimasti bloccati in India, mentre gli indù e i sikh hanno percorso la strada inversa. Poco dopo nasce il movimento Punjabi Suba, precursore del movimento per il Khalistan: chiedeva la creazione di uno Stato di lingua punjabi.

 

Dopo oltre un decennio di proteste, nel 1966 la geografia dell’India è stata ridisegnata per riflettere le richieste del movimento: Delhi ha diviso il territorio originario in tre, creando l’Himachal Pradesh e l’Haryana a maggioranza indù e di lingua hindi, e il Punjab a prevalenza sikh e dove si parla soprattutto punjabi.

 

Grazie ai risultati ottenuti dal Punjabi Suba, negli anni ‘70 la scena politica è stata poi dominata dallo Shiromani Akali Dal, partito nato in realtà nel 1920, poco dopo il Congress di Gandhi e suo principale rivale nel Punjab: nel 1973, dopo essersi riunito nella città sacra di Anandpur Sahib, il gruppo ha rivolto una serie di richieste a Delhi, tra cui quella per un Punjab autonomo con una propria Costituzione, ma immaginando di restare nella Federazione indiana.

 

All’interno del partito esisteva però anche una corrente più radicale, rappresentata da Jarnail Singh Bhindranwale. Il movimento per il Khalistan cercava, tra le altre cose, anche di dare una risposta ai problemi socio-economici della popolazioni delle aree rurali, ma la popolarità raggiunta da Bhindranwale all’inizio degli anni ‘80 è divenuto un problema per il governo di Indira Gandhi, che, invece di negoziare, decide che si trattava di un movimento secessionista.

 

Nel 1984 il governo indiano ha lanciato l’operazione Blue Star contro il Tempio d’oro ad Amritsar, il luogo più sacro per i sikh. Il 6 giugno Bhindranwale viene ucciso e da allora è considerato un martire. Si stima che tra 5 mila e 7 mila persone siano morte negli scontri.

 

Il 31 ottobre dello stesso anno Indira Gandhi è assassinata da due guardie del corpo sikh. Anche secondo stime prudenti, almeno 8 mila sikh hanno perso la vita per violenze di strada dopo l’assassinio della premier del Congress.

 

Secondo alcuni osservatori, coloro che in questi giorni hanno protestato a favore di Singh non sono che una minoranza dei sikh residenti all’estero.

 

Per il giornalista esperto Terry Milewski, invece, «la diaspora è composta prevalentemente da persone che non vogliono vivere in India. Queste persone includono molti che ricordano i brutti vecchi tempi degli anni ’80».

 

Oggi «c’è una piccola minoranza che si aggrappa al passato, e quella piccola minoranza rimane significativa non a causa del sostegno popolare, ma piuttosto perché sta cercando di mantenere una propria influenza politica con vari partiti politici di sinistra e di destra. Possono radunare una massa di sostenitori che voteranno per i politici che riescono ad adularli».

 

 

 

Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne.

 

 

 

Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

 

 

Immagine di WarisPanjabDe via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International (CC BY-SA 4.0); immagine modificata

 

 

 

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«Gli USA non sono interessati alla pace»: parla l’ex presidente del Partito Socialdemocratico Tedesco

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Oskar Lafontaine, ex presidente del Partito Socialdemocratico Tedesco (SPD), ha fatto dichiarazioni completamente eterodosse rispetto alla linea del suo partito al governo.

 

«Agli Stati Uniti non interessa la pace. Lo ha detto lui stesso il loro segretario alla Difesa, che io chiamo sempre il segretario alla guerra. Gli Stati Uniti combatteranno fino a quando la Russia non sarà in grado di condurre tali ostilità» ha dichiarato Lafontaine alla rivista Focus.

 

Inoltre, sulla provocazione della Russia da parte dell’espansione verso est della NATO, è stato conciso: «Nessuno stato vuole che gli venga messo un coltello alla gola… È inaccettabile piazzare missili al confine di una potenza nucleare. Gli Stati Uniti non dovrebbero fare agli altri ciò che non vorrebbero fosse fatto loro».

 

Esiste quindi all’interno del SPD una fronda che è contraria alla guerra in corso, sostenuta alacremente dalla maggioranza del partito e – incredibilmente per chi non conosce il retroscena della sua classe dirigente – dai Gruenen, il partito dei Verdi alleato della SPD nel cosiddetto governo ampel, o «governo semaforo» (comprendendo anche i liberali) di Olaf Scholz.

 

A sinistra vi sono altre voci dissonanti: il co-presidente del partito di sinistra tedesco Die Linke, Martin Schirdewan, ha dichiarato in un’intervista a Der Spiegel pubblicata il 5 febbraio che «vogliamo una pace stabile, dovremmo trovare un modo per interagire con la Russia».

 

Va considerato che grande oppositore della guerra NATO in Ucraina è l’ex cancelliere socialdemocratico Gerhard Schroeder, il predecessore di Angela Merkel, divenuto poi alto dirigente nei colossi degli idrocarburi russi in amicizia diretta con Vladimir Putin. Ad una rivista spagnola, forse trasmettendo un messaggio che veniva da Oltrecortina, Schroeder dichiarò che «la Russia vuole una soluzione negoziata». L’ex cancelliere fu ignorato e coperto di ingiurie e richieste di dimissioni dai suoi colleghi di partito.

 

Come riportato da Renovatio 21, il Bundestag ha recentemente cassato la proposta del partito AfD di una commissione parlamentare sulla distruzione dell’infrastruttura gasiera Nord Stream 2, dopo che era emerso, tramite un articolo del premio Pulitzer Seymour Hersh, che dietro allo storico sabotaggio vi sarebbe direttamente la Casa Bianca di Joe Biden.

 

Particolarmente feroce nei 45 minuti di dibattito al Parlamento tedesco dopo la presentazione della mozione da parte del deputato dell’AfD Harald Weyel è stato il discorso del socialdemocratico Bengt Bergt, il quale ha affermato che nessuno ascolta il giornalista investigativo americano Seymour Hersh. Il deputato socialdemocratico  ha altresì dichiarato che Putin era responsabile di aver intrapreso la «guerra energetica» contro la Germania, che l’AfD avrebbe dovuto piuttosto essere chiamato «PFD», acronimo per «amici di Putin in Germania», che l’AfD avrebbe dovuto condividere il letto con Sahra Wagenknecht del partito di sinistra Die Linke, uno dei i principali organizzatori della manifestazione per la pace del 25 febbraio a Berlino, che ha richiamato 50.000 persone, e che c’era un motivo giustificato per l’Agenzia per la protezione dello Stato BfV per tenere sotto sorveglianza l’AfD.

 

 

 

 

 

 

Immagine di James Steakley via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0 Unported (CC BY-SA 3.0)

 

 

 

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