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Geopolitica

G7, Johnson quadruplica la fornitura di armi all’Ucraina, ribadisce il boicottaggio petrolifero anti-russo

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Il primo ministro britannico Boris Johnson ha quadruplicato una spedizione di armi da 300 milioni di dollari promessa all’Ucraina la scorsa settimana, portandola a 1,3 miliardi di dollari, annunciandolo ad una riunione virutale del G7 con il presidente ucraino, l’attore comico Volodymyr Zelenskyy.

 

«Il Regno Unito è stato il primo paese a riconoscere l’entità della minaccia e a inviare armi per aiutare gli ucraini a difendersi», si è vantato Johnson.

 

Ciò raddoppia all’incirca gli aiuti concessi in precedenza da Londra all’Ucraina dall’inizio di marzo e la spedizione dovrebbe essere composta da tutte le armi.

 

Nella riunione virtuale del G7, i capi di Stato e di governo hanno deciso di imporre sanzioni a Gazprombank, cercando di rendere impossibile l’acquisto di idrocarburi a quelle nazioni disobbedienti che vogliono pagare la Russia con rubli.

 

C’è quindi l’impegno, ripetuto per l’ennesima volta,  a boicottare il petrolio russo.

 

«Ci impegniamo a eliminare gradualmente la nostra dipendenza dall’energia russa, anche eliminando gradualmente o vietando l’importazione di petrolio russo», afferma la dichiarazione G7. «Faremo in modo di farlo in modo tempestivo e ordinato. Lavoreremo insieme e con i nostri partner per garantire forniture energetiche globali stabili e sostenibili e prezzi accessibili per i consumatori».

 

Ciò pare lontana dalla realtà. La rete radio online LBC (Leading Britain’s Conversation) ha riferito che nell’annunciare il grande carico di nuove armi, Johnson ha affermato sfacciatamente che «nel processo, stiamo rafforzando la nostra sicurezza ed economia, sovralimentando lo sviluppo e la produzione di attrezzature per la difesa all’avanguardia qui nel Regno Unito».

 

Tuttavia lo stesso governo riconosce che decine di milioni britannici non possono pagare l’elettricità nelle loro case a causa delle sanzioni di guerra.

 

Come riportato da Renovatio 21, pare che i britannici abbiano soffiato sul fuoco del conflitto ancora prima che scoppiasse, con testimonianze di leader internazionali sul ruolo di Londra nell’escalation.

 

La retorica di Johnson, che talvolta vanta le sue origini circasse, porta avanti il confronto tra Londra e Mosca che avanza sin dai tempi del Grande Gioco in Centrasia nel XIX secolo. Abbiamo osservato come la posta in gioco ora sia più tremenda: alla TV russa sono state trasmesse immagini di computer grafica dell’intero arcipelago britannico spazzato via da uno tsunami radioattivo alto 500 metri causato da una arma russa di nuova generazione, il drone nucleare Poseidon.

 

Come riportato da Renovatio 21, attriti tra Russia e Gran Bretagna si erano avuti anche nel 2020 nel caso della missione umanitaria russa in Lombardia durante la prima ondata COVID, missione che fu attaccata da un giornale italiano, ma il portavoce dell’esercito generale Konashenkov e la portavoce degli Esteri Zakharova parlarono, prima alludendo e poi esplicitamente, del coinvolgimento di una non meglio precisata società britannica.

 

Di recente è emerso come il Regno Unito potrebbe star fornendo assistenza diretta alle forze ucraine, che negli anni scorsi ha addestrato intensamente. Un commando delle forze speciali SAS sarebbe in Ucraina in questo momento per insegnare agli ucraini l’uso dei missili anticarro NLAW, generosamente offerti sempre da Londra.

 

Qualcuno sospetta lo zampino diretto dei SAS in diversi incendi e danni e strutture in terra russa e pure nelle forze del Cremlino impegnate in Ucraina.

 

Gli inglesi starebbero altresì conducendo operazioni antirusse con il GCHQ, il dipartimento di spionaggio informatico, creando un «information front» che faccia propaganda contro le comunicazioni di Mosca.

 

Boris Johnson – eletto sulla piattaforma populista della Brexit e passato da essere falco anti-lockdown a amichetto di Bill Gates – è, in questo momento, uno dei più grandi ostacoli alla pace mondiale.

 

 

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Geopolitica

Netanyahu intensifica la guerra a Gaza mentre la Casa Bianca chiede il cessate il fuoco

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Nelle scorse le forze israeliane hanno intensificato il loro attacco su Gaza, causando la morte di almeno 80 palestinesi. Almeno 50 sono morti in un attacco contro un ospedale nel nord di Gaza, tra cui 22 bambini.

 

Mentre il premier israeliano Benjamin Netanyahu lavora per intensificare la sua guerra, il Presidente Donald Trump e il suo staff cercano di porre fine al conflitto.

 

«Continuiamo a lavorare per porre fine a questa guerra il più rapidamente possibile. È una cosa orribile quella che sta accadendo», ha detto Trump martedì.

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Secondo il Times of Israel, Trump «sembra di nuovo rompere con Israele, che ha respinto le richieste di porre fine alla guerra, sostenendo che ciò lascerebbe Hamas al potere».

 

Trump ha recentemente raggiunto un accordo con Hamas per il rilascio degli ostaggi israeliani, sperando che ciò portasse a un cessate il fuoco. Tuttavia ciò sembra aver portato solo a ulteriori uccisioni.

 

Ll’attacco è avvenuto appena un giorno dopo che l’amministrazione Trump, aggirando Israele, aveva raggiunto un accordo con Hamas – da tempo definita un’organizzazione terroristica da Israele e dagli Stati Uniti – per garantire il rilascio dell’ultimo ostaggio americano ancora in vita, trattenuto a Gaza, Edan Alexander.

 

La liberazione dell’Alexander costituiva un gesto che alcuni pensavano potesse gettare le basi per un cessate il fuoco, ma Netanyahu ha chiarito che non fermerà la guerra di Israele a Gaza, anche se Hamas rilasciasse i suoi ostaggi, finché i suoi obiettivi dichiarati non saranno raggiunti, offuscando le speranze di una tregua.

 

 

«Nei prossimi giorni, entreremo con tutte le nostre forze per completare l’operazione. Completare l’operazione significa sconfiggere Hamas. Significa distruggere Hamas», ha detto Netanyahu. «Non ci sarà alcuna situazione in cui fermeremo la guerra. Un cessate il fuoco temporaneo potrebbe verificarsi, ma andremo fino in fondo».

 

Nel frattempo, Trump è volato in Arabia Saudita dove ha incontrato una quantità di leader dei Paesi arabi.

 

L’inviato speciale in Medio Oriente di Trump Steve Witkoff ha dichiarato alla stampa che i stanno facendo progressi «su tutti i fronti».

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Immagine di Jaber Jehad Badwan via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

 

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Geopolitica

Continuano gli scontri a Tripoli

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Scontri armati sono scoppiati durante la notte nella capitale libica, Tripoli, meno di 24 ore dopo che il Governo di unità nazionale (GNU) del paese nordafricano, riconosciuto a livello internazionale, ha dichiarato di aver completato le operazioni militari e ripristinato la stabilità nella città.   I combattimenti sono ripresi nella tarda serata di martedì e, secondo quanto riferito, sono proseguiti fino a mercoledì, con spari ed esplosioni udite in diversi quartieri. Testimoni oculari citati dai media locali hanno riferito che le milizie sono state viste mobilitarsi lungo le principali arterie stradali, tra cui l’autostrada Al-Shat, la rotatoria di Fashloum e nei pressi dell’aeroporto di Mitiga, costretto a sospendere le operazioni.   La Libia resta divisa tra fazioni rivali e ha assistito a ripetute esplosioni di violenza dopo la rivolta del 2011, sostenuta dalla NATO, che ha rovesciato Muammar Gheddafi.   Le ultime tensioni sono seguite all’assassinio di Abdulghani al-Kikli, noto come Ghaniwa, capo dell’Apparato di Supporto alla Stabilità (SSA), affiliato al governo.   Secondo quanto riferito, è stato colpito a morte nel sud di Tripoli lunedì. Si dice che fazioni armate alleate con il Primo Ministro Abdulhamid al-Dbeibah abbiano rapidamente invaso le posizioni dell’SSA ad Abu Salim e in altri distretti in seguito all’incidente.      

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Martedì, il ministero della Difesa ha annunciato di aver ripreso il pieno controllo delle aree prese di mira. Ore dopo, tuttavia, sono ripresi gli scontri tra unità filogovernative e forze affiliate al gruppo miliziano Special Deterrence Force (Rada), secondo quanto riportato dal quotidiano locale Libya Herald.   Il ministero della Difesa ha rilasciato una dichiarazione mercoledì, annunciando un «cessate il fuoco in tutti gli assi di tensione all’interno della capitale» volto a «proteggere i civili, preservare le istituzioni statali ed evitare un’ulteriore escalation», affermando che unità neutrali sono state dispiegate per calmare i focolai.   La missione di supporto delle Nazioni Unite in Libia (UNSMIL) aveva in precedenza condannato «l’accelerata escalation della violenza a Tripoli» e le mobilitazioni di truppe segnalate in altre parti del Paese, avvertendo che la situazione «potrebbe rapidamente sfuggire al controllo».   La missione ha espresso «profonda preoccupazione» per le segnalazioni di vittime civili e ha ribadito la sua richiesta di «un cessate il fuoco immediato e incondizionato in tutte le regioni», sollecitando l’apertura di corridoi sicuri per evacuare i civili bloccati nelle aree ad alto conflitto.  

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Geopolitica

Trump sta facendo concessioni all’Iran

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha fatto marcia indietro sul presunto piano di rinominare il Golfo Persico. Lo riporta la CNN, citando una fonte vicina alla questione. La mossa è stata descritta come una concessione all’Iran nel contesto dei colloqui nucleari in corso tra i due Paesi.

 

All’inizio di questo mese, l’Associated Press ha riferito che Trump aveva intenzione di riferirsi alla via d’acqua al largo della costa meridionale dell’Iran come «Golfo Arabico» durante il suo viaggio in Medio Oriente dal 13 al 16 maggio. Tuttavia, Trump ha poi dichiarato ai giornalisti che avrebbe «dovuto prendere una decisione», aggiungendo di non voler «ferire i sentimenti di nessuno».

 

Secondo la fonte, il presidente degli Stati Uniti ha fatto marcia indietro nei giorni scorsi, poiché Teheran ha espresso una forte opposizione al cambio di nome nel corso dei colloqui.

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Washington e Teheran hanno tenuto diversi round di negoziati in Oman sul programma nucleare iraniano. I colloqui, descritti da entrambe le parti come costruttivi, sono stati offuscati dalle crescenti tensioni in Yemen, dove Stati Uniti e Regno Unito hanno intensificato gli attacchi contro i militanti Houthi presumibilmente sostenuti dall’Iran. L’annuncio di Trump di una pausa nei bombardamenti all’inizio di maggio mirava a dare slancio ai colloqui in corso, secondo quanto riferito da fonti alla CNN all’epoca.

 

Intervenendo mercoledì al vertice del Consiglio di cooperazione del Golfo a Riyadh, in Arabia Saudita, Trump ha affermato di voler «fare un accordo» con l’Iran.

 

Trump ha ritirato gli Stati Uniti dall’accordo nucleare del 2015, sostenuto dalle Nazioni Unite, durante il suo primo mandato, accusando l’Iran di violarlo – un’accusa che Teheran nega. La Repubblica Islamica ha iniziato a ridimensionare i suoi impegni dopo l’attacco con drone statunitense del 2020 che ha ucciso il generale iraniano Qasem Soleimani.

 

Regno Unito, Germania e Francia hanno esortato l’Iran ad abbandonare il suo programma nucleare nei prossimi mesi, altrimenti dovrà affrontare nuove sanzioni, ha dichiarato a febbraio l’ambasciatore del Regno Unito in Israele, Simon Walters.

 

L’Iran è stato anche accusato di aver aumentato la produzione di uranio di qualità quasi militare, cosa che l’Iran nega.

 

La denominazione del golfo è da tempo motivo di contesa tra l’Iran e gli stati arabi. Teheran insiste a chiamarlo Golfo Persico, citando prove storiche e antiche mappe che collegano l’area al suo territorio. Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Iraq e altri, tuttavia, lo chiamano Golfo Persico o semplicemente «il Golfo».

 

Il ministro degli Esteri iraniano Seyed Abbas Araghchi ha definito le proposte di modifica del nome «indicative di intenti ostili nei confronti dell’Iran e del suo popolo».

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Trump ha già utilizzato il cambio di nome simbolico in politica estera. A gennaio, ha firmato un ordine esecutivo per rinominare il Golfo del Messico «Golfo d’America». La decisione ha comportato l’esclusione dalla Casa Bianca di testate che rifiutavano di adottare la nuova nomea.

 

Da una parte, Trump sembra voler cambiare il mondo con le parole; dall’altra mette sul piatto vere annessioni (la Groenlandia, financo l’intero Canada) nel discorso dello spazio geopolitico planetario.

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 Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr

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