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Guerra cibernetica

La Cina si oppone al coinvolgimento del Giappone nella Difesa cibernetica NATO

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La Cina attacca l’allungo della NATO nelle questioni di guerra cibernetica in Estremo Oriente. Lo riporta il sito del ministero degli Esteri cinese in una pagina che dà conto della conferenza stampa del 7 novembre.

 

«L’Asia-Pacifico si trova oltre l’ambito geografico del nord Atlantico e non ha bisogno di una replica della NATO», ha affermato il portavoce del ministero degli Esteri cinese Zhao Lijian quando gli è stato chiesto durante il briefing con i giornalisti riguardo a notizie secondo cui il Giappone si era unito al centro di difesa informatica della NATO.

 

«Negli ultimi anni, tuttavia, abbiamo visto la NATO rafforzare costantemente i legami con i paesi dell’Asia-Pacifico (…) L’Asia orientale è una delle regioni più pacifiche e stabili del mondo e una terra promettente per la cooperazione e lo sviluppo, non un’arena per la competizione geopolitica», ha affermato il Zhao.

 

«Data la storia dell’aggressione all’estero condotta dal militarismo giapponese nel secolo scorso, i vicini del Giappone in Asia e la comunità internazionale prestano molta attenzione alle tendenze militari e di sicurezza del Giappone».

 

«Quello che il Giappone dovrebbe fare è trarre lezioni dalla storia… ed evitare di fare cose che potrebbero smantellare la fiducia e influenzare la pace e la stabilità in questa regione», ha dichiarato il diplomatico di Pechino.

 

Come riportato da Renovatio 21, a maggio la Corea del Sud è diventata il primo stato membro asiatico del Centro di eccellenza per la difesa informatica cooperativa (CCDCOE) della NATO, cioè il comando per la guerra cibernetica del Patto Atlantico.

 

Ciò dimostra la volontà della NATO di estendersi ben al di là dell’Oceano euro-americano. Del resto, che la Cina sia il vero avversario dell’alleanza militare euroamericana è stato ripetuto più volte dal segretario generale NATO Jens Stoltenberg.

 

I cinesi hanno preso nota, e potrebbero reagire di conseguenza: dobbiamo attenderci misteriosi attacchi hacker contro il Giappone nelle prossime settimane?

 

 

 

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Guerra cibernetica

La Germania vuole le armi cibernetiche israeliane

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La Germania dovrebbe guardare a Israele come modello per contrastare le minacce online, ha affermato domenica il ministro degli Interni Alexander Dobrindt, chiedendo la creazione di una cupola informatica.

 

Dobrindt ha rilasciato questa dichiarazione dopo una visita in Israele sabato, pochi giorni dopo la conclusione del conflitto militare di 12 giorni con l’Iran. In un’intervista al tabloid tedesco Bild, il ministro Dobrindt ha elogiato l’infrastruttura di difesa civile israeliana e ha esortato il suo Paese ad adottare approcci simili alle minacce moderne.

 

«Collaboreremo a stretto contatto con Israele su questo. La Germania ha bisogno di un cybercupola, un potente scudo digitale contro spionaggio, sabotaggio e per proteggere infrastrutture critiche come le aziende energetiche e di comunicazione», ha affermato il vertice del dicastero degli Interni germanico.

 

Il Dobrindt non ha fornito dettagli specifici. Il suo uso del termine «cyber dome» sembra riferirsi al sistema di difesa missilistica a corto raggio Iron Dome («cupola di ferro») di Israele, dimostratosi peraltro non infallibile nell’occasione degli attacchi iraniani.

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All’inizio di questo mese, l’Ufficio federale tedesco per la criminalità (BKA) ha segnalato livelli record di criminalità informatica nel 2024, documentando oltre 131.000 casi. L’agenzia ha specificamente accusato gruppi di hacktivisti filo-russi e anti-israeliani di essere responsabili di un’impennata di operazioni di negazione del servizio contro agenzie governative e aziende private.

 

Il nuovo governo tedesco, insediatosi a maggio, ha sostenuto Israele nel suo recente conflitto con l’Iran. Il cancelliere Friedrich Merz ha affermato che lo Stato degli ebrei stava facendo «il lavoro sporco per noi» lanciando attacchi aerei per impedire a Teheran di sviluppare armi nucleari.

 

Lo scontro tra Israele e Iran ha comportato attacchi a lungo raggio tra le due nazioni. Secondo lo Stato Giudaico, il conflitto ha causato danni diretti stimati per il Paese in 3 miliardi di dollari. Teheran ha accusato lo Stato ebraico di aver commesso un atto di aggressione internazionale e ha affermato di aver agito per legittima difesa con una rappresaglia.

 

La scorsa settimana, il governo Merz ha approvato una proposta di bilancio che include un consistente nuovo debito pubblico al fine di aumentare drasticamente la spesa per la difesa, destinata a raddoppiare entro il 2029. B

 

erlino ha sostenuto che l’investimento è necessario per proteggersi da un potenziale attacco russo alla NATO. Mosca, tuttavia, ha liquidato lo scenario come inverosimile e ha accusato i governi occidentali di usare tattiche basate sulla paura per giustificare il peggioramento delle condizioni di vita dei propri cittadini.

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Droga

Narcos messicani hackerano telefono dell’FBI per uccidere informatori

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Un hacker che lavora per il più potente cartello della droga messicano ha avuto accesso ai tabulati telefonici e ai dati di geolocalizzazione di un agente di alto rango dell’FBI assegnato all’ambasciata statunitense nel Paese. Lo sostiene l’ultimo rapporto dell’Ufficio dell’Ispettore Generale del dipartimento di Giustizia (DOJ) degli Stati Uniti,   L’incidente è avvenuto nel 2018, quando l’FBI stava lavorando a un caso di alto profilo per raccogliere prove contro il famigerato boss della droga messicano Joaquin Guzman Loera, soprannominato «El Chapo», per lungo tempo leader del cartello di Sinaloa.   Secondo il rapporto, l’agente informatico assunto dalla gang è riuscito anche a intercettare la rete di videosorveglianza di Città del Messico, consentendo al cartello di monitorare i movimenti dell’agente e di identificare gli individui con cui si incontrava, alcuni dei quali sono stati in seguito intimiditi o uccisi.   Sotto la guida del Guzman, il cartello di Sinaloa divenne il principale fornitore di droga degli Stati Uniti, trafficando enormi quantità di cocaina, eroina, metanfetamine e marijuana.

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Guzman è stato arrestato in Messico nel 2016 ed estradato negli Stati Uniti. Nel 2019, un tribunale federale di Brooklyn lo ha condannato all’ergastolo più 30 anni di carcere. Ora sta scontando la pena nell’ADX Florence, il carcere federale di massima sicurezza degli Stati Uniti.   La cattura del Chapo Guzmano non ha posto fine al cartello: il potere è passato ad altri leader e il flusso di droga verso Nord è continuato ininterrotto.   I recenti progressi nella tecnologia di sorveglianza e la loro accessibilità da parte di gruppi criminali e «nazioni meno sofisticate» sono ora considerati una minaccia «esistenziale» dalle agenzie di intelligence statunitensi come l’FBI e la CIA, si legge nel rapporto del dipartimento di Giustizia.   Dopo il suo ritorno in carica a gennaio, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha adottato un atteggiamento duro nei confronti del ruolo del Messico nel traffico di droga.   In una delle sue prime mosse, ha designato diversi cartelli messicani, tra cui il cartello di Sinaloa, come organizzazioni terroristiche straniere, una mossa che potrebbe aprire la strada a operazioni militari o di intelligence estese.   La scorsa settimana, il dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha imposto sanzioni a tre istituti finanziari messicani accusati di riciclaggio di denaro dei cartelli, presumibilmente escludendoli dal sistema finanziario americano.   Trump ha anche ventilato la possibilità di attacchi missilistici contro i laboratori di droga dei cartelli in Messico.   Nel frattempo, la CIA starebbe conducendo missioni di sorveglianza con droni in territorio messicano per monitorare le operazioni dei cartelli.   Queste politiche hanno messo a dura prova le relazioni tra Stati Uniti e Messico. La presidente messicana Claudia Sheinbaum ha criticato la mancanza di prove a sostegno di alcune azioni di Washington e ha messo in guardia contro la violazione della sovranità del Paese.

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Guerra cibernetica

Ciberattacco contro i supermercati americani di cibo bio

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Il gigante statunitense della distribuzione alimentare United Natural Foods (UNFI) ha dichiarato martedì di essere al lavoro per ripristinare le proprie capacità a seguito di un attacco informatico avvenuto la scorsa settimana, che continua a compromettere la catena di approvvigionamento alimentare. Lo riporta il sito di tecnologia TechCrunch.

 

UNFI ha dichiarato, nell’ambito della sua relazione sugli utili del terzo trimestre, di «gestire diligentemente l’incidente informatico», come confermato lunedì.

 

L’azienda sta «aiutando i nostri clienti con soluzioni a breve termine ove possibile», ha dichiarato l’amministratore delegato di UNFI, Sandy Douglas, in un discorso preparato. Nella conference call post-risultati, Douglas ha affermato che UNFI sta «continuando a ripristinare in sicurezza i nostri sistemi e a ripristinare un servizio clienti capillare il prima possibile».

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L’azienda, che è il principale distributore di Whole Foods, di proprietà di Amazon, e fornisce oltre 250.000 prodotti alimentari, inclusi i surgelati, ha comunicato lunedì di aver individuato un accesso non autorizzato ai suoi sistemi IT.

 

L’AD di UNFI ha dichiarato, durante la conference call di martedì, che l’azienda ha da allora bloccato l’intera rete. L’azienda non ha descritto la natura del cyberattacco, ma ha affermato che l’intrusione stava causando continue interruzioni alle sue operazioni, inclusa la capacità di evadere e distribuire gli ordini dei clienti. Durante la chiamata, Douglas ha dichiarato agli investitori che l’azienda stava effettuando spedizioni ai clienti «su base limitata».

 

TechCrunch scrive di aver ricevuto segnalazioni aneddotiche di scaffali ridotti o vuoti in alcuni punti vendita interessati dall’interruzione presso UNFI, ma non è immediatamente chiaro se ciò sia dovuto al cyberattacco o ad altri problemi della catena di approvvigionamento. Gran parte dell’impatto reale a valle sui negozi di alimentari e sui loro clienti potrebbe non essere visibile prima della fine di questa settimana.

 

Reuters ha citato un portavoce di Whole Foods, il quale ha affermato che il colosso della vendita al dettaglio stava «lavorando per rifornire gli scaffali il più rapidamente possibile» e ha rinviato ulteriori domande all’UNFI. Non è chiaro quanto UNFI abbia speso per la sicurezza informatica, né chi sia in ultima analisi responsabile della sicurezza informatica dell’azienda. Secondo quanto riportato, gran parte dei sistemi UNFI rivolti all’esterno sarebbero offline.

 

UNFI ha registrato un fatturato netto di 8,1 miliardi di dollari nel trimestre conclusosi il 3 maggio 2025. La società ha dichiarato di prevedere una perdita sull’utile netto e sull’utile per azione per le sue previsioni per il 2025 a seguito della risoluzione di un contratto con una catena di supermercati nel nord-est degli Stati Uniti, ma che al momento non sta rivedendo le sue previsioni a causa della «valutazione in corso» dell’attacco informatico.

 

Non si tratta del primo attacco diretto ai fornitori di grandi gruppi di vendita al dettaglio in USA.

 

 

Come riportato da Renovatio 21, un anno fa un potente ciberattacco aveva paralizzato le farmacie americane.

 

La fragilità della società moderna rispetto agli attacchi informatici rappresenta qualcosa di preoccupante, anche se non percepito: un rapporto governativo britannico ha avvertito ad inizio anno che Londra rischia una «catastrofe in qualsiasi momento». La città di Wuhan a fine 2023 si è esercitata in previsione di un blackout (ricordando che nel 2019 si esercitava per un’emergenza epidemica).

 

Una paralisi del sistema di distribuzione dei farmaci può, certamente, ferire o perfino uccidere una quantità di popolazione la cui vita da quei farmaci dipende. Attacchi cibernetici al sistema sanitario si sono registrati anche in Italia, come accaduto due anni fa con la Regione Lazio.

 

Come riportato da Renovatio 21, nelle ultime settimane attacchi cibernetici si sono consumati in Iran, colpendo la distribuzione del carburante. Sono state avanzate supposte rivendicazioni da parte di gruppi hacker israeliani.

 

Nel 2023 vi era stato il caso significativo di aeroporti e sistemi aerei di vari Paesi colpiti da misteriosi «malfunzionamenti informatici», che hanno causato, negli USA, la messa a terra di ogni aereo – cosa che non accadeva dall’11 settembre 2001. Secondo speculazioni, potrebbe essersi trattato di un attacco ransomware, idea potenzialmente corroborata dal concomitante improvviso aumento del prezzo del Bitcoin.

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Immagine di Wpcpey via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

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