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Satira

Turista a Venezia fa i suoi bisogni sotto il ponte di Calatrava. Le possibili ragioni storiche, metafisiche, architettoniche del gesto

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Giusta indignazione pubblica per una foto che ha fatto il giro della rete e dei giornali.  Quella che è presumibilmente una turista a Venezia, è stata immortalata mentre defecava – riportano i quotidiani locali – sotto il passaggio pedonale che collega Piazzale Roma alla Stazione di Santa Lucia il famigerato «ponte di Calatrava».

 

«La persona risulta sconosciuta ai Servizi sociali e la polizia locale ricorda che invece di fotografare sarebbe stato meglio avvertire, visto che ci sono pattuglie sempre a piazzale Roma, che avrebbero potuto darle un aiuto, visto che certamente ne avrebbe bisogno» scrive il Gazzettino.

 

Gli agenti, quindi, brancolano nel buio, come si dice di solito in gergo giornalistico, e pure sono seccati perché non bisognava fare una foto alla donna che «usava il Canal Grande come un WC», come è stato riportato.

 

 

Lo sdegno è tanto, anche perché Venezia è abituata a scene di belluina inciviltà turistica, dove le secrezioni del corpo umano la fanno da padrone. In questi anni di fatto non si sono visti solo tuffi nei canali (auguri), tizi seminudi seduti ai tavolini dei bar in Piazza San Marco sommersa dall’acqua alta e perfino la profanazione del Canal Grande attraversato da australiani in surf elettrico (sacrilegio!), ma anche casi ripetuti di «pellegrini» del turismo decerebrato che hanno fatto la pipì ovunque, persino dinanzi al Palazzo Ducale.

 

Video di inciviltà urinaria contro Venezia continuano ad essere trasmessi impunemente sulle piattaforme video: e vorremmo tanto che i colpevoli fossero individuati e perseguiti.

 

 

 

E come non ricordare il trauma dei traumi, il visionario concertone dei Pink Floyd per la Festa del Redentore 1989, che sommerse Venezia di esseri umani e rifiuti, con apocalittiche immagini di urina contro i beni culturali?

 

La sconvolgente esperienza fu cantata nei versi di Pin Floi, canzone che rende allora celebri i Pitura Freska

 

 

Tuttavia l’atto estremo della signora defecatrice – che potrebbe essere stato, comunque, una performance di un’artista per la Biennale, anche se un po’ fuori tempo – porta alla mente questioni di rilievo: su un piano storico, metafisico ed architettonico.

 

La prima cosa su cui ci interroghiamo sulla questione arrivata sin nel titolo dei giornali, quel «Canal Grande usato come un WC». Il cittadino veneto medio, con cognizione storica o fede calcistica, conosce vari epiteti per gli abitanti di tutte le città – avente presente, quella cosa per cui «vicentini magnagati/veronesi tuti mati».

 

I veneziani, nella filastrocca erano detti «gran signori», tuttavia un altro modo di definirli, in senso dispregiativo, i veneti dell’entroterra lo hanno sempre avuto «cagainacqua».

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Il sistema fognario veneziano per secoli prevedeva lo scarico diretto nel rio, cioè nella via d’acqua sottostante.  «In epoca medioevale solo gli edifici più prestigiosi avevano dei bagni privati, mentre la popolazione disponeva di bagni comunitari che venivano posti vicino ad un rio» apprendiamo dal sito Venezia da esplorare. Capitava spesso che i canali più stretti divenissero delle vere e proprie latrine a cielo aperto che poi l’acqua alta ripuliva».

 

«La parte liquida degli scarichi finiva direttamente nei canali, mentre bisognava operare manualmente alla rimozione della componente solida. Tutti gli scarti delle cucine e i reflui spesso erano scaricati al di sopra del livello medio delle maree e pertanto erano spesso visibili».

 

«Nel basso medioevo, con l’aumentare della popolazione, diventarono sempre più evidenti i problemi di carattere igienico. Oltre alla propagazione delle malattie, il sistema medievale del rio delle latrine non funzionava più: troppe zone della città erano impraticabili», cioè, crediamo significhi che intere aree della Serenissima erano ufficialmente sommerse dalla pupù.

 

Nel XX secolo, è stata reso «obbligatorio l’uso di una fossa settica prima dello scarico nel rio. Questo adeguamento fu però realizzato da pochi proprietari, visto che era obbligatorio solo per coloro che richiedevano un permesso per ristrutturare casa».

 

L’idea per cui Venezia poggia poggerebbe sui bisogni dei suoi abitanti era stata al centro di un vecchio episodio, ovviamente assai grossolanamente razzista nei confronti degli italiani, del cartone satirico South Park relativo alle persone che facevano la pipì in piscina.

 

E quindi, la signora dello scandalo ha fatto qualcosa che, in realtà, è di per sé molto veneziano? Magari infrangendo la legge e dando a tutti lo spettacolo del degrado, la signora ha come detto, «il re è nudo»? «L’acqua di Venezia contiene escrezioni umane»!

 

Vi è un tuttavia anche un ulteriore livello metafisico di lettura dell’evento. Il lettore foresto deve sapere che ogni bimbo veneto, e quindi ogni adulto, conosce bene una filastrocca. Si tratta di una «conta», cioè una canzoncina per decidere a chi tocca il ruolo di un particolare gioco, del tipo «ambarabaciccicoccò».

 

Tale filastrocca, che ha inquietato l’immaginario di generazioni di veneti, dice che «sotto il ponte di Verona / c’è una vecchia scoreggiona / che cuciva le mutande
per non fare il buco grande /Ma il buco si allargò / e proprio a te uscir toccò».

 

 

Varianti formulari, molto diffuse nel veneto centrale, sostengono che «sotto il ponte di Verona / c’è una vecchia scoresona / che scoresa tutto il dì /A-B-C-D / ci stai fuori proprio tì».

 

Ora, il lettore può capire lo sgomento che il bambino veneto che dentro a ciascun cittadino della regione (e non solo) può provare dinanzi a tale approssimativo inveramento della cantilena: la donna non è vecchia (pare giovane), non è a Verona (ma a Venezia), e non emette precipuamente flatulenze (ma comunque si impegna in attività non dissimili), tuttavia la sostanza, è il caso di dire, c’è tutta.

 

Verrà aggiornata la filastrocca scaligero-meteoristica? «Sotto il ponte di Venezia / c’è una giovane …»? È uno di quei casi in cui davvero l’ardua sentenza sarà data dai posteri, sperando che il tempo lenisca le menti dallo shock ingenerato da tale evento.

 

Tuttavia potrebbe esserci un ulteriore significato profondo della scandalosa e illegale oscenità vista in Laguna.

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E se la signora stesse volontariamente esprimendo un giudizio dopo una giornata a Venezia? Se fosse un rebus, potremmo ipotizzare che sta cercando di dire che «Venezia è una cagata», ma non lo riteniamo possibile, perché la capitale della Repubblica Veneta è la città oggettivamente più magica al mondo.

 

Era allora una forma di protesta contro l’idea – sulla cui costituzionalità non abbiamo le idee chiarissime, ma forse siamo noi a sbagliarci – di mettere l’ingresso alla città a pagamento? Si sarebbe trattata quindi di una protesta contro la Venezia a pagamento, effettuata tramite una forma estrema di mooning?

 

Riguardo alla protesta, circola, fra chi si interroga sulla vicenda, un’ulteriore ipotesi, quella architettonica. Il gesto della signorina con i capelli colorati potrebbe essere correlato ad un giudizio sul controverso Ponte della Costituzione (lei), più noto come Ponte di Calatrava, il ponte pedonale che unisce i parcheggi di Piazzale Roma alla Stazione Ferroviaria.

 

Il ponte, che ha visto i suoi costi praticamente raddoppiare, a fine anni 2000 fu oggetto di una inchiesta conoscitiva a cui prese parte anche l’allora procuratore aggiunto, ora ministro della Giustizia, Carlo Nordio. L’inchiesta fu archiviata, ma Nordio sottolineò «i gravissimi errori caratterizzanti sia la fase progettuale sia quella esecutiva, sia quella relativa allo stesso bando di gara, errori rappresentativi di una radicale incapacità (…) di comprendere la complessità tecnica di un’opera così ambiziosa, errori ripetutisi in una sorta di clonazione esponenziale hanno dilatato i tempi di realizzazione e i costi dell’opera (…)» riporta un articolo del La Nuova Venezia del 2010 intitolato «Ponte Calatrava, incapaci e cinici».

 

Apprendiamo dalla nota enciclopedia online che «il 13 agosto 2019, dopo averlo precedentemente assolto in primo grado, la Corte dei Conti ha condannato Calatrava in appello a pagare la somma di 78.000 euro in favore dell’erario, essendo stato ritenuto responsabile di un aggravio dei costi dell’opera legati alla sottostimazione delle dimensioni di alcuni tubi (una “macroscopica negligenza”, secondo i giudici contabili) nonché in relazione ai tempi di usura dei gradini, che sono stati sostituiti dopo soli 4 anni, piuttosto che dopo i 20 stimati da Calatrava, in quanto fortemente danneggiati».

 

La Corte dei Conti tuonò quindi contro l’archistar parlando di «negligenza», dicendo che la questione è «tanto più grave e meritevole di essere stigmatizzata in quanto proveniente da uno stimato professionista di fama mondiale di elevatissima competenza, con lunga e provata esperienza proprio nella costruzione di ponti.»

 

Al di là dei risvolti giudiziari, vi è la questione dei gradini irregolari, che costringono il pedone ad aggiustare il passo, con la quantità di cadute che ci si deve quindi attendere: fratture alle gambe, alle spalle, al volto, e relativi risarcimenti, esosissimi, da parte del Comune. Gli stessi veneziani accusarono il ponte voluto fortemente dal sindaco-filosofo Cacciari (il Socrate lagunatico che bevve la cicuta mRNA) di essere «troppo pericoloso».

 

Qualcuno può fantasticar che sia a causa di tali controversie che nel 2011 quattro giovani di Jesolo furono motivati ad inforcare il ponte in automobile, ma è ben più verisimile l’ipotesi alcolica, visto che il conducente fu denunziato per guida in istato di ebrezza: tuttavia egli, secondo quanto riportato all’epoca dai giornali, aveva mantenuto la parola con i suoi amici: «vado a prendere l’auto e vengo a prendervi» avrebbe detto loro dopo una serata tra i locali della città.

 

 

Il ragazzo, all’arrivo degli agenti, avrebbe enigmaticamente buttato le chiavi in Canal Grande, proprio lì dove, una dozzina d’anni dopo, avrebbe fatto pluf la deiezione della signora ora al centro delle polemiche.

 

In ogni caso, lo sfregio al ponte dell’archistar rimane.

 

E quindi, alcuni si chiedono: la ragazza della cacca sotto quei controversi gradini, è per caso un’architetta in rivolta contro l’architettura moderna?

 

Come riportato da Renovatio 21, sappiamo che tali gruppi esistono, e cominciano a farsi largo un po’ ovunque, in Isvezia, per esempio, con gli Arkitetkturupproret.

 

E quindi, la soluzione del rebus posto dalla scandalosa immagine è «il ponte di Calatrava è una cagata»? Oppure «l’architettura moderna è una cagata»?

 

Non lo sappiamo, non lo sapremo mai, e ricordiamo, prima che qualcuno si offenda, che questo è un pezzo di satira.

 

Forse era satira anche quella che voleva fare l’impavida ragazza?

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Immagine di Yair Haklai via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International (CC BY-SA 4.0)

 

 

 

 

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Animali

«Pigcasso», il maiale pittore, è morto. L’arte contemporanea può rinascere nei porcili?

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Lutto nel mondo dell’arte contemporanea per la perdita di uno dei suoi migliori, ed autentici, artisti.   Pigcasso – un maiale di 500 chili noto per la sua capacità di «dipingere» con il naso e un pennello – è morto in Sud Africa all’età di otto anni, dopo aver sofferto di artrite reumatoide cronica. Lo ha comunicato lo scorso mercoledì la sua proprietaria.   In una dichiarazione a Caters News, Joanne Lefson – artista 52enne e attivista per i diritti degli animali – ha annunciato che l’inarrivabile suino pingitore era deceduto dopo che i suoi sintomi erano rapidamente peggiorati nel settembre 2023. All’inizio di ottobre, il Pigcasso aveva perso l’uso delle sue zampe posteriori a causa della calcificazione della parte inferiore della colonna vertebrale.   «C’è molta tristezza per il fatto che una figura così ispiratrice per il benessere degli animali sia scomparsa, ma celebriamo anche una vita ben vissuta e la profonda differenza che ha fatto», ha detto Lefson.  

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Nel 2016, la Lefson aveva salvato Pigcasso, che allora aveva quattro settimane, da un allevamento intensivo poco prima di essere mandato al macello. Da lì, il porco è stato trasferito a Franschhoek, in Sud Africa, in un rifugio per animali da fattoria «salvati».   Ad un certo punto, la Lefson aveva notato che il porcello avrebbe mangiato o distrutto tutto ciò che era rimasto nella sua stalla, tranne un pennello. La donna animalista ebbe quindi l’idea di insegnare ai maiali a usare la spazzola coltivando l’interesse della bestia per l’arte.   «Questo non è solo un maiale pittore, tutt’altro. Si tratta di una collaborazione seria e altamente creativa in cui lavoro e mi impegno attraverso un “pennello in movimento” per sviluppare opere d’arte dinamiche che ispirano e sfidano lo status quo», scrive orgogliosamente l’attivista sul suo sito web.   Il progetto zoologico-artistico è stato soprannominato «LEFSON + SWINE» e il suo scopo era sottolineare la «disconnessione e la discordia dell’umanità con il nostro pianeta» e concentrarsi sul «cibo» che scegliamo di mangiare e sugli effetti dannosi che l’agricoltura animale ha sull’ambiente e sul benessere degli animali.   Nel corso della sua carriera artistica, il geniale suino ha venduto le sue opere per un valore di oltre 1 milione di dollari, cosa che gli ha garantito dei record mondiali e il titolo di primo artista-animale a cui è dedicata una mostra d’arte personale, nonché il primato dell’opera d’arte più costosa dipinta da una bestia.   Il Pigcasso è stato descritto come «l’artista non umano di maggior successo nella storia del mondo». Ora, la sua eredità «continua attraverso il santuario e la nostra missione di ispirare un mondo più gentile e sostenibile per tutti», ha affermato la Lefsona.   Il porco-pittore non è il primo quadrupede che si cimenta con tela e pennello. In passato la società ha dovuto subire anche le immagini di scimpanzè ed elefanti addestrati a scarabocchiare col colore. Tali immagini vengono spesse propalate dagli animalisti per sottolineare la bontà della loro filosofia fondamentale, l’antispecismo, ossia la negazione di qualsiasi differenza tra l’uomo e le bestie.

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Di certo, possiamo dire che nella porcheria assoluta che è divenuta l’arte contemporanea, l’esistenza di un artista che è porco materialmente (e non solo esteticamente, filosoficamente, umanamente) è un atto di sincerità rivoluzionaria.   A questo punto, si dovrebbe attendere la proposta di qualche testa calda: chiudiamo la Biennale, e al posto dei suoi antichi padiglioni internazionali piazziamo dei porcili che sfornino orde di Pigcassi, di Maialengeli, Porcavaggi, etc..   L’idea, tuttavia, ora potrebbe cadere nel vuoto: l’attuale presidente della Fondazione Biennale di Venezia, lì piazzato in quest’era meloniana, è il giornalista Pietrangelo Buttafuoco, che circa una diecina di anni fa si è convertito all’islam prendendo, in onore dell’emiro della Sicilia, il nome di Giafar al-Siqili.   Il maiale, vogliam qui ricordare, è considerato un animale impuro anche secondo certa tradizione ebraica che risale ai libri del Levitico e Deuteromonio, al Talmud e soprattutto alla letteratura halakica della Torah, che considera fuori dal kasherut («adeguatezza») il suino, qui in compagnia di molluschi e crostacei. Considerando l’importanza che hanno avuto artisti, collezionisti e mecenati (come la famiglia i Guggenheim, o i Sackler) ebrei per musei e gallerie, in ispecie in America, non ci è chiaro come certo rabbinato ortodosso, che arbitra il concetto di kasher, potrebbe reagire verso i propri correligionari impegnati nel mondo dell’arte.   Il sogno della rinascita mondiale dell’arte per via porcina è forse quindi, almeno al momento, da rimandarsi.

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Satira

Avviso ai lettori: padre Pizzarro non esiste. Ma potrebbero farlo papa

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Un breve comunicato ai lettori di Renovatio 21, dovuto all’alta quantità di lettere arrivateci negli scorsi giorni, specie dopo l’ultima Newslettera.

 

In molti, dopo aver letto l’articolo intitolato «Padre Pizzarro risponde a Beppe Grillo» ci hanno scritto chiedendoci se il sacerdote, del quale avevamo accluso un denso video che spiegava le nostre ragioni, fosse un personaggio comico o un prete reale.

 

Rassicuriamo tutti dicendo subito che padre Florestano Pizzarro è, in teoria, solo un’invenzione di uno dei massimi artisti italiani, il comico Corrado Guzzanti. Cioè, padre Pizzarro non esiste – sempre in teoria.

 

Don Pizzarro, le cui apparizioni TV risalgono a quasi due decenni fa, è uno dei vari personaggi religiosi inventati da Guzzanti durante la sua carriera. Di certo, è forse il più memorabile, perché racconta, non si sa quanto volontariamente, la realtà di una chiesa che non crede più a nulla.

 

Con una certa insofferenza per chi la contesta – magari le presentatrici di sinistra nelle cui trasmissioni padre Pizzarro appariva – senza rendersi conto di come stanno le cose nel profondo, il personaggio spiegava, quasi infastidito, la fatica di mandare avanti la baracca vaticana, più simile ad una serie TV che ad un’istituzione sacra, sotto l’avvenuto disincantamento del mondo perpetrato dalla scienza.

 

«Ma te hai vista ‘a robba che c’è llàfori? Mijardi e mijardi de galassie, de stelle, de pianeti, buchi neri, quasar, oceani de materia oscura, de fasci de neutrini».

 

 

Padre Pizzarro era oltre il modernismo, oltre il democristianismo: era un personaggio che, con il suo cinismo e la sua saggezza, cerca di tirare avanti un’organizzazione religiosa alla quale non crede più nessuno, lamentandosi pure con una certa insolenza romana di coloro che ancora ci credono.

 

Stamo ar medioevo» diceva in uno sketch. «Ha ragione mi’ fijo. Stamo al medioevo».

 

 

Come abbiamo scritto in altre occasioni, per noi padre Pizzarro è un maestro: da lui possiamo imparare moltissimo, perché egli, oggi, in effetti non è più davvero un personaggio comico, cioè caricaturale, incredibile – nel momento in cui al Dicastero per la Dottrina della Fede ci sta il «cardinale Orgasmo», padre Pizzarro diviene un personaggio realistico. Lo era già all’epoca, in verità, per molti che capiscono delle dinamiche intestine del vaticano infestato da un secolo di modernismo e occupato verticalmente dai tempi dell’ultimo Concilio.

 

Le posizioni del Pizzarro, davvero, non sono in fondo tanto diverse da quelle della CEI degli ultimi cinquant’anni. Anzi, se possiamo permetterci, sono in alcuni casi più conservatrici: la proposta di levare i punti della patente a quelle che abortiscono l’episcopato italiano non l’ha mai fatta, anzi, come sappiamo, anche oggi come sempre – forte dell’opera di Giorgia Meloni e di figure neodemocristiane infilate nel suo governo – difende la legge 194, cioè il libero aborto a spese del contribuente che versa anche l’8 per mille.

 

Padre Pizzarro immagina una sanzione, anche solo cinicamente simbolica, per l’uccisione degli innocenti. La CEI non sfiora nemmeno l’idea di punire il male, anzi lasciando pure la società libera di considerare l’aborto non solo come un diritto, ma finanche come una virtù

 

 

Per cui, concludiamo dicendo che, rebus sic stantibus, non sarebbe fuori dal regno probabilità se il prossimo conclave, riempito di cardinali creati dal Bergoglio (pensate: monsignor Fernandez è il preferito, quindi il migliore fra di essi?), eleggesse papa proprio padre Pizzarro.

 

Ciò detto, ricordiamo ai lettori di controllare sempre la categoria dell’articolo, in alto a sinistra, sopra foto e titolo: qui era, scritto evidenziato «Satira», parola che avevamo anche inserito nel testo, pensando che quelli che non conoscevano il personaggio fossero pochi, e ancora più nell’intimo, sperando che la percezione dei sacerdoti attuali non fosse arrivata a scambiare una caricatura per prete autentico.

 

Ci sbagliavano, e molto, e chiediamo perdono ai lettori.

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Arte

Comico americano va avanti con le battute contro la follia transgender

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Il nuovo spettacolo del comico americano Dave Chappelle The Dreamer mette alla berlina il transgenderismo raccontando un aneddoto della vita dello stand-up comedian.   Chappelle, comico nero di fede musulmana definito da molti il miglior comico vivente, negli scorsi anni ha avuto tremendi problemi a causa di sue battute sui transessuali. The Closer il suo speciale su Netflix del 2021 ha attirato critiche al vetriolo e richieste da parte di cancellazione da parte dei goscisti, con proteste organizzate perfino da parte degli stessi lavoratori di Netflix. In seguito, ad un evento pubblico a Los Angeles, Chappelle era stato addirittura attaccato fisicamente sul palco.   Nel nuovo spettacolo il comico torna brevemente sull’argomento con leggiadra, mirabile maestria.   In una clip diventata virale sui social media, lo Chappelle racconta di quando il compianto collega Norm McDonald (e tutto il segmento pare come un omaggio al suo stile) lo ha portato a conoscere Jim Carrey, un comico il cui talento, dice Chappelle, non è replicabile: «Norm sapeva che io ero il più grande fan di Jim Carrey al mondo… Jim Carrey è dotato di un talento che non puoi praticare, non puoi esercitartici… che talento donato da Dio, ero affascinato da lui, e Norm lo sapeva».  

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McDonald, che stava lavorando ad una pellicola con Carrey, organizzò quindi l’incontro. Al momento dell’incontro Carrey era sul set del film Man on the Moon (1999), un film biografico sul comedian Andy Kaufman.   Carrey aveva approcciato la produzione praticando quello che si chiama method acting, una tecnica attoriale che prevede l’immedesimazione totale nel personaggio recitato, al punto che, anche fuori scena, si deve parlare, pensare, agire sempre immedesimati nella storia. In quell’occasione, ricorda lo Chappelle, il Carrey voleva che tutti lo chiamassero «Andy».   «Jim Carrey era così immerso in quel ruolo che dal momento in cui si svegliava al momento in cui andava a letto lui viveva la sua vita come Andy Kaufman… quando dicevano “cut” [cioè in italiano “stop”, il comando del regista o del suo aiuto per far fermare le cineprese alla fine di un’inquadratura, ndr] quel nigga era ancora Andy Kaufman».   «Nigga» è un termine che significa letteralmente «negro», una parola che parrebbe proibito usare (è un tabù, la chiamano «N word», «parola con la N»), ma a Chappelle, come a molti altri afroamericani, pare invece sia consentito usare. Il vocabolo sembra poter essere utilizzata dal gergo dei neri americani come sinonimo di «persona»; il fenomeno non lo rende dissimile dal termine delle lingue Bantu muntu, che parimenti può significare persona (se nera: se bianca invece si tratta di muzungu) e parimenti viene considerato estremamente offensivo e razzista se pronunciata da un bianco. Ma stiamo divagando.   Chappelle, riferendosi a Carrey, racconta che «tutti nella troupe lo chiamavano Andy». «Quando sono entrato nella stanza dove dovevo incontrarlo ho urlato “Jim Carrey!” e tutti hanno detto “Noooo!”, chiamalo Andy».   «Quando è arrivato ha cominciato a comportarsi in modo strano… e io… pronto? Andy?» racconta ancora stranito il comico nero.   «Ora, con il senno di poi, quanto fottutamente fortunato sono stato a vedere uno dei più grandi artisti del mio tempo immerso in uno dei processi più sfidanti di tutta la sua carriera? Sono davvero fortunato ad aver visto questa cosa».   «Tuttavia mentre ciò stava succedendo… io sono rimasto molto deluso. Perché volevo incontrare Jim Carrey e ho dovuto fingere che questo nigga fosse Andy Kaufman per tutto il pomeriggio. Era chiaramente Jim Carrey. Potevo guardarlo e vedere chiaramente che era Jim Carrey», dice Chappelle.   Quindi, la battuta finale, «dico tutto questo per dire… è così che mi fanno sentire le persone trans».

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«Se voi ragazzi siete venuti qui stasera allo spettacolo pensando che avrei preso di nuovo in giro quelle persone, siete venuti allo spettacolo sbagliato» dice il comico riferendosi ai transgender. «Non sto più scherzando con quelle persone. Non ne valeva la pena. Non dico un cazzo su di loro. Forse tre o quattro volte stasera, ma questo è tutto. Sono stanco di parlare di loro. E vuoi sapere perché sono stanco di parlarne? Perché queste persone si comportavano come se avessi bisogno che fossero divertenti. Beh, è ​​ridicolo. Non ho bisogno di voi. Ho una prospettiva completamente nuova in arrivo. Ragazzi, non ve lo aspettate. Non farò più battute sui trans».   «Ad essere onesto con voi, ho cercato di riparare il mio rapporto con la comunità transgender perché non voglio che pensino che non mi piacciono. Sai come l’ho riparato? Ho scritto un’opera teatrale. L’ho fatto. Perché so che i gay adorano le commedie. È un’opera molto triste, ma è commovente. Parla di una donna transgender nera il cui pronome è, purtroppo, “negro”. È strappalacrime. Alla fine dello spettacolo muore di solitudine perché i progressisti bianchi non sanno come parlarle. È triste».   Annunciando di averne avuto abbastanza dei problemi con i trans («non ne vale la pena»), lo Chappelle dichiara di voler prendersela da ora con i portatori di handicap.   «Sapete cosa farò stasera? Stasera farò tutte le battute sugli handicap. Beh, non sono organizzati come i gay, e adoro colpire in basso».   Il particolare, il comico ha fatto battute su un ex deputato americano in sedia a rotelle, Madison Cawthorn, scherzando sul fatto che, non venendo rieletto, «ha perso la sedia». Il giovane Cawthorn ha dichiarato ai media di aver trovato divertenti le battute di Chappelle, che è il suo comico preferito.   Come riportato da Renovatio 21, l’esclusione di Cawthorn dalla politica è arrivata dopo che questi aveva iniziato a parlare di festini orgiastici a base di droga e sesso a cui partecipano i politici di Washington. Cawthorn aveva inoltre definito il presidente ucraino Zelens’kyj come un gangster.

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