Connettiti con Renovato 21

Geopolitica

Orban sostiene le proposte di pace cinesi: «questa guerra è il male per il mondo intero»

Pubblicato

il

Il governo ungherese sostiene il piano di pace di Pechino per il conflitto in corso in Ucraina, ha dichiarato il primo ministro Viktor Orban al Parlamento magiaro il 27 febbraio.

 

«Pertanto consideriamo importante anche il piano di pace della Cina e lo sosteniamo. Nel primo anniversario dello scoppio della guerra, l’Ungheria dovrebbe chiarire che non cambierà la posizione che ha tenuto fino ad ora», ha detto ai parlamentari.

 

Nel suo discorso, che è pubblicato sul suo sito ufficiale, Orbán ha dichiarato che «questa guerra… è un male per gli ucraini, è un male per i russi, è un male per gli ungheresi, è un male per l’Europa, e sta diventando chiaro che fa male al mondo intero».

 

Il primo ministro ungherese ha proseguito sottolineando che «il governo ungherese osserva con grave preoccupazione mentre, passo dopo passo, l’intera Europa sta scivolando verso la guerra. I Paesi europei stanno già inviando carri armati, i caccia sono già all’ordine del giorno e, se continua così, ci sarà chi vorrà inviare truppe in Ucraina. Lo scorso aprile gli ungheresi hanno deciso che l’Ungheria dovesse rimanere fuori dalla guerra, e lo hanno confermato nella consultazione nazionale alla fine dello scorso anno».

 

Orban ha quindi sottolineato che il suo governo insiste per risolvere il conflitto ucraino con mezzi pacifici e ha invitato i legislatori ad approvare una risoluzione in tal senso.

 

«I combattimenti possono essere fermati solo da un cessate il fuoco. Pertanto è necessario un cessate il fuoco e devono iniziare i negoziati di pace. In ogni foro internazionale l’Ungheria chiede la pace, e vedo che anche la maggioranza, la grande maggioranza, del mondo è favorevole alla pace (…) È necessaria anche una chiara risoluzione del Parlamento, perché l’Ungheria è sottoposta ogni giorno a un’enorme pressione».

 

«Tutti possono vedere che vogliono spingerci nella guerra. Vogliono che ci uniamo ai paesi a favore della guerra» ha detto il premier di Budapest, ribadendo di essere ancora contrario alle sanzioni anti-russe dell’Unione Europea, soprattutto nel settore energetico.

 

Orban ha inoltre ricordato che le restrizioni sulle forniture di carburante avevano provocato un drammatico aumento dei prezzi e la spesa dell’Ungheria per le fonti energetiche era aumentata di 10 miliardi di euro nel 2022.  «Bruxelles ha prelevato questi soldi dalle tasche degli ungheresi con l’uso delle sanzioni», ha dichiarato, vantandosi che nella «consultazione nazionale» il 97% degli ungheresi ha espresso la propria opposizione alle sanzioni dell’UE contro la Russia.

 

Orbán ha anche preso di mira il sabotaggio dell’oleodotto Nord Stream: «l’esplosione del Nord Stream… è stato un semplice atto di terrorismo», ha detto e poi ha sollevato il pericolo che un simile atto di sabotaggio possa verificarsi contro l’oleodotto TurkStream, che porta il gas russo attraverso il Mar Nero e la Turchia e da lì in Europa.

 

In questa prospettiva di attacco ulteriore anche al gasdotto Turk Stream, che già – come discusso da Renovatio 21 – sarebbe nelle menti di americani e ucraini, Orban ha fatto capire di avere un piano assieme alla Serbia del presidente Aleksandr Vucic.

 

«Quello che dobbiamo capire è che se l’hanno fatto nel Nord, solo per impedire che il gas proveniente dalla Russia arrivasse in Europa, se hanno fatto saltare in aria il gasdotto del nord per farlo, allora possono farlo nel sud» ha dichiarato Orban.

 

Tuttavia, ha proseguito il popolare primo ministro, «insieme alla Serbia abbiamo chiarito che se ciò dovesse accadere (…) non sarebbe così facile fare un insabbiamento, come si sta facendo ora in relazione all’esplosione del Gasdotto Nord Stream».

 

Come nota EIRN, il riferimento è al silenzio assordante dalla Germania, dove terminavano i gasdotti sottomarini Nord Stream dalla Russia.

 

Come riportato da Renovatio 21, Orban in questo ultimo anno è stata praticamente l’unica voce in Europa a parlare chiaramente di una UE avviata verso un «economia di guerra», sottolineando che le sanzioni non faranno altro che uccidere l’economia del continente.

 

Per questo Orban ha silurato vari pacchetti di sanzioni UE contro Mosca, ricevendone in cambio reazioni che, come raccontato su Renovatio 21,  hanno lasciato le autostrade dell’Ungheria in scarsità di diesel. Pochi mesi fa l’Ungheria risultava come unico Paese UE a ricevere ancora il gas russo.

 

L’Europa ancora prima della guerra aveva nel mirino Budapest, inventandosi una questione di «Stato di diritto» con la quale ricattare il governo Orban, con ritorsioni per le politiche ungheresi a favore delle famiglie – ad esempio, i recenti 11,5 miliardi di euro congelati da Bruxelles.

 

L’Ungheria quattro settimane fa ha dichiarato, con l’Austria, che non invierà armi in Ucraina. Gli ungheresi sono parzialmente coinvolti nel conflitto visto che la popolazione della regione di confine ucraina della Transcarpazia è a maggioranza di etnia magiara.

 

 

 

 

 

Immagine dal sito ufficiale miniszterelnok.hu

 

 

 

Continua a leggere

Geopolitica

L’opposizione dice che il presidente della Moldavia è «controllato dall’estero»

Pubblicato

il

Da

Il leader dell’opposizione della Moldavia ha accusato il capo dello Stato, Maia Sandu, di essere diretto da potenze esterne che cercano di portare il Paese nella NATO.

 

Igor Dodon, ex presidente, ha avvertito venerdì in un live streaming sui social media che il presidente Sandu e il partito al governo Azione e Solidarietà «faranno di tutto nel prossimo futuro – in un anno e mezzo – affinché la Moldavia cambi la Costituzione e abbandonare il suo status neutrale».

 

«Sandu ha il compito di coloro che la controllano dall’estero, di rendere la Moldavia parte della NATO», ha affermato.

 

Portare la Moldavia, repubblica post-sovietica e vicina all’Ucraina, nel blocco militare guidato dagli Stati Uniti equivarrebbe a «coinvolgere il Paese nel conflitto», ha avvertito il leader dell’opposizione. «Smettila di legarci alla NATO», ha esortato, rivolgendosi a Sandu.

 

Da quando Sandu ha sostituito Dodon come presidente nel 2020, la Moldavia ha intrapreso un percorso sempre più filo-occidentale, riporta RT. Chisinau ha pienamente sostenuto Kiev nel conflitto con Mosca.

 

L’anno scorso alla Moldavia, nazione da 2,6 milioni di abitanti è stato concesso lo status di candidato all’UE, insieme all’Ucraina.

Sostieni Renovatio 21

Recenti rivelazioni di Bloomberg, che cita come fonti alti funzionari di Bruxelles, fanno capire che la rosa dei nuovi candidati, in cui è infilata Kiev, è da leggersi anche come un modo per salvare le apparenze riguardo alle accuse di favorire il regime Zelens’kyj

 

In un’intervista con Politico a gennaio, la Sandu aveva  detto che c’è stata «una discussione seria» in Moldavia «sulla nostra capacità di difenderci, se possiamo farlo da soli, o se dovremmo far parte di un’alleanza più ampia». Tuttavia, se il Paese deciderà di rinunciare alla propria neutralità, ciò avverrà «attraverso un processo democratico», ha promesso.

 

Nella dichiarazione della NATO dopo il vertice di Vilnius di luglio, il blocco atlantico ha affermato di essere «impegnato a sostenere la Moldavia mentre avanza nella sua integrazione europea». L’alleanza ha sottolineato che rispetta la neutralità del Paese, ma ha Promesso di continuare a fornire assistenza a Chisinau attraverso il pacchetto di sviluppo delle capacità di difesa.

 

La NATO ha anche invitato Mosca a ritirare le forze di pace russe dalla regione separatista della Transnistria, dove monitorano il cessate il fuoco tra la Moldavia e le forze locali dal 1992.

 

Il ministero degli Esteri russo ha affermato che le forze di pace hanno dimostrato la loro «rilevanza ed efficacia» nel corso degli anni, e che la loro presenza nell’area è fondamentale per raggiungere una soluzione politica tra Chisinau e Tiraspol.

 

Sotto la guida della Sandu, il governo moldavo è diventato sempre più critico nei confronti della Russia e ha represso i sentimenti filo-russi all’interno del Paese, bandendo di recente il partito Sor, che le autorità hanno accusato di essere uno strumento degli «oligarchi».

 

Come riportato da Renovatio 21, la Sandu ha accusato Mosca di complottare per rovesciare il suo governo e destabilizzare la situazione in Moldavia. Mosca ha respinto con veemenza tali affermazioni.

 

Vari canali TV sono stati bloccati in Moldavia, russi o considerati «filorussi».

 

In Agosto la Moldavia aveva vietato l’ingresso nel Paese al noto musicista balcanico Goran Bregovic, ritenuto filorusso.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21



Immagine di  NATO North Atlantic Treaty Organization via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic (CC BY-NC-ND 2.0)

 

 

Continua a leggere

Geopolitica

Nuove tensioni anche tra Kirghizistan e Tagikistan

Pubblicato

il

Da

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.   Come in un effetto domino delle rivendicazioni russe sulla Crimea, oltre al Nagorno Karabach anche in altri luoghi rimasti in sospeso dai tempi del regime sovietico si riaccendono le divergenze sulle frontiere. La minaccia del Kirghizistan al Tagikistan: «se non rinuncerete alle vostre pretese riveleremo documenti scottanti appena ritrovati».   Sullo sfondo della guerra senza fine tra Russia e Ucraina, e del nuovo capitolo dello scontro tra azeri e armeni sul Nagorno Karabakh, anche il Kirghizistan e il Tagikistan rilanciano le proprie divergenze sulle questioni di frontiera, un altro problema aperto rimasto dalla fase post-imperiale sovietica.   In questo caso, l’occasione è data dalle dichiarazioni del presidente dei servizi di sicurezza del GKNB di Biškek, Kamčybek Tašiev, secondo il quale se il Tagikistan non rinuncerà alle proprie pretese, i kirghisi potrebbero avvalersi di documenti scottanti appena ritrovati.   Rispondendo alle domande dei giornalisti, Tašiev ha detto che le autorità di Biškek hanno trovato dei testi che riguardano proprio la tanto contesa questione delle frontiere, sulla base dei quali si può dimostrare che molte terre kirghise sono state assegnate in maniera irregolare al Paese confinante. Secondo le sue parole, «il nostro vicino continua ad avanzare pretese territoriali nei confronti del Kirghizistan, ma noi sappiamo che non ne ha diritto… nei documenti appare chiaro che molti nostri terreni sono stati assegnati illegalmente al Tagikistan, e lo possiamo dimostrare».   Se Dušanbe non rinuncerà alle proprie pretese, continua Tašiev, «noi dimostreremo le nostre ragioni a livello storico e giuridico, e potremo far presente le nostre aspirazioni, che non si potranno confutare». Il rappresentante speciale del governo kirghiso per le questioni di delimitazione e ridefinizione delle frontiere, Nazyrbek Borubaev, ha confermato le parole di Tašiev, ribadendo che i documenti di cui si parla sono codificati negli archivi di Stato. Non si capisce, in realtà, di quali territori si stia effettivamente parlando.   Le autorità di Dušanbe hanno inizialmente snobbato le dichiarazioni di Tašiev, e in passato i tagichi hanno a loro volta accusato i vicini di aver messo le mani sulle proprie terre. Un anno fa, il vice-capo del ministero degli esteri del Tagikistan, Sodik Imomi, aveva voluto tenere una presentazione davanti agli ambasciatori occidentali a Dušanbe, per dimostrare invece che la città di Vorukh non era mai stata «un’enclave kirghisa», e tutte le strade che la raggiungono sono sotto il controllo dei tagiki, che la considerano «un proprio territorio».   La frontiera del Tagikistan con il Kirghizistan si estende per 972 chilometri, e le diatribe per la sua demarcazione vanno avanti dal 2002. Finora gli accordi fra le due repubbliche hanno raggiunto 664 chilometri, ma ne rimangono da definire ancora più di 300, e gli scontri tra soldati e popolazioni locali non sembrano arrivare alla fine, con tanto di vittime.   Il ministero degli esteri di Dušanbe ha comunque convocato l’ambasciatore kirghiso, Erlan Abdyldaev, dopo le dichiarazioni di Tašiev, rilasciando un comunicato per cui «dopo lo scambio di opinioni, si è fatto presente che tali dichiarazioni possono arrecare un danno ingente al processo di trattative per la definizione delle frontiere, e in generale alla fiducia reciproca». Tašiev sovrintende anche alla commissione per la demarcazione dei confini, e insiste nel proclamare che «noi abbiamo le forze e le possibilità per far valere le nostre ragioni».   Il rappresentante speciale governativo kirghiso Nazyrbek Borubaev ha confermato il ritrovamento dei documenti sbandierati da Tašiev, ma anch’egli non ha voluto precisare di quali effettivamente si tratti, per «non creare ulteriori ostacoli nel periodo delle trattative ufficiali».   Finora era sempre stato il Tagikistan a rivendicare terre proprie occupate dai kirghisi, che oggi cercano di capovolgere le accuse a proprio favore. (…)  

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne. Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
Immagine di Ninara via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)    
Continua a leggere

Geopolitica

Esclusione dai social e rieducazione alla democrazia» per i sostenitori di Bolsonaro

Pubblicato

il

Da

I supporter dell’ex presidente brasiliano Jair Messias Bolsonaro arrestati durante le manifestazioni a Brasilia l’8 gennaio scorso dovranno partecipare a programmi educativi sulla democrazia e saranno soggetti a restrizioni sull’uso dei social media.

 

Questa decisione è stata annunciata dalla Procura Generale del Brasile (PGR), che ha confermato di aver accettato i primi accordi con le persone imputate di «incitamento al colpo di Stato» per il loro coinvolgimento nella grande protesta di inizio gennaio, che ha costituito il culmine di mesi di manifestazioni in cui una grande parte della popolazione mostrava i suoi dubbi sulla validità delle elezioni.

 

Sarebbero dieci gli imputati che, secondo quanto riferito dalla PGR, avrebbero confessato di aver commesso il reato di «incitamento al colpo di Stato» impegnandosi a soddisfare determinate condizioni, tra cui il pagamento di una multa e la prestazione di servizi alla comunità, in modo da ottenere una sospensione della pena.

 

Tra le condizioni imposte per l’accesso a questo accordo c’è anche l’obbligo di frequentare un corso sulla democrazia, così come il divieto di avere account sui social media.

 

Secondo la PGR, su un totale di 1.125 persone denunciate per reati con condanne previste inferiori ai 4 anni di reclusione, 301 hanno mostrato interesse a partecipare a questo tipo di patteggiamento offerto.

Sostieni Renovatio 21

In pratica, si tratta di censura seguita a un piano di vera e propria rieducazione della dissidenza: uno stile «sovietico» che ci si immaginava nella Repubblica Popolare Cinese, ma che è oramai distribuito in tutto il mondo delle cosiddette «democrazie liberali», che di «democratico» e «liberale» non hanno chiaramente più nulla.

 

Nonostante la repressione orwelliana con rieducazione e condanna per lo psicoreato, moltissimi continuano a ritenere che le elezioni siano state rubate. Proteste quotidiane sono andate avantiavanti per mesi con numeri massivi, giungendo al culmine con l’occupazione pacifica dei palazzi del potere di Brasilia da parte dei supporter di Bolsonaro. La repressione si è abbattuta pesantissima: già un mese prima, ad ogni modo, la polizia del nuovo governo Lula sparava sui sostenitori del precedente presidente.

 

Come era accaduto in Canada con i camionisti, anche in Brasile si cominciò a congelare i conti bancari di chi protestava – una grande anticipazione di ciò che succederà ovunque.

 

L’attuale presidente Lula, che era già stato presidente dal 2003 al 2010, ha avvicinato il Brasile alla Cina e alla sinistra globale durante il suo breve periodo in carica. L’ex carcerato si è quindi impegnato a combattere la diffusione delle cosiddette «fake news» sui social media – cioè di praticare la censura su chiunque non segua la linea del governo –, ha promosso i vaccini COVID-19 in maniera grottesca e ha perseguito politiche «verdi» radicali. Prima di candidarsi alla carica nel 2020, stava scontando una pesante pena detentiva per riciclaggio di denaro nell’ambito della megaoperazione anticorruzione «Lava Jato», condanna poi revocata da un tribunale elettorale che gli ha permesso così di correre contro Bolsonaro.

 

Come riportato da Renovatio 21, un anno prima delle elezioni vi fu l’irrituale visita in Brasile del capo della CIA William Burns, che avvertì Bolsonaro di non contestare il risultato delle elezioni che si sarebbero tenute l’anno successivo.

Aiuta Renovatio 21

Tre mesi fa i giudici del tribunale elettorale brasiliano hanno escluso Bolsonaro dalla candidatura a cariche pubbliche fino al 2030.

 

I giudici stanno perseguendo Bolsonaro anche per un caso di gioielli ricevuti dai sauditi e poi rivenduti.

 

Due giornali brasiliani questa settimana hanno accusato l’ex presidente di aver consultato alcuni capi dell’esercito per attuare un golpe.

 

L’ex presidente la settimana scorsa è stato dimesso dall’ospedale Vila Nova Star di San Paolo dovera stato operato martedì per trattare le conseguenze dell’accoltellamento subito durante la campagna elettorale del 2018. La sua guarigione e il suo stato di salute sono stati oggetto di molta attenzione e discussione nel paese e all’Estero.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21



 Immagine di Prefeitura de Macapá via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NoDerivs 2.0 Generic (CC BY-ND 2.0)

 

 

Continua a leggere

Più popolari