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Pedofilia

L’ONU cerca di depenalizzare il sesso con i minorenni

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Due organismi delle Nazioni Unite hanno pubblicato un rapporto che delinea un’agenda per depenalizzare tutte le attività sessuali «consensuali», anche tra adulti e minori. Lo riporta l’emittente statunitense Fox News.

 

Secondo quanto dichiarato dalla testata americana, «esperti legali internazionali» che lavorano per la Commissione Internazionale dei Giuristi (ICJ) con sede a Ginevra, insieme a UNAIDS e all’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR), hanno formulato i suggerimenti in un recente rapporto intitolato «I principi dell’8 marzo per un approccio al diritto penale basato sui diritti umani che vieta la condotta associata a sesso, riproduzione, uso di droghe, HIV, senzatetto e povertà».

 

«Il processo di elaborazione… ha incluso giuristi esperti, accademici, operatori legali, difensori dei diritti umani e varie organizzazioni della società civile che lavorano in diverse tradizioni legali» ha detto a Fox News portavoce degli organismi che hanno prodotto il rapporto, che esso è stato «sviluppato nel corso di un processo consultivo di cinque anni.

 

Il rapporto chiede la depenalizzazione dei reati relativi a «sesso, uso di droghe, HIV, salute sessuale e riproduttiva, senzatetto e povertà».

 

Il documento non offre un’età suggerita per il consenso sessuale, ma afferma che «la condotta sessuale che coinvolge persone al di sotto dell’età minima prescritta a livello nazionale per il consenso al sesso può essere consensuale di fatto, se non per legge».

 

Il rapporto suggerisce inoltre che avvocati, giudici e forze dell’ordine dovrebbero tenere conto «dei diritti e della capacità delle persone di età inferiore ai 18 anni di prendere decisioni in merito all’impegno in una condotta sessuale consensuale e del loro diritto di essere ascoltati nelle questioni che li riguardano».

 

 

«In virtù delle loro capacità in evoluzione e della loro progressiva autonomia, le persone di età inferiore ai 18 anni dovrebbero partecipare alle decisioni che le riguardano, tenendo conto della loro età, maturità e interesse superiore, e con un’attenzione specifica alle garanzie di non discriminazione», afferma il documento onusiano.

 

Il rapporto è stato pubblicato in occasione della Giornata internazionale della donna. Tuttavia, sia pur esprimendosi in termini di «diritti umani» e «diritti trans», il rapporto delinea una strategia che renderebbe effettivamente legale la pedofilia.

 

Su Twitter la reazione è stata dura, con utenti che scrivono che «l’ONU è piena di pedofili».

 

 

Infilato nel documento, ovviamente, c’è anche l’aborto, che «deve essere tolto completamente dall’ambito del diritto penale». Viene chiesto inoltre di rendere le punizioni meno dure per le donne incinte che consumano droghe o alcol quando sanno di essere aspettare un bambino.

 

In passato, scandali a carattere pedofilo avevano coinvolto ambienti ONU.

 

Ci fu anni fa il caso di Peter Newell, un ex consulente UNICEF attivista dei diritti dei bambini è stato condannato a più di sei anni di reclusione per aver abusato sessualmente di un dodicenne negli anni Sessanta. Newell era noto come uno degli autori del Manuale di attuazione dell’UNICEF per la Convenzione sui Diritti del Bambino che, tra le altre cose, esortava i genitori a non sculacciare i figli. Il sito web dell’Ufficio dell’Alta Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite in un post del 2013 identifica Newell come «il Coordinatore dell’Iniziativa Globale per porre fine a tutte le punizioni corporali dei bambini».

 

Nel 2017 le forze di pace ONU avevano messo in piedi ad Haiti un traffico pedofilo di bambini nemmeno adolescenti, pagati per le loro cui prestazioni in centesimi di dollaro o in biscotti. Il reportage dell’Associated Press scriveva che questo di «network pedofilo ONU», nonostante le vittime, non fu arrestato nessuno.

 

Nel 2018 Andrew MacLeod, ex capo delle operazioni del Centro di Coordinamento delle emergenze delle Nazioni Unite, in un’intervista data al tabloid britannico Sun dichiara che gli operatori delle Nazioni Unite negli ultimi dieci anni hanno violentato 60.000 persone, abusando della propria posizione verso le persone vulnerabili che in teoria avrebbero dovuto proteggere.

 

McLeod sostenne altresì che 3.300 pedofili lavorano per le agenzie delle Nazioni Unite. «I reati di stupro minorile vengono inavvertitamente finanziati in parte dai contribuenti del Regno Unito», disse l’ex alto funzionario ONU al quotidiano britannico.

 

«Ci sono decine di migliaia di operatori umanitari in tutto il mondo con tendenze pedofile, ma se indossi una maglietta dell’UNICEF nessuno ti chiederà cosa stai facendo (…) Hai l’impunità di fare tutto ciò che vuoi». Questo problema, disse McLeod, è «endemico nel settore degli aiuti di tutto il mondo».

 

Di pedofili ONU si parlava in un vecchio romanzo di Marc Saudade, Bersagli mobili (1984). Marc Saudade sarebbe lo pseudonimo dell’ex senatore PD, giornalista direttore dell’Unità nonché funzionario del gruppo FIAT Furio Colombo. Era un romanzo, scriveva un vecchio articolo de Il Giornale, «con sesso, sadismo e un pizzico di pedofilia». 

 

«Bersagli mobili – spiegava sempre l’articolo de Il Giornale – parlava di funzionari ONU coinvolti in traffici di bambini laotiani e cambogiani. C’erano frasi tipo: “Da queste parti, una bambina pelle e ossa è considerata un’ottima merce”».

 

Come riportato da Renovatio 21, è recente l’esternazione del ministro spagnolo per l’uguaglianza Irene Montero che ha affermato che i bambini «possono amare o avere rapporti sessuali con chi vogliono».

 

«I bambini hanno il diritto di sapere che possono amare o avere rapporti sessuali con chi vogliono, purché basati sul consenso» ha detto il ministro durante una riunione della Commissione per l’uguaglianza del Congresso dei deputati al Parlamento spagnolo. «Questi sono diritti che devono essere riconosciuti».

 

Lo scorso giugno era emerso il caso di un «professore di etica» norvegese secondo cui la pedofilia dovrebbe essere classificata come una «sessualità innata» e che informazioni sulla pedofilia dovrebbero essere insegnate nelle scuole. La parola usata qui «destigmatizzazione».

 

A inizio anno invece un professore universitario americano aveva asserito che sarebbe un «errore» pensare che la pedofilia sia sbagliata.

 

Sempre a giugno 2022 la testata americana USA Today ha cancellato frettolosamente una serie di tweet dopo che alcuni utenti si erano scandalizzati e avevano cominciato a sostenere che equivalevano alla «normalizzazione della pedofilia». Il giornale, nominando con sicumera «la scienza», affermava che la pedofilia era «determinata nel grembo materno». Dell’anno scorso invece la notizia che i giornalisti australiani non possono più usare la parola pedofilia.

 

Nel 2018, una conferenza TED Talk in Germania, tolta dalla rete e spesso ricaricata da alcuni utenti, destò scandalo perché la speaker sosteneva che la pedofilia non era una scelta, ma un tratto immutabile della persona. E abbiamo trovato singolare come a Dublino due anni fa una protesta contro la pedofilia abbia subito l’irruzione di un gruppo Antifa.

 

Più inquietante ancora il racconto di una madre, di cui si è dato conto su Renovatio 21, su un incontro con uno sconosciuto che osservava il di lei figlio al campo sportivo.

 

Vi è, in questo crescendo orrendo, una sigla che comincia ad emergere: MAP, «minor attracted person», cioè persona attratti da minori.

 

Sappiamo come il cambiamento del linguaggio sia il primo segno di un passaggio di fase nella Finestra di Overton.

 

Negare che stiano spingendo la pedofilia verso un percorso di oscena accettazione sociale è oramai ridicolo. Come scrive Elisabetta Frezza nel libro Malascuola, «una miriade di dati oggettivi e documentali sta a dimostrare come la pedofilia sia ormai lanciata sulla strada della normalizzazione attraverso le fasi della finestra di Overton, per diventare nella percezione diffusa una mera forma del comportamento sessuale».

 

La Finestra di Overton sulla pedofilia sembra essere spalancata da tempo.

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Pedofilia

«Sono un pedofilo, non un molestatore»: la normalizzazione degli orchi continua in TV

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La TV britannica Channel 4 ha intervistato un pedofilo mascherato, un segmento televisivo che ha lasciato molti a pensare che si tratti di un nuovo capitolo di destigmatizzazione dell’orrenda devianza.

 

L’emittente Channel 4 la scorsa settimana ha mandato in onda un’intervista con un sedicente «pedofilo virtuoso» che si fa chiamare «Mouse» («Topo»), presumibilmente a causa della inquietante maschera da topo che indossava per nascondere la sua identità durante la trasmissione.

 

Viene spiegato che Mouse sarebbe un confesso «pedofilo virtuoso», espressione da bispensiero orwelliano che vorrebbe indicare un’attrazione sessuale per i bambini fermata dalla la decisione consapevole di non agire in base alla pulsione e quindi abusare di un bambino. «Qui deve affrontare alcune domande molto difficili da parte del pubblico», afferma Channel 4 nella descrizione del video pubblicato su YouTube, che, sorpresa, a differenza che i nostri video o le omelie pasquali di un arcivescovo, qui non censura nulla.

«Sono un pedofilo, ma questo non fa di me un molestatore», dice il Mouse prima di ammettere di essersi offerto volontario per lavori in cui lavorava con i bambini.

 

«Sono felice di accettare il termine “disturbo” come lo sono con quello di “orientamento sessuale”», dichiara il pedofilo mascherato.

 

 

Va detto che gli stessi intervistatori sembrano disturbati dal personaggio, ma il fatto che il grande canale televisivo abbia deciso di fornire una piattaforma a un pedofilo di per sé ci fa capire che siamo in presenza di movimento della Finestra di Overton: non abbiamo davanti un orco, ma un «virtuoso».

 

Non è la prima volta che ci troviamo di un’operazione mediatica di questo genere.

 

La stampa internazionale ha spesso rilanciato l’idea della pedofilia come «disturbo» non necessariamente criminale. Nell’ottobre 2014 il massimo quotidiano del pianeta, il New York Times, pubblicò un articolo intitolato «Pedophilia: A Disorder, Not a Crime» («La pedofilia: un disturbo, non un crimine»). Un eco di questo ragionamento si è avuto anche in Italia con un articolo del 2015 , «Sono un pedofilo, ma non un mostro», che riportava la lettera di un pedofilo americano. La lettera-articolo fu tradotta e pubblicata in Italia dall’Huffington Post.

 

Il processo di normalizzazione filosofica, psichiatrica e perfino «biologica» della pedofilia è oramai pienamente visibile nella società moderna, con, sul piano accademico, «professori di etica» che parlano apertamente di «destigmatizzazione» necessaria per questa «sessualità innata».

 

Come riportato da Renovatio 21, a inizio anno un professore universitario americano aveva asserito che dire sarebbe un «errore» pensare che la pedofilia sia sbagliata.

 

Come scrive Elisabetta Frezza nel libro Malascuola, «una miriade di dati oggettivi e documentali sta a dimostrare come la pedofilia sia ormai lanciata sulla strada della normalizzazione attraverso le fasi della Finestra di Overton, per diventare nella percezione diffusa una mera forma del comportamento sessuale».

 

Sempre poche settimane fa la testata americana USA Today ha cancellato frettolosamente una serie di tweet dopo che alcuni utenti si erano scandalizzati e avevano cominciato a sostenere che equivalevano alla «normalizzazione della pedofilia». Il giornale, nominando con sicumera «la scienza», affermava che la pedofilia era «determinata nel grembo materno».

 

Sul piano mediatico, è degli scorsi anni invece la notizia che i giornalisti australiani non possono più usare la parola pedofilia, mentre alcuni ricordano ancora il clamore per la serie Cuties distribuita su Netflix.

 

Sul piano televisivo, va registrata la presenza di trasmissioni TV in cui adulti si spogliano davanti ai bambini, un fenomeno apparso di recente anche nella variante transessuale.

 

Nel 2018, una conferenza TED Talk in Germania, tolta dalla rete e spesso ricaricata da alcuni utenti, destò scandalo perché la speaker sosteneva che la pedofilia non era una scelta, ma un tratto immutabile della persona. Il video, ricaricato più volte da utenti sconvolti, sembra sia sparito del tutto da YouTube.

 

Sul piano istituzionale, nei mesi scorsi abbiamo visto la storia dei corsi di educazione sessuale OMS per i bambini di 5 anni, la «masturbazione della prima infanzia» e domande sull’identità di genere a bimbi di 4 anni, nonché i documenti ONU relativi alla depenalizzazione del sesso con i minori, un concetto in qualche modo ribadito perfino da un ministro di un Paese europeo.

 

Sul piano dell’attivismo, ci preme ricordare come a Dublino pochi anni fa una protesta contro la pedofilia abbia subito l’irruzione di un gruppo Antifa.

 

Sul piano artistico, abbiamo visto il presidente francese Macron difendere un’opera d’arte esposta in un’importante museo di Parigi anche se accusata da più parti di «promuovere la pedofilia».

 

Sul piano informatico, il Wall Street Journal ha rivelato che i pedofili avevano la possibilità di connettersi con facilità tramite i social network (gli stessi che censurano i contenuti, bannano le vostre pagine, disattivano i vostri account anche solo per una parola sui vaccini o sul lockdown).

 

Più inquietante ancora, sul piano della società che tocca vivere tutti i giorni, il racconto di una madre, di cui si è dato conto su Renovatio 21, su un incontro con uno sconosciuto che osservava il di lei figlio al campo sportivo.

 

«”È un bel ragazzino… esce con qualcuno?” Io pensai che la domanda fosse bizzarra, ma risposi con un solido “No, perché chiedi?” “Perché sono un MAP”, disse lui. “Un cosa?” dissi io. “Un MAP” ripeté lui».

 

«Credo di aver riso e di aver detto “e cosa diavolo è”? Lui semplicemente sorrise ne questo modo strano, quasi compiaciuto e mi disse di “studiare”. Poi si voltò e andò via».

 

La povera madre non lo sapeva: MAP è l’acronimo di Minor attracted person – persone attratte dai minori. In pratica, l’espressione della neolingua orwelliana odierna per descrivere i pedofili.

 

Come da Finestra di Overton: il primo passo, è cambiare le parole, renderle inoffensive, quasi scientifiche.

 

Da anni Renovatio 21 sostiene che, con un’evidenza sempre più schiacciante, qualcosa bolla in pentola.

 

Non è dato sapere chi davvero guidi questo processo. Tuttavia, qualche idea, ultimamente, ce la stiamo facendo.

 

 

 

 

 

Immagine screenshot da YouTube

 

 

 

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Pedofilia

Retata contro rete globale di pedofili dopo l’assassinio di due agenti FBI

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Almeno 98 persone sono state arrestate negli Stati Uniti e in Australia nell’ambito di un’ampia indagine sugli abusi sessuali su minori, secondo i funzionari di entrambi i paesi. L’indagine è stata avviata dopo che due agenti federali statunitensi sono stati uccisi a colpi d’arma da fuoco mentre inseguivano un sospetto nel 2021.

 

L’FBI e la polizia federale australiana (AFP) hanno annunciato gli arresti durante una conferenza stampa congiunta degli scorsi giorni, osservando che 19 persone in Australia e altre 79 negli Stati Uniti sono ora in custodia, tutte accusate di un presunto giro di abusi sui minori che abbraccia più Paesi.

 

Il comandante dell’AFP Helen Schneider ha affermato che i sospetti gestivano una «rete di abusi sui minori online tecnologicamente sofisticata» sul dark web e «utilizzavano software per condividere file in modo anonimo».

 

Si ritiene che alcuni soggetti abbiano commesso reati per più di un decennio. La comandante della polizia degli antipodi ha aggiunto che la maggior parte dei sospetti australiani lavorava in occupazioni che richiedono un «alto grado» di conoscenza delle reti online, con tecniche complesse per eludere il rilevamento.

 

Due degli australiani sono già stati condannati, secondo Schneider, mentre l’addetto legale dell’FBI Nitiana Mann ha detto che ci sono state altre 43 condanne negli Stati Uniti. Almeno 13 bambini sono stati rimossi dal pericolo a seguito dell’indagine.

 

«Questa operazione è stata molto complessa. La complessità e l’anonimato di queste piattaforme significa che nessuna agenzia o paese può combattere queste minacce da solo», ha detto Mann, aggiungendo che l’FBI aveva allertato le autorità di altri paesi sui sospetti all’interno delle loro giurisdizioni, anche se non ne ha menzionato nessuno per nome.

 

Tale network di orchi – considerabile quindi come più profondo e articolato di quelle reti pedofile che, secondo un recente scoop del Wall Street Journal, sarebbero state libere di operare sui social – è stato scoperto per la prima volta dall’FBI nel 2021, dopo che gli agenti speciali Daniel Alfin e Laura Schwartzenberger sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco mentre effettuavano un mandato di perquisizione per il sospetto David Lee Huber in Florida. Altri tre agenti sono rimasti feriti nello scontro a fuoco, dopo di che lo Huber si è tolto la vita.

 

Le prove raccolte in seguito alla sparatoria mortale avrebbero poi indirizzato il Bureau ad una più ampia rete di pedofilia oltre i confini degli Stati Uniti, portando l’FBI l’anno scorso a trasmettere informazioni su potenziali membri australiani all’AFP.

 

Soprannominata «Operazione Bakis», la conseguente indagine congiunta è in corso e la Schneider ha osservato che non dovrebbero essere esclusi futuri arresti.

 

Secondo l’addetto legale FBI, più di 200 contatti internazionali sono stati inviati a paesi terzi durante l’operazione, mentre di conseguenza sono state avviate oltre 300 indagini separate sugli abusi sessuali su minori.

 

La retata avviene mentre si avvia ad essere campione di incassi della stagione il film indipendente Sound of Freedom, che, interpretato dal Gesù di Mel Gibson Jim Caviezel, glorifica esattamente le azioni di agenti federali americani contro network pedofili americani e stranieri.

 

Davanti a questi casi rimane sempre il grande interrogativo del gatekeeping: è possibile che per ogni pedofilo internet che viene preso e sbattuto in prima pagina, ci sia un Epstein che – tra miliardi di dollari e ospiti ai massimi livelli di politica, finanza, accademia, arte – se ne sta tranquillo nella sua isoletta?

 

Come riportato da Renovatio 21, alcuni casi del passato hanno lasciato intravedere un possibile ruolo di un’altra agenzia federale americana, la CIA, nella tratta.

 

Ci chiediamo ancora: sapremo mai se c’era qualche politico compromesso nei VHS sequestrati al mostro di Marcinelle Marc Dutroux?

 

 

 

 

 

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Pedofilia

La CIA, i pedofili, il traffico dei bambini: quale verità?

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Il film indipendente Sound of Freedom ha incassato più di 149 milioni di dollari nei solo USA dalla sua première lo scorso 4 luglio, a fronte di un costo di produzione di «soli» 14,5 milioni di dollari. Una cifra risibile per una produzione americana per un guadagno, in termini di biglietti venduti, gigantesco.

 

Per chi non avesse presente la pellicola di cui tutti parlano, si tratta della storia, che ci viene assicurato essere reale, dell’agente governativo Tim Ballard, interpretato dall’indimenticabile attore della Passione di Mel Gibson Jim Caviezel. Il Ballard nella vita si occupava del più orribile ambito che può toccare alle forze dell’ordine: la lotta contro i pedofili e i trafficanti di bambini. Del personaggio abbiamo parlato su queste pagine di recente: aveva millantato un coinvolgimento diretto di Gibson in un documentario sui bambini da salvare in Ucraina, poi ha ritrattato tutto.

 

Sound of Freedom è stato linciato a scatola chiusa, e pure aperta, dalla stampa mainstream, che è arrivata a livelli di grottesco quasi illegali: c’è stato il caso di un giornalista che ha ferocemente criticato la pellicola che poi si è scoperto lavorare per realtà che sembrano atte a normalizzare la condizione del «MAP», cioè delle «persone attratte dai minori» – espressione della neolingua orwelliana per definire i pedofili e farceli accettare.

 

Altri sono arrivati a stampare articoli in cui si dichiara che il film è tremendo tanto quanto la realtà che descrive: in pratica, tra la pedofilia e il film antipedofilo c’è una pari gravità.

 

Il motivo di questo odio, almeno da ciò che è visibile in superficie, è presto detto: il tema della tratta dei bimbi sul quale è incentrato il film è un caposaldo della narrazione di QAnon, la strana religione oracolare nata attorno al presidente Trump. Secondo i messaggi di Q, criptico ma infallibile oracolo per migliaia di fanatici del biondo presidente, il mondo è governato da una cabala di pedofili, e Donald è qui per spazzarli via, secondo un piano sorprendente che alla fine li arresterà tutti.

 

L’establishment americano odia nel profondo QAnon, e non è escluso che l’intera operazione del 6 gennaio 2021, con torme di agenti infiltrati nella folla dei rivoltosi dall’FBI e da altre agenzie – magari come agents provocateurs – non sia stato un grande tentativo di eliminarne i seguaci, in ispecie nelle forze armate, dove pare avere preso piede.

 

In pratica, il January 6 potrebbe essere stato una grande operazione di deradicalizzazione delle masse e delle forze armate: è la «purga dei patrioti», come l’ha definita Tucker Carlson, con tanto di personaggio-simbolo (suo malgrado), il «QAnon Shaman» Jacob Chansley detto anche Jake Angeli, messo in galera per anni, e uscito solo recentemente grazie a video che mostrano come in realtà la polizia gli abbia aperto le porte del Campidoglio.

 

Quindi, il mainstream si chiude a riccio temendo una risorgenza dei temi di Q, che erano esplosi anche nel 2016 con la storia del Pizzagate – una teoria per cui una pizzeria di Washington era un ritrovo dell’élite americana intenta a cruente gozzoviglie pedofile – e che con difficoltà, in ambo i casi, erano stati messi a nanna.

 

Ecco quindi che la piattaforma video streaming, qualcuno dice, comincia a fare shadow-banning dei materiali video accessori al film – interviste ad attori e produttori, ospitate, recensioni, etc. vengono occultate dall’algoritmo. Altri hanno filmato strani incidenti che avvengono alle sale che proiettano la pellicola: le luci restano accese, tolgono l’audio, chiamano i pompieri, interrompono la proiezione… in vari Stati americani.

 

Jim Caviezel, di fatto emarginato da Hollywood dopo il successo della Passione di Gibson, ci mette del suo: rilascia in video discorsi mistici, con quel suo tono che ti scava dentro (siamo al limite dell’ASMR) e quell’occhio a fanale abbagliante; parla di Dio e della sua vita, della sua morte; quindi va ospite da Steve Bannon e fa dichiarazioni sui barili di adrenocromo (sostanza che, secondo Q e teorie precedenti, la cabala dei potenti estrae dai bambini torturandoli), che se è vero quel che dice sono pure a buon mercato.

 

Infine, è arrivato il bacio della morte: Donald Trump ha organizzato una proiezione a Mar-a-Lago con cast e produttori; al termine ha pubblicato un video in cui promette la pena di morte per i trafficanti di bambini.

 

Qualcuno, tuttavia, comincia a far notare qualche incongruenza. In un suo commento video, il giornalista e studioso Greg Reese nota che il sito della casa di produzione del film, Angel Studios, nel suo sito rimanda in link ad organizzazioni che combattono il traffico di bambini come l’ICMEC e Amber Ready.

 

Il National Center for Missing and Exploited Children, o NCMEC, che è un ente per i bambini che spariscono, nel 1999 è stato internazionalizzato con il nome di ICMEC è lanciato da Hillary Clinton e Tony Blair, con Richard Branson in qualità di sponsor fondatore. l’ICMEC collabora con le forze dell’ordine in oltre centocinquanta territori, tra cui Interpol ed Europol.

 

Un’altra organizzazione, Amber Ready, per la promozione della sua tecnologia basata su cellulari – che crea un database dei bambini – ha fatto una scelta che per alcuni potrebbe risultare difficile da capire: come società di pubbliche relazioni hanno deciso per il gruppo Podesta, i famigerati collezionisti di opere d’arte allucinanti, emerse con forza durante lo scandalo delle e-mail Wikileaks durante la campagna presidenziale 2016, dove John Podesta dirigeva lo sforzo verso la Casa Bianca di Hillary Clinton. Da qui, è facile pensare, è nata poco dopo la storia del Pizzagate, dichiarata ben fresco fake news pure da coloro che l’avevano messa in circolo.

 

«Una volta lanciato questo coordinamento di database per i bambini, il traffico di esseri umani è aumentato» dice amaramente Reese. «In nove anni l’industria del traffico di esseri umani è passata da circa trenta miliardi di dollari l’anno a centocinquanta miliardi di dollari l’anno. Quasi tutta la pornografia infantile viene elaborata e archiviata all’interno di questo quadro su server stranieri in Svezia. Nel 2014 il presidente Obama ha assegnato a John Podesta il compito di gestire questi dati di intelligence raccolti». Non sappiamo in alcun modo verificare queste affermazioni.

 

Tuttavia è facile capire dove vuole andare a parare: il database per i bambini scomparsi potrebbe essere, come dire, dual use. Può essere utilizzato sia da chi vuole salvare i bambini, sia da chi vuole predarli. Il fenomeno era descritto anni fa nel romanzo Piattaforma di Michel Houellebecq, che trattava del turismo sessuale in Tailandia: lo sporcaccione occidentale, diceva un personaggio, per sapere dove andare, doveva recuperare una di quelle guide che i missionari cattolici compilavano sui posti da evitare per non alimentare l’orrore della prostituzione più abietta – invece che evitare i luoghi segnalati, il perverso vi si ficca.

 

Salta fuori poi, un’altra accusa: Ballard, l’ispiratore del film e il capo di questa ONG che vuole salvare i bambini che sta dietro all’operazione cinematografica, avrebbe contatti con Carlos Slim, ultramiliardario americano a lungo in cima alla classifica dei più ricchi del mondo. Mentre in molti fanno speculazioni sulle origini dell’immane ricchezza del personaggio (indovinate le ipotesi), è alla luce del sole il fatto che Slim sia implicato nel sostegno Hillary Clinton (era una accusa di Trump nella campagna 2016) e abbia rapporti materiali con la Fondazione Gates, a cui ha donato 100 milioni per la vaccinazione globale antipolio programmata da Bill Gates.

 

Difficile verificare anche la voce relativa al rapporto stretto tra Tim Ballard e Slim. Il film è prodotto da Eduardo Verastegui, attore delle telenovelas messicane divenuto poi personaggio di pellicole pro-life. Il Verastegui pare avere avuto negli anni vari incontri con la famiglia Slim.

 

Tutto questo passa in secondo piano, se il film è davvero interessante e illuminante come dicono. Lo è?

 

Non ho ancora visto la pellicola, perché rifiuto di guardarmelo in una delle brutte copie pirata – di quelle registrate col telefonino al cinema – che circolano sulle piattaforme video alternative.

 

Ne ho parlato, tuttavia, con l’amico Cristiano, che lo ha veduto, e ha confermato i miei dubbi. Di fatto, del vero network profondo della pedofilia, nel film non si vede nulla. Anzi, c’è qualcosa di più inquietante: al centro del girone infernale dei pedofili e dei loro traffici non c’è una rete di potenti insospettabili e intoccabili, magari inclini a mischiare i loro appetiti aberranti con riti occulti, con i loro ricatti e le loro figure inarrivabili.

 

No, il cattivone finale, come in un videogioco, è proprio uno brutto e cattivo, e pure un po’ sporco, un narcos colombiano, un po’ sgarrupato, che tira di coca nel suo isolotto, anche quello un po’ sgarrupato.

 

Capito? Sull’isola non c’è un resort di lusso sfrenato, con un algido miliardario che conosce chiunque (anche molti nomi italiani, nella sua vecchia agendina telefonica…) e che ospita, tra abbacinanti ninfette massaggiatrici, presidenti USA, premier israeliani, scienziati, accademici, divi di Hollywood, finanzieri supermiliardari, principi del foro… per chi non lo avesse capito, stiamo parlando di Jeffrey Epstein – sì, l’amico di Bill Clinton, l’ex presidente che, con il figlio di Soros, pochi giorni fa è stato ricevuto festosamente da papa Bergoglio.

 

Dovrebbe esservi chiaro: insomma, l’orrore del traffico pedofilo, in Sound of Freedom, non riguarda l’élite, non ha tentacoli che si estendono sotto tutto il potere politico ed economico e finanche religioso – no, è ordita da qualche criminale straniero con la rogna, che sniffa della gran bamba nella sua isola dove, appunto, è isolato.

 

Il mostro è un mostro: e sta lontano dal mondo, soprattutto sta lontano dal potere, dai vertici della società.

 

Abbiamo già visto questo fenomeno: qualche anno fa, pubblicammo un articolo sull’improvvisa fiammata riguardo la pedofilia che si leggeva sui giornali. Le testate mainstream in Italia avevano trovato una chat Whatsapp, con un nome che potrebbe offendere i custodi della memoria dell’Olocausto, dove si scambiavano video rivoltanti, innominabili, illegali – e i cui utenti erano dei ragazzini, forsanche minorenni.

 

Poteva sembrare, più che un covo di pedofili, una chat dove gareggiavano a tirare fuori il materiale più schifoso – una pulsione che certi giovani, oggi, esprimono forse così.

 

La riflessione che facevamo è semplice: quando ci parlano degli adolescenti con il loro messaggini schifosi, oppure dei pedofili in famiglia, o perfino dei preti pedofili (un sempreverde, e a ragione, dopo il Concilio Vaticano II) non ci stanno parlando del grande network di cui sopra, quello con le figure apicali, quello che ogni tanto pare fare capolino in sospetti che riguardano l’alta diplomazia, l’ONU, il mondo del cinema, l’Unione Europea, oppure – abbiamo visto in concreto di recente – l’alta moda.

 

Recentemente, Renovatio 21 ha ricordato il caso del pedofilo assassino Dutroux, che è davvero particolare. Non solo per la sua incredibile scarcerazione e per l’altrettanto incredibile fuga, che è costata le dimissioni del ministro belga (è stato poi riacchiappato), ma anche per le famose centinaia di videocassette che si ritiene il maniaco pedo-omicida abbia stivato, e che nessuno, o quasi nessuno, ha visto – c’è quella deputata fiamminga che, si racconta, ne ha impugnata una in Parlamento, per poi vedersela portar via, e sparire per sempre.

 

Ci spingiamo oltre: Epstein potrebbe essere stato, in qualche modo, sacrificato – ritenuto non più utile. Nel momento in cui, dopo anni, non era più possibile coprire la sua storia (chi scrive ha prodotto il suo primo articolo su Epstein e il principe Andrea nel 2014) è stata liberata la presa sul suo caso, ai media – che prima, per ammissione degli stessi giornalisti, non potevano nominare la storia nonostante la condanna penale nel 2006 – è stato tolto il freno a mano, ai giudici pure, e Epstein, alla fine, è stato eliminato.

 

(Chi mi vuol dire che sì, Epstein si è suicidato «da solo», lo faccia, gli rido in faccia, magari ricordandogli la barzelletta anni Ottanta su Andreotti che si sveglia dopo decenni dal sonno criogenico: parlando col primo barista che trova si rende conto che ora l’Italia pulita e perfettamente funzionante, con i mafiosi che si sono impiccati in massa  carcere, esattamente come fecero i terroristi della Rote Armee Fraktion, le Brigate Rosse tedesche, nel carcere di Stammheim: il barista, infine, chiedeva ad Andreotti, che non riconosceva, di pagare il conto del cappuccino e della brioche: due marchi. Andreotti capiva che mentre era sotto ghiaccio l’Italia era stata annessa alla Germania, nota per quei suicidi di prigionieri un po’ alla Epstein, diremo oggi)

 

E ancora, diciamo qualcosa di controverso: Epstein era sacrificabile perché, almeno a quanto appare ad oggi, non praticava, e faceva praticare, una pedofilia «iniziatica» – che è invece nella teoria dei segreti inconfessabili delle massime élite di cui parlavamo sopra – ma una mera «pedofilia da kompromat» (dal gergo dello spionaggio russo: creazione di materiale compromettente), peraltro nemmeno con paidos, con bambini, ma con ragazzine, talvolta mature, talvolta maggiorenni.

 

C’è, quindi, un ulteriore strato, che il mondo non ha ancora visto? Il film serve a farci stare solo in superficie, a farci guardare dall’altra parte?

 

È stata fatta un’ipotesi del genere sul film di Oliver Stone JFK, il film che più di ogni altro ha cementato l’idea della mano degli stessi servizi americani dietro la morte del presidente. Dietro alla pellicola e al suo successo vi era un produttore israeliano operante a Hollywood, Arnon Milchan. Negli anni, è stato rivelato che costui è, oltre che un uomo della celluloide, una spia atomica israeliana (esattamente come il padre di Ghislaine Maxwell), in pratica un agente segreto dello Stato Ebraico vero e proprio. Alcuni hanno notato che di fatto il film, tra le tante teorie che prende in considerazione, mai dice una parola sulla «pista israeliana»: quella per cui, sostengono certuni, dietro l’omicidio di Kennedy potrebbe esserci il servizio segreto israeliano, che così ha eliminato un presidente che era (come il fratello Robert) fortemente contrario al fatto che Tel Aviv si dotasse di armi nucleari.

 

I film servono da specchietto per le allodole? Questo film ha questo scopo?

 

Tim Ballard, il deus ex machina dell’operazione, è un mormone ispanofono che, dicono i resoconti dei media (ma non la pagina Wikipedia…), avrebbe lavorato per la CIA, anche se «brevemente».

 

La cosa ci porta ad aprire un’altra porticina impegnativa su cui, come per quella di Dutroux, non si avrebbe mai voglia tornare: il caso dei bambini dei Finders.

 

Nel 1987 la polizia di Tallahassee, in Florida, intervenne dopo una telefonata anonima che segnalava, in un parco pubblico, sei bambini malnutriti coperti di punture di insetti e graffi accompagnati da due uomini ben vestiti in un parco pubblico.

 

I due uomini vennero arrestati per abusi su minori e sospetto di traffico di bambini attraverso i confini statali: quindi, quello che in USA si dice un «caso federale», dove vengono coinvolti l’FBI, l’Agenzia delle Dogane, e altri enti ancora.

 

I due uomini arrestati avevano più documenti d’identità falsi e venne compreso che si trattava di membri di un movimento noto come Finders.

 

Un po’ comunità e un po’ setta, i Finders possedevano più proprietà nell’area di Washington. Secondo quanto riferito, l’indagine su queste proprietà ha trovato prove di pedopornografia e fotografie che mostravano l’allucinante scena di tre bambini e tre uomini vestiti di bianco che smembravano due capre. In altre foto erano ritratti rituali con sangue, in altre ancora bimbi in catene.

 

I bambini recuperati, che avevano dai 2 agli 11 anni, descrivevano una vita in un ambiente duro dove un uomo noto come «Game Caller» («Colui che chiama il gioco») era responsabile di tutti, e poteva parlare con gli adulti del gruppo con un computer in un furgone.

 

Uno dei giochi a cui giocavano era rispondere agli annunci sui giornali locali di babysitter, tutor e qualsiasi altra cosa che potesse portarli a casa di una famiglia dove avrebbero raccolto quante più informazioni possibili sulle loro abitudini, identità e occupazione.

 

È stato notato che gli esami medici dei bambini mostravano segni di abuso sessuale e malnutrizione, nonché segni di morsi potenzialmente appartenenti a un essere umano adulto. Ad oggi, tuttavia, i rapporti medici e psicologici completi non sono stati resi disponibili per la visione pubblica.

 

Dopo il ritrovamento dei sei bambini, i Finders furono etichettati dai media, in cerca di scandali e quindi vendite, come una «setta satanica», pubblicando articoli sensazionalistici per un’intera settimana.

 

Poi, d’un tratto, stop: l’indagine fu annullata. Sparirono i titoli ad effetto, gli articoli sui giornali.

 

Venne detto che le madri dei bambini erano membri dei Finder e che i due uomini avevano il pieno consenso dei genitori a portarseli in giro. In un momento inaspettato e grottesco, alcuni giornali arrivarono a incolpare se stessi del proprio sensazionalismo (qualcosa che, poco fa, abbiamo visto anche in Italia, sempre per un caso di bambini…), affermando che l’intera faccenda era sproporzionata e che i Finders erano solo un’innocua comunità hippie in stile anni Sessanta, scrive sempre Greg Reese.

 

Anni dopo alcuni rapporti dell’agente speciale della dogana statunitense Ramon J. Martinez iniziarono a riportare l’attenzione sulla questione. Martinez affermava che vi sarebbero prove che includevano l’intenzione di trafficare di bambini, l’ordinazione di bimbi da Hong Kong attraverso l’ambasciata cinese, istruzioni sul mettere incinte le femmine del gruppo Finder nonché una biblioteca di libri sui temi del controllo mentale e della strategia di guerra terroristica – tutte prove di cui si parlò, ma che poi parvero sparire.

 

L’agente Martinez sosteneva che ogni tentativo di rivedere le prove è stato bloccato. Alla fine, racconta gli fu detto da un membro del dipartimento di polizia metropolitana che i Finder erano finiti sotto la protezione della CIA, che avrebbe rivendicato la giurisdizione ritenendola una «questione interna», ponendo l’intero caso sotto segreto.

 

Il leader dei Finder, il sergente dell’aviazione USA Marion Pettie, si vantava di essersi infiltrato nella CIA, dove è stato detto lavorava sua moglie Isabelle. Il loro figlio avrebbe lavorato per la CIA nella gestione di Air America, i trasporti aerei segreti, che includevano droga, nel Sud-Est asiatico durante la guerra in Vietnam (c’è il film, anche quello con Mel Gibson).

 

I passaporti dei membri dei Finders, scrive Reese, avrebbero mostrato visti di viaggio per luoghi come la Corea del Nord, il Vietnam del Nord e la Russia, tutti approvati dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti.

 

Nel 1993 la vicenda tornò a galla: tale Henry Clements, un privato, aveva ottenuto una copia del rapporto del 1987 in cui si affermava che l’indagine del dipartimento di polizia di Washington sui Finders era stata archiviata come «una questione interna della CIA». vi fu un’ondata di indignazione, al punto che fu riavviata un’indagine. Il Dipartimento di Giustizia USA aveva iniziato a indagare sulle accuse secondo cui la CIA aveva utilizzato una «società di copertura» gestita da una comune per formare i dipendenti dell’agenzia.

 

Tuttavia, l’indagine portò, sorpresa, a un verdetto di nessuna prova di interferenza della CIA e nessuna prova di attività criminale con i Finder. Il portavoce della CIA affermò che le accuse erano un malinteso derivante da una società di nome Future Enterprises Inc. utilizzata per addestrare agenti, dove un membro dei Finder che lavorava come contabile part-time.

 

Nello stesso periodo si verificò lo scandalo del «Caso McMartin» in cui centinaia di genitori di una scuola materna californiana riferirono che i loro figli avevano subito abusi sessuali satanici: è l’inizio del cosiddetto Satanic Panic, momento di isteria collettiva con accuse di satanismo, spesso totalmente strampalate, a maestri e genitori, un fenomeno che abbiamo visto in qualche caso anche in Italia (il caso dei «Diavoli della Bassa», ad esempio, ritornato nei radar qualche anno fa sull’onda di altre vicende emiliane).

 

Tuttavia, per qualche ragione, tra le prove sequestrate dai Finders vi era anche una mappa di questa stessa scuola materna.

 

Bisogna ricordare che in USA, e non solo, vi sono imperi di asili in franchising. KinderCare, la più grande catena di scuole materne in America, era di proprietà di Henry Kravis, il miliardario fondatore del superfondo private equity KKR, che, con mezzo trilione di asset in gestione, può permettersi di assumere ex direttori della CIA come il generale David Petraeus.

 

Un ex funzionario della Clinton Foundation, Joel Getz, era nel board di un’enorme catena di asili in Cina dove diversi genitori si lamentavano del fatto che i loro figli erano stati punti con siringhe, nutriti con pillole non identificate e molestati sessualmente, riportava nel 2017 l’agenzia di Stato cinese Xinhua.

 

Potremmo andare avanti con esempi del genere.

 

Cominciamo a capire meglio. Il pedofilo brutto e sporco, come nei film, c’è. Tuttavia, non è il motore di questo abominio, né, forse, l’utilizzatore finale, dove non c’entra più nemmeno la perversione sessuale, ma l’umiliazione ulteriore del bambino, quindi dell’Imago Dei.

 

Il lettore si rende conto: la realtà è più complessa – ed anche avvincente, va detto – di un film. E più spaventosa.

 

Girarsi dall’altra parte, narcotizzati da film o dall’attivismo organizzato (da chi?) non serve a nulla. Ci rendiamo conto che milioni di euro, milioni di ore uomo sono investiti per farci guardare altrove. E noi ne abbiamo davvero intenzione?

 

Il filosofo sifilitico, a suo modo, teorizzatore dell’era dell’immoralità e quindi della pedofilia, ebbe a dire, in un aforisma notorio: «non combattere con i mostri, se non vuoi diventare un mostro; e se guardi l’abisso, anche l’abisso guarda in te».

 

Ebbene, noi i mostri vogliamo combatterli – e sì, lo vogliamo mostruosamente.

 

Quanto all’abisso, noi vogliamo guardarlo: e che ci guardi pure dentro, noi non abbiamo paura, anzi, è l’abisso che deve avere paura – perché dentro di noi potrebbe trovare la forza di chi difende l’Immagine di Dio.

 

E la sua ira.

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

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