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Igor Kolomojskij, l’oligarca dietro a Zelens’kyj

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Un video risalente a prima dell’elezione di Zelen’skyj alla presidenza ucraina, mostra i legami tra l’attore e il controverso oligarca Igor Kolomohskij.

 

La fonte del video è nientemeno che Radio Free Europe – Radio Liberty, l’emittente del Congresso degli Stati Uniti nata durante la Guerra Fredda per diffondere i valori della democrazia liberale nel mondo comunista. È riportato che la CIA abbia finanziato RFE RL almeno fino al 1972.

 

Il servizio fa emergere il tono con cui, anche dopo l’elezione di Zelensky, si usasse talvolta con l’Ucraina, indicandola come Paese endemicamente corrotto – a differenza di ora, dove è santificato sia il Paese che il suo presidente-comico.

 

 

Il video mostra tantissime cose interessanti.

 

È detto senza mezzi termini il fatto che l’uomo che aveva creato per le sue TV lo Zelens’kyj presidente della serie TV avrebbe poi finanziato la campagna dello Zelens’kyj presidente nella vita reale, fornendo poi guardie del corpo, veicoli di sicurezza, avvocati.

 

Il presidente ucraino Petro Poroshenko, installato al potere dal Dipartimento di Stato US Victoria Nuland, dichiarava pubblicamente che lo Zelens’kyj, allora suo avversario alle elezioni, altro non era che una marionetta di Kolomojskij.

 

Il servizio dà conto del finanziamento da parte di Kolomojskij di gruppi paramilitari (di quelli che talvolta esibiscono una bella svastica: ecco l’origine dell’espressione ucraina «giudeobanderismo»)che, secondo i critici, potevano costituire una sorta di «esercito privato». Sappiamo come ora tali bande siano inquadrate all’interno dell’esercito regolare ucraino stesso.

 

Come riportato da Renovatio 21, Dmitrij Yarosh, il capo di Pravij Sektor, in una intervista del 2019 dichiarava di non aver «niente contro Igor Valeryevic [Kolomojskij]. Abbiamo lavorato molto fruttuosamente nel 2014, quando era il governatore della regione di Dnepropetrovsk. Pertanto, Kolomojskij non è una storia dell’orrore per me. Capisco che la demonizzazione avvenuta sia basata più sulla propaganda che sulla realtà. E nei flussi per i quali c’è una guerra: petrolio, gas, miliardi… E so per certo che Kolomojskij non era comunque una minaccia per lo Stato».

 

La storia degli eserciti privati era stata approfondita nel 2015 da un articolo di Reuters, che adduceva anche questioni di crimini di guerra:

 

«Amnesty International ha riferito che il battaglione Aidar, anch’esso parzialmente finanziato da Kolomoisky, ha commesso crimini di guerra, inclusi rapimenti illegali, detenzioni illegali, rapine, estorsioni e persino possibili esecuzioni».

 

Nel pezzo dell’agenzia di sette anni fa, veniva citato anche il famigerato Battaglione Azov, con toni bizzarramente diversi da quelli con i quali è descritto ora dalla stampa italiana e internazionale:

 

«Alcuni dei battaglioni privati ​​ucraini hanno infangato la reputazione internazionale del paese con le loro opinioni estremiste. Il battaglione Azov, parzialmente finanziato da Taruta e Kolomojskij, usa il simbolo nazista Wolfsangel come logo e molti dei suoi membri sposano apertamente opinioni neo-naziste e antisemite. I membri del battaglione hanno parlato di “portare la guerra a Kiev” e hanno affermato che l’Ucraina ha bisogno di “un dittatore forte per salire al potere che possa versare molto sangue ma unire la nazione”».

 

Dopo aver parlato del caso spinoso Privat Bank, istituto di credito dal quale Kolomojskij è accusato di aver fatto sparire miliardi, il servizio di Radio Free Europe mostra l’increscioso episodio del raid notturno  (compiuto, secondo Reuters, da membri dell’esercito privato sostenuti dal magnate),  alla Ukrtransnafta, compagnia petrolifera dove Kolomojskij sarebbe stato coinvolto in una lotta per l’egemonia all’interno dell’azienda.

 

Sono quindi passati in rassegna i numerosi viaggi di Zelens’kyj in Svizzera, dove dapprima si era trasferito Kolomojskyj, e in Israele, dove si era spostato poi l’oligarca ucraino, che gode anche della cittadinanza israeliana e cipriota (la legge ucraina non permette la doppia cittadinanza: lui sostiene tuttavia che la tripla è quindi permessa).

 

Zelen’skyj ha sostenuto di essere andato a Ginevra una volta sola. L’emittente americana conta invece almeno 10 voli sulla città svizzera e tre su Tel Aviv.

 

Kolomoyskyi è stato classificato come la seconda o terza persona più ricca in Ucraina (dopo Rinat Akhmetov e Viktor Pinchuk) e, nel 2019, è stata classificata al 1941° posto nell’elenco dei miliardari internazionali della rivista Forbes. Nel 2007 risultava invece il 799esimo più ricco al mondo, con un patrimonio di 3,8 miliardi di dollari.

 

Nel marzo 2015 The Economist ha indicato il suo patrimonio netto a 1,36 miliardi di dollari. Nel 2019, la rivista ucraina Focus ha inserito Kolomoyskyi al terzo posto nell’elenco dei 100 ucraini più influenti.

 

Nel 2021 gli Stati Uniti hanno vietato a lui e alla sua famiglia di entrare nel Paese a causa di «significativa corruzione», con il segretario di Stato americano Antony Blinken che ha affermato che l’uomo sarebbe stato «coinvolto in atti di corruzione che hanno minato lo stato di diritto e la fiducia del pubblico ucraino nella democrazia del loro governo, istituzioni e processi pubblici, compreso l’uso della sua influenza politica e del potere ufficiale a proprio vantaggio» e che egli «rappresenta una seria minaccia per il futuro dell’Ucraina».

 

Nell’aprile 2019 è stato riferito che l’FBI stava indagando su Kolomojskyj per crimini finanziari  in relazione alle aziende siderurgiche di Kolomojskij nel West Virginia e nell’Ohio settentrionale negli Stati Uniti e ai suoi interessi in miniere in Ghana e Australia.

 

Il 6 agosto 2020, il Dipartimento di giustizia degli Stati Uniti nel distretto meridionale della Florida (Miami) ha affermato che Ihor Kolomoisky e altri avrebbero ottenuto collettivamente numerose proprietà nell’ambito di uno schema Ponzi da 5,5 miliardi di dollari nell’ambito di «una cospirazione internazionale per riciclare denaro sottratto e ottenuto in modo fraudolento da PrivatBank», che è stato nazionalizzata nel 2016 e che utilizza la «filiale di Cipro… come lavatrice per i fondi rubati».

 

Come riportato da Renovatio 21, la società di Cipro – di cui l’oligarca ha la cittadinanza – rimandano anche i documenti sulla villa in Toscana di Zelens’kyj, già contestato in patria da inchieste giornalistiche per il suo strano giro di società offshore.

 

Kolomoyskyi usa il soprannome Benja, che secondo alcuni sarebbe un riferimento del famigerato reprobo criminale ucraino (ed ebreo) Benja Krik, la cui vita è stata romanzata ne I racconti di Odessa (1948) dello scrittore sovietico Isaac Babel.

 

Occasionalmente, Kolomoyskyi è chiamato Bonifatsij, come l’omonimo protagonista di un popolare cartone animato sovietico della Soyuzmultfilm, Kanikuly Bonifatsija, «Le vacanze di Bonifacio».

 

Kolomojskij è stato presidente della Comunità Ebraica Unita dell’Ucraina, e nel 2010 è stato nominato – con quello che poi sarà definito «un putsch» – presidente del Consiglio Europeo delle Comunità Ebraiche (ECJC).

 

Tuttavia, dopo le veementi proteste degli altri membri del consiglio, dovette lasciare e fondarsi una lega ebraica tutta sua, la European Jewish Union.

 

La compresenza, in questa storia, di ebrei e nazisti ha creato l’espressione, dapprima scherzosa, «zhidobandera», ossia «giudeobanderista», dove per Bandera si intende quello Stepan Bandera collaborazionista di Hitler considerato il padre del nazionalismo ucraino.

 

L’espressione è stata pure stampata su t-shirt satiriche dove al simbolo nazionale ucraino, il tridente, si sovrappone il candelabro ebraico.

 

Con grande senso dello humor, il Kolomojskij si è fatto fotografare mentre ne indossa una.

 

 

Non tutti hanno trovato la cosa divertente. In un articolo intitolato «è questo l’ebreo più potente al mondo?», il quotidiano israeliano Haaretz trovava la cosa scandalosa, visto che «zhid» è una «parolarusso-ucraina per dire ebreo normalmente considerata offensiva», mentre Stepan Bandera è «la più controversa figura nella storia di Ucraina (…) almeno alcuni dei suoi seguaci eseguirono pogrom e omicidi di massa degli ebrei».

 

Il contesto in cui il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha parlato di antisemitismo potrebbe essere questo.

 

Non è chiaro se in questo momento Kolomojskij abbia ancora una qualche influenza su Zelens’kij nel bunker. Distante nello spazio, potrebbe esserlo divenuto anche politicamente: un conto è provocare lo zar, un conto è farlo adirare fino a provocare una guerra internazionale.

 

Il lettore, dunque, può indovinare chi può essere rimasto – nel bunker – a tirare qualche filo dell’attore Zelens’kyj.

 

Renovatio 21, a riguardo, ha scritto qualche idea.

 

 

 

 

 

Immagine di Anna Besulik via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported (CC BY 3.0); immagine modificata

 

 

 

Geopolitica

Putin ha parlato con il presidente iraniano

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Il presidente russo Vladimir Vladimirovich Putin ha parlato con il suo omologo iraniano, Ebrahim Raisi, in seguito all’attacco di droni e missili di Teheran contro Israele. Lo riporta RT, che cita l’apparato comunicativo del Cremlino.

 

Sabato l’Iran ha lanciato decine di droni e missili contro Israele, come «punizione» per il bombardamento del consolato iraniano a Damasco, in Siria, che all’inizio del mese ha ucciso sette ufficiali di alto rango della Forza Quds del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC), cioè i pasdaran.

 

Raisi ha telefonato a Putin martedì pomeriggio per discutere della «situazione aggravata» nella regione e delle «misure di ritorsione» adottate da Teheran, secondo la lettura della chiamata.

 

Putin «ha espresso la speranza che tutte le parti mostrino ragionevole moderazione e non permettano un nuovo round di scontro, carico di conseguenze catastrofiche per l’intera regione», ha affermato il Cremlino.

 

Raisi «ha osservato che le azioni dell’Iran sono state forzate e di natura limitata», aggiungendo che Teheran «non era interessata a un’ulteriore escalation delle tensioni».

 

Entrambi i presidenti hanno convenuto che la causa principale dell’attuale conflitto è il conflitto israelo-palestinese irrisolto, chiedendo un «cessate il fuoco immediato» a Gaza, la fornitura di aiuti umanitari e la creazione di condizioni per una soluzione politica e diplomatica.

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Israele ha promesso di fornire una risposta «chiara e decisiva» all’attacco iraniano, che secondo il governo dello Stato Ebraico è stato in gran parte intercettato. Tuttavia, secondo quanto riferito, l’esercito israeliano sta lavorando a un piano che sarebbe accettabile per gli Stati Uniti.

 

Nel frattempo, l’esercito iraniano ha descritto l’attacco come un grande successo. L’«Operazione Vera Promessa» ha dimostrato che le difese israeliane erano «più fragili di una ragnatela», ha detto martedì in una conferenza stampa il generale di brigata Kioumars Heydari, comandante delle forze di terra iraniane.

 

«Le forze armate iraniane hanno infranto il tabù sulle capacità del regime israeliano, hanno dimostrato la loro potenza, hanno chiarito che l’era del mordi e fuggi è finita e hanno definito nuove regole per la regione», ha detto lo Heydari, secondo l’agenzia iraniana Tasnim News.

 

Subito dopo l’attacco iraniano erano circolate su vari gruppi Telegram italiani affermazioni totalmente false secondo cui Putin avrebbe dichiarato subito di appoggiare totalmente l’Iran. Si trattava di una fake news vera e propria mandata in giro tranquillamente da canali e influencer della «dissidenza» rispetto a NATO, vaccini, etc.

 

Chiediamo ai lettori di non frequentare i propalatori di bufale (come quella, di qualche settimana fa, che annunziava solennemente che il re britannico era morto, o quella, circolata l’altro ieri, per cui a spirare stavolta sarebbe stato invece il Klaus Schwab) e concentrarsi su Renovatio 21, vera fonte limpida, veritiera ed approfondita che vuole restare anni luce distante dai drogati di dopamina schermica e dalle panzane stupidi irresponsabili.

 

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Immagine di Kremlin.ru via Wikimedia pubblicata su licenza e Creative Commons Attribution 4.0 International.

 

 

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Geopolitica

L’Ucraina vuole dall’Occidente le stesse garanzie di Israele

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Kiev vuole garanzie di sicurezza da parte dei suoi sostenitori occidentali simili al livello di protezione che gli Stati Uniti forniscono a Israele, ha detto mercoledì il capo dello staff del presidente Volodymyr Zelens’kyj, Andrey Yermak.   Il governo ucraino sta negoziando una serie di trattati intesi a suggellare l’allineamento filo-occidentale del paese fino a quando non gli verrà concessa la piena adesione alla NATO. Funzionari di Kiev affermano che gli accordi garantiranno assistenza militare a lungo termine da parte degli Stati Uniti e dei suoi alleati, indipendentemente dai cambiamenti politici che potrebbero altrimenti spingere i donatori a tagliare gli aiuti.   «Un accordo tra Stati Uniti e Ucraina non deve funzionare peggio del memorandum americano con Israele, la cui efficacia è stata confermata dalle azioni congiunte degli alleati durante la deviazione dell’attacco di massa contro Israele da parte dell’Iran», ha scritto lo Yermak sui social media.

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Teheran ha lanciato una raffica di droni e missili contro Israele lo scorso fine settimana come rappresaglia per l’attacco aereo del 1° aprile sul suo consolato a Damasco, di cui ha attribuito la colpa allo Stato ebraico.   La mossa attesa da tempo ha provocato solo «danni minori», secondo Israele, poiché Stati Uniti, Regno Unito e Francia hanno utilizzato le loro risorse militari per aiutare a fermare la maggior parte dei proiettili iraniani.   Secondo gli esperti della difesa locale, le intercettazioni sono costate a Israele un miliardo di dollari.   Come riportato da Renovatio 21, nelle scorse ore, lo Zelens’kyj ha condannato gli attacchi iraniani dichiarandosi completamente dalla parte di Israele e tracciato paralleli tra le azioni di Teheran e le tattiche della Russia in Ucraina   I funzionari occidentali hanno chiarito che Kiev non dovrebbe aspettarsi il tipo di intervento di cui ha beneficiato Israele la settimana scorsa.   «Mettere le forze della NATO direttamente in conflitto con le forze russe – penso che sarebbe un’escalation pericolosa», ha detto lunedì il ministro degli Esteri britannico David Cameron. Invece di «aerei occidentali sui cieli che cercano di abbattere qualcosa», l’Ucraina ha bisogno di sistemi di difesa aerea, ha spiegato.   Kiev sollecita da mesi gli Stati Uniti ad andare avanti con lo stanziamento di oltre 60 miliardi di dollari in aiuti, che è stato bloccato dal presidente della Camera Mike Johnson. Le discussioni a cui lo Yermak ha partecipato riguardavano «il piano d’azione subito dopo che il Congresso degli Stati Uniti avrà preso una decisione sugli aiuti militari per l’Ucraina», ha detto.   Alcuni media statunitensi hanno ipotizzato che Johnson potrebbe cedere alle pressioni pro-Kiev e sottoporre al voto il disegno di legge approvato dal Senato dopo l’attacco iraniano. Il disegno di legge prevede fondi per Ucraina, Israele e Taiwan.   Come riportato da Renovatio 21, secondo alcuni, come la deputata trumpiana della Georgia Marjorie Taylor-Greene, il Johnson potrebbe essere sotto ricatto.

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I rapporti tra Kiev ed Israele sono stati, in questi due anni di guerra, altalenanti. Ad inizio del conflitto l’atteggiamento dello Stato ebraico era ben diverso: dopo una visita al Cremlino, l’allora premier Naftali Bennet di fatto consigliò a Zelens’kyj di arrendersi; il Paese resisteva alle pressioni di Biden per la fornitura di armi agli ucraini, e l’immancabile collegamento dello Zelens’kyj (che è di origini ebraiche, come lo è il suo mentore, l’oligarca Igor Kolomojskij, cittadino israeliano che nel Paese fu visitato molteplici volte dal futuro presidente ucraino) con la Knesset, cioè il Parlamento israeliano, incontrò una certa freddezza.   Ora il quadro sembra cambiato. Dopo Naftali Bennet, il premier è divenuto Yair Lapid, che sembra avere rapporti estremamente cordiali con il Paese occidentale più ferocemente nemico della Russia, la Gran Bretagna. Con il nuovo governo Netanyahu le cose cambiano ulteriormente: a fine 2023 Israele ha detto a Zelens’kyj di non volere la sua visita.   Come riportato da Renovatio 21, nel 2023 Zelens’kyj non è stato incluso nella lista dei 50 «ebrei più influenti» del 2023 compilata ogni anno dal quotidiano israeliano Jerusalem Post. Lo Zelens’kyj era in cima alla lista nel 2022 nel conflitto in corso tra Mosca e Kiev, quest’anno invece ne è stato escluso, ed è stata data menzione invece a Evgenij Prigozhin, che era anch’egli di origine ebraiche. Nello Stato Ebraico l’attuale presidente ucraino avrebbe comprato una casa per i genitori.   Putin ha accusato l’Occidente di usare le origini ebraiche di Zelens’kyj per distrarre dal ritorno del nazismo in Ucraina. Tre mesi fa una timida critica, superficiale e con paraocchi, era stata tentata anche dall’ambasciatore israeliano a Kiev. Nel frattempo, una delegazione del battaglione Azov, un tempo denunciato da vari quotidiani internazionali come neonazista, è andata in visita in Israele.   Zelens’kyj lo scorso mese ha dichiarato di voler perseguire un «modello israeliano», facendo dell’Ucraina un alleato finanziato e armato pesantemente dagli USA.   Israele in questi mesi aveva dichiarato di non voler fornire il sistema di difesa antiaerea «Iron Dome» agli ucraini per timore che potesse cadere poi in mano iraniana. A inizio anno Tel Aviv aveva rifiutato la pressione USA per fornire batteria di difesa aerea all’Ucraina.   Come riportato da Renovatio 21circa la metà dei 300.000 ebrei ucraini sarebbe ora fuggita all’estero, ha rivelato un rabbino di Kiev al Washington Post a inizio mese.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia        
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Geopolitica

Milei offre «chiaro e inflessibile sostegno a Israele» contro l’Iran: l’ambasciatore dello Stato Ebraico partecipa a una riunione del «gabinetto di crisi» argentino

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Il presidente argentino Javier Milei ha interrotto la sua visita negli Stati Uniti il ​​13 aprile, è tornato a Buenos Aires e ha incontrato immediatamente l’ambasciatore israeliano Eyal Sela la mattina del 14 aprile, per offrire il suo sostegno illimitato a Israele, che aveva appena subito l’attacco dei droni iraniano.

 

La mossa di Milei ha scioccato le «istituzioni della politica estera argentina, nonché settori patriottici», scrive EIRN.

 

Negli USA, Milei aveva avuto solo il tempo per ricevere a Miami un premio come «Ambasciatore Internazionale della Luce» da una gruppo locale di ebrei Lubavitcher – religione dei suoi principali consiglieri spirituali, che lo starebbero portando alla conversione al giudaismo – e poi incontrare a Houston, in Texas, Elon Musk (che si è dichiarato un fan del suo discorso a Davos lo scorso gennaio), prima di salire su un aereo per tornare a casa per annunciare che l’Argentina si stava allineando con Israele in la sua guerra contro il mondo islamico.

 


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La prima pagina del quotidiano argentino Página 12 di ieri mostrava una foto di Milei, vestito con la divisa dell’esercito che indossava quando ha incontrato il comandante del Comando meridionale degli Stati Uniti, generale Laura Richardson, nella città più meridionale di Ushuaia, sotto il titolo «Milei se fue a la guerra», cioè «Milei è andato in guerra».

 

 

Secondo quanto riportato, l’accaduto ha fatto infuriare molti funzionari professionisti del servizio estero presso il ministero degli Esteri argentino. Dopo aver incontrato Sela in privato al palazzo presidenziale e aver fatto pubblicare una foto dei due abbracciati, il Milei ha poi compiuto il passo senza precedenti di invitare l’ambasciatore dello Stato Ebraico a partecipare a una riunione del «gabinetto di crisi» di emergenza da lui istituito per monitorare e rispondere, gli eventi del fine settimana.

 

Sono state rese pubbliche fotografie che mostrano Sela seduta al tavolo con Milei e i membri del gabinetto, mentre li informavano sulla situazione.

 

Successivamente, l’ambasciatore israeliano ha partecipato a una «conferenza stampa», che è stata registrata, ma non includeva la stampa, durante la quale ha espresso la gratitudine del primo ministro Benjamin Netanyahu e del presidente Isaac Herzog al presidente Milei per «il suo chiaro e inflessibile sostegno a Israele e per essere stato dalla parte giusta della storia», ha riferito Página 12.

 

Come riportato da Renovatio 21, della conversione al giudaismo di Javier Milei si parla da tanto tempo, e abbondano immagini e video in cui il personaggio sventola in pubblico grandi bandiere israeliane.

 

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Sul Milei vi sarebbe l’influenza del rabbino Shimon Axel Wahnish, rabbino capo della comunità ebraica marocchina dell’Argentina (ACILBA), «un moderno dottore ortodosso in psicologia dell’educazione, Wahnish è stato direttore e professore presso un centro studi ebraico per giovani studenti universitari presso i Sucath David Programs» scrive Tablet Magazine, che riporta come dopo il loro incontro nel 2021, Milei abbia cominciato lo studio della Torah proprio sotto la guida di rabbi Wahnish.

 

Secondo il sito ispanofono La Politica online, il rabbino Tzvi Grunblatt (anche lui della corrente dell’ebraismo Lubavitch) avrebbe accompagnato il presidente eletto «durante il Forum Economico Latam dove il libertario è stato il relatore principale. La Fondazione Chabab era co-organizzatrice dell’evento insieme a Dario Epstein, consigliere di Milei».

 

Secondo il sito ebraico Anash, i rapporti di Milei con il rabbinato andrebbero oltre la guida spirituale del rabbino Wahnish.

 

«L’economista ed ex esperto televisivo e radiofonico ha stretti legami con il capo argentino Shliach Rabbi Tzvi Grunblatt» scrive il sito. «Secondo quanto riportato dalla stampa argentina, il rabbino Grunblatt ha contribuito a creare legami tra Milei e importanti uomini d’affari come Eduardo Elsztain». Elzstain, argentino di origine ebraica (il nonno fuggì dalla Russia sconvolta dalla rivoluzione del 1917) è considerato a capo del più grande impero economico del Paese, che spazia dagli immobili all’agricoltura, da settore minerario a quello bancario.

 

La società dell’Elzstain chiamata Inversiones y Representaciones S.A. (IRSA), la più grande società immobiliare argentina, è quotata alla Borsa di New York. CRESUD, azienda leader nel settore agroalimentare che opera in Argentina, Bolivia, Paraguay e Uruguay di cui Elzstain è presidente, è pure quotata al NASDAQ. L’uomo d’affari ebreo-argentino è presidente inoltre di BrasilAgro (Companhia Brasileira de Propriedades Agrícolas), anch’essa quotata alla Borsa di Wall Street. Il partenariato pubblico-privato Banco Hipotecario, la principale banca ipotecaria argentina, vede Elsztain come il maggiore azionista privato.

 

Devoto alla religione giudaica, si dice che il ricco Elzstain abbia costruito una sinagoga appena fuori da casa sua. Sua sorella vive in Israele. Il businessman sarebbe affiliato al movimento ebraico Chabad Lubavitch, corrente dello chassidismo nata nel XVIII secolo e ora avente come base principale Nuova York, in particolare nel quartiere di Crown Heights, a Brooklyn.

 

Elsztain ha vissuto a New York nel 1989-90. Durante quel periodo, nel 1990, «si presentò a un incontro con il leggendario investitore George Soros», secondo il quotidiano israeliano Haaretz. Un articolo del quotidiano La Nacion afferma che Elsztain incontrò Soros «attraverso contatti… nella comunità ebraica di Buenos Aires». In ogni caso, Soros «fu convinto a lasciare che l’ambizioso giovane gestisse 10 milioni di dollari per lui», cosa che Elsztain fece «con grande successo», riporta l’enciclopedia online.

 

Oltre a Soros, Elsztain ha anche lavorato a stretto contatto con il magnate immobiliare statunitense Sam Zell (vero nome Shmuel Zielonka), miliardario americano attivo in molte cause filantropiche per l’ebraismo in America e in Israele.

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Elszstain avrebbe contatto anche con il manager di hedge fund Michael Steinhardt, miliardario pure lui attivo assai nelle cause ebraiche, con donazioni per più di un centinaio di milioni, ad esempio con viaggi gratuiti di 10 giorni offerti ad ebrei di età tra i 18 e i 26 anni. Steinhardt fa parte del «Mega Group», un club vagamente organizzato di 20 tra gli uomini d’affari ebrei più ricchi e influenti, formato da Leslie Wexner, il padrone del marchio di lingerie Victoria’s Secret considerato mentore (e forse vittima?) di Jeffrey Epstein, cui cedette la lussuosissima magione di Nuova York.

 

Un altro contatto riconosciuto dell’Elsztain è il magnate di Hollywood Edgar Bronfman junior, ex CEO della Warner e di Seagram, il colosso del whisky costruito dal padre, Edgar Bronfman senior, che come presidente del World Jewish Congress (di cui Elsztain nel 2005 sarebbe divenuto tesoriere), aveva avviato un’attività diplomatica con l’Unione Sovietica per portare alla legittimazione della lingua ebraica nell’URSS e ha contribuito a far sì che gli ebrei sovietici potessero legalmente praticare la propria religione, come così come emigrare in Israele. En passant, ricordiamo che le due sorelle di Bronfman jr. sono state oggetto delle cronache recenti perché coinvolte a vario titolo nello scandalo della setta psico-sessuale NXIUM, della quale tuttavia il defunto padre sembrava diffidare molto.

 

Secondo quanto riportato, Elsztain partecipa annualmente al World Economic Forum di Davos, e avrebbe partecipato anche ai Business Summit dei G20. Nel 2008 ha incontrato Hugo Chavez – un uomo che per il forsennato antisocialista Milei dovrebbe rappresentare il male… – per discutere dell’antisemitismo, lodando la volontà di ascolto che il caudillo di Caracas aveva per la causa della comunità ebraica.

 

Secondo la stampa argentina, Elsztain sarebbe divenuto un visitatore regolare della Casa Rosada, ossia il palazzo presidenziale, quando al potere vi era Christina Kirchner, divenendone, secondo articoli apparsi all’epoca «un alleato strategico». Si tratta della massima rappresentante di quel sistema che il Milei, grillescamente, diceva di voler rottamare.

 

Il Milei è comparso questa settimana anche nel programma YouTube dell’ebreo sionista americano Ben Shapiro, il cui grande gruppo editoriale di supposta «controinformazione» di area conservatrice, il Daily Wire, sta perdendo colpi dopo che è stata allontanata la stella del gruppo Candace Owens, commentatrice nera accusata di essere antisemita per la sua opposizione al sostegno degli USA e Israele nel massacro dei palestinesi e per aver detto, questione interessante, che «Cristo è re».

 

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Lo Shapiro aveva organizzato anni fa una grande intervista rilassata con il premier israeliano Beniamino Netanyahu, portandosi appresso anche un altro idolo degli spettatori conservatori di YouTube, lo psicologo canadese Jordan Peterson, allora appena uscito da anni di depressione nascosta ai fan così come dalle traversie, anche gravi, dalla conseguenza dolorosissima dipendenza da psicofarmaci cagionatagli dalle scelte mediche.

 


L’operazione dello Shapiro – mantenere israelizzata la destra americana – era già allora piuttosto chiara, ora è più spudorata che mai, e al contempo, fragile, perché non tutti paiono obbedire al filogiudaismo di default installato in questi decenni. Anzi: ha destato stupore come il pubblico di un comizio di Trump abbia cominciato a cantare «Genocide Joe!», riferendosi al supporto di Biden al massacro dei palestinesi da parte degli israeliani.

 

 

Sorprendentemente, il Trump riferendosi ai supporter che scandivano lo slogan, ha dichiarato «non hanno torto».

 

A Buenos Aires – a quarta città al mondo per numero di cittadini di religione ebraica che, per coincidenza, è anche il luogo di origine dell’attuale papa – invece si ascolta tutt’altra musica.

 

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Immagine di Haim Zach / Government Press Office of Israel via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported

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