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Sanità

«One Health»: controllo globale su ogni cosa?

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Renovatio 21 traduce questo articolo per gentile concessione di Children’s Health DefenseLe opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

Nell’ambito dell’agenda One Health, l’Organizzazione Mondiale della Sanità avrebbe il potere di prendere decisioni relative alla dieta, all’agricoltura e all’allevamento, all’inquinamento ambientale, al movimento delle popolazioni e molto altro. I contribuenti finanzierebbero lo schema — le aziende ne trarrebbero profitto.

 

 

Nel video del 22 marzo, di seguito, David Bell, Ph.D., membro del comitato esecutivo della PANDA Science Sense Society, esamina il nuovo trattato pandemico internazionale proposto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità — cos’è e l’impatto che avrà sulla democrazia e la libertà in tutto il mondo — e gli emendamenti proposti al RSI [Regolamento Sanitario Internazionale, ndt] dell’OMS.

 

Come notato da PANDA:

 

«Il COVID ha rivelato che non si trattava solo di salute pubblica e gli aspetti politici, economici e sociali della risposta sono di gran lunga più importanti del virus stesso. Rimane una spinta continua verso la trasformazione delle nostre società in modi che minacciano la democrazia e i nostri attuali stili di vita».

 

Il trattato pandemico dell’OMS e gli emendamenti del RSI sono due delle strategie che ci stanno guidando «verso la trasformazione della società che minaccia la democrazia e i nostri attuali modi di vita». Entrambi mirano a raggiungere la stessa cosa, vale a dire centralizzare il potere sulle nazioni con l’OMS.

 

L’OMS è completamente compromessa

Come notato da Bell, l’OMS non è più quello di una volta. Per cominciare, gli interessi privati ora esercitano un immenso potere sull’organizzazione. Bill Gates è il principale finanziatore dell’OMS se si sommano le donazioni della Gates Foundation e delle sue altre organizzazioni, come GAVI The Vaccine Alliance.

 

Un altro cambiamento importante è che la maggior parte dei finanziamenti è «specificata», il che significa che è destinata a programmi specifici. L’OMS non può stanziare quei fondi dove sono più necessari. Questo influenza estremamente le azioni e i modi dell’OMS. 

 

Come notato da Bell:

 

«L’OMS è dunque un’organizzazione che fa tutto ciò che i suoi finanziatori comandano».

 

Come accennato sopra, Gates esercita la maggiore influenza finanziaria e sembra non finanziare mai nulla da cui alla fine non possa trarre profitto. Ad esempio, finanzia una «rivoluzione verde» in Africa che promuove colture geneticamente modificate (GE) perché ha investito nelle aziende che forniscono semi OGM (organismi geneticamente modificati).

 

Il risultato finale è una maggiore carestia e povertà, ma Gates se la ride di gusto guardando il conto in banca.

 

Finanzia anche campagne di vaccinazione per gli stessi vaccini in cui ha investito. Non si tratta di beneficenza o di filantropia. Crea semplicemente mercati per i suoi investimenti.

 

Bell sottolinea che la strategia di lockdown per il COVID-19 chiaramente non proveniva dall’OMS stessa, ma piuttosto da una fonte esterna.

 

Come facciamo a saperlo? Perché le sue linee guida sulla pandemia fino all’epidemia di COVID-19 richiedevano di isolare solo i pazienti infetti, da sette a 10 giorni.

 

Poi, quando è arrivato il COVID-19, quella guida è stata completamente capovolta e al mondo intero, malato e sano allo stesso tempo, è stato detto di autoisolarsi per settimane e mesi alla volta. Qualcuno ha fatto all’OMS questa raccomandazione irrazionale e anti-scientifica.

 

Come risultato dei lockdown, molti dei presunti obiettivi dell’OMS per la salute e il benessere globale, specialmente per i bambini, hanno subito drammatiche battute d’arresto, eppure non sembravano esserne preoccupati.

 

Inoltre, l’OMS ha spinto per la vaccinazione di massa delle popolazioni che sapevano chiaramente avere un rischio estremamente basso per il COVID-19 — bambini e giovani adulti in termini di fasce d’età e Africa in termini di posizione geografica.

 

Non sorprende che le organizzazioni legate al vaccino Gates, GAVI e Coalition for Epidemic Preparedness Innovations (CEPI) abbiano guidato quella carica.

 

Le contromisure per il Covid non hanno nulla a che fare con l’assistenza sanitaria

Bell sottolinea anche quanto fosse idiota la narrativa della vaccinazione. «Con una pandemia in rapido movimento, nessuno è al sicuro a meno che tutti non siano al sicuro».

 

Questo motto è stato ribadito ovunque per promuovere il vaccino COVID-19, ma è completamente irrazionale perché le persone che si riprendono dall’infezione sviluppano un’immunità naturale.

 

Sono estremamente sicuri, indipendentemente dalla vulnerabilità degli altri. Non abbiamo bisogno che il mondo intero sia immune. Abbiamo solo bisogno di raggiungere la soglia per l’immunità di gregge e i vulnerabili sono automaticamente protetti da quelli con immunità naturale.

 

«Quello che sta dicendo è che le persone che gestiscono questo non sono interessate alle prove, alla verità o alla logica», dice Bell. «Sono interessati agli slogan e questo non ha nulla a che fare con l’assistenza sanitaria. Niente».

 

Se non alla salute, a cosa ha giovato la risposta alla pandemia?

 

In breve, si trattava di denaro e, più specificamente, di trasferimento di ricchezza. Sono nati quaranta nuovi miliardari mentre circa 200.000 piccole imprese sono state distrutte negli Stati Uniti solo nel 2020.

 

I produttori di vaccini hanno anche guadagnato centinaia di miliardi di dollari in «vaccini» che non hanno fornito praticamente alcuna protezione uccidendo un numero senza precedenti di adulti in età lavorativa e decimando i tassi di natalità.

 

«Il più grande spettacolo sulla Terra»

Bell continua a esaminare come l’industria della pandemia stia mettendo in scena «il più grande spettacolo sulla terra». Secondo l’industria pandemica, le pandemie stanno diventando sempre più frequenti. Questo è falso, afferma Bell.

 

Sostengono anche che c’è «una crescente interazione tra gli esseri umani e la fauna selvatica o il bestiame», l’insinuazione è che i virus letali saltano regolarmente le specie. Questa nozione, dice Bell, è «semplicemente sciocca».

 

Tuttavia, queste sono le narrazioni che usano per creare un circolo vizioso di sorveglianza per le varianti, dichiarazioni di rischio potenziale, seguite da lockdown e restrizioni, seguite da vaccinazioni di massa delle popolazioni per «porre fine» alle restrizioni della pandemia, seguite da più sorveglianza e così via.

 

Il finanziamento di questo schema proviene principalmente dai contribuenti, mentre i profitti vanno alle società e ai loro investitori.

 

Due strumenti per prendere il controllo

Come spiegato da Bell, i due strumenti principali che trasformeranno l’OMS in una polizia sanitaria centrale sono gli emendamenti IHR e il trattato pandemico dell’OMS.

 

Gli emendamenti IHR (che hanno forza ai sensi del diritto internazionale) forniranno «denti» all’obiettivo dell’OMS di aumentare il controllo sulle emergenze sanitarie, mentre il trattato fornirà reti di finanziamento, governance e approvvigionamento.

 

Gli emendamenti del RSI distruggono la sovranità nazionale e individuale

Gli emendamenti RSI, così come attualmente redatti:

 

  • Ampliano le definizioni di pandemie ed emergenze sanitarie. In particolare, introducono il «potenziale di danno» in luogo del danno effettivo. Quindi, l’OMS può imporre blocchi o interventi medici basati sul semplice sospetto che un virus possa causare danni pubblici

 

  • Cambiano le raccomandazioni del RSI da non vincolanti a obbligatorie, in modo che gli Stati membri DEVONO seguire e attuare le raccomandazioni dell’OMS.

 

  • Solidificano la capacità del direttore generale di dichiarare autonomamente e da solo le emergenze sanitarie.

 

  • Istituiscono un esteso apparato di sorveglianza in tutti gli Stati membri.

 

  • Consentono all’OMS di condividere i dati del Paese senza consenso.

 

  • Conferiscono all’OMS il controllo su determinate risorse all’interno dei Paesi membri, compresi i diritti di proprietà intellettuale.

 

  • Forzano il sostegno nazionale per le attività di censura dirette dall’OMS.

 

  • Modificano le disposizioni IHR esistenti che riguardano le persone da non vincolanti a vincolanti, comprese le disposizioni relative alla chiusura delle frontiere, alle restrizioni di viaggio, alle quarantene, agli esami medici e ai farmaci e alla vaccinazione delle persone.

 

Il trattato amplierà il potere dell’OMS oltre le pandemie

Nel frattempo, il trattato pandemico

:

  • Istituisce una rete di approvvigionamento internazionale supervisionata dall’OMS.

 

  • Finanzia le strutture e i processi di emergenza sanitaria dell’OMS richiedendo che almeno il 5% dei bilanci sanitari nazionali sia dedicato alle emergenze sanitarie.

 

  • Istituisce un organo di governo sotto l’egida dell’OMS per supervisionare l’intero processo di emergenza sanitaria.

 

  • Amplia la portata del potere dell’OMS esaltando l’agenda «One Health», che riconosce che una gamma molto ampia di aspetti della vita e dell’ambiente può avere un impatto sulla salute e quindi rientrare nel «potenziale» di causare danni. Questo è il modo in cui l’OMS sarà in grado di dichiarare il cambiamento climatico un’emergenza sanitaria e successivamente richiedere lockdown climatici, ad esempio.

 

Il grafico seguente illustra come l’ambito di controllo dell’OMS viene ampliato nell’ambito dell’agenda One Health per coprire vasti aspetti della vita quotidiana.

 

In base al nuovo trattato, l’OMS avrà il potere unilaterale di prendere decisioni su una qualsiasi di queste aree e i suoi dettami sostituiranno e annulleranno tutte le leggi locali, statali e federali.

 

È interessante notare che il termine «One Health», che è stato formalmente adottato dall’OMS e dai ministri della salute del G20 nel 2017, è stato coniato per la prima volta dal vicepresidente esecutivo dell’EcoHealth Alliance, la stessa azienda che sembra essere coinvolta nella creazione del SARS-CoV-2, spiega William Karesh, DVM, in un articolo del 2003 su Ebola.

 

 

 

 

I contribuenti finanziano il proprio sfruttamento

Come notato da Bell, non è solo l’OMS a spingere questa agenda. È finanziata e promossa da una lunga lista di organizzazioni, tra cui l’ONU, l’UE, la Bill & Melinda Gates Foundation, il GAVI, il Wellcome Trust, l’UNICEF, il CEPI, il World Economic Forum e la Banca Mondiale.

 

Ma mentre queste entità stanno finanziando ufficialmente l’industria della pandemia, ciò che sta realmente accadendo è che «stanno usando le tasse per pagare i ricchi per sfruttare le popolazioni povere altrove», dice Bell.

 

Stiamo anche finanziando il nostro sfruttamento e la nostra scomparsa. Non sono solo i poveri che soffriranno sotto un regime totalitario globalista, ma tutti coloro che non fanno parte del grado superiore dei globalisti.

 

I contribuenti stanno fornendo i soldi mentre i profittatori privati stanno decidendo come vengono spesi quei soldi, e vengono spesi in modi che andranno a beneficio di loro stessi. Quindi, è una «partnership» pubblico-privata in cui il pubblico viene derubato e tutti i benefici vanno al privato.

 

Le prossime tappe

Allo stato attuale, gli emendamenti IHR saranno votati dall’Assemblea mondiale della sanità (WHA) nel maggio 2024, tra circa un anno. Hanno solo bisogno di un voto di maggioranza per passare.

 

Se il voto andrà come previsto, il termine di 10 mesi per gli Stati membri per respingere gli emendamenti scadrà nel marzo 2025, o questi entreranno in vigore nel maggio 2025. Se uno Stato membro rinuncia, a tale Stato si applicherà l’attuale versione IHR del 2005.

 

Anche il trattato pandemico dell’OMS sarà votato dall’AMS nel maggio 2024. Richiede una maggioranza di due terzi per passare e 30 paesi membri per ratificarlo. Trenta giorni dopo la ratifica, il trattato entrerà in vigore per i paesi che lo hanno firmato.

 

Ma i globalisti non vogliono aspettare tre anni, quindi nel frattempo stanno lavorando su una terza strada, che prevede la creazione di una «piattaforma di contromisure mediche per le pandemie» sotto l’egida dell’OMS.

 

E questa piattaforma sarà implementata entro settembre. Molti aspetti di questa piattaforma si trasformeranno quindi semplicemente negli emendamenti IHR e nel trattato.

 

«Dobbiamo capire che tutto questo è basato su una completa assurdità», dice Bell. «Ma è in funzione». 

 

L’obiettivo finale e come fermarlo

In un articolo di Substack del 16 aprile, Jessica Rose, ricercatrice post-dottorato in biologia, cerca di dare un senso agli ultimi tre anni. A partire dalla fine, crede che il risultato finale sia la «conversione della maggior parte degli esseri umani in lavoratori … come le formiche».

 

Per arrivarci, i globalisti devono disumanizzarci, distruggere sistematicamente lo spirito umano, renderci sterili e distruggere tutte le nozioni di autonomia corporea e sovranità nazionale.

 

E, come dice Bell, il piano ha funzionato abbastanza bene finora. Ma le crepe cominciano a mostrarsi. Sempre più persone stanno iniziando a mettere insieme i pezzi del puzzle, come Rose tenta di fare nel suo articolo.

 

La pandemia di COVID-19 è stata l’impostazione, suggerisce Rose. Era orientata a «testare i livelli di conformità» e impostare la scena per l’atto successivo, che doveva normalizzare tutte le cose anormali.

 

Il movimento trans, che ha travolto completamente la coscienza sociale in un solo anno, è una continuazione e un’espansione di quella fase di «normalizzazione dell’anormale».

 

È anche una componente importante dell’agenda per disumanizzare e sterilizzare la popolazione. Dopotutto, i giovani trans — che sono anche tra gli individui più sottoposti al lavaggio del cervello nella società in questo momento — sono il futuro dell’umanità.

 

Un nuovo rapporto di esperti legali sostenuto dalle Nazioni Unite sta anche cercando di normalizzare la pedofilia, che disumanizzerebbe ulteriormente e de-spiriterebbe i nostri giovani per le generazioni a venire.

 

Oltre al danno la beffa, il rapporto è stato pubblicato l’8 marzo, «in riconoscimento» della Giornata internazionale della donna. Non importa il fatto che le giovani ragazze e le donne sono le vittime primarie di questa mentalità malata.

 

L’isteria del «cambiamento climatico causato dall’uomo» e la successiva guerra al carbonio è un’altra «emergenza» fabbricata, sganciata dalla scienza e dalla realtà.

 

E, come la risposta globale al COVID-19, gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite sono perfettamente adattati per raggiungere lo scopo finale. In base a questi obiettivi, la libertà umana, la salute umana e la qualità della vita sono sacrificate per «proteggere l’ambiente e salvare il pianeta».

 

Come osserva Rose, se il trattato pandemico dell’OMS dovesse passare, possiamo aspettarci di essere bloccati a tempo indeterminato con il pretesto di «qualche catastrofe climatica, probabilmente legata a qualche» agente patogeno mortale «passato agli esseri umani tramite qualche insetto vettore come le zanzare».

 

A quel punto, saranno anche in vigore le valute digitali della banca centrale (CBDC), che consentiranno al regime totalitario non eletto di applicare qualsiasi restrizione che l’OMS e i suoi finanziatori sognano, sia che si tratti del cibo che ti è permesso mangiare in base alla tua impronta di carbonio, i farmaci che sei costretto a prendere, quali cause ti è permesso finanziare, quali aziende ti è permesso acquistare, quando e quanto lontano ti è permesso viaggiare o qualsiasi altra cosa.

 

«Un modo pratico a cui riesco a pensare per impedire che il gioco finale si realizzi è fermare la CBDC», scrive Rose.

 

«Usate i contanti. Insistete. Non acquistate nei negozi che utilizzano solo sistemi cashless. L’offerta è uguale alla domanda, quindi richiedete l’uso di DENARO CONTANTE. Usate bitcoin. Sono l’antitesi delle CBDC».

 

Altre strategie per rivendicare le nostre libertà

Alla fine del suo video, Bell esamina anche alcuni dei possibili modi in cui possiamo rispondere alle minacce alla nostra sovranità nazionale e alla libertà personale e alle sfide coinvolte.

 

  • Riformare l’OMS — La domanda è come? Si può riformare?

 

  • Uscire e togliere i finanziamenti all’OMS — Gli svantaggi di questa strategia includono il fatto che i paesi che escono dall’OMS perdono influenza diretta sulla sua direzione e l’industria pandemica esisterà ancora ed eserciterà un’influenza immensa in tutto il mondo.

 

  • Ignorare gli emendamenti e il trattato — Pochi paesi saranno in grado di permetterselo, poiché gli Stati membri non cooperativi saranno sanzionati dagli altri. Anche i governanti malvagi saranno ancora abilitati.

 

  • Educare la popolazione e i politici e «incoraggiare il mancato rispetto della stupidità» — Questa è «una strada difficile», dice Bell, «ma dà voce al popolo».

 

Educare la popolazione, in particolare i politici, potrebbe essere l’approccio migliore.

 

Come notato da Bell in un articolo del 2 aprile su The Daily Sceptic:

 

«La comunità internazionale può beneficiare del coordinamento sulla salute pubblica. Ma questo non è ciò che CA+ [il trattato pandemico] propone. Si tratta di una misura draconiana volta a togliere la sovranità nazionale.

 

Dà vasti poteri a una singola organizzazione con preoccupanti accordi di finanziamento e una comprovata esperienza nel causare danni terribili. I legislatori dovrebbero respingere queste proposte, rifiutarsi di inviare il denaro dei contribuenti all’OMS e rifiutare la nozione di salute pubblica dettata».

 

 

Joseph Mercola

 

 

 

Pubblicato originariamente da Mercola.

 

 

© 1 maggio 2023, Children’s Health Defense, Inc. Questo articolo è riprodotto e distribuito con il permesso di Children’s Health Defense, Inc. Vuoi saperne di più dalla Difesa della salute dei bambini? Iscriviti per ricevere gratuitamente notizie e aggiornamenti da Robert F. Kennedy, Jr. e la Difesa della salute dei bambini. La tua donazione ci aiuterà a supportare gli sforzi di CHD.

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono quelle degli autori e non riflettono necessariamente le opinioni di Children’s Health Defense.

 

Traduzione di Alessandra Boni

 

Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

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Sanità

Inizia il processo per l’ospedale accusato di aver ucciso una bambina non vaccinata con sindrome di Down

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È finalmente iniziato il processo per la morte di una diciannovenne avvenuta in un ospedale dello Stato USA del Wisconsin nel 2021, i cui genitori accusano il personale medico di una serie di cattive condotte che hanno causato la morte della ragazza non vaccinata. Lo riporta Life Site.

 

Nel febbraio 2022, Grace Schara è stata ricoverata al St. Elizabeth Hospital di Appleton il 6 ottobre 2021, cinque giorni dopo essere risultata positiva al COVID-19. Schara era affetta dalla sindrome di Down ed è stata descritta dal padre Scott come una persona ad alto funzionamento. Il St. Elizabeth fa parte dell’Ascension Medical Group, che si definisce «basato sulla fede».

 

I genitori Scott e Cindy Schara hanno descritto una serie di aspetti preoccupanti del trattamento riservato alla figlia, a partire dalle critiche del personale ospedaliero per il loro rifiuto delle vaccinazioni contro il COVID-19 e per la loro accettazione di protocolli di trattamento alternativi, per poi arrivare alle letture imprecise dell’ossigeno nel sangue utilizzate per tentare di attaccare Grace a un respiratore.

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In particolare, le è stata erroneamente assegnata una DNR (Do Not Resuscitate – la disposizione che in America il cittadino può dare per evitare che lo so rianimi) e le è stato somministrato un cocktail di sedativi, ansiolitici e morfina man mano che le sue condizioni di salute peggioravano. Alla fine è morta dopo che i parenti hanno respinto l’insistenza della famiglia sul fatto che non fosse una DNR e le sue suppliche di rianimarla. La famiglia ha aggiunto all’epoca che i funzionari dell’ospedale si sono rifiutati di incontrarli in seguito per ascoltare le loro lamentele.

 

Da allora, gli Schara hanno lavorato per far conoscere la storia di Grace attraverso vari mezzi, tra cui un sito web, chiunque nei media volesse ascoltarli e cartelloni pubblicitari.

 

Nel dicembre 2022, gli Schara hanno segnalato il disinteresse delle autorità statali nell’affrontare il caso, affermando di aver richiesto che il dipartimento per la Sicurezza e i Servizi Professionali del Wisconsin (DSPS), il dipartimento dei Servizi Sanitari (DHS) e il dipartimento di Giustizia (DOJ) indagassero su diversi aspetti nell’ambito delle rispettive competenze, ma nessuno ha riscontrato illeciti.

 

L’anno seguente, la famiglia ha intentato una causa contro l’ospedale sostenendo che Grace era morta a causa di un «cocktail letale di farmaci» e di un «ordine fraudolento di non rianimazione», dovuto a «negligenza» e «trattamento non consensuale» da parte di operatori sanitari, e ha annunciato nel novembre 2023 di aver ottenuto un processo con giuria, che hanno salutato come «la prima volta che le intenzioni dei medici entrano in gioco in questo modo in una causa civile».

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Ora, il Milwaukee Journal Sentinel riporta che la selezione della giuria è iniziata il 2 giugno, con le arringhe introduttive che inizieranno il giorno successivo. L’intero processo è trasmesso in diretta streaming da Children’s Health Defense.

 

Gli Schara affermano che non rilasceranno interviste con la stampa prima della fine del processo, in modo da mantenere l’attenzione sulla questione in questione ed evitare che i media tentino di screditare la loro causa parlando di «teorie del complotto».

 

«Tutte le mie teorie sono state sviluppate dopo la morte di Grace», afferma Scott Schara. «Non sono rilevanti per la sua esperienza in ospedale. Se mi fanno sembrare pazzo, distolgono l’attenzione dai fatti del caso».

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Immagine da OurAmazingGrace.net

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Essere genitori

Giurare per Ippocrate, o giurare per il CUP. La macchina sanitaria disumana e tuo figlio

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Una minimale, micrologica avventura sanitaria di questo pater familias, e del suo figliolo, per cercare di significare il grande disegno di distruzione in cui, ticket dopo ticket, ci troviamo tutti.   Venerdì mattina il bambino, mentre lo porto verso uno dei suoi ultimi giorni di quarta elementare, mi dice che ha qualcosa all’orecchio. Non ci vuole molto a capire che, semplicemente, gli si è formato un tappo. Di fatto, quando gli parlo, sembra sentire poco. Un breve consulto con la madre conferma: «ma sì, è come quello dell’anno scorso. Non ti ricordi?» No, sono il padre, non la mamma, la mia tendenza è svuotare, in automatico, in tempi brevissimi, la cache cerebrale dei problemi.   Un’altra cosa mi spinge a mettere più attenzione del dovuto su quel tappo: lo ha, con estrema probabilità, ereditato direttamente da me. Nel senso: l’orecchio è stato a lungo per me quello che definiscono un «organo-bersaglio», come si alza lo stress ecco che arrivano occlusioni, otiti esterne dolorosissime, o perfino (immagino che la cosa sia collegata) problemi ai denti del giudizio.

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Non prendo la cosa sottogamba, perché so che non passa da solo: puoi provare tutto, gli spray, le goccette che ti sfrigolano dentro, i candelotti fumanti piantati verso il timpano. Un tappo è un tappo: si leva solo con una certa pressione. In passato, me lo hanno tolto otorinolaringoiatri, dottori generici, persino qualche infermiera di ambulatorio. Non bevo, quindi posso dire che nella vita ho stappato più orecchi che bottiglie di alcolico.   Non è una grande operazione: serve solo il siringone e quella bacinella metallica a forma di rene (o di fagiuolo) che devi tenere a lato, dove ad una certa apparirà, in tutto il suo orrore, il tappo, mentre nell’orecchio risuona la libertà, per la gioia dell’organismo tutto. La durata totale è, chiunque lo sa, qualche minuto appena.   Tornato a casa la sera, lo trovo nella stessa condizione. Il bambino sente poco, è ancora avvolto in quella sensazione di fastidio e rassegnazione che ricordo benissimo.   Decido di fare la mossa: è venerdì sera, il pediatra non c’è (e non devo essere sicuro che faccia queste cose, mi dicono), posso solo pensare ad una mossa radicale, portarlo in ospedale, al Pronto Soccorso pediatrico. Un luogo che, da passate esperienze, ricordo non troppo affollato, dove si può incontrare un medico abbastanza speditamente. Vuoi non trovare lì un dottore che gli lavi l’orecchio in un minuto, con pure alle spalle una laurea per farlo e un giuramento, quello di Ippocrate, per cui vive nell’imperativo di guarire il prossimo (specie quando il prossimo è un bimbo)?   Caricato in macchina il bambino, e ivi portatolo, mi trovo innanzi a diversi capannelli di infermiere del reparto emergenze dei bambini che chiacchierano: il lavoro non deve essere tantissimo, bene. Arrivati dietro il vetro dell’ufficietto che reca la scritta «accettazione» (il posto giusto, no?) una ragazza con la mascherina, con attorno altre colleghe con cui stava amabilmente conversando nel silenzio del reparto vuoto, mi dà l’informazione che avevo tentato scacciare dalla testa: per accedere al Pronto Soccorso Pediatrico devo prima passare da quello degli adulti.   Il che vuol dire ore e ore di attesa se devi vedere un medico, in un’atmosfera di estenuazione che richiede le guardie giurate in sala d’attesa (novità degli ultimi anni: cos’è cambiato? È peggiorato il servizio? Sono arrivati «ospiti» stranieri che tendono alle escandescenze? Il combinato disposto dei due fenomeni). La fila più drammatica, illogica, disperante è in realtà prima ancora, quella del cosiddetto «triage» – no, la parola italiana non la vogliono: è già questo dice tanto sulla macchina della sanità, cioè sul fatto che la sanità è una macchina.   C’est-à-dire: fai la fila, lungamente, solo per dire cos’hai e farti aprire la pratica da una tizia dietro ad un doppiovetro. Una fila disorganizzata, senza biglietti e con la costante di masse immigrate prima di te (la condizione comune della cittadinanza nella Repubblica Italiana nel secolo XXI), nessuna attenzione per la tua situazione – sei grave? Hai bisogno solo di una carta? etc. – cioè, nessun triage di nessun tipo.   Qui scatta la prima realizzazione: la tua situazione medica, la tua vita, è in realtà sottomessa ad un sistema di prenotazione. Un macchinario più grande di te, che non ti considera davvero se non come numero, e di fatto ti danno un braccialetto con un codice a barre, una cosa che era nei film di fantascienza distopica non troppo anni fa.

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Lo dico perché lo so per esperienza: l’anno scorso, in una storia che non ho ancora raccontato su Renovatio 21, ma che qualche lettore conosce perché coincise con la rarità assoluta del sito fermo per una settimana, andai in pronto soccorso per un malanno piuttosto intenso. Flashback.   Fu proprio durante la fila del triage, in cui arrivai bianco e barcollante, che ad un certo punto cedetti in modo talmente spettacoloso che ancora oggi ne vado fiero: al culmine della capacità di resistere al problema che avevo, mi sentii mancare completamente il respiro (sensazione mai avuta, neanche facendo una vasca di piscina in apnea), non avevo nemmeno la forza di chiedere aiuto… quindi, forse per la terza o quarta volta in tutta l’intera mia esistenza, vomitai – ad abundantiam, scatenando il fuggi fuggi generale, neanche fosse apparso nel nosocomio Godzilla, o un altro mostro gigante sputatore a caso.   Era l’immagine di un uomo piegato dal problema biologico, e nessuno, nessun medico, nessun infermiere, nel limbo-triage della coda burocratica multietnica, lo volle aiutare: furono proprio le guardie giurate, quelli che non hanno giurato ipocritamente per Ippocrate, e forse proprio per questo hanno conservato una qualche umanità. Quando tornai a respirare, messo dal personale in una sedia a rotelle, immaginavo che mi avrebbero fatto saltare la coda, vista la gravità – quelli prima di me stavano tutti in piedi e non avevano appena rimesso un ettolitro di anima, vitrea e gialla, sul pavimento davanti alla porta automatica proibita (si apre solo da dentro) che dà al reparto dove attendere senza speranza per altre ore ed ore.   Maddeché: feci un’altra ora di fila seduto, sconvolto e dolorante, sulla sedia a rotelle ospedaliera, e arrivato al bancone con il supervetro, l’infermiere pure mi redarguì per quello che avevo fatto. A quel punto, raccolta un po’ di adrenalina e di rabbia, mi alzai dalla sedia e alzai la voce flebile: «eccerto, la prossima volta che sto per morire improvvisamente soffocato avverto prima voi, però guardi, c’era la sua fila». L’infermiere rimase zitto.   Il proseguo di questa storia dell’anno scorso, il cui racconto rimando da tempo perché tocca il tema delicato delle trasfusioni e del loro rifiuto, lo racconto un’altra volta – anticipo tuttavia che di lì a qualche giorno di ospedalizzazione il primario con codazzo di una diecina di dottori si presentò al mio letto e, poco prima che fossi operato, usò parole che dipinsero con chiarezza nella mia mente l’immagine della mia morte per dissanguamento sul tavolo operatorio. «Lei rifiuta le trasfusioni … e tante altre cose… quindi, se succede qualcosa, che facciamo, la lasciamo morire dissanguato?»   Devo dire che nessuno, nemmeno nelle risse più belluine, mi aveva mai fatto sentire una violenza simile, la violenza della morte, con tutto ciò che adesso essa comporta per la mia discendenza. La risposta mi venne immediata: «visto che si è portato un po’ di testimoni, dichiaro pure pubblicamente che rifiuto anche l’espianto di organi». Il barone chirurgico, e tutti i suoi vassalli, valvassori, valvassini in camice bianco uscirono in silenzio, senza salutare.   Quindi, mentre venerdì sera aspettavo in quella stessa fila con mio figlio, non potevo non pensare a quei momenti dell’estate scorso. Non potevo permettermi di far passare un bambino, sangue del mio sangue, attraverso il processo di disumanizzazione che conosco e ho testimoniato – anche solo quello dell’attesa ridicola del triage, che è solo il primo grado della cancellazione della dignità umana con la sanità moderna può tranquillamente portarti alla morte. (Renovatio 21, lo sapete, non parla d’altro, su tutti i fronti declinabili).
  Fine flashback. Quindi, dopo aver resistito mezzora in fila solo per avere un pezzo di carta con cui far curare un bimbo in un reparto vuoto, non gliela ho più fatta.   Il padre, stringendo la mano del figlio, lo porta via. «Papà… ma tutti gli ospedali sono così?» chiede lui, intuendo che il silenzio prolungato del genitore nasconde l’incontenibile disprezzo per il sistema. C’è di peggio, gli dico. Ma la questione è la Sanità, lo Stato moderno, in generale, cioè lo Stato impersonale e immorale che giocoforza fa male agli uomini sino ad eliminarli, gli spiego borbottando come il vecchio che sto diventando, incurante del fatto che questi sono discorsi per i miei lettori e non per un bambino di nove anni.   Piano B: mancano pochi minuti alle 20, la grande farmacia sulla strada è aperta. Lì, avevo visto in precedenza, eseguono visite otoscopiche e lavaggi auricolari. Sessanta euro: un salasso. Sono disposto a sobbarcarmelo, pur di liberare mio figlio dal suo problemino all’orecchio, che è il mio. (Sangue del mio sangue… cerume del mio cerume?)   Facciamo la fila anche qui, ma in questo caso c’è il numero, stile salumiere al supermercato. Quindi, la sorpresa: no, in realtà i lavaggi non li fanno, cioè li fanno, sì, ma non sono i farmacisti (anche loro laureati, anche loro con giuramento), ma delle infermiere apposite, che vengono solo ogni tanto, bisogna prenotare, etc. Usciamo dal negozio con il materiale per il Piano C: spruzzo di acqua di mare da 15 euro a bomboletta, flaconcino di dimetilbenzene per ammorbidire il tappo da non so quanto.   Arrivati a casa il Piano C si rivela esattamente quello a cui cercavo di non pensare: un fallimento totale. Lo spruzzetto è insignificante, le goccette sono inefficaci al punto che pensiamo di aver fatto peggio.

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È a questo punto che si fa largo nella mia mente – che mai si deve rassegnare, se si tratta di un bambino – il Piano D: chiamare la guardia medica, quella bizzarra istituzione parallela all’ospedale, l’ambulatorietto dove, diciamoci le cose come stanno, vai quando hai troppa paura della fila in pronto soccorso. Apre la sera, a significare che loro ci sono quando i dottori non ci sono, come se prima essere curato, o anche solo ascoltato, avviene senza problema. Ad ogni modo, una volta andavi, entravi, aspettavi, parlavi col dottore, che ti dava la prescrizione, e via. Non più: dopo il COVID devi chiamare al telefono, dove puoi trovare a volte una persona che ti scoraggia dal presentarti, e prenotare. La pandemia è stata essenzialmente una buropandemia, con la burocrazia che ha infettato qualsiasi istituzione, dalle scuole, alle banche, ai bar… lo sappiamo.   Faccio il numero della guardia medica, ma è troppo presto. Rispondono solo dopo le 20. Attendo, chiamo. Dopo un po’ rispondono. Racconto. Mi dicono che la guardia medica non si occupa dei bambini, che un tappo all’orecchio non è un’emergenza, e di certo loro non fanno lavaggi all’orecchio… io faccio silenzio, perché nell’intimo comincio a capire che la tattica vincente è quella di fare in modo che ascoltino se stessi. Funziona: la ragazza – la dottoressa – mi dice che vabbè, posso portarlo, ma solo per farlo vedere.   Fatta, penso io: ambiente ambulatoriale, niente masse afroasiatiche che premono alle porte, solo un medico e un bambino che sta male, che può essere aiutato con una manovra che dura un minuto, migliorandogli di netto la vita.   Macché. Arriviamo in ambulatorio, una casa cubica grigia praticamente senza finestre e un portone blindato modernissimo. Suoni il campanello, confermi di aver un appuntamento. Entrati, nessuno ci riceve, stiamo 15 minuti ad aspettare da soli al buio. Di sopra senti degli schiamazzi: il personale sta facendo bisbocce, suona come una pausa prolungata, visto che l’orario dell’appuntamento, e dell’inizio delle attività dell’ambulatorio, è quello delle 20:30.   Finalmente scende una ragazzina in camice, è una dottoressa, è quella con cui ho parlato al telefono. Se ha avuto l’umanità di visitare il piccolo, vuoi che non abbia quella di aiutarlo con la più semplice delle procedure, fatta letteralmente di acqua fresca? Guardo nell’armadio: la bacinella-fagiuola c’è, il siringone pure. Fatta. Fatta. Dai.   Invece, la dott.ssa Tizia ci dice che non può fare nulla, loro non guardano i bambini, tantomeno possono fare lavaggi, per quelli devo andare dal pediatra, e visto che non ci sarà per giorni, al Pronto Soccorso pediatrico, cioè il luogo da cui sono fuggito in preda alla rabbia contro il mostro sanitario applicato su tutti, soprattutto sul mio bimbo.   Epperò, per gentilezza, la Tizia dottoressa si offre di «guardarlo», come promesso, e lo fa: fuori l’otoscopio, e in meno di cinque secondi scatta la difficile diagnosi: «sì c’è un bel tappo». Grazie, non avevamo capito. Poi si mette a scrivere a verbale, e qui ci mette un quarto d’ora. La proporzione, mentre aspetto, mi è già chiarissima: cinque secondi per guardare il bambino, e non risolvere nulla perché non è sua mansione, e un quarto d’ora per riempire un modulo burocratico: cosa è importante, per i medici odierni, è chiarissimo. Prima della persona, viene la macchina, il sistema sanitario di cui sono ingranaggi salariati. Prima di Ippocrate, viene il Centro Unico di Prenotazione, il CUP.   La dottoressa ci dà pure una prescrizione per un altro tipo di gocce. Tornando a casa, sconfitti, ci saranno anche quelle da comprare. Così, dirigo verso la farmacia di turno (a quel punto la sola aperta) di un quartiere non semplicissimo (cioè, vinto dall’invasione immigrata), una farmacia non nota per la gentilezza: nemmeno parli attraverso lo spioncino, ma tramite il cassettone con cui devi scambiare la tessera sanitaria, i soldi, il bancomat, contro i farmaci – il farmacista non lo vedi in faccia mai, e neppure, in verità, ne odi la voce. È una transazione impersonale e difficile, cui già mi ero proprio lì sottoposto settimane prima sempre fuori orario, facendo anche allora una fila colossale.   Arriviamo, tra la serqua di immigrati che spuntano ovunque tra il bar e il parchetto circostante, notiamo davanti a noi un africano: ha la testa praticamente dentro il cassettone serale della farmacia, è piegato in avanti e parla a voce altissima, del resto la struttura, come ho detto, non sembra essere fatta per ascoltare il paziente. «Io devo prendere quel farmaco» spiega l’africano al farmacista invisibile. «Io devo… io prendo sempre… non ho ricetta perché non posso andare dal dottor, perché lavoro, faccio autista tutto giorno», garantisce. A fianco a lui, un altro africano a caso, in ciabatte e cappello da baseball, fissa nel vuoto il tramonto sui condomini del quartiere popolare.   Davanti alla persistenza dell’immigrato che cerca di farsi dare un farmaco senza ricetta, e alla blindatura del farmacista ignoto che la rimbalza, perdo, per l’ennesima vola la pazienza: non posso perdere altro tempo qui, con il bambino per mano, e neppure posso rischiare quando l’africano, probabilisticamente, andrà in escandescenze, non capendo, o fingendo di non capire, che per la medicina che vuole ci vuole un documento medico, la prescrizione. Quando ciò accadrà, penso, il pericolo ce lo beccheremo tutto io e mio figlio, che siamo in partibus infidelium, mentre il farmacista invisibile tornerà tranquillo a guardarsi Netflix, protetto da schermature di metallo e vetro antisfondamento.

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Fuggiamo anche da lì, mentre il risentimento per il mondialismo e la Necrocultura sanitaria traspirano dalla mia pelle – il piccolo, sembra comprendere telepaticamente. Del resto è mio figlio, e lo sto crescendo io… Il problema all’orecchio tuttavia rimane, e il papà non sa davvero risolverlo.   Ripieghiamo: altra farmacia di turno, fuori città. Ci metteremo un po’, ma almeno non permetterò che mio figlio possa essere messo in pericolo da colui che senz’altro ci pagherà le pensioni. Qui c’è uno spioncino dci venti centimetri per venti, una finestrella che ti fa vedere una stanza vuota e, quando entra, parte della faccia del farmacista di turno. Qui mi azzardo: «scusi… non è che fate lavaggi auricolari? Se non può aprirmi le passo la testa di mio figlio attraverso la finestrella». Sorride. Non ha idea dello sforzo, e dell’umiliazione, che sto vivendo per trovare qualcuno che aiuti mio figlio. È notte inoltrata.   A casa, è tardi. Preghiere, libro, a letto. Quando gli spengo la luce spero tanto che si svegli con il problema risolto automaticamente. Non è così. Discussioni mattutine con la madre. Forse va via da solo, ma bisogna aspettare. Era successo quando eravamo andati alle terme (altro evento svuotato via dalla memoria cache paterna). Va bene.   Sabato mattinata, lavoro, faccio la spesa, commissioni varie, ma il pensiero mi tarantola. Cosa sto facendo? Lo lascio lì, mio figlio, con un malanno addosso? Ma che roba è?   Il giorno dopo avrebbe avuto il capitolo finale di una delle cose più fondamentali dell’universo, il minibasket. Cosa fa, va in campo e non sente le indicazioni dell’allenatrice? Poco dopo, ci sarebbe un ulteriore evento determinante: esame di passaggio di cintura a judo. Il lettore di Renovatio 21 sa che, nel mondo moderno che ha programmaticamente cancellato ogni forma di iniziazione maschile (con il risultato di generazioni di drogati ed omosessuali), il genitore deve attaccarsi allo sport, surrogato della caccia e della guerra, per ogni briciola iniziatica di sviluppo spirituale possibile.   È così che prendo la decisione più dura: vado a Canossa. Cioè, torno in ospedale. Piano E. Va bene, farò la fila al triage del Pronto Soccorso adulto, quella dove rischiavo di morire soffocato l’anno passato, è per il bene di mio figlio. E poi magari a quest’ora non c’è nessuno, ci mandano subito al pediatrico, e zac, problema risolto, assieme alla mia dissonanza cognitiva di padre che non riesce a trovare, in tutto il sistema, una persona in grado di mettere un po’ di acqua nell’orecchio di un bambino.   Muniti di una Nintendo Switch strategica – per cui la noia me la ciuccio via io, mentre lui seduto gioca a Zelda o Capitan Tsubasa – ci ripresentiamo al Pronto Soccorso, e – colpo di fortuna! Alè! – non v’è nessuno. Subito al bancone, dove però l’infermiera ci mette un po’ a guardarci in faccia. Quando lo fa, dobbiamo rispiegare tutto, ma va bene, siamo vicini alla meta, l’orecchio stappato è dietro l’angolo. Scatta il braccialetto con codice a barre distopico. Evvai. Ampie falcate verso il Pronto Soccorso pediatrico, cioè verso la tanto attesa liberazione auricolare.   Eccoci: le infermiere pediatriche sono appollaiate nei consueti capannelli a reparto praticamente vuoto. Ripeti tutta la storia. Poi le domande importanti. Salute? Sì, sempre in salute. Allergie? No, nessuna. Vaccini?   «No».   «Dico, i vaccini pediatrici normali…», precisa lei. No, nemmeno uno.   L’infermiera esita, si irrigidisce un pochino, vedo. Poi chiede di possibili allergie di farmaci. No. Io ribadisco che vorrei solo, compatibilmente con i loro tempi e le emergenze, che lavassero l’orecchio di mio figlio. Lei chiama una collega più giovane, che, mascherata, mi dice perentoria: ma no, qui non facciamo lavaggi d’orecchio, ci mancherebbe, e poi sono lì per le emergenze… Non c’è nessuno, dico io. «Non possiamo fare questa cosa», dice. Va bene, dico, ma c’è un dottore, in questo momento? Ne hanno disponibili addirittura due, mi informa, e io penso il silenzio del reparto vuoto è tale che probabilmente stanno pure ascoltando direttamente la conversazione.   Le dottoresse, continua l’infermiera mascherinata, al massimo possono vedere il bambino.   A quel punto mi indurisco io: scusi, siamo già stati in guardia medica, abbiamo il referto, cinque secondi di otoscopio hanno confermato che il bambino ha solo un tappo, nient’altro. A questo punto, se non è possibile fare altro, noi andiamo, stiamo perdendo tempo noi, facendone perdere anche a voi.   «È libero di farlo. Metteremo “non risponde alla chiamata”». Chiamata de che? Praticamente ci siamo solo noi. E quindi, pagherò il ticket anche senza ottenere nulla? «Sì certo, arriverà a casa». Nella mia testa, mentre il fastidio tocca vette stratosferiche, si fa largo anche la prospettiva che poi, da qualche parte resterà il fatto che porto mio figlio all’ospedale e poi però spariamo. Sapete: quel tipo di cosa che poi può essere usato contro di te quando magari le istituzioni cercano materia per darti addosso – chi conosce la storia dell’antivaccinismo in Italia sa di cosa parlo.

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Per cui, eccoci con le mani legate (da un braccialetto con codice a barre). La chiamata però è, come intuibile, immediata. Nell’ambulatorio c’è una dottoressa semi-meridionale, anche gentile, con uno stuolo di infermiere che vanno e vengono dalle porte. C’è la possibilità che si consumi l’atto di umanità, e la dottoressa levi il tappo di cerume a mio figlio? No. «Non sono cose che facciamo. Le fa l’otorinolaringoiatra». Quindi, ci mandate di sopra, in otorinolaringoiatria, chiedo. «No, non si può. L’otorino il sabato e la domenica c’è solo al mattino fino a mezzogiorno. È andato via poche ore fa. Non è che possiamo richiamarlo per un orecchio tappato».   Io non replico nulla, continuo semplicemente a concentrare il mio sentimento guardandola dritta negli occhi. Ad un certo punto, per un istante brevissimo, sento che anche lei capisce quanto la situazione sia grottesca, e toglie lo sguardo. Forse solo per un attimo, nella sua mente può essersi fatto largo il pensiero che il suo lavoro, anzi il suo compito, la sua missione, è diverso dal passare le carte, dal fare solo ciò che è demandato burocraticamente?   Forse. Io però ad un certo punto obietto, sia pure con una certa calma: «dottoressa, quindi, mi vuole dire che, tra le migliaia di dottori e infermieri che lavorano in questo ospedale, non c’è nessuno che può fare un lavaggio all’orecchio di mio figlio?». No, mi dice, bisogna sentire l’otorino, che non c’è. Ecco, potete venire domani mattina, se e quando avrà tempo, vi seguirà lui. Queste sono le carte.   Usciamo anche da questo ennesimo capitolo di tritacarne buro-sanitario sconfitti. Nessuno, nell’universo provinciale di dottori, infermieri, farmacisti, vuole aiutarci, nemmeno con un’inezia come un lavaggio d’orecchio – non è (più) suo compito, punto.   SMS alla madre, che era già disillusa. «Tornate a casa… lo sapevamo». Io però non ho intenzione di mollare, e quindi ragiono: quello che ci serve non è un medico, né un sanitario, uno specialista, nulla. No: dobbiamo solo trovare, qui dentro, una persona rimasta umana. Dobbiamo trovare qualcuno che si ricorda che ha giurato per Ippocrate, e non per il CUP. Qualcuno che vede un bambino mogio e, invece, di compilare scartoffie per mandarlo via, lo aiuta.   Piano F, Mission Impossibile: trovare umanità residua, in ospedale? È l’ultima cosa da fare, l’extrema ratio a cui giungere: la ricerca della persona umana. Saltare i canali istituzionali, l’imbuto della burocrazia sanitaria, e parlare faccia a faccia con un essere umano non divorato dalla macchina.   Quindi, ascensore. Reparto Otorinolaringoiatria, dritti – e pazienza se mi hanno detto che il dottore non c’è: una laurea non è la sostanza che stiamo cercando in questo momento. Arriviamo, ho il bambino per mano: c’è silenzio, ma capisco che sono tutti impegnati. In una saletta-ambulatorio c’è un tizio seduto ad una scrivania che parla con uno in piedi, immagino siano dottore ed infermiere, non so, faccio sempre fatica a distinguerli, forse è un effetto voluto, come la sparizione delle suore dagli ospedali.   Mi guardano, ma non si curano, non stanno chiacchierando, ma discutendo operativamente. Io, per cortesia, non li interrompo. So che per la cosa che devo chiedere non devo sembrare scortese, perché ho capito quanto questa quisquilia sia contra legem, quanto l’elasticità della medicina sia totalmente perduta. Non insisto, ma persisto, aspetto fuori dalla porta.   Arriva una vecchia infermiera: «scusi… ha bisogno?» Le spiego tutto. Vorrei solo un lavaggio d’orecchio per questo bambino. «Ma è stato in Pronto Soccorso pediatrico?»… «Veniamo da lì. Ci hanno dato appuntamento qui per domani. In realtà io mi chiedevo se non ci fosse qualcuno in grado di farlo ora… Signora, sono due giorni che giro come una palla da flipper» Mentre mi esce questa similitudine mai venutami prima, sento che, in questo contesto, le mie parole, anche nella volontà di non lasciar trasparire nessun fastidio, possono suonare come pura sfacciataggine. Ma come, senza prenotazione? Ma come, fuori orario così?   «Senta, in realtà il dottore è ancora qui… è molto impegnato però… doveva andare via ore fa. Io non le assicuro nulla, se posso glielo chiedo, vediamo cosa dice. Lei aspetti qui». Mi si apre il cuore: «signora, quello che sta facendo per noi è già ora molto di più quello che ha fatto una dozzina di suoi colleghi nelle ultime ore».

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Il ragionamento era giusto: un essere umano in ospedale ancora esisteva. Ora bisognava vedere se questa sua umanità era condivisa con il suo superiore: cosa non impossibile, perché bonun sui diffusivum, diceva San Tommaso, il bene si espande, la carità è contagiosa. Aspetto in piedi sulla porta, il bambino lo metto seduto con i videogiochi. In reparto lavoro ne avevano: torme di pazienti con il naso fasciato escono dalle camere durante l’orario di visita, ad un certo punto vedo una ragazza che crolla al suolo, non so se per scherzo, mentre famigliari e infermieri turbinano attorno a lei. Un sabato pomeriggio intenso, e io sono lì sono per uno stupido tappo all’orecchio, in effetti.   Arriva, infine, la tanto agognata notizia: vedo l’infermiera buona che parla in fondo al corridoio con il dottore, che è proprio quello che prima stava alla scrivania. Vengono verso di me, lui mi dice che va bene, è tardi, ma facciamolo. Piazzano il bambino su una sedia accanto ad una macchina complicata, che in realtà è uno spruzzo per le orecchie professionale, montato però in modo che il tubicino non arriva benissimo (quanto lo usano…?).   Entrano in sala, dal nulla, altre quattro infermiere, ognuna tiene qualcosa. Il dottore va di otoscopio e conferma: tappone sul destro, tappino, pure, sul sinistro. Zum, acqua nell’orecchio, gli occhietti chiusi in una smorfia di dolore. Salta fuori una roba nera gigantesca, tra inni esultanti delle infermiere.  
  Per il sinistro è più difficile, il dottore chiede uno strumento con un cognome francese – pinza di Villot? Boh! – che nessuna delle astanti sa cosa sia. Se lo trova lui, un ferretto ansato. Due colpetti dentro al padiglione auricolare, tra smorfie di estemporaneo dolore vero del bambino. Acqua: salta un altro tappo, più chiaro, che nuota sconfitto nella bacinella metallica. Altri versi esultanti delle infermiere.   Fatto. Durata del tutto: meno, molto meno di cinque minuti. Difficoltà dell’operazione: inesistente – ma riconosco il bonus ricevuto dall’estrema professionalità dello specialista. Il quale giunge infine alla tremenda realizzazione… non ci sono le carte adeguate… «quindi non posso scrivere niente?» No, però ha aiutato il bambino. E suo padre. Grazie. Grazie infinite.   Il piccolo, come nuovo. Quel senso di liberazione lo conosco bene: sono io, del resto, che probabilmente gli ho trasmesso geneticamente, o chissà in che altro modo, quel problema. Il sabato pomeriggio è andato totalmente (con tutta la sera del venerdì), e lui rifiuta pure di suggellare la vittoria con il gelato: è un bambino tanto bravo, i dolci li mangia solo raramente, e solo quando ne ha davvero voglia.   Io ho modo di elaborare sull’accaduto: sì, come sapevo, la classe medica è cambiata, in nessun modo sente la necessità di aiutare il prossimo, come prevedeva il giuramento di Ippocrate. Non è avvenuto tutto di colpo: giurare di «non somministrare farmaci mortali o suggerire consigli tali, né fornire medicinali abortivi» e poi lavorare tra 194, RU486, vaccini, psicofarmaci, eutanasia, predazione degli organi, non è conciliabile.   Tuttavia, capiamo come la pandemia abbia completato la trasformazione: il dottore è esecutore, lo si può vedere solo tramite interfaccia informatica (quando lo si vede: basta una mail, e ti trovi il farmaco prescritto in farmacia, senza neanche risposta), e una sua eventuale dissidenza, in scienza e coscienza, rispetto alla vulgata dominante è punita draconianamente: radiazione, penale, pubblico ludibrio.   Se la professione medica si automatizza, non possiamo aspettarci che essa tratti i pazienti anzitutto come esseri umani. Giocoforza, la sanità odierna, con i suoi dogmi e i suoi computer, i codici a barre e l’ultra-specialismo, i farmaci non testati e la fine del consenso informato, non può che essere un processo disumanizzante.   Non sono concetti astratti, analisi bioetiche da accademia: è la vostra realtà presente, è ciò che c’è dietro ad un’odissea sfiancante per trovare qualcuno che, semplicemente, faccia un lavaggio auricolare ad un bambino.   Ora, tremiamo davanti all’imbuto che la Sanità dell’impero della Necrocultura mette davanti a chiunque ha un problema ben più grave. E vibriamo di rabbia quando pensiamo che tale problema può essere stato causato dal problema stesso. Che il danno iatrogeno sia in realtà diffuso al punto da rendere insostenibile la società nel suo insieme.   Non si tratta di una questione di poco conto. La ridefinizione totale del sistema sanitario ridotto ad apparato di dolore e morte, pena l’implosione sua e della civiltà, è la sfida più grande che ogni partito politico raziocinante, ogni essere umano rimasto tale, deve intraprendere.   Perché, ne ho dimostrazione materiale, questa macchina disumana è qualcosa che non possiamo permetterci vedere inflitta sui nostri figli.   Roberto Dal Bosco

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Sanità

Kennedy annuncia un piano per creare un’alternativa all’OMS con USA e Argentina

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Il Segretario del Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani (HHS) degli Stati Uniti, Robert F. Kennedy Jr., e il suo omologo argentino, il ministro della Salute Mario Lugones, hanno firmato una dichiarazione congiunta in cui ribadiscono che entrambi i loro Paesi si stanno ritirando dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, svelando al contempo i piani per istituire un sistema sanitario internazionale alternativo.

 

«Ho avuto un incontro meraviglioso con il Presidente argentino Milei in merito al ritiro reciproco dei nostri paesi dall’OMS e alla creazione di un sistema sanitario internazionale alternativo basato su standard scientifici di eccellenza e libero da impulsi totalitari, corruzione e controllo politico» ha scritto Kennedy su X.

 

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A gennaio, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato che avrebbe ritirato gli Stati Uniti dall’OMS «a causa della cattiva gestione da parte dell’organizzazione della pandemia di COVID-19 scoppiata a Wuhan, in Cina, e di altre crisi sanitarie globali, della sua incapacità di adottare riforme urgenti e della sua incapacità di dimostrare indipendenza dall’inappropriata influenza politica degli stati membri dell’OMS».

 

Durante un discorso alla 78ª Assemblea mondiale della sanità, tenutasi a Ginevra il 20 maggio, Kennedy ha giustificato la decisione del presidente, affermando che «non solo l’OMS ha ceduto alle pressioni politiche della Cina, ma non è nemmeno riuscita a mantenere un’organizzazione caratterizzata da trasparenza e governance equa da parte e per i suoi Stati membri».

 

«L’OMS spesso agisce come se avesse dimenticato che i suoi membri devono rispondere ai propri cittadini e non agli interessi transnazionali o aziendali», ha aggiunto.

 

 

Allo stesso modo, in un altro post su X, Kennedy ha dichiarato che «come molte istituzioni tradizionali, l’OMS è impantanata in un eccesso burocratico, paradigmi radicati, conflitti di interesse e politiche di potere internazionali. Mentre storicamente gli Stati Uniti hanno fornito la maggior parte dei finanziamenti all’organizzazione, altri Paesi come la Cina hanno esercitato un’influenza indebita sulle sue attività, in modi che servivano i propri interessi e non particolarmente quelli dell’opinione pubblica globale».

 

«La cooperazione globale in materia di salute è ancora di fondamentale importanza per il presidente degli Stati Uniti e per me, ma non sta funzionando molto bene sotto l’OMS, come dimostrano i fallimenti dell’era COVID. Esorto i ministri della salute di tutto il mondo e l’OMS a considerare il nostro ritiro dall’organizzazione come un campanello d’allarme».

 

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Come riportato da Renovatio 21, Kennedy la settimana scorsa ha definito l’OMS come un organizzo compromesso e sottomesso alla Cina.

 

Nella dichiarazione congiunta argentino-statunitense si legge:

 

«La gestione della pandemia di COVID-19 da parte dell’OMS ha evidenziato gravi carenze strutturali e operative che hanno minato la fiducia globale e hanno evidenziato l’urgente necessità di una leadership indipendente e scientifica in materia di salute globale» scrive la dichiarazione congiunta».

 

«Esistono preoccupazioni ben documentate riguardo alla gestione precoce della pandemia e ai rischi associati ad alcuni tipi di ricerca. Invece di garantire una trasparenza tempestiva, l’OMS non è riuscita a fornire un accesso cruciale alle informazioni, compromettendo la capacità dei Paesi di agire rapidamente ed efficacemente, con conseguenze globali devastanti».

 

«L’assenza di riforme significative, le richieste finanziarie sproporzionate e la crescente politicizzazione dell’organizzazione hanno infine spinto gli Stati Uniti e l’Argentina a ritirarsi dall’OMS. L’organizzazione si è allontanata dalla sua missione fondante, diventando sempre più dipendente da contributi volontari e vulnerabile all’influenza di programmi non scientifici. Questa deviazione ha distolto l’attenzione dall’affrontare le reali minacce per la salute pubblica».

 

«Il ritiro segna l’inizio di un nuovo percorso: verso la costruzione di un moderno modello di cooperazione sanitaria globale fondato su integrità scientifica, trasparenza, sovranità e responsabilità. Il nostro impegno comune è rivolto a interventi di sanità pubblica economicamente vantaggiosi e basati sull’evidenza scientifica, che diano priorità alla prevenzione, soprattutto nei bambini, affrontando le cause profonde come le tossine ambientali, le carenze nutrizionali e il mancato rispetto degli standard di sicurezza alimentare».

 

«L’iniziativa statunitense “Make America Healthy Again” sta già mostrando progressi storici. Approfondire la collaborazione con partner che condividono questi principi stimolerà l’innovazione, ridurrà i costi e contribuirà a costruire un futuro più solido e sano. Il governo argentino, da parte sua, ha ereditato un sistema sanitario devastato e sta ora compiendo rapidi progressi nella sua ricostruzione e nel suo rafforzamento, con una rinnovata attenzione alla trasparenza e alla qualità dell’assistenza per tutti i cittadini».

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«Le reali minacce per la salute richiedono urgenza e una scienza di riferimento. Sotto la presidenza di Donald J. Trump, gli Stati Uniti stanno ripristinando un approccio sovrano e orientato ai risultati, che pone le persone al di sopra della politica. Allo stesso modo, l’Argentina sostiene sistemi sanitari pubblici radicati nell’autonomia, nella trasparenza, nell’innovazione e nel rigore scientifico».

 

«Non possiamo più sostenere un sistema che non riesce a proteggere la nostra gente o a rispettare il suo mandato. Stati Uniti e Argentina invitano tutte le nazioni impegnate nell’integrità scientifica, nella trasparenza e nella difesa della dignità umana a unirsi a noi per dare forma a una nuova era di cooperazione sanitaria globale, incentrata sui risultati, sulla sovranità e su un futuro più sicuro per tutti».

 

Lo sviluppo arriva mentre vari Paesi hanno firmato il Trattato Pandemico OMS, che di fatto erode la sovranità di popoli e nazioni sottomettendoli ad imperativi sanitari. L’Italia si è astenuta dal voto, ma ci si chiede perché mai non abbia votato contro.

 

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