Geopolitica
Seymour Hersh: più della metà della popolazione mondiale sostiene la Russia
La maggioranza delle persone in tutto il mondo è dalla parte della Russia in relazione al suo conflitto con l’Ucraina, mentre l’influenza degli Stati Uniti nell’arena internazionale è in declino, ha affermato il giornalista premio Pulitzer Seymour Hersh.
«La percentuale, in particolare dei paesi dell’Africa, dell’Asia centrale e dell’Asia meridionale, che è passata dall’essere filo-americana a essere filo-russa, è davvero piuttosto drammatica», ha osservato durante un’intervista con l’ex deputato britannico George Galloway, pubblicata su YouTube su Domenica.
«Molto più della metà della popolazione mondiale sostiene la Russia nella guerra e non gli Stati Uniti. Non è mai stato così», ha detto Hersh.
Washington ha «perso così tanta credibilità in tutto il mondo» a causa del conflitto in Ucraina, ha affermato il giornalista vincitore del Premio Pulitzer, che è tornato sotto i riflettori a febbraio quando ha pubblicato un articolo bomba che accusava gli Stati Uniti di aver sabotato gli oleodotti russo-tedeschi Nord Stream.
Secondo Hersh, un esempio del declino dell’influenza degli Stati Uniti è il riavvicinamento tra gli ex rivali storici dell’Arabia Saudita e dell’Iran, iniziato a marzo.
«È successo a causa… dell’Ucraina e dell’antipatia per la guerra» ed è stato un «grosso colpo» per le persone dell’amministrazione Biden, che «odiano» l’Iran, ha detto.
Come risultato della ricucitura dei legami tra Teheran e Riyadh, «avremo un accordo nello Yemen che noi – in America – non potremmo mai ottenere. Stiamo per essere espulsi», ha aggiunto l’86enne decano del giornalismo d’inchiesta.
I sondaggi mostrano che il sostegno al coinvolgimento di Washington in Ucraina sta diminuendo negli Stati Uniti mentre le persone diventano sempre più preoccupate per il suo costo economico, ha detto Hersh.
«L’America ha speso qualcosa come 140 miliardi di dollari in questa guerra in un momento in cui a 15 milioni di americani è stata tolta l’assistenza sanitaria gratuita da questa amministrazione. Voglio dire, quello che sta succedendo in America è semplicemente oltraggioso», ha aggiunto.
Il giornalista ha espresso la convinzione che la tanto attesa controffensiva dell’Ucraina sia «destinata a fallire», poiché le unità militari di Kiev hanno tutte addestramento, armi e comandanti diversi e sembrano incapaci di lavorare insieme in modo efficiente.
Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden sembra pensare che il conflitto in Ucraina «sia un biglietto per essere rieletto. E mi sembra che qui in America ci aspettano dei veri problemi politici», ha preconizzato lo Hersh.
Come riportato da Renovatio 21, lo scoop di Hersh sulla mano americana dietro la distruzione del Nord Stream è stato etichettato come «falsa informazione» da Facebook, che poi ha però fatto rientrare la segnalazione.
Secondo Hersh, l’atto terroristico condotto contro il gasdotto segnerà di fatto la fine della NATO, la quale ha di fatto provocato la guerra per mantenere la Germania nella sua orbita, ha dichiarato in una intervista di inizio anno alla TV cinese.
Hersh non si è tirato indietro quando si è trattato di parlare della corruzione del regime Zelens’kyj, facendo nomi e cifre, e aggiungendo di aver sentito che al presidente ex comico ucraino sarebbe stata offerta l’opzione di essere esiliato nella sua villa sulla costa Toscana.
Intervistato dai media russi, ad aprile il grande giornalista statunitense aveva dichiarato che l’Occidente è a conoscenza del fatto che le armi inviate in Ucraina finiscono al mercato nero.
A Hersh si devono, in sessanta e passa anni di carriera da reporter, scoop di portata colossale, partendo da quelli che pubblicò come inviato in Vietnam. Nel 2011 lo Hersh, che è forte di fonti di rilievo dell’Intelligence che ha sempre coperto con il massimo riserbo, mise in dubbio la versione ufficiale sulla morte di Bin Laden, scrivendo che la storia propalata da Obama (e Biden) era interamente falsa.
Immagini di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
Geopolitica
Turchia, effigie di Netanyahu appesa a una gru: «pena di morte»
Un’effigie raffigurante il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è stata avvistata appesa a una gru edile nel Nord-Est della Turchia, suscitando forte indignazione in Israele.
Secondo la stampa turca, l’episodio si è verificato sabato in un cantiere nella città di Trebisonda, sul Mar Nero. L’iniziativa sarebbe stata organizzata da Kemal Saglam, docente di comunicazione visiva presso un’università locale. Saglam ha dichiarato ai media turchi che il gesto aveva un intento simbolico, volto a denunciare le violazioni dei diritti umani a Gaza.
Le immagini, diffuse viralmente e riportate anche dal quotidiano turco Yeni Safak, mostrano la figura sospesa alla gru, accompagnata da uno striscione con la scritta: «Pena di morte per Netanyahu».
Il ministero degli Esteri israeliano, tramite un post su X, ha condiviso un video dell’incidente, accusando un accademico turco di aver creato l’effigie «con il fiero sostegno di un’azienda statale». Il ministero ha condannato l’atto, sottolineando che «le autorità turche non hanno denunciato questo comportamento scandaloso».
Turkish academic creates model of hanged 🇮🇱PM Netanyahu, with a “Death Penalty” sign. Proudly aided by a state company.
Turkish authorities have not disavowed this disgraceful behavior.
In Erdoğan’s Turkey, hatred & antisemitism isn’t condemned. It’s celebrated. pic.twitter.com/19MALpzEEW
— Israel Foreign Ministry (@IsraelMFA) October 26, 2025
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Le autorità turche non hanno ancora fornito una risposta ufficiale.
I rapporti diplomatici tra Israele e Turchia sono tesi da anni e si sono ulteriormente deteriorati dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023. Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha accusato Netanyahu di aver commesso un «genocidio» a Gaza.
La Turchia, unendosi agli altri Paesi che hanno portato il caso al tribunale dell’Aia, ha accusato Israele di aver commesso un genocidio a Gaza. Il presidente Recep Tayyip Erdogan in precedenza aveva definito il primo ministro Benjamin Netanyahu «il macellaio di Gaza», suggerendo a un certo punto – in una reductio ad Hitlerum che è andata in crescendo, con contagio internazionale – che la portata dei suoi crimini di guerra superasse quelli commessi dal cancelliere della Germania nazionalsocialista Adolfo Hitlerro.
Nel 2023 la Turchia ha richiamato il suo ambasciatore da Israele e nel 2024 ha interrotto tutti i rapporti diplomatici. Mesi fa Ankara aveva dichiarato che Israele costituisce una «minaccia per la pace in Siria». Erdogan ha più volte chiesto un’alleanza dei Paesi islamici contro Israele.
Come riportato da Renovatio 21, i turchi hanno guidato gli sforzi per far sospendere Israele all’Assemblea generale ONU. L’anno scorso il presidente turco aveva dichiarato che le Nazioni Unite dovrebbero consentire l’uso della forza contro lo Stato degli ebrei.
Un anno fa Erdogan aveva ventilato l’ipotesi che la Turchia potesse invadere Israele.
La Turchia ha avuto un ruolo attivo nei recenti negoziati per il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi, con diversi rapporti che indicano come l’influenza di Ankara su Hamas abbia facilitato il rilascio degli ostaggi nell’ambito del piano in 20 punti del presidente statunitense Donald Trump.
Venerdì, Erdogan ha dichiarato alla stampa che gli Stati Uniti dovrebbero intensificare le pressioni su Israele, anche attraverso sanzioni e divieti sulla vendita di armi, per garantire il rispetto degli impegni presi nel piano di Trump.
Domenica, Netanyahu ha annunciato che Israele deciderà quali forze straniere potranno partecipare alla missione internazionale proposta per Gaza, prevista dal piano di Trump per garantire il cessate il fuoco. La settimana precedente, aveva lasciato intendere che si sarebbe opposto a qualsiasi coinvolgimento delle forze di sicurezza turche a Gaza.
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Immagine screenshot da Twitter; modificata
Droga
Trump punta ad attaccare le «strutture della cocaina» in Venezuela
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Geopolitica
Thailandia e Cambogia firmano alla Casa Bianca un accordo di cessate il fuoco
Cambogia e Thailandia hanno siglato un accordo di cessate il fuoco ampliato per porre fine a un violento conflitto di confine scoppiato a inizio anno. La cerimonia di firma, tenutasi domenica, è stata presieduta dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che aveva mediato la tregua iniziale.
Le tensioni storiche tra i due Paesi del Sud-est asiatico, originate da dispute territoriali di epoca coloniale, sono esplose a luglio con cinque giorni di scontri armati, che hanno spinto centinaia di migliaia di persone a fuggire dalla zona di confine. Un incontro ospitato dalla Malesia aveva portato a una prima tregua, segnando l’inizio della de-escalation.
Trump ha dichiarato di aver sfruttato i negoziati commerciali con entrambi i paesi per favorire una riduzione delle tensioni.
HISTORIC PEACE BETWEEN THAILAND & CAMBODIA.
President Trump and Malaysia’s Prime Minister Anwar Ibrahim hosted the Prime Ministers of Thailand and Cambodia for the signing of the ‘Kuala Lumpur Peace Accords’—a historic peace declaration. pic.twitter.com/BZRJ2b2KLY
— The White House (@WhiteHouse) October 26, 2025
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Durante il 47° vertice dell’ASEAN in Malesia, il primo ministro cambogiano Hun Manet e il primo ministro thailandese Anutin Charnvirakul hanno firmato l’accordo, che amplia la tregua di luglio.
Il documento stabilisce un piano per ridurre le tensioni e assicurare una pace stabile al confine, prevedendo il rilascio di 18 soldati cambogiani prigionieri da parte della Thailandia, il ritiro delle armi pesanti, l’avvio di operazioni di sminamento e il contrasto alle attività illegali transfrontaliere.
Dopo la firma, il primo ministro thailandese ha annunciato l’immediato ritiro delle armi dal confine e il rilascio dei prigionieri di guerra cambogiani, insieme a un’intesa commerciale congiunta. Il primo ministro cambogiano ha lodato l’accordo, impegnandosi a rispettarlo e ringraziando Trump per il suo ruolo, proponendolo come candidato al Premio Nobel per la Pace del prossimo anno.
Trump ha definito l’accordo «monumentale» e «storico», sottolineando il suo contributo e descrivendo la mediazione di pace come «quasi un hobby». Dopo la cerimonia, ha firmato un accordo commerciale con la Cambogia e un importante patto minerario con la Thailandia.
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