Cina
Proteste contro le dighe cinesi in Tibet: Pechino procede con i progetti
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
I monaci tibetani scesi in piazza contro le autorità cinesi sono stati arrestati e maltrattati durante la detenzione. Secondo il piano di costruzione della centrale idroelettrica verranno sommersi due villaggi e sei monasteri, ragione per cui Pechino ha inviato un ordine di trasferimento alla popolazione locale a cui i residenti si oppongono.
La polizia cinese ha iniziato gli interrogatori dei tibetani arrestati nel corso del weekend per aver protestato contro la costruzione di una diga nella contea di Dege, nella provincia cinese del Sichuan al confine con il Tibet.
I detenuti – sia monaci che residenti locali – sono stati «schiaffeggiati e picchiati duramente ogni volta che si rifiutavano di rispondere a domande importanti», ha detto a Radio Free Asia (RFA) una fonte anonima. «Molti hanno dovuto essere portati in ospedale» e altri «sono svenuti a causa della mancanza di cibo e alle temperature gelide».
I prigionieri (che secondo l’agenzia stampa sarebbero più di 1.000) sono trattenuti in diversi centri di detenzione, hanno continuato le fonti anonime. Nel frattempo, con la reintroduzione delle misure già utilizzate durante la pandemia da covid-19, è stato vietato alla popolazione di abbandonare le proprie abitazioni.
Disturbing reports emerge as Chinese authorities conduct mass arrests of Tibetan monks & locals in Dege County. They were peacefully appealing against monastery demolitions & pleading to halt a dam project on the Drichu River. #Tibet
Video: RFA Tibetan @UnderSecStateJ @degewa pic.twitter.com/GkPm9drie2— Kalsang Jigme བོད། 📷 (@kalsang_jigme) February 22, 2024
#BREAKING
China claims religious freedom in Tibet, but the reality tells a different story. Monks and nuns in Dege County(སྡེ་དགེ།) are in tears, pleading to halt the dam project on the Drichu River(འབྲི་ཆུ།), jeopardizing 6 monasteries. #Tibet #ReligiousFreedom #Safetibet pic.twitter.com/7y5Lb3QJ4O— Lobsang བློ་བཟང་དགེ་ལེགས། (@logyal143) February 23, 2024
I monaci e i residenti locali hanno iniziato a protestare pacificamente il 14 febbraio, dopo aver ricevuto da Pechino un ordine di trasferimento forzato dovuto alla costruzione della centrale idroelettrica di Gangtuo (in cinese) o Kamtok (in tibetano), che entrerà in funzione nel 2026. Affinché il progetto sia ultimato, i villaggi di Upper Wonto e Shipa, che ospitano circa 2 mila tibetani, e sei monasteri (di cui tre sorgono nella contea di Dege e altri tre nella municipalità di Chamdo) devono essere demoliti, altrimenti verranno sommersi dalle acque.
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Diversi video circolati online mostrano i monaci prostrarsi davanti alle autorità cinesi (un gesto che i tibetani considerano «terribile»), chiedendo di rivedere la decisione e fermare la demolizione dei luoghi di culto. In particolare, i monasteri di Wonto (al cui interno si trovano preziose pareti dipinte risalenti al XIII secolo) e di Yena, i più vicini al sito di costruzione, ospitano circa 300 monaci e hanno un importante valore religioso e culturale per i tibetani del luogo.
Pechino non sembra però intenzionata a fermare il progetto. La centrale idroelettrica di Gangtuo/Kamtok, da 2.240 megawatt, sorge lungo un tratto superiore del fiume Yangtze (chiamato Drichu in tibetano e Jinsha in cinese), e fa a sua volta parte di un piano più ampio approvato dalla Commissione nazionale per lo sviluppo e le riforme, che ha previsto la costruzione di decine di stazioni idroelettriche tra le più grandi al mondo nell’area protetta dei Tre Fiumi Paralleli, lo Yangtze, il Mekong e il Salween, che scorrono tra il Sichuan, lo Yunnan e il Tibet, dove hanno anche la loro origine.
L’area, da tempo presa di mira dalla Cina per la produzione di energia pulita, è però anche una riserva naturale tutelata dall’UNESCO. Secondo i gruppi per la difesa del Tibet, Pechino ha approvato la costruzione delle dighe inviando all’agenzia dell’ONU informazioni parziali riguardo i possibili danni ambientali.
Tuttavia, i reclami della popolazione locale o degli attivisti ambientali sembrano cadere nel vuoto: a inizio dicembre la Cina aveva annunciato di aver completato per il 50% la costruzione della diga di Yebatan, poco più a sud rispetto a quella di Gangtuo.
In base alle dichiarazioni del governo cinese, la centrale, in cui Pechino ha investito oltre 33 miliardi di yuan (4,6 miliardi di dollari), sarà operativa entro la fine del 2025 e servirà allo sviluppo sociale ed economico della regione.
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Cina
Pechino, la Germania e lo scontro sulle spie
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Cina
Il cardinale Parolin conferma che il Vaticano vuole rinnovare l’accordo segreto con la Cina
Il Segretario di Stato del Vaticano, cardinale Pietro Parolin, ha confermato che la Santa Sede intende rinnovare il suo accordo segreto con la Cina comunista entro la fine dell’anno. Lo riporta LifeSiteNews, che cita comunicazioni dirette col segretario di Stato vaticano.
In uno scambio di e-mail con il sito pro-life canadese, Parolin ha affermato che il controverso accordo sino-vaticano che la Santa Sede ha con le autorità comuniste di Pechino sarà rinnovato quest’autunno.
Rispondendo a una domanda di LifeSiteNews che chiedeva se il Vaticano intendesse rinnovare l’accordo, Parolin ha dichiarato che «con riferimento alla tua domanda sull’accordo della Santa Sede con la Cina… speriamo di rinnovarlo».
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«Su questo punto dialoghiamo anche con i nostri interlocutori cinesi», ha aggiunto il cardinale segretario di Stato.
Parolin è segretario di Stato e capo diplomatico del Vaticano dall’ottobre 2013 ed è nel servizio diplomatico della Santa Sede dal 1986. La sua conferma dell’intenzione del Vaticano arriva mentre l’accordo altamente segreto con la Cina è pronto per il suo terzo rinnovo biennale a settembre o ottobre.
Si ritiene che l’accordo ufficialmente segreto riconosca la Chiesa approvata dallo Stato in Cina e consenta al Partito comunista cinese (PCC) di nominare i vescovi. Apparentemente il Papa mantiene il potere di veto, anche se in pratica pare essere il solo PCC ad avere il controllo. Inoltre, presumibilmente, la rimozione dei vescovi legittimi può essere sostituita da vescovi approvati dal PCC.
Parlando nel luglio 2023, Parolin difese la natura segreta dell’accordo, affermando che «il testo è confidenziale perché non è stato ancora approvato definitivamente».
L’accordo, che «ruota attorno al principio fondamentale della consensualità delle decisioni che riguardano i vescovi», si realizza «confidando nella saggezza e nella buona volontà di tutti», ha detto il cardinale.
Nei commenti della scorsa estate, il porporato veneto aveva inoltre difeso l’accordo come mezzo necessario di «dialogo» con le autorità comuniste in Cina.
Papa Francesco e il cardinale Parolin si sono entrambi espressi in difesa dell’accordo, con il Papa che ha affermato prima del suo rinnovo nel 2022 che l’accordo «sta andando bene». In una lettera del 2018 ai cattolici cinesi, Francesco ha descritto l’accordo come la formazione di un «nuovo capitolo della Chiesa cattolica in Cina».
Ma fuori dalle mura del Palazzo Apostolico del Vaticano, le critiche sono arrivate dal clero cattolico, dai sostenitori della libertà e dagli esperti cinesi, scrive LifeSite.
L’accordo altamente segreto sino-vaticano è stato definito dal cardinale emerito di Hong Kong Joseph Zen come un «tradimento incredibile», con l’amato cardinale che accusa ulteriormente il Vaticano di «svendere» i cattolici cinesi. Nel 2018, il presule chiese le dimissioni di Parolin, criticando la sua «resa completa» della Chiesa alle autorità comuniste.
«È un tradimento della vera Chiesa», ha poi detto Zen dell’accordo nel luglio 2020 prima di aggiungere: «non è un episodio isolato. Quella di non offendere il governo cinese è già una politica di lunga data del Vaticano».
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Come noto, il cardinale Zen è sotto processo nell’Hong Kong oramai interamente pechinizzata. In una conferenza stampa aerea, di ritorno da Budapest, Bergoglio aveva di fatto mollato il cardinale cinese, ex arcivescovo di Hong Kong che ha passato la vita a combattere le persecuzioni della Cina comunista e a difendere quei cattolici cinesi «sotterranei» che da quando è in corso l’accordo sino-vaticano, hanno il tremendo timore di essere stati abbandonati dal Vaticano. Zen è sotto processo nella nuova Hong Kong telecomandata da Pechino: l’assenza di mosse del Vaticano per difenderlo ha spinto persino il Parlamento Europeo (!) a chiedere alla Santa Sede di fare qualcosa.
L’inchiostro sull’accordo si era appena asciugato nel 2018 prima che AsiaNews riferisse che «i cattolici (sotterranei) sospettano amaramente che il Vaticano li abbia abbandonati».
Nei quasi sei anni trascorsi dall’attuazione dell’accordo, la persecuzione dei cattolici – in particolare dei cattolici «clandestini» che non accettano la Chiesa controllata dallo Stato – è aumentata in modo evidente.
L’accordo ha portato ad un aumento della persecuzione religiosa, che la Commissione esecutiva del Congresso degli Stati Uniti sulla Cina ha descritto come una conseguenza diretta dell’accordo. Nel suo rapporto del 2020, la Commissione ha scritto che la persecuzione testimoniata è «di un’intensità che non si vedeva dai tempi della Rivoluzione Culturale».
«Tutti i vescovi che rifiutano di aderire all’Associazione patriottica cattolica vengono messi agli arresti domiciliari, o scompaiono, dal PCC», ha detto a LifeSiteNews l’esperto cinese Steven Moser all’inizio di questo mese. «Sebbene il Vaticano abbia affermato diversi anni fa che l’accordo sino-vaticano non richiede che nessuno si unisca a questa organizzazione scismatica, il rifiuto di farlo comporta persecuzioni e punizioni. E il Vaticano resta a guardare e non fa nulla».
Il momento in cui la Santa Sede si è avvicinata di più al riconoscimento delle carenze dell’accordo è stato tramite il suo ministro degli Esteri, l’arcivescovo Paul Gallagher. L’arcivescovo, che funge da segretario vaticano per le relazioni con gli Stati e le organizzazioni internazionali, ha affermato l’anno scorso che l’accordo «non era il migliore accordo possibile» a causa della «controparte».
Proprio il mese scorso, il Gallagherro lo aveva descritto come ancora «un mezzo utile per la Santa Sede e le autorità cinesi per affrontare la questione della nomina dei vescovi», pur ammettendo con molta cautela dei limiti all’accordo. «Abbiamo sempre creduto che ciò sarebbe stato utile», non c’era alcuna «disponibilità o apertura» da parte delle autorità cinesi su questo punto, ha detto lo scorso mese il cardinale britannico.
Una serie di nomine episcopali – fatte mentre sacerdoti vengono torturati – dall’ultimo rinnovo dell’accordo nell’ottobre 2022 hanno evidenziato il primato del potere esercitato da Pechino nell’accordo. In tre occasioni note, tra cui la nomina del nuovo vescovo di Shanghai, il PCC ha nominato nuovi vescovi o li ha assegnati a nuove diocesi, lasciando che il Vaticano si mettesse al passo con gli eventi ed esprimesse la sua frustrazione espressa in termini diplomatici. «Appaiono quindi improbabili nuovi sviluppi nell’accordo a favore del Vaticano» scrive LSN.
Tutto dimostra che il papato del gesuita si è di fatto sottomesso al volere del Dragone.
Nel luglio 2023, il cardinale Parolino aveva dichiarato che la Santa Sede auspica «l’apertura di un ufficio di collegamento stabilito della Santa Sede in Cina» che «non solo favorirebbe il dialogo con le autorità civili ma contribuirebbe anche alla piena riconciliazione all’interno della Chiesa cinese e dei suoi viaggio verso una normalità desiderabile».
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I segni dell’infeudamento della gerarchia cattolica al potere cinese sono visibili da tempo, e appaiono in forme sempre più rivoltanti: un articolo in lingua inglese nel portale internet della Santa Sede sembrava lasciar intendere che le persecuzioni dei cristiani in Cina ad opera del Partito Comunista Cinese sono «presunte».
Come ipotizzato da Renovatio 21, dietro all’accordo sino-vaticano potrebbero esserci ricatti a vari membri del clero: la Cina per un periodo ha disposto dei dati di Grindr, l’app degli incontri omosessuali, dove si dice vi siano immense quantità di consacrati. Da considerare, inoltre, che per lungo tempo il messo per l’accordo con Pechino fu il cardinale Theodore McCarrick, forse la più potente figura cattolica degli USA, noto per lo scandalo relativo non solo ai suoi appetiti omofili (anche con ragazzini) ma alla struttura che vi aveva costruito intorno. McCarrick quando andava in Cina a trattare per la normalizzazione dei rapporti tra Repubblica Popolare e Santa Sede, dormiva in un seminario della Chiesa Patriottica Cinese…
Mentre continuano i cattolici desaparecidos, le delazioni sono incoraggiate e pagate apertamente, il lavaggio del cervello investe quantità di sacerdoti, le suore sono perseguitate e le demolizioni di chiese ed istituti religiosi continua senza requie, il Vaticano invita due vescovi patriottici al Sinodo, e Pechino, come ringraziamento, «ordina» nuovi vescovi senza l’approvazione di Roma – mentre i veri sacerdoti vengono torturati dal governo del Dragone.
Il controverso miliardario cinese Guo Wengui, ora rifugiato negli USA, sostiene che il Vaticano sarebbe corrotto con «1,6 miliardi di dollari l’anno per fermare le critiche alla politica religiosa di Pechino».
Il disastro del gesuita sul trono di Pietro va così. Come abbiamo già detto varie volte: prepariamoci ad ondate di sangue di martiri, che il pontefice attuale non riconosce come semen christianorum.
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