Economia
Il governo USA sta vendendo i Bitcoin di Silk Road

Le autorità del governo degli Stati Uniti ha iniziato a liquidare circa 51.352 bitcoin sequestrati nel caso di Ross Ulbricht, il padrone del famoso marketplace del Dark Web Silk Road, chiuso con il suo arresto oramai una diecina di anni fa. Lo riporta CoinTelegraph citando documenti legali.
Secondo i documenti depositati in tribunale, il 14 marzo i funzionari hanno venduto circa 9.861 bitcoin per oltre 215 milioni di dollari. Del bottino sequestrato a Ulbricht rimarrebbero quindi circa 41.491 bitcoin.
«Il governo comprende che dovrebbe essere liquidato in altri quattro lotti nel corso di questo anno solare», ha affermato il deposito del tribunale parlando del lotto di bitcoin sequestrati a Silk Road.
I documenti provengono dal caso di James Zhong, un individuo che a novembre si era dichiarato colpevole di aver trasmesso accuse di frode relative all’esecuzione di un piano per rubare bitcoin da Silk Road nel 2012.
Le autorità statunitensi hanno sequestrato più di 50.000 bitcoin, per un valore di oltre 3 miliardi di dollari al tempo, dell’abitazione di Zhong in Georgia nel novembre 2021. Si è stato uno dei più grandi sequestri di criptovalute da parte del governo fino al recupero di circa 3,6 miliardi di dollari del febbraio 2022, recuperati in seguito hacking di Bitfinex del 2016.
«Il governo ha appreso dall’IRS Criminal Investigation – Asset Recovery & Investigative Services che il secondo round di liquidazione non sarà venduto prima della data di condanna di Zhong».
Il mercato virtuale Silk Road, chiuso da 10 anni, originariamente consentiva agli utenti di acquistare e vendere merci illecite, tra cui armi e informazioni sulle carte di credito rubate, nonché, soprattutto, droghe di ogni tipo.
Le indagini furono complicate e intricate, e ricche di comportamenti controversi delle autorità, che arrivarono a simulare l’assassinio di un collaboratore di Ulbricht per incastrarlo.
Vi è sempre stato un certo mistero sulla enorme quantità di bitcoin accumulati da Ulbricht negli anni.
Nel 2015 un ex poliziotto sotto copertura è stato condannato a sei anni e mezzo di carcere per aver ricevuto da Silk Road 700.000 dollari in bitcoin. L’agente, che faceva parte dell’indagine della Drug Enforcement Administration (DEA) su Silk Road si è dichiarato colpevole di estorsione, riciclaggio di denaro e ostruzione alla giustizia.
L’agente DEA si atteggiava a spacciatore di droga con legami con sicari per stabilire un contatto con il fondatore di Silk Road Ulbricht. Una volta raggiuntolo, l’agente gli aveva venduto informazioni sulle indagini.
Parallelamente è stato portato davanti al giudice anche un ex agente dei Servizi Segreti USA (il dipartimento che si occupa della sicurezza dei presidenti) connesso alla vicenda.
Ulbricht sta scontando due ergastoli senza possibilità di libertà condizionale.
Non è chiaro l’effetto sul mercato di questa enorme vendita governativa di bitcoin.
È stata avanzata tuttavia la teoria che il governo USA possa aver comprato una grande quantità di bitcoin lo scorso gennaio quando, per la prima volta dopo l’11 settembre, l’intero traffico aereo fu sospeso: stessa cosa accaduta settimane prima nelle Filippine e poi in Canada. Per alcuni si sarebbe potuto trattare di un attacco cibernetico ransomware, per il quale – come avviene altrove – è stato pagato il riscatto richiesto in bitcoin.
Di fatto, in quelle ore, il prezzo del bitcoin era salito di molto.
Come riportato da Renovatio 21, molte figure principali del bitcoin in questi tempi fanno una brutta fine: in galera per crack record, braccati in Montenegro o affogati nell’Oceano. Banchi cripto e criptovalute intere stanno saltando.
Come scritto da Renovatio 21, l’arrivo della CBDC, la moneta virtuale da Banca Centrale (come l’euro digitale in arrivo), rendere impossibile il commercio di criptovalute, in quanto tutta l’economia dovrà essere soggetta alla piattaforma.
Parimenti, anche le banche, diverranno il larga parte obsolete, e saranno disrupted, disintermendiate. Il crollo delle banche in America, Svizzera e Germania di questi giorni è l’assaggio di quello che potrebbe avvenire ovunque.
Ambiente
Il Portogallo accusa la Francia per il blackout

Il Portogallo intende chiedere alla Commissione Europea di fare pressione sulla Francia per le limitate forniture di elettricità da parte di quest’ultima. Lo ha riportato domenica il Financial Times, citando il ministro dell’Energia Maria da Graça Carvalho. La mossa segue il blackout del 28 aprile che ha lasciato milioni di persone in Spagna, Portogallo e in alcune zone della Francia meridionale senza elettricità per un massimo di dieci ore.
Il Portogallo, a quanto pare, incolpa Parigi per non aver completato e ampliato le interconnessioni elettriche critiche con la Spagna – carenze che, secondo Lisbona, hanno aggravato il blackout, limitando il supporto energetico transfrontaliero. L’interruzione di corrente è stata descritta come la più grande nella storia europea recente.
Carvalho sostiene che Bruxelles ha l’autorità di dirimere la questione in base al diritto dell’UE, sottolineando che le deboli interconnessioni tra Francia e Spagna continuano a ostacolare il mercato energetico interno dell’Unione.
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«Coinvolgeremo il presidente della Commissione Europea su questo per garantire che siamo tutti integrati», ha affermato, auspicando una risoluzione. «Questa è una questione europea, non una questione tra i tre Paesi».
Il ministro lusitano ha esortato la Commissione a intervenire qualora il mercato interno fosse compromesso, sottolineando il suo potere di esercitare pressione sulla Francia affinché acceleri i lavori sulle infrastrutture.
La penisola iberica ha uno dei livelli di connettività energetica più bassi dell’UE, ha osservato il Financial Times. I collegamenti elettrici tra Francia e Spagna sono stati automaticamente interrotti per salvaguardare la rete europea più ampia dopo che il sistema spagnolo ha iniziato misteriosamente a cedere durante il grande blackout di tre settimane fa.
All’inizio di questa settimana, il ministro spagnolo per la transizione ecologica, Sara Aagesen, ha dichiarato che un’indagine iniziale aveva rivelato che la reazione a catena delle disconnessioni della rete era stata innescata da guasti alla produzione di energia nelle province di Granada, Badajoz e Siviglia.
Una valutazione tecnica preliminare condotta da Entso-E, l’associazione europea dei gestori dei sistemi di trasmissione, ha segnalato che 2,2 gigawatt di capacità sono andati offline nel sud della Spagna meno di un minuto prima del collasso completo del sistema. Le cause profonde dei guasti alla sottostazione sono ancora in fase di indagine.
Come riportato da Renovatio 21, tre anni fa era stato lanciato l’allarme per possibili blackout in Francia a seguito della serqua di problemi che, d’improvviso, si erano trovate ad affrontare le centrali atomiche francesi.
La vicenda lasciava intravedere la possibilità che la Francia possa mandare in blackout anche l’Italia. L’Italia denuclearizzata importa dalla Francia una certa quantità di energia elettrica (prodotta anche da centrali nucleari, certo), che si pensa attorno al 4-5%. Una situazione complicata dagli sconvolgimenti del settore energetico degli ultimi anni, con l’impennata dei prezzi a seguito della guerra ucraina e la conseguente nazionalizzazione da parte di Parigi della grande azienda energetica nazionale EDF.
Secondo quanto riportato da La Repubblica nel settembre 2022, l’«equilibrio è a rischio perché EDF, il colosso energetico francese che è stato appena nazionalizzato, avrebbe avvisato i gestori della rete italiana della possibilità di bloccare il dispacciamento verso questa sponda delle Alpi nel 2023 e 2024, per privilegiare le esigenze interne» scrive il quotidiano di Largo Fochetti. «La produzione elettrica transalpina dal nucleare è destinata a precipitare ai mini da trent’anni, trasformando Parigi da un esportatore netto di elettricità a un importatore. Un problema che si somma ai ben noti in arrivo in questi mesi da Mosca».
Nel frattempo, in tutto il mondo vediamo la nuova corsa alla costruzione di centrali atomiche. L’Olanda le vuole. La Corea del Sud le vuole. Il Giappone continua a riaccendere le centrali. Gran parte della Germania, pure qualche ministro, vorrebbe tenersela. La Cina va dritta nonostante misteri e disastri appena scampati (in centrali dove ha investito pure Hunter Biden).
Inutile ricordare al lettore chi domina la produzione di energia nucleare, con ampia expertise sulla tecnologia, nel mondo: bravi, la Federazione Russa.
Ricordando sempre che pure Bill Gates, novello Montgomery Burns, sta costruendo una sua centrale atomica in Wyoming. Come riportato da Renovatio 21, la multinazionale di Bill Gates sarebbe dietro l’inaspettata riapertura della centrale atomica di Three Miles Island, il luogo del peggior incidente ad un reattore nella storia degli Stati Uniti, che sembrava essere stata chiusa definitivamente nel 2019. Anche Google, per star dietro alla mostruosa richiesta di energia richiesta dall’Intelligenza Artificiale, sta correndo verso la costruzione di sette piccoli reattori nucleari per alimentare i data center IA.
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L’Italia rimane ferma al referendum di quasi 40 anni fa, quando c’erano ancora i Verdi, un partito tra i tanti (Socialisti, Democristiani, Socialdemocratici, Repubblicani, Liberali) spazzati via pochi anni dopo: il danno fatto, tuttavia, è rimasto con noi, e lo patiremo in modo assai doloroso.
Tra qualche giorno il Paese voterà un nuovo Parlamento: qualcuno ha sentito parlare di nucleare da qualche parte?
Del resto, sappiamo che l’Italia denuclearizzata è un grande affare per il cugino francese. Il quale premia solennemente con Legions d’honeur a raffica personaggi di un dato partito politico maggioritario, che ha inglobato molte delle istanze dei Verdi, e che di fatto si propone come esecutore di quell’Agenda Verde onusiana che tanto piace anche alle élite stile Davos.
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Immagine di Danieltarrino via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
Economia
Il ministro francese incontrerà le aziende di criptovalute dopo il tentativo di rapimento di un dirigente

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En plein Paris, un homme a été violenté par des individus cagoulés, habillés tout en noir. Ils tentaient de l’enlever. Un homme a surgi, extincteur à la main, pour les faire fuir. →https://t.co/P0qV6PR40v pic.twitter.com/9f4r2Gi7ho
— Le Figaro (@Le_Figaro) May 13, 2025
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Economia
Trump interrompe i colloqui sui dazi per la maggior parte dei Paesi

Washington informerà per posta 150 Paesi sui dazi doganali aggiornate con gli Stati Uniti entro le prossime settimane, ha annunciato venerdì il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Non è più possibile incontrare individualmente ogni Paese che cerca un accordo commerciale, ha spiegato.
Il 2 aprile, ribattezzato dal presidente degli Stati Uniti «Giorno della Liberazione», la Casa Bianca ha imposto un dazio base del 10% su tutti i beni importati e supplementi aggiuntivi a paesi come Cina, Messico e Canada, adducendo come causa gli squilibri commerciali.
All’epoca il presidente degli Stati Uniti aveva dichiarato che la Casa Bianca avrebbe negoziato accordi individuali con tutti i suoi partner commerciali nelle settimane successive, ma ora ha lasciato intendere che l’amministrazione stabilirà i termini unilateralmente.
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Intervenendo venerdì a una tavola rotonda economica in Arabia Saudita, Trump ha dichiarato che gli Stati Uniti imporranno nuovi dazi «nelle prossime due o tre settimane». Washington era stata contattata da numerosi governi che chiedevano accordi individuali, ma, ha sottolineato Trump, «non è possibile incontrare il numero di persone che desiderano incontrarci».
«Allo stesso tempo, abbiamo 150 paesi che vogliono raggiungere un accordo», ha affermato.
Trump ha affermato che il segretario al Tesoro Scott Bessent e il segretario al Commercio Howard Lutnick saranno incaricati di inviare lettere in cui saranno specificate le nuove aliquote dei daziche verranno applicate a ciascun Paese.
I nuovi dazi «saranno molto eque, ma diremo alla gente quanto pagherà per fare affari negli Stati Uniti».
Importanti catene di vendita al dettaglio statunitensi come Walmart e Target hanno dichiarato di voler aumentare i prezzi in risposta all’aumento dei costi delle importazioni. Trump ha respinto le preoccupazioni, sostenendo che eventuali aumenti di prezzo saranno limitati e che le aziende si adatteranno riorganizzando le proprie catene di approvvigionamento.
La Casa Bianca non ha ancora reso noto il contenuto delle lettere né i dazi esatti che verranno applicati. Non è inoltre chiaro se ai Paesi verranno fornite tempistiche o condizioni per la modifica dei dazi.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
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