Cervello
L’ameba mangia-cervello si diffonde in America

Secondo un nuovo studio condotto da ricercatori dei Centers for Disease Control and Prevention (CDC), la Naegleria fowleri, meglio conosciuta come «l’ameba mangia-cervello», si sta lentamente facendo strada verso nord dagli Stati Uniti meridionali.
Secondo il sito WordsSideKick.com, il numero effettivo di casi annuali non sta aumentando; è solo che si verificano in un intervallo geografico più ampio.
La Naegleria fowleri, meglio conosciuta come «l’ameba mangia-cervello», si sta lentamente facendo strada verso nord dagli Stati Uniti meridionali
L’organismo unicellulare dietro le infezioni si trova solitamente in corpi caldi di acqua dolce, inclusi laghi e fiumi. Una volta che una persona è stata infettata, un evento estremamente raro che di solito deriva dal nuoto o dall’immersione in acque infette, l’ameba viaggia dal naso al cervello.
Una volta lì, l’organismo può dare il via a una brutta condizione cerebrale chiamata meningoencefalite amebica primaria (PAM). E sì, secondo il CDC, PAM è «solitamente fatale».
Va rilevato che negli ultimi 15 anni, una malattia neurodegenerativa estremamente rara che mangia il cervello umano lasciando buchi è diventata sempre più comune in Giappone, ma il caso PAM statunitense sembra molto diverso.
I numeri sono ancora scarsi: secondo i dati del CDC, negli Stati Uniti sono state segnalate solo 34 infezioni negli ultimi dieci anni.
Il 2020 non è finito, ma nemmeno, viene da pensare, la voglia di terrorizzarci da parte dell’Istituzione sanitaria.
Uno studio CDC pubblicato questa settimana sulla rivista Emerging Infectious Diseases, che ha esaminato i dati CDC dal 1978 al 2018, ha rilevato che i nuovi casi si sono spostati verso nord a circa 8,2 miglia all’anno.
Il 2020 non è finito, ma nemmeno, viene da pensare, la voglia di terrorizzarci da parte dell’Istituzione sanitaria.
Cervello
Paziente Neuralink usa il chip cerebrale per imparare nuove lingue

Il primo paziente umano della società di interfaccia cervello-computer Neuralink sta ottenendo risultati già sette mesi dopo aver impiantato un chip nel cranio.
Noland Arbaugh, che ha perso il controllo degli arti dopo un incidente subacqueo otto anni fa, ha anche un nuovo soprannome per il minuscolo dispositivo a forma di moneta: «Eva».
In un lungo post su X, Arbaugh ha rivelato che trascorre circa tre ore al giorno imparando il francese e il giapponese usando nuova tecnologia. Ha persino «deciso di reimparare la matematica da zero in preparazione per sperare di tornare a scuola un giorno».
Today is seven months since I had my surgery. Here’s a quick update.
Currently
I’m in session with the great staff at Neuralink Monday through Friday for roughly four hours each day.
I’m working on using different body parts and movements for left, right, and middle click.
I’m…— Noland Arbaugh (@ModdedQuad) August 29, 2024
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Al di fuori dei progetti personali, trascorre circa quattro ore al giorno, cinque giorni alla settimana con lo staff di Neuralink, che lo coinvolge «facendo un sacco di esperimenti su base giornaliera per cercare di migliorare tutto per tutti coloro che vengono dopo di me».
Arbaugh aveva impiantato il chip l’anno passato e da allora ha imparato a muovere un cursore con la sua mente, permettendogli anche di giocare ai videogiochi.
Ma mesi dopo l’esperimento, il paziente ha iniziato a perdere gran parte della funzionalità del chip. A tal proposito gli ingegneri di Neuralink hanno scoperto che alcuni dei fili che collegavano il chip al suo cervello si erano ritirati. Fortunatamente, si è riusciti a intervenire apportando modifiche all’algoritmo e recuperando gran parte delle funzionalità.
La società afferma inoltre di aver risolto il problema con il suo secondo paziente umano incorporando i fili ancora più in profondità.
Ora che quasi tutte le funzioni sono state ripristinate, Arbaugh spera di tornare ai suoi studi universitari per terminare il suo percorso e conseguire la laurea o passare alle neuroscienze, dal momento che «potrebbe avere qualche intuizione sul campo a questo punto».
Il soggetto in questione ha grandi speranze per il chip del cervello e le cose che potrebbe permettergli di fare in futuro. In un tweet ha rivelato che «stiamo aspettando l’approvazione della FDA che mi consente di controllare altre macchine fisiche come un’auto, un drone, forse un robot o due o 10.000».
«Qualcosa di fare in modo che sia sicuro…» ha aggiunto scherzosamente.
Come riportato da Renovatio 21, un anno fa Elon Musk disse che il primo paziente Neuralink era giunto a controllare il mouse del computer con i pensieri.
Come riportato da Renovatio 21, negli anni scorsi, in concomitanza con la partenza degli esperimenti sugli esseri umani approvati dall’ente regolatorio americano FDA, era emerso che alle scimmie su cui era stato sperimentato l’impianto erano successe «cose terribili», cosa che Musk ha poi negato.
Neuralink, che aveva iniziato con impianti di microchip cerebrali sui suini, non è la prima azienda ad avviare sperimentazioni umane con un’interfaccia cervello-computer. Nel 2022, la società tecnologica con sede a New York Synchron, finanziata dai miliardari Bill Gates e Jeff Bezos, ha già impiantato il suo primo dispositivo per la lettura della mente in un paziente statunitense in una sperimentazione clinica.
Vi sono altri casi simili di impianti cerebrali che tentano di aiutare pazienti in condizioni estremamente critiche come quello portato avanti dagli scienziati della Stanford University, che consente ad un uomo con le mani paralizzate di poter «digitare» fino a 90 caratteri al minuto, semplicemente pensando alle parole.
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Anche un colosso digitale come Facebook era interessato alla tecnologia del pensiero degli individui.
Chip cerebrali sono stati utilizzati per comandare piante carnivore. Pochi mesi fa è emerso che gli scienziati sono riusciti a far giocare sempre a Pong anche delle cellule cerebrali in vitro.
La trasformazione cibernetica della vita umana è uno dei punto focali del transumanismo, predicato sia da entusiasti della Silicon Valley più o meno innocui che da vertici planetari come il Klaus Schwab, patron del World Economic Forum di Davos, che immagina un mondo dove in aeroporto saranno fatte «scansioni cerebrali» per evitare che il passeggero nutra idee pericolose. «Una fusione della nostra identità fisica, digitale e biologica» dice Klaus Schwab.
Elon Musk si conferma figura davvero significativa, e potenzialmente apocalittica, del nostro tempo.
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Cervello
Chip cerebrali, concorrente di Neuralink ripristina la vista nei pazienti ciechi con impianto oculare

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Cervello
Svelata la causa della morte di San Tommaso d’Aquino?

Un articolo della rivista World Neurosurgery, pubblicato nel numero di febbraio 2024, presenta una ricostruzione medica della causa della morte di san Tommaso d’Aquino, dottore comune della Chiesa, di cui da tre anni celebriamo il triplice anniversario: il 700° anniversario della sua canonizzazione (1323), il 750° anniversario della sua morte (1274) e l’800° anniversario della sua nascita (1225).
Il celebre dottore scolastico, insignito del titolo di «dottore comune» della Chiesa, ebbe una vita breve. Nato nel 1225, morì il 7 marzo 1274, a meno di 50 anni, nell’Abbazia di Fossanova, mentre era in viaggio per il Concilio di Lione su richiesta di papa Gregorio X. Anche se l’aspettativa di vita era inferiore a quella odierna, si trattò di una morte che potremmo definire prematura.
Come in ogni ricerca diagnostica che rispetti le regole, gli autori hanno esaminato innanzitutto l’anamnesi, cioè le informazioni raccolte interrogando il paziente o chi gli sta intorno. In questo caso sono state messe in discussione le fonti storiche per cercare di ricostruire al meglio le circostanze che precedettero la morte del santo dottore.
L’articolo ci informa che tra le fonti principali figurano notizie biografiche di Pietro Calò, Guglielmo da Tocco e Bartolomeo da Capua, scritte alcuni anni dopo la morte del santo. A ciò si aggiungono le testimonianze raccolte durante il processo di canonizzazione. La maggior parte delle fonti risalgono al XIII e XIV secolo.
Gli autori si sono recati anche a Priverno per esaminare uno dei crani attribuiti a San Tommaso d’Aquino. In effetti, un altro cranio, conservato sotto l’altare del convento dei Giacobini a Tolosa, culla dell’Ordine Domenicano, pretende di essere la testa del santo dottore, ma non è stato esaminato. Questo sarà uno degli obiettivi della ricerca futura.
Finora sono state avanzate diverse ipotesi o teorie sulla causa della morte di Tommaso: una grave malattia generale, la morte in seguito a un’estasi mistica e persino un avvelenamento, il cui colpevole è indicato da Dante, nella Divina Commedia, nel re Carlo I di Napoli. Più di recente, i ricercatori hanno preso in considerazione anche il danno cerebrale.
La ricostruzione dimostra che San Tommaso lasciò il convento di Napoli il 28 gennaio 1274, prendendo la Via Latina verso Roma, percorso che gli consentì di passare per Maenza, dove risiedeva la nipote del santo. Fu allora, racconta uno dei testimoni, che San Tommaso cadde violentemente, sbattendo contro un albero caduto, che «in qualche modo lo fece perdere i sensi» (fere stupefactus quodammodo).
Giunti poco dopo a Maenza, la comitiva rimase per 4 o 5 giorni, e lo stesso testimone racconta che allora fra Tommaso cominciò ad essere gravemente colpito da infermità: nausea, anoressia e debolezza generale, e per questo chiese «con grande devozione che fosse trasportato al monastero di Santa Maria di Fossanova, il che fu fatto». Dovette essere trasportato su un asino.
È opportuno ricordare che la regola domenicana dell’epoca proibiva ai frati di cavalcare cavalli o asini. Il fatto che San Tommaso abbia accettato di essere trasportato in questo modo dimostra la sua profonda debolezza. I resoconti del suo soggiorno a Fossanova descrivono un peggioramento generale dei sintomi: debolezza, nausea e anoressia, ma senza danni neurologici rilevanti.
Basti ricordare un momento in cui, durante un dibattito metafisico, fra Reginald, suo compagno, descrive il santo che non sa cosa scrivere e che evita le domande. Ma pochi giorni dopo stava tenendo un sermone. Testimoni parlano della conservazione della sua capacità intellettuale: dettò un commento – purtroppo perduto – al Cantico dei Cantici .
Il quadro clinico può essere così riassunto: una lesione iniziale preceduta da un periodo di lucidità a cui sono seguiti sintomi di debolezza, nausea e anoressia, progressivamente peggiorati fino alla morte. Questa immagine potrebbe suggerire un ematoma subdurale, ovvero una raccolta di sangue che si forma gradualmente tra la dura madre e l’aracnoide.
Sono infatti tre le «meningi» che avvolgono l’encefalo: la dura madre, che è applicata contro l’osso cranico, l’aracnoide, situata più in basso, e la pia madre, immediatamente a contatto con l’encefalo. Un ematoma subdurale si trova tra la dura madre e l’aracnoide. Nella maggior parte dei casi è dovuto a un trauma cranico lieve o moderato.
Succede che un ematoma di questo tipo guarisca spontaneamente se è piccolo. Ma può anche accadere che si diffonda progressivamente, provocando diversi sintomi il cui sviluppo si svolge nell’arco di diverse settimane o anche più a lungo: si tratta allora di un ematoma subdurale cronico. Se non curata, molto spesso porta alla morte.
Gli autori concludono quindi che è altamente probabile che si sia trattato di un ematoma subdurale cronico, causato dal violento impatto con un albero sulla strada tra Napoli e Maenza. Propongono di proseguire le indagini ottenendo il permesso di esaminare i due teschi che competono per essere la reliquia del dottor angelico.
Questo esame potrebbe rivelare tracce dell’incidente iniziale e, chissà, decidere tra Tolosa e Priverno circa il possesso dell’autentica testa del più celebre dottore della cristianità!
Articolo precedentemente apparso su FSSPX.News
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Immagine: foto del cranio di San Tommaso d’Aquino in a Columbus, Ohio, USA, nel 2024
Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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