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Eric Clapton lancia una canzone contro la prigione pandemica

Eric Clapton pubblica un’altra canzone dal sapore politicamente scorretto decisamente anti lockdown dal titolo This Has Gotta Stop, che tra i suoi versi recita apertis verbis una condanna dell’attuale situazione in cui è finito il mondo:
«Basta, non lo posso più sopportare / Sono in giro da molto, molto tempo /Vedo tutto questo e sono abituato a essere libero».
La canzone ha un andamento blues molto deciso e frizzante, ed è stata scritta dallo stesso Clapton e prodotta dal suo collaboratore Simon Climie con Sonny Emery alla batteria, Nathan East al basso, Sharon White ai cori e con Nick Ingman e Perry Montague-Mason per quanto riguarda gli arrangiamenti e la sezione archi.
«Basta, non lo posso più sopportare / Sono in giro da molto, molto tempo /Vedo tutto questo e sono abituato a essere libero»
Il bluesman britannico è in aperta polemica con tutto quello che riguarda le restrizioni e gli obblighi che i governi, in ispecie quello britannico, hanno imposto ai propri cittadini.
Già lo scorso dicembre, insieme a Van Morrison, pubblicarono un brano intitolato Stand and Deliver, per protestare contro il lockdown indetto dal governo di Londra.
«Ho preso la prima dose di AZ [AstraZeneca] e subito ho avuto reazioni gravi che sono durate dieci giorni. Le mie mani e i miei piedi erano congelati, insensibili o in fiamme, e praticamente inutili per due settimane, temevo che non avrei mai più suonato»
Il Clapton, nei mesi invernali, ha ricevuto le due dosi di siero contro il COVID con delle conseguenze fisiche sinceramente fastidiose e preoccupanti come lui stesso racconta:
«Ho preso la prima dose di AZ [AstraZeneca] e subito ho avuto reazioni gravi che sono durate dieci giorni. Le mie mani e i miei piedi erano congelati, insensibili o in fiamme, e praticamente inutili per due settimane, temevo che non avrei mai più suonato».
Parole forti dette da un musicista che si è «fidato» del proprio governo riguardo al vaccino, o presunto tale, ma che sulla propria pelle ha subìto gravi conseguenze nonostante «la propaganda dicesse che il vaccino era sicuro per tutti», disse proprio il chitarrista qualche mese fa, ma i fatti stanno dimostrando il contrario.
Nelle canali mainstream italioti i vari nani, saltimbanchi e ballerine starnazzano critiche a pappagallo verso artisti come Clapton che esprimono con coerente coraggio un suo pensiero che, ahimè, differisce dalla vulgata corrente e che quindi è condannabile e criticabile dai salottieri televisivi.
Clapton non intende esibirsi dove è richiesto il lasciapassare sanitario. «Non mi esibirò dove viene richiesto»
Slowhand ha anche detto che non intende esibirsi dove è richiesto il lasciapassare sanitario. «Non mi esibirò dove viene richiesto», ha ribadito con fermezza il cantautore britannico.
La dichiarazione di Clapton è stata resa nota attraverso l’account Telegram del produttore cinematografico e architetto Robin Monotti, anch’egli scettico nei confronti del vaccino COVID-19 e critico nei confronti delle misure messe in campo dal governo inglese.
Ben vengano i Clapton, i Van Morrison, i Richard Ashcroft che esprimono una sorta di forma di ribellione nei confronti di queste leggi liberticide che ci vengono imposte in nome della «lotta alla pandemia».
Da noi poche voci dissonanti del «circolo degli artisti» si sono levate in timidi, ma intelligenti proteste contro questo sistema; non c’è da stupirsi nel vedere se solo una esigua quantità di personaggi cerca di criticare i vari lockdown, sieri salvifici e tessere verdi, perché tutto il resto è uniformato al potere ideologico costituito.
I cantori delle «vite spericolate piene di guai» e i suoi adepti si sono mostrati indefessi difensori della mascherina prima e poi tifosi del tanto discusso «lasciapassare» per accedere ai loro spettacoli dal vivo.
Il rock, che è sempre stata considerata una musica, un’espressione artistica, uno stile di vita ribelle – ma solo nella realtà apparente – oggi più che mai lo vediamo «svuotato» della sua sostanza antisistema, e lo vediamo per quello che è, o che forse è sempre stato, ossia il «veicolo» usato da certi poteri per influenzare le masse a seconda dei propri scopi.
Viva la musica veramente ribelle di chi ha il coraggio della sincerità ideologica e artistica.
Immagine di Majvdl via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported, 2.5 Generic, 2.0 Generic e 1.0 Generic
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Gli ultimi attimi di Polina Menshikh. Immagine della tragedia dell’attrice uccisa sul palco a Donetsk

Un video ripreso con il cellulare ha catturato gli ultimi momenti di vita dell’attrice russa Polina Menshikh, che stava cantando davanti ad un pubblico di soldati russi.
In quello che un comandante russo ha descritto come «attacco di vendetta», missili ucraini hanno colpito il luogo. Lo schermo del video va a nero, lasciando immaginare cosa sia accaduto.
Domenica scorsa, i soldati dell’810ª Brigata di fanteria di marina russa riempivano un teatro presso la Casa della Cultura nel villaggio di Kumachovo in quella che in precedenza era l’oblast’ (provincia) di Donetsk in Ucraina, ma che la Russia ora chiama Repubblica popolare di Donetsk. L’evento consisteva in una combinazione di cerimonia di premiazione e concerto per celebrare la Giornata russa delle forze missilistiche e dell’artiglieria.
Il video dell’evento che circola sui social media mostra la russa 40enne attrice russa che canta e suona la chitarra. Poi, d’un tratto, il teatro trema per un’esplosione, i detriti cadono dal soffitto e il video diventa improvvisamente nero mentre si sentono i marines urlare.
The St. Petersburg Portal theater confirms that an artillery strike on Nov. 19 killed actress Polina Menshikh during a live performance for Russian troops in Ukraine’s occupied Donetsk region. A video captured her final moments. Two dozen soldiers were also reportedly killed. pic.twitter.com/ek8uiksc6k
— Kevin Rothrock (@KevinRothrock) November 22, 2023
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«Hanno distrutto le auto dei volontari con un razzo HIMARS e con il secondo il camerino con gli artisti e il palco», ha detto un militare ai media russi, affermando che gli ucraini hanno utilizzato una tattica del «doppio tocco», prima attaccando il luogo dell’incidente e poi colpendo le squadre di soccorso accorse sulla scena.
La Menshikh, che era anche regista e coreografa, è stata portata in ospedale dove è morta. Secondo i rapporti, il luogo dell’evento è stato colpito dai missili lanciati dall’M142 HIMARS (High Mobility Artillery Rocket System) fornito all’Ucraina dagli Stati Uniti.
Via Telegram, Robert Brovdi, che comanda un’unità di ricognizione aerea ucraina conosciuta come «Uccelli di Magyar», ha detto che lo sbarramento è stato effettuato come atto di vendetta per conto della 128ª Brigata d’assalto di montagna. Un attacco russo durante una cerimonia di premiazione in coincidenza con la Giornata delle forze di artiglieria ucraine ha ucciso 20 soldati di quell’unità il 3 novembre.
«Le forze armate ucraine hanno rapidamente determinato il luogo della celebrazione dei russi e si sono congratulate calorosamente con loro», ha scritto l’esercito ucraino in una dichiarazione pubblicata su Telegram riportata dal New York Post. L’Ucraina ha affermato che sarebbero morti circa 20 marines russi; Mosca non ha rilasciato alcun conteggio delle vittime.
La Menshikh, 40 anni, era a capo dello studio Lege Artis. «È con grande dolore che vi informiamo che Polina Menshikh, la regista de “L’ultima prova» (Lege Artis), è morta ieri durante uno spettacolo nel Donbass a causa di un bombardamento» ha affermato il Portal Theatre Studio in una nota. «L’ultima prova» è un’opera rock basata sulla serie fantasy Dragonlance. Lo spettacolo del 9 dicembre sarà dedicato alla memoria di Menshikh, ha detto Portal.
«Polina era consapevole del pericolo. Era una persona meravigliosa, molto fragile, leggera e quasi senza peso, ma con un cuore così grande e coraggioso» ha detto il giornalista russo Aleksandr Kots.
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Il premio Oscar Susan Sarandon licenziata per i suoi commenti su Israele

«Le persone si pongono domande, le persone si alzano in piedi, le persone si istruiscono, le persone si stanno allontanando dal lavaggio del cervello iniziato quando erano bambini», ha detto ai partecipanti alla manifestazione, ringraziando «la comunità ebraica che è venuta fuori per sostenerci». La Sarandon ha poi condiviso un messaggio pro-Palestina di Roger Waters, che ha spesso condannato le politiche israeliane nei confronti dei palestinesi nel corso degli anni. Sebbene i critici abbiano etichettato il musicista come antisemita, egli ha ripetutamente respinto l’accusa.American actress Susan Sarandon delivers a speech before hundreds of pro-Palestine protesters in New York. Queen! 👑💜 @SusanSarandon pic.twitter.com/nSadgGB88L
— Zaina 🇵🇸 (@ZainaArekat) November 14, 2023
La decisione della UTA di separarsi da Sarandon è l’ultima polemica legata alla guerra in corso tra Israele e Hamas nel mondo dello spettacolo. Il mese scorso, un alto funzionario dell’agenzia di talenti CAA, Maha Dakhil, si è dimesso dopo aver insinuato che Israele stesse commettendo un «genocidio» in un post sui social media. Successivamente, tuttavia, ha cancellato il messaggio dal suo account, dicendo che aveva «commesso un errore».Despite attempts by the Israeli lobby to cancel the event, Roger Waters of Pink Floyd took the stage in Uruguay, donning a Kufiyyah and advocating for an end to the Israeli genocide in Gaza. pic.twitter.com/sLkPBomeRD
— PALESTINE ONLINE 🇵🇸 (@OnlinePalEng) November 20, 2023
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Vincitrice ucraina dell’Eurovision inserita nella lista dei ricercati dalla Russia

La pop star ucraina Jamala, vincitrice dell’Eurovision Song Contest nel 2016, era stata inserita nella lista dei ricercati in Russia, secondo un database del Ministero degli Interni del Paese.
Jamala, al secolo Susana Alimivna Dzhamaladinova, è stata effettivamente inserita nella lista a metà ottobre, ma l’agenzia statale TASS e diversi altri organi di informazione russi hanno riportato lo sviluppo solo domenica.
La 40enne è ricercata in Russia per un reato penale, secondo la banca dati, ma non vengono forniti ulteriori dettagli. Una fonte delle forze dell’ordine ha detto alla TASS che Jamala potrebbe essere apparsa sulla lista dei ricercati con l’accusa di aver diffuso informazioni false sull’esercito russo.
Una legge che vieta la diffusione di falsità sulle forze armate russe è stata aggiunta al codice penale del Paese poco dopo l’inizio dell’operazione militare in Ucraina nel febbraio 2022. Coloro che vengono trovati in violazione rischiano una pena massima fino a 15 anni di prigione.
Il canale Telegram Shot ha affermato che la cantante è ricercata per dichiarazioni sugli eventi del marzo 2022 nella città ucraina di Bucha, dove Kiev ha accusato le forze russe di massacrare civili. Mosca, tuttavia, ha negato tali accuse, affermando che le presunte prove dei crimini sono state fabbricate come parte degli sforzi per far deragliare il processo di pace tra Russia e Ucraina.
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Jamala figura in un elenco pubblicato dal quotidiano Izvestia nell’aprile 2022 di artisti ucraini a cui è stato vietato l’ingresso in Russia.
Jamala, di origine tartara di Crimea, è stata critica nei confronti della riunificazione della Crimea con la Russia nel 2014. La canzone 1944, con cui si è assicurata la vittoria dell’Eurovision, era dedicata alla Sürgünlik, ossia la deportazione dei tartari dalla Crimea all’Asia centrale da parte dell’Unione Sovietica durante la guerra sotto il governo di Giuseppe Stalin. A seguito della dislocazione dei tatari, anche lei è nata nel Kirghizistan sovietico nel 1983. Il padre era un direttore di orchestra tataro, mentre la madre è una pianista armena del Nagorno Karabkh; la famiglia si ritrasferì in Crimea poco prima dell’indipendenza ucraina.
Ammettiamo di non capire bene cosa c’entri sound da musica nera, con evidente calco delle vocalità delle cantanti di colore americane, con la tragedia della deportazione sovietica dei tatari. Tuttavia, sappiamo che Eurovision ha una cifra politica persino maggiore di quella di Sanremo.
La ragazza ha studiato da soprano a Sinferopoli e al conservatorio di Kiev. Ha sposato un concittadino tataro presso il Centro di Cultura islamica di Kiev, con cui ha due figli.
La musicista, che ha condannato l’operazione militare russa, sarebbe fuggita dall’Ucraina dopo lo scoppio del conflitto. Secondo quanto riportato dalla stampa, sarebbe andata prima in Turchia per poi trasferirsi in Polonia, o forse in Romania – i resoconti divergono. Recentemente si è esibita in Europa e negli Stati Uniti e ha affermato che i proventi di quei concerti verranno inviati alle organizzazioni umanitarie ucraine.
Non si tratterebbe della prima voce del pop ucraino coinvolta nel conflitto.
Come riportato da Renovatio 21, vi è stato, accaduto al Gay Pride di Monaco di Baviera della scorsa estate, il caso di Melovin, che, tra il tripudio delle bandiere con l’arcobaleno LGBT, ha cantato inneggiando all’iniziatore del nazionalismo integrale ucraino Stepan Bandera, collaboratore di Hitler, recandosi pure sulla sua tomba.
Pride in Munich🇩🇪2023,🇺🇦singer Melovin (Kostyantyn Bocharov) performed the song "Batko nash Bandera", "Our father is Bandera",dedicated to the collaborationist Stepan Bandera, who fought for an ethnically cleansed🇺🇦of Jews, Russians and Poles.Part of the crowd sang along with him pic.twitter.com/tzIYyfuNWl
— Voxkomm (@Voxkomm) June 28, 2023
🇺🇦 singer Melovin also visited the Waldfriedhof cemetery (Germany), where the collaborationist Stepan Bandera is buried. pic.twitter.com/ygsBkH5hDt
— Voxkomm (@Voxkomm) June 28, 2023
«Batko Nash – Bandera / Ukraina Mati / My za Ukrainu budem voyuvat» dice la canzone cantata sul palco omotransessualista monacense, con il folto pubblico arcobalenato a far da coro. «Il nostro padre è Bandera / La nostra madre è l’Ucraina / Noi per l’Ucraina combatteremo».
A certuni, con evidenza, l’apologia degli anni bui è consentita. Ad altri, no. È il caso della cantante-pornostar Melanie Mueller, finita nei guai per supposto saluto nazista durante un incontro con il pubblico, introducendo l’ulteriore cortocircuito di senso di un’estrema destra a luci rosse.
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