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Arrestato in Francia il CEO di Telegram. «L’oscurità sta calando sul mondo libero»

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Il fondatore russo dell’app di messaggistica Telegram, Pavel Durov, è stato arrestato dopo essere arrivato a Parigi su un jet privato, ha riferito l’emittente locale LCI.

 

Durov, che ha ottenuto un passaporto francese nel 2021, è stato arrestato all’aeroporto di Parigi-Le Bourget intorno alle 20:00 ora locale, ha affermato ieri la testata francese. È anche cittadino degli Emirati Arabi Uniti, di Saint Kitts e Nevis e del suo Paese nativo, la Russia.

 

Il suo jet è arrivato nella capitale francese dall’Azerbaijan. Il trentanovenne era accompagnato da una donna e dalla sua guardia del corpo, ha aggiunto.

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Secondo LCI, le autorità francesi hanno emesso un mandato di arresto per l’imprenditore tecnologico come parte di un’indagine preliminare. Parigi ritiene che la moderazione insufficiente di Telegram, i suoi strumenti di crittografia e la presunta mancanza di cooperazione con la polizia potrebbero rendere Durov complice di traffico di droga, reati di pedofilia e frode, ha affermato.

 

L’emittente TF1 ha affermato che Durov comparirà stasera davanti a un giudice. Potrebbe rischiare fino a 20 anni di prigione, ha aggiunto.

 

Essendo cittadino francese, il fondatore di Telegram potrebbe anche dover affrontare accuse di violazione delle sanzioni imposte a Mosca dall’UE a causa dei suoi contatti in Russia.

 

Il mandato di arresto di Durov era legittimo solo sul territorio francese. «Stasera ha commesso un errore. Non sappiamo perché», ha detto a TF1-LCI una fonte vicina alle indagini. «In ogni caso, è rinchiuso».

 

Le reazioni all’arresto del Durov non si sono fatte attendere.

 

Il vice presidente della Duma di Stato russa Vladislav Davankov ha dichiarato che la Russia deve chiedere l’immediato rilascio del Durov. in Francia

 

Scrivendo su Telegram nelle prime ore di oggi, Davankov ha difeso il record di Durov. «Quasi nessun altro ha fatto di più per lo sviluppo dei servizi digitali in Russia e nel mondo», ha sostenuto.

 

«Dobbiamo tirarlo fuori da lì. Ho esortato il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov a fare appello alle autorità francesi affinché rilascino Pavel Durov dalla custodia», ha scritto il politico su Telegram. «Il suo arresto potrebbe essere motivato politicamente e utilizzato per ottenere l’accesso alle informazioni personali degli utenti di Telegram. Non possiamo permetterlo».

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Se Parigi si rifiuta di rilasciare Durov, «bisogna fare tutto il possibile per trasportarlo negli Emirati Arabi Uniti o in Russia, se lui accetta, ovviamente», ha affermato il politico.

 

Ha respinto le accuse contro Durov, affermando che attività illecite possono essere trovate su tutte le piattaforme di messaggistica. «Ma nessuno arresta o imprigiona i propri proprietari. E questa volta non dovrebbe accadere».

 

La portavoce del Ministero degli Esteri, Maria Zakharova, ha dichiarato domenica che l’ambasciata russa a Parigi sta lavorando per trovare una risposta alla situazione con Durov.

 

Il popolarissimo giornalista statunitense Tucker Carlson ha dichiarato che l’arresto del fondatore di Telegram Pavel Durov in Francia è un avvertimento per le piattaforme che resistono alla censura.

 

 

«Pavel Durov ha lasciato la Russia quando il governo ha cercato di controllare la sua società di social media, Telegram. Ma alla fine, non è stato Putin ad arrestarlo per aver permesso al pubblico di esercitare la libertà di parola», ha scritto Carlson su X sabato. «È stato un Paese occidentale, un alleato dell’amministrazione Biden e un membro entusiasta della NATO, a rinchiuderlo».

 

L’arresto di Durov è «un avvertimento vivente per qualsiasi proprietario di piattaforma che si rifiuta di censurare la verità su richiesta di governi e agenzie di Intelligence», scrive il Carlson. «L’oscurità sta calando rapidamente sul mondo un tempo libero».

 

Carlson aveva registrato una rara intervista con Durov ad aprile, in cui il proprietario di Telegram ha parlato dei suoi disaccordi con il governo russo, nonché della pressione che ha dovuto affrontare negli Stati Uniti. Qui il giovane imprenditore russo aveva detto che il governo americano voleva che installasse una «backdoor» di sorveglianza sul suo servizio di messaggistica, e lui ha rifiutato. Durov ha altresì raccontato che gli agenti avrebbero cercato di approcciare un suo dipendente.

 

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Telegram è stato lanciato nel 2013 e attualmente ha più di 950 milioni di utenti attivi al mese. Durov è originario di San Pietroburgo, Russia, ma vive principalmente negli Emirati Arabi Uniti dalla metà degli anni 2010. È diventato cittadino francese ed emiratino nel 2021.

 

Come riportato da Renovatio 21, dopo aver annunciato la volontà di regolamentare Telegram, la UE ha accusato la piattaforma di Durov di nascondere il numero dei suoi utenti.

 

Telegram cinque mesi fa è stato sospeso in Spagna, mentre si sono moltiplicati nei mesi del conflitto gli appelli, come quello del capo ella sicurezza di Kiev, di bandire il social in Ucraina. L’app è stata vietata in Somalia assieme a TikTok per «terrorismo».

 

La Repubblica Federale Tedesca aveva valutato apertamente la chiusura di Telegram ancora tre anni fa, durante l’emergenza pandemica, quando il social di messaggistica era divenuto una fonte importante per quanti rifiutavano di credere all’informazione ufficiale. Nel 2023 la Germania ha messo in galera un uomo per aver sostenuto la Russia su Telegram.

 

In Italia la questione Telegram era stata posta, su altre basi, all’inizio del lockdown 2020: gli editori italiani lamentarono che esistevano sull’app alcuni canali dove si potevano scaricare gratuitamente giornali e riviste – praticamente, un angolo di pirateria diffusa. La Federazione Italiana Editori Giornali (FIEG) chiese all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) di «un provvedimento esemplare e urgente di sospensione di Telegram, sulla base di un’analisi dell’incremento della diffusione illecita di testate giornalistiche sulla piattaforma che, durante la pandemia, ha raggiunto livelli intollerabili per uno Stato di diritto».

 

Due settimane dopo, a fine aprile 2020, Telegram, con una mossa inedita, rispose ad una mail dei giudici italiani e disattivò i canali accusati. Come scrisse trionfalmente La Repubblica: «Il primo grande risultato nella lotta alla contraffazione dell’editoria arriva nella notte da Dubai alla casella di posta elettronica della procura di Bari: “Hello, thank you for your email”, esordiscono brevemente i manager della piattaforma di messaggistica, prima di dare l’annuncio: “Abbiamo appena bloccato tutti i canali che ci avete indicato, all the best”, firmato: “Telegram Dmca”».

 

Nato a San Pietroburgo, Durov aveva fondato VK, la risposta russa a Facebook, insieme al fratello matematico Nikolaj. I due hanno passato alcuni anni dell’infanzia in Italia, a Torino, dove già davano prova della loro prodezza: il Nikolaj si esibì pure alla TV nazionale italiana – immaginiamo il programma di Mike Bongiorno – come bambino prodigio che sa risolvere un’equazione di terzo grado.

 

Dopo traversie con il governo russo, che voleva i dati degli utenti ucraini, i fratelli hanno venduto le loro quote e riparato all’estero, dove hanno successivamente sviluppato il servizio di messaggistica social Telegram, che si descrive come uno degli strumenti di comunicazione più sicuri e protetti.

 

Nelle scorse settimane Durov aveva fatto parlare di sé dicendo che con la sua attività di donatore di sperma aveva raggiunto la cifra di 100 figli genetici.

 

Come ripetuto da anni oramai Renovatio 21, è bene che il lettore si prepari a perdere ogni speranza di poter comunicare tranquillamente sui social e di scambiarsi messaggi, privati o meno, in cui esprimersi liberamente come previsto dalle carte costituzionali.

 

Tutto questo è parte della grande trasformazione sociopolitica in corso, che altro non è se non la ridefinizione del rapporto tra Stato e cittadino come ribaltamento della democrazia costituzionale è l’avvento di un sistema di controllo che non si può chiamare in altro modo se non «schiavitù»: il cittadino non è più latore di diritti, ma destinatario di «concessioni» scese dall’alto del potere e assegnate temporaneamente secondo una piattaforma di sorveglianza che di fatto deciderà di ogni attimo della nostra esistenza.

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L’UE multa X di Musk per 120 milioni di euro. Gli USA: «attacco al popolo americano»

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Gli Stati Uniti hanno accusato Bruxelles di aver «attaccato» gli americani dopo che l’Unione Europea ha inflitto alla piattaforma social X di Elon Musk una multa da 120 milioni di euro (circa 140 milioni di dollari) per violazione delle norme di moderazione dei contenuti previste dal Digital Services Act (DSA).   La Commissione europea ha reso nota la sanzione venerdì, precisando che si tratta della prima decisione formale di non conformità emessa in base al DSA.   La misura si inserisce in una più ampia offensiva regolatoria dell’UE contro i grandi colossi tecnologici statunitensi: in passato Bruxelles ha già comminato multe da diversi miliardi a Google per abuso di posizione dominante nella ricerca e nella pubblicità, ha sanzionato Apple in base al DSA e alle norme antitrust nazionali e ha penalizzato Meta per il modello pubblicitario «pay-or-consent». Queste azioni hanno ulteriormente inasprito le divergenze tra Washington e l’UE in materia di regolamentazione del digitale.   Secondo la Commissione, le violazioni commesse da X riguardano la progettazione ingannevole del sistema di spunta blu verificata, che «espone gli utenti a truffe», la mancanza di trasparenza nella libreria pubblicitaria e il rifiuto di fornire ai ricercatori l’accesso ai dati pubblici richiesto.

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Il Segretario di Stato americano Marco Rubio ha reagito duramente, scrivendo su X che la multa non rappresenta solo un attacco alla piattaforma, ma «un attacco a tutte le piattaforme tecnologiche americane e al popolo americano da parte di governi stranieri». «I giorni in cui gli americani venivano censurati online sono finiti», ha aggiunto.   Elon Musk ha rilanciato i commenti del commissario FCC Brendan Carr, secondo il quale l’UE prende di mira X semplicemente perché è un’azienda americana «di successo» e «l’Europa sta tassando gli americani per sovvenzionare un continente soffocato dalle sue stesse normative oppressive».   Anche il vicepresidente degli Stati Uniti JD Vance è intervenuto, sostenendo che l’UE sta punendo X «per non aver adottato misure di censura» e che gli europei dovrebbero «difendere la libertà di espressione invece di aggredire le aziende americane per questioni di poco conto».   L’amministrazione del presidente Donald Trump si oppone da anni alle leggi digitali europee, accusandole di essere «progettate per danneggiare la tecnologia americana» e minacciando dazi di ritorsione in risposta a tasse digitali e regolamenti sulle piattaforme.   Bruxelles ribatte che le proprie regole valgono allo stesso modo per tutte le imprese che operano nel mercato unico e riflettono semplicemente un approccio più severo su privacy, concorrenza e sicurezza online.   Le relazioni tra Washington e Bruxelles restano tese su numerosi fronti – commercio, sussidi industriali, standard ambientali e controlli tecnologici – con gli Stati Uniti che accusano l’UE di protezionismo e i leader europei che criticano le misure unilaterali americane in materia di dazi e tecnologia.

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Come riportato da Renovatio 21 il tema delle euromulte contro Musk è risalente.   Brusselle aveva valutato l’ipotesi di multe contro X da quando l’ex commissario alla tecnologia UE, Thierry Breton, aveva accusato la piattaforma di non aver controllato adeguatamente i contenuti illegali e di aver violato il Digital Services Act (DSA) dell’UE del 2022. La decisione se penalizzare X spetta ora alla commissaria UE per la concorrenza, Margrethe Vestager.   Come noto al lettore di Renovatio 21, Elone per qualche ragione è assai inviso all’oligarchia europea e a tanta politica continentale, come hanno dimostrato i discorsi del presidente italiano Sergio Mattarella, che pareva attaccare proprio Musk e le sue ambizioni sui social e nello spazio.

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Google nega di aver scansionato le email e gli allegati degli utenti con il suo software AI

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Google, colosso tecnologico, nega categoricamente i resoconti diffusi all’inizio di questa settimana da vari media autorevoli, affermando che non impiega e-mail e loro allegati per addestrare il suo nuovo modello di intelligenza artificiale Gemini.

 

Questa settimana, testate come Fox News e Breitbart hanno pubblicato articoli che illustravano ai lettori come «bloccare l’accesso dell’IA di Google alla propria posta su Gmail».

 

«Google ha annunciato il 5 novembre un aggiornamento che permette a Gemini Deep Research di sfruttare il contesto di Gmail, Drive e Chat», ha riferito Fox News, «consentendo all’IA di estrarre dati da messaggi, allegati e file archiviati per supportare le ricerche degli utenti».

 

Il sito di informazione statunitense Breitbart ha sostenuto in modo simile che «Google ha iniziato a scandagliare in silenzio le e-mail private e gli allegati degli utenti Gmail per addestrare i suoi modelli IA, imponendo un opt-out manuale per evitare l’inclusione automatica».

 

Il sito ha citato un comunicato di Malwarebytes, che accusava l’azienda di aver implementato il cambiamento senza notifica agli utenti.

 

In risposta al clamore, Google ha emesso una smentita ufficiale. «Queste notizie sono fuorvianti: non abbiamo alterato le impostazioni di nessuno. Le funzionalità intelligenti di Gmail esistono da anni e non utilizziamo i contenuti di Gmail per addestrare Gemini. Siamo sempre trasparenti sui cambiamenti ai nostri termini di servizio e alle policy», ha dichiarato un portavoce al giornalista di ZDNET Lance Whitney.

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Malwarebytes ha in seguito rivisto il suo post sul blog, ammettendo di aver «contribuito a una tempesta perfetta di incomprensioni» e precisando che la sua affermazione «non sembra essere» corretta.

 

Tuttavia, il blog ha riconosciuto che Google «analizza i contenuti delle e-mail per potenziare le sue “funzionalità intelligenti”, come il rilevamento dello spam, la categorizzazione e i suggerimenti di composizione. Ma questo è parte del funzionamento ordinario di Gmail e non equivale ad addestrare i modelli IA generativi».

 

Questa replica di Google difficilmente placherà gli utenti preoccupati da tempo per le pratiche di sorveglianza delle Big Tech e i loro legami con le agenzie di intelligence.

 

«Penso che l’aspetto più allarmante sia stato il flusso costante e coordinato di comunicazioni tra FBI, Dipartimento della Sicurezza Interna e le principali aziende tech del Paese», ha testimoniato il giornalista Matt Taibbi al Congresso USA nel dicembre 2023, in un’udienza su come Twitter collaborasse con l’FBI per censurare utenti e condividere dati con il governo.

 

L’11 novembre, presso la Corte Distrettuale USA per il Distretto Settentrionale della California, è stata depositata una class action contro Google. La vertenza accusa l’azienda di aver violato l’Invasion of Privacy Act della California attivando in segreto Gemini AI per analizzare messaggi di Gmail, Google Chat e Google Meet nell’ottobre 2025, senza notifica o consenso esplicito degli utenti.

 

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Meta avrebbe chiuso un occhio sul traffico sessuale: ulteriori documenti del tribunale

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Ulteriori documenti giudiziari appena desecretati rivelano che Meta, la casa madre di Facebook, avrebbe tollerato per anni la presenza di account coinvolti nel traffico sessuale di minori, applicando una politica incredibilmente permissiva che permetteva fino a 17 violazioni prima di sospendere un profilo.   L’accusa emerge da una maxi-causa intentata in California da oltre 1.800 querelanti – tra cui distretti scolastici, minori, genitori e procuratori generali di vari Stati – che imputano ai colossi dei social (Meta, YouTube, TikTok e Snapchat) di aver perseguito «una crescita a ogni costo», ignorando deliberatamente i danni fisici e psicologici inflitti ai bambini dalle loro piattaforme.   L’ex responsabile della sicurezza di Instagram, Vaishnavi Jayakumar, ha testimoniato sotto giuramento di essere rimasta sconcertata nello scoprire la regola interna dei «17 avvertimenti»: un account poteva violare fino a 16 volte le norme su prostituzione e adescamento sessuale prima di essere sospeso alla diciassettesima infrazione. «È una soglia altissima, fuori da ogni standard di settore», ha dichiarato.

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I documenti dimostrano che Meta era pienamente consapevole di milioni di contatti tra adulti sconosciuti e minori, dell’aggravamento dei problemi mentali negli adolescenti e della presenza diffusa (ma raramente rimossa) di contenuti su suicidio, disturbi alimentari e abusi sessuali su minori.   Solo dopo le denunce Meta ha annunciato a USA Today di aver abbandonato la politica dei 17 avvertimenti, passando a una regola di «una sola segnalazione» con rimozione immediata degli account coinvolti nello sfruttamento umano.   L’azienda è sotto pressione crescente negli Stati Uniti: all’inizio dell’anno, dopo le rivelazioni sui chatbot AI di Meta che intrattenevano conversazioni sessuali con minori, sono state introdotte nuove restrizioni per gli account adolescenti, consentendo ai genitori di bloccare le interazioni con i bot.   A livello globale la situazione è altrettanto critica: la Russia ha bollato Meta come «organizzazione estremista» nel 2022; nell’UE l’azienda affronta una raffica di procedimenti, tra cui una multa antitrust da 797 milioni di euro per Facebook Marketplace e numerose cause per violazione di copyright, protezione dati e pubblicità mirata in Spagna, Francia, Germania e Norvegia.   Come riportato da Renovatio 21, negli anni si sono accumulate varie accuse e rivelazioni su Facebook, tra cui accuse di uso della piattaforma da parte del traffico sessuale, fatte sui giornali ma anche nelle audizioni della Camera USA.

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Due anni fa durante un’audizione al Senato americano era stato denunciato da senatori e testimoni come i social media ignorano le reti pedofile che operano sulle loro piattaforme.   Secondo il Wall Street Journal, che già in passato aveva trattato l’argomento, Meta avrebbe un problema con i suoi algoritmi che consentono ai molestatori di bambini sulle sue piattaforme. La cosa stupefacente è il fatto che ai pedofili potrebbe essere stato concesso di connettersi sui social, mentre agli utenti conservatori no,   Le accuse sono finite in una storia udienza a Washington di Mark Zuckerberg, che è stato indotto dal senatore USA Josh Holloway a chiedere scusa di persona alle famiglie di bambini danneggiati dal social. Lo Stato del Nuovo Messico ha fatto causa a Meta allo Zuckerberg per aver facilitato il traffico sessuale minorile.   L’ultima tornata di documenti del tribunale aveva mostrato anche che Meta avrebbe insabbiato le ricerche sulla salute mentale degli utenti Facebook.

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Immagine di Minette Lontsie via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
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